"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 28 marzo 2011

Daniela, di Roberto Bolano (da El secreto del mal)

  Mi chiamo Daniela de Montecristo e sono cittadina dell'universo, anche se sono nata a Buenos Aires, capitale dell'Argentina, nell'anno 1915, la prediletta di tre sorelle. In seguito mio padre si risposò ed ebbe un maschietto, ma il bimbo morì prima di compiere il primo anno di vita e papà dovette accontentarsi di ciò che già aveva, sarebbe a dire le mie sorelle e me. Ma non è questo che volevo raccontare. Sono storie vecchie e, mi si passi il paradosso, infantili, e non interessano a nessuno. A tredici anni persi la verginità. Questo forse interesserà a qualcuno. Mi sverginò un lavoratore della fattoria. Ormai non ricordo più il suo nome, solo so che era un lavoratore e che doveva avere tra i venticinque e i quarantacinque anni. Non mi violentò, di questo mi ricordo. Almeno io non ebbi in nessun momento questa impressione, voglio dire concluso l'atto, quando mi vestivo dietro un ombù, e il lavoratore, dall'altro lato dell'ombù, si preparava pensoso una sigaretta che dopo si sarebbe fumato e da cui mi avrebbe passato un paio di tiri, i primi tiri che feci nella mia vita. E questo è il primo ricordo che mi torna alla mente. Il gusto aspro del tabacco e il campo che si estendeva interminabile e le gambe che mi tremavano. In realtà quello che mi tremava era il pensiero. Avrei potuto denunciarlo. L'idea mi girò per la testa tutta quella notte e le due notti successive. Ma non lo feci. In parte perchè volevo ripetere l'esperienza sessuale. In parte perchè la fattoria non era di mio padre ma di alcuni amici di mio padre e, dunque, la punizione sarebbe caduta fuori dall'ambito del mio sangue e di ciò che io intendevo essere l'amministrazione della vera giustizia, l'amministrazione della giustizia del sangue. Mio padre non ebbe mai una fattoria. La mia sorella maggiore si sposò con un avvocato, un povero azzeccagarbugli che durante tutta la sua vita manifestò un amore smisurato per la figura di papà. L'altra mia sorella si sposò con il figlio di un proprietario terriero, un ragazzo sventato che nel giro di pochi anni riuscì a dilapidare al gioco una piccola fortuna e di conseguenza ad autoescludersi dall'eredità famigliare. In una parola: la mia famiglia è sempre stata una famiglia della classe media e per quanti sforzi si mettessero in campo, da differenti posizioni, adottando modalità spesso contraddittorie, per accedere ad una classe sociale superiore, cioè solida, marmorea, con gli attributi della giustizia e dell'etica, l'unica cosa certa è che mai abbandonammo la nostra comoda classe sociale, comoda, si,  ma che condannava gli spiriti più scaltri della stirpe (io, per esempio) ad una vivacità che già allora, ai tredici anni, in una fattoria che non era nostra, mi portò ad intravvedere un miraggio vertiginoso, uno spazio nel tempo dove il tempo stesso si annullava, il tempo così come lo conosciamo, ed è per questo che ho cominciato dicendo che sono cittadina dell'universo e non del mondo, come si usa dire di solito, perchè io sono vecchia ma non stupida, questo sia chiaro, il mondo è incapace di contenere un tale vertignoso miraggio, l'universo forse si. Ma stavamo parlando della vivacità. Stavo parlando della notte in cui pensai di denunciare il lavoratore che mi aveva sverginata. E non lo feci, anche se non ho più fatto l'amore con lui. La vivacità, la mia prima percezione cosciente della vivacità, si tradusse in una febbre che fece si che mio padre mi rispedisse a Buenos Aires, dove mi mise tra le mani di un universitario di nome Guarini, un medico.

traduzione dvd illevir

i detective selvaggi





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