"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 23 dicembre 2016

E' morto lo scrittore argentino Alberto Laiseca


  Giovedì 22 Dicembre 2016 è morto a Buenos Aires all'età di 75 anni lo scrittore Alberto Laiseca. Era nato a Rosario l'11 di Febbraio del 1941.
  Autore di 20 libri, è ricordato soprattutto per il monumentale romanzo Los Sorias, di cui Ricardo Piglia ha detto: " Il miglior romanzo argentino dai tempi de I sette pazzi (di Roberto Arlt)".

  In Italia è stato tradotto Memorie di un romanziere atonale (2013 Arcoiris edizioni) nella collana di letteratura latinoamericana Gli Eccentrici.

     "Alberto Laiseca è un folle, l'enfant terrible della letteratura argentina, un rabdomante di storie, atmosfere, neologismi, un irregolare per eccellenza: un eccentrico. Il suo modo di avanzare nella narrazione pare essere un flusso continuo di invenzioni, narrative e stilistiche, quasi il suo narrare fosse un fenomeno di scrittura automatica, un'iperbole continua che supera regolarmente sè stessa con quella successiva. Non è che non parli della realtà, tutt'altro, descrive anzi il sostrato primigenio delle realtà che racconta..."
  Da 2666 http://2666blogspotcom.blogspot.it/2015/09/avventure-di-un-romanziere-atonale-di.html


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 Alberto Laiseca, scrittore argentino, nasce a Rosario nel 1941. Trascorre la sua infanzia a Camilo Aldao, tra le province di Cordoba e Santa Fe. Dopo aver svolto diversi lavori, pubblica nel 1976 il suo primo libro Su turno para morir. Aventuras de un novelista atonal è il suo secondo libro, del 1982. Seguiranno: Matando enanos a garrotazos, Poemas chinos (1987), La hija de Kheops (1989), La mujer en la muralla (1990), Por favor ¡plágienme! (1991), El jardín de las máquinas parlantes (1993), Los sorias (1998) considerato il suo capolavoro, un libro-mostro di 1.300 pagine,  El gusano máximo de la vida misma (1999), Gracias Chanchúbelo (2000), En sueños he llorado (2001), Las aventuras del profesor Eusebio Filigranati (2003), Sí, soy mala poeta pero... (2003), Las cuatro Torres de Babel (2004), El Artista (2010), Cuentos Completos (2011), Manual Sadomasoporno (2011), Beber en rojo (Drácula) (2012), iluSORIAS (2013) e La puerta del viento (2014). Stimato, tra gli altri, da mostri sacri della letteratura argentina quali Cesar Aira, Ricardo Piglia e Rodolfo Fogwill, è considerato l'erede dell'antiborges per eccellenza: Roberto Arlt.
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<< Alberto Laiseca non è solo un grande scrittore, è uno di quegli inventori della letteratura, unici e imprescindibili, , con i quali tutto finsice e ricomincia di nuovo >>
                                                                     Cesar Aira

<< Alberto Laiseca si allontana dalle tradizioni della letteratura argentina e parodia i generi combinando, tra le altre cose, , sadomasochismo, pornografia, noir e romanzo storico >>
                                                                     Roberto Ferro


venerdì 16 dicembre 2016

Crocevia, di Mario Vargas Llosa, Einaudi editore, trad. di Federica Niola

  Cinco Esquinas, il titolo originale di questo libro, prende il nome dall'incrocio che caratterizza uno dei barrios màs bravos di Lima, situato nei Barrios Altos, nell'antico centro storico della città: presente già in epoca coloniale, incrocia cinque strade: Calle del Prado, Calle de los Naranjos, Calle Barbones, Calle Ancha y Calle Sequión.
Il titolo originale è importante in quanto riferimento piuttosto chiaro ad uno degli episodi più tragici della storia recente del Perù: il massacro dei Barrios Altos.
Il 3 Novembre 1991, durante l'epoca di presidenza di Alberto Fujimori (1990-2000),  un gruppo di sei paramilitari entra presso l'abitazione sita in Jiròn Huanta 840 -dove alle 23.30 circa un gruppo di privati cittadini indifesi sta terminando una serata di festeggiamenti - e apre il fuoco uccidendo a sangue freddo quindici persone innocenti (tra i quali un bambino di otto anni) scambiate per appartenenti al gruppo terrorista Sendero Luminoso. I sei paramilitari, uomini delle forze armate del Perù, fanno parte del famigerato Grupo Colina e agiscono sotto diretto ordine di Vladimiro Montesinos, uomo di fiducia del presidente Fujimori e da questi deputato a qualsiasi tipo di operazione sporca (quando non sporchissima). Giusto per farsi un'idea del personaggio: Montesinos, che in quel momento è a capo del SIN Servicio di Inteligencia Nacional del Perù e incarna l'anima nera (se non nerissima) del regime, nel 1976 era già stato espulso dall'esercito peruviano con l'accusa di essere un agente al servizio della Cia e di aver venduto segreti militari nazionali agli Usa. Montesinos, facilmente sovrapponibile alla figura del Doctor del libro, approfittando della lotta contro il terrorismo rosso (incarnato nei movimenti del MRTA: Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru e di Sendero Luminoso - a tal proposito da leggere, purtroppo solo in lingua originale per ora, l'esauriente libro di Santiago Roncagliolo su SL e Abimael Guzmàn: La cuarta espada) aveva messo in piedi un sistema di controllo e repressione del dissenso interno brutale e autoritario, da un lato gestendo la macchina mediatica degli scandali costruiti ad arte e dall'altro fondando gruppi paramilitari quali appunto il Grupo Colina, implicato in genocidi, violazioni dei diritti umani e terrorismo di stato. Nel 2000 Montesinos sarà costretto alla fuga all'estero, inseguito dallo scandalo dei cosiddetti Vladivideos, video portati alla luce dal congressista Fernando Olivero Vega, nel primo dei quali il plenipotenziario del SIN allunga quindicimila dollari ad un congressista dell'opposizione perché questi cambi casacca e passi nelle fila del partito del presidente. Verrà arrestato in Venezuela e poi estradato in Perù sommerso da accuse che spaziano dalla corruzione, al narcotraffico, alla violazione dei diritti umani.
  Antefatto (all'antefatto): Mario Vargas Llosa nel 1990 si candida alla presidenza del Perù, a capo del suo partito Fredemo, e per buona parte della campagna elettorale viene considerato il candidato favorito alla vittoria finale, l'uomo da battere. Il suo principale avversario, risultato poi vincitore della tornata elettorale, si chiama Alberto Fujimori.
  Questo "non detto" è sottinteso interamente nel titolo di Cinco esquinas, titolo altrimenti assai poco comprensibile, dal momento che nella narrazione è semplicemente il nome del barrio nel quale abita, quasi fino alla fine del libro, uno dei personaggi principali, la Retaquita (la bassina) Julieta Leguizamòn. Porre a questo libro il titolo di Crocevia, traducendo così soltanto il significato più banale di "incrocio di strade", non permette al lettore italiano di accedere ad uno dei piani interpretativi principali. In Perù, forse, il principale; sicuramente quello più chiaro ed evidente ai lettori peruviani.

  La storia: due coppie di amici della Lima bene, di quelle persone (poche) che contano nel Perù martoriato dagli attentati terroristici di Emmeretisti e Senderisti degli anni '90: Quique (Enrique) e Marisa, Luciano e Chabela, amici dai tempi della scuola e ora affermati professionisti, imprenditore minerario Quique e avvocato di successo Luciano. In una sera in cui Chabela fa tardi a casa di Marisa e non può tornare alla propria abitazione a causa del coprifuoco (toque de queda) in vigore in quegli anni feroci, le due amiche, invischiate nel torpore del dormiveglia, si scoprono attratte l'una dall'altra e si lasciano avvolgere da una notte di sesso e passione. Il segreto che le unisce, in realtà fresco ed eccitante più che torbido, non le può però isolare dalle brutture del mondo che le circonda e che minaccia loro e le loro famiglie in quanto benestanti (diciamo pure ricche sfondate) e dunque nemiche del popolo. Rolando Garro è il direttore di un tabloid di infima qualità, Destapes, uno di quelli che vive di scandali (veri e/o artatamente costruiti) e il cui principale passatempo consiste nello stroncare carriere altrui. Garro si presenta nell'ufficio di Quique e gli mostra delle foto, scattate un paio di anni prima, nelle quali lo stesso Quique è ripreso durante un orgia insieme a diverse prostitute, gli spiega che non ha intenzione di pubblicarle ma che sarebbe doveroso da parte sua, per mostrarsi grato del suo silenzio, comprare le quote del giornale e diventarne il principale azionista. Quique non accetta il ricatto e caccia Garro in malo modo e questi, per vendetta, pubblica le foto. Seguono, nell'ordine: il prevedibile enorme scandalo che diventa il principale argomento di conversazione di tutto il paese, che poi sostanzialmente è Lima, la capitale; le contromosse disperate e rabbiose di un Quique guidato dal suo avvocato, e amico, Luciano; i rapporti con la moglie Marisa ridotti ad un pugno di accuse e recriminazioni; l'impressione, che è più di una semplice impressione, che la propria esistenza sia ormai un insieme di brandelli in fiamme, e via discorrendo. Fin qui, sullo sfondo del periodo più nero del Perù moderno, nel quale si susseguono rapimenti, uccisioni e attentanti, durante il quale il razionamento dei beni e il coprifuoco sono la normalità quotidiana, Vargas Llosa traccia con la dovuta sicurezza le linee di uno scandalo alla corte della Lima opulenta, perbenista e pettegola degli anni '90. Quella Lima che non perdona a nessuno il successo, neppure se meritato. Poi accade qualcosa che accelera vertiginosamente l'azione e di colpo spalanca uno scenario che era rimasto fino a quel momento sullo sfondo ad aleggiare come una minaccia sospesa nell'aria grigia e umida della capitale: Garro, il viscido Garro, viene trovato assassinato. Il cadavere porta inconfutabili i segni di una morte atroce sopraggiunta al termine di un'efferata tortura. Lo scandalo, che andava ormai spegnendosi tra i lettori sostituito da nuovi scandali, si riaccende e le luci tornano a puntare su Quique, ora sospettato di omicidio: si sarebbe vendicato dell'uomo che aveva tentato di rovinare la sua esistenza, facendolo uccidere. La Retaquita, giovane giornalista allieva e segretamente innamorata di Garro, sconvolta dalla morte del proprio direttore, viene convocata dal Doctor, il capo dei servizi segreti del Perù e anima nera del regime di Fuijmori. Più temuto dello stesso presidente. Cosa ha a che vedere il Doctor con tutta questa storia? Perché il governo si interessa alla morte di un oscuro e squallido giornalista direttore di un tabloid-basura? Quien matò (non a Palomino Molero questa volta ma) a Rolando Garro?
  Interpretato in molti casi come una parabola di condanna del potere dei media, in realtà questo libro è totalmente altro. Innanzitutto sarebbe una condanna poco credibile da parte di chi, come Vargas Llosa, già nel 1976 prendeva le distanze dal regime di Juan Velasco Alvarado proprio stigmatizzandone l'avversione alla libertà d'espressione dei media (su altri temi lo aveva invece sostenuto). Inoltre è la storia stessa narrata in Cinco esquinas a mostrare non solo il volto demonico dei media, quello (s)venduto al potere (anche se, a ben vedere, quasi giocoforza, senza compiacimento, come un fio da pagare per sopravvivere), ma anche quello eroico di denuncia nei confronti proprio del potere, di ogni potere. Di più: questi due aspetti nel libro sono incarnati in un'unica figura, quella della Retaquita, personaggio intimamente amorale, come la sua professione. Il giornalismo, anche quello deteriore, ha la sua ragione d'essere non tanto nella sua qualità intrinseca, quanto nella sua capacità di mantenersi libero da ogni ingerenza da interessi esterni alla propria missione: vendere copie. E d'altronde questo non è un libro sul potere deflagrante dello scandalo, né sulla relazione lesbica di due amiche. Ha, in certi passaggi, toni da giallo, ma non lo è fino in fondo: il colpevole della morte di Rolando Garro verrà rivelato in tempi relativamente brevi, e comunque lo si sospetta da subito. Il libro, come tutti i libri di Vargas Llosa, è un libro sul potere. In questo caso sul potere politico negli anni '90 sotto il governo Fujimori, e in questo senso è una vendetta letteraria che il nobel peruviano si prende nei confronti di chi all'epoca lo sconfisse politicamente. Ma è anche un libro sul potere dei media, del sesso, dell'amicizia e dell'amore. Ma l'unico potere che viene duramente condannato nel libro è solo quello politico di Fujimori, del Doctor e del loro regime impazzito. Il Doctor, in questo senso, è una figura sostitutiva del bersaglio grosso, di Fujimori. Non ha spessore politico, è totalmente negativo, è una caricatura del cattivo a tutto tondo, un dottor No latinoamericano, ma in realtà non ha, nel libro, un reale spessore psicologico. E' costruito innanzitutto per richiamare il personaggio reale, Montesinos, e attraverso di lui richiamare in causa Fujimori e i suoi governi, ma ha tratti bidimensionali, nessuna profondità psicologica, alcun passato alle spalle, nessun presente che non sia l'oscuro tramare, neppure dorme da quanto è impegnato ad accumulare, gestire e conservare potere. Il Doctor è l'alter ego non tanto di Fujimori quanto della sua parabola politica, e la parabola di Fujimori è a sua volta un richiamo alle parabole politiche e sociali di ogni regime liberticida e corrotto. Questo libro, che non è solo una vendetta politica, è anche e soprattutto una vendetta politica. Non ha il respiro dei grandi capolavori di Vargas Llosa: come già ne L'eroe discreto, il suo orizzonte è asfittico, meno universale, non ritrae un'epoca, la delinea a malapena, in tratti sicuri e rapidi, ma asciutti, poco profondi. Non si ricerca il quadro completo, il paesaggio storico e sociale, ma ci si accontenta di un semplice scorcio. Crocevia è un libro apprezzabile, che in Perù si arricchisce della chiave di lettura personalistica del rapporto tra Vargas Llosa e Fujimori, una chiave di lettura che ha il sapore del gossip e della vendetta, e il lettore peruviano, che ne ha decretato il successo in libreria, è un'occhio che sbircia dalla serratura per farsi un'idea di ciò che sembrava destinato a rimanere nascosto dietro le quinte. Come detto, non è uno dei libri "pesanti" della biografia del Nobel peruviano, ma è un libro solido, furbo quanto basta per essere godibile, intrigante senza scadere nella prurigine. All'edizione italiana avrebbe indubbiamente giovato una traduzione più curata e un sistema di note meno confuso (le parole in corsivo vengono tradotte al fondo del libro, ma non tutte le parole in corsivo, così capita di interrompere la letteratura per andare in cerca di una traduzione che in realtà non c'è) così come un inquadramento storico in postfazione e il mantenimento del titolo originale. Cinco esquinas non è un crocevia, non solo, non nella storia del Perù.


 Mario Vargas Llosa è nato nel 1936 ad Arequipa, in Perú, e attualmente vive a Londra. Nel 2010 è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Einaudi ha in corso di pubblicazione l'intera opera. Tra i titoli già pubblicati: La Casa Verde, La zia Julia e lo scribacchino, La guerra della fine del mondo, I quaderni di don Rigoberto, La città e i cani, Lettera a un aspirante romanziere, Conversazione nella «Catedral», Elogio della matrigna, La festa del Caprone, Pantaleón e le visitatrici, Storia di Mayta, Il Paradiso è altrove, I cuccioli. I capi, Chi ha ucciso Palomino Molero?, Avventure della ragazza cattiva, Appuntamento a Londra, Il caporale Lituma sulle Ande, Il narratore ambulante, Elogio della lettura e della finzione, La Chunga e Il sogno del celta. Nel 2012, sempre per Einaudi, è uscito Alfonsino e la Luna (ET Pop); nel 2013, nella nuova collana digitale dei Quanti, Mondo, romanzo (con Claudio Magris), La civiltà dello spettacolo (Passaggi) e L'eroe discreto (Supercoralli).
   

venerdì 11 novembre 2016

Il complotto mongolo, di Rafael Bernal, La Linea edizioni, trad. di Andrea Ghezzi

  Negli anni '60 in Messico la rivoluzione si è fatta governo (vedi PRI, al governo per settant'anni di seguito) e il governo, quando viene allertato su un possibile complotto per uccidere il presidente degli Stati Uniti in visita nella capitale messicana, non può esimersi dal mettersi in moto per verificare la segnalazione e, nel caso questa rivelasse una minaccia reale, dal fare di tutto per sventarla. Il tempo è poco, tre giorni, e la minaccia è in realtà un intrigo internazionale che pare avere radici nella remota Mongolia esteriore ("fottuta Mongolia esteriore!"), intercettata dai russi che, in cambio della soffiata ai messicani pretendono di prendere parte alle indagini imponendo la presenza di un loro agente, Laski. Il governo messicano incarica del caso Filiberto Garcia, un rappresentante delle forze di polizia che è un reperto dei tempi andati (più che andati, in realtà, solo nascosti sotto una pomposa veste di democratica bonomia) nei quali i problemi venivano risolti disseminando morti a destra e manca, con una certa noncuranza e senza porsi troppi scrupoli. In pratica una sorta di sicario che viene chiamato in causa quando il gioco è troppo sporco per usare i guanti bianchi. Al duo (Garcia e Laski) si unisce un agente dell'FBI (Graves) che viene imposto dal governo degli Stati Uniti per vegliare sulla vita del proprio presidente (si erano appena fatti ammazzare JFK in pubblica piazza e non ci tenevano certo a bissare la defaillance). Garcia non pare essere il candidato ideale per muoversi tra gli intrighi di un complotto internazionale, e da subito sospetta di aver ricevuto l'incarico solo per fungere da zimbello in uno scenario dalle dimensioni planetarie, ma comincia comunque le sue indagini muovendosi nel sottobosco a lui ben conosciuto della comunità cinese a Città del Messico. Prima di sera uccide due uomini. In fondo è quello che - e continua a ripeter(se)lo - sa fare meglio ("fottuti morti ammazzati!"). L'entrata in scena del FBI (con l'agente Graves) e del KGB (con l'agente Laski) porta la situazione ad un grado di complessità, se possibile, ancora superiore: Graves gli consiglia di estromettere di fatto Laski dalle indagini, e il russo gli propone la stessa cosa; in più: ognuno pedina gli altri, e tutti e tre vengono "attenzionati" da soggetti terzi (della cui schiera facevano parte i primi due morti ammazzati), presumibilmente gli attentatori. Intanto una incantevole cinese con la quale Garcia aveva l'abitudine di flirtare entra nella sua vita, e in casa sua, e lo lascia interdetto ed incapace di decidersi se la presenza di "Malta" (Marta, anzi, Martita) sia una mossa dei cinesi per controllarlo da vicino o sia dettata da un sincero sentimento della ragazza nei suoi confronti. Normalmente non sarebbe un problema, le donne per Garcia sono un passatempo col quale divertirsi, ("trastullo del lavoratore", direbbe Giancarlo Giannini in "Travolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'Agosto), l'importante sarebbe portarsela a letto per poi scaricarla al suo destino, ma questa volta è diverso, forse perché sarebbe la prima cinese con la quale va a letto o, forse, finisce per ammetterlo a sé stesso, perché si sta infiacchendo, sta diventando una checca. Si sta innamorando, o qualcosa del genere. I morti ammazzati aumentano in maniera esponenziale e, ad ogni morto, le sue perplessità aumentano. Possibile che i cinesi si affidino a mezze tacche del sottobosco della malavita messicana per eliminare il presidente degli Stati Uniti? Forse c'è dell'altro dietro. Forse il complotto è un altro ("fottuti complotti internazionali!"). Tra messicani, cinesi, americani e cubani, le carte si mescolano e nulla è quel che sembra. L'unica cosa che Garcia sa è che nelle indagini gli hanno messo accanto dei professionisti, gente che ha studiato per ammazzare il prossimo, mentre lui al contrario lo ha imparato strada facendo. Lui confeziona morti, i cadaveri li lascia agli altri, i cadaveri sono faccende da persone altolocate: ma allora cosa "ci combina" lui  a districarsi tra doppi e tripli giochi, a sventare un omicidio che potrebbe mandare a gambe all'aria il delicato equilibrio geopolitico mondiale e la relativa pace che ne consegue?

  Il Complotto mongolo, considerato come il romanzo fondante della cosiddetta novela negra latinoamericana, è un pastiche malinconico e sconsiderato che, nel tentativo di parodiare l'hard boiled nordamericano, in realtà lo ridefinisce calandolo nella realtà messicana degli anni '60, a sua volta inscritta nello scacchiere internazionale dell'epoca. Tutto è in bilico, e in divenire, un divenire lento che odora comunque di morte, morte inevitabile e sempre dietro l'angolo (come da tradizione nella cultura messicana): è in bilico la vita di Feliberto Garcia, non solo perché viene messa a rischio nel corso dell'indagine, ma anche (e soprattutto) perché inaspettatamente qualcosa in lui cambia, si affievolisce, forse perché è giunto in quella zona dell'esistenza di ognuno in cui fare un bilancio diventa inevitabile; è in bilico l'indagine sospesa tra diverse chiavi di lettura che spaziano dal complotto internazionale per uccidere il presidente degli Stati Uniti, al complotto internazionale per compiere un colpo di stato a Cuba, al complotto per eliminare il presidente messicano; è in bilico la pace nel mondo anzi, lo stesso mondo in quegli anni vive in perenne quanto instabile equilibrio; e la stessa morte pare muoversi su un baratro che la porta dalla sua incarnazione più banale e violenta alla sua essenza filosofica:

"E a me non rimane che la solitudine della mia vita. Hanno già cominciato a lasciarmi indietro. Li ho accompagnati sulla soglia della porta, e poi hanno proseguito da soli. Lasciandomi al di qua, di fuori."

"Ora (...) è sola. Sola nel letto con tutta la sua morte. Non avevo mai fatto questo pensiero. Uccidere significa condannare una persona alla solitudine."

Rafael Bernal, sceneggiatore e diplomatico, che scrive Il complotto mongolo a Lima, in Perù, intesse una storia avvincente, e getta le basi per un genere che colonizzerà in breve l'intera realtà letteraria di lingua ispana (proprio in quegli anni comincerà a pubblicare Jorge Ibargüengoitia). Il mondo che descrive non è al suo tramonto, al contrario, è ben saldo nel proprio presente che prolungherà lunghe ombre sul futuro dei decenni a venire, piuttosto è Garcia che è il rappresentante di un mondo che va scomparendo: non è solo l'alter ego messicano del classico ispettore nordamericano, è soprattutto un uomo che ha vissuto sulla propria pelle la storia recente del Messico, ne porta incisa nell'anima la violenza e la relativa inclinazione verso l'ammazzatina facile (da pane al pane, vino al vino, per intenderci). Ed è un uomo che proprio in questa storia si trova a valicare (almeno con un piede, se non con tutti e due) la linea di demarcazione che divide il vecchio Messico da quello nuovo, e in questo passaggio cede parte di se stesso alla novità del sentimento (un sentimento trattato con la delicatezza di chi lo maneggia per la prima volta in vita sua; senza scadere nel sentimentalismo, ma cedendo ad uno stupefatto lirismo del sentimento). Non è più lui, Feliberto Garcia, non è più quello che violenta la donna con accanto il cadavere ancora fresco del marito, fresco di dipartita. Ma allora chi è? E qual'è la reale natura del complotto? E qual'è il vero Messico? Se nella prima parte il tono del romanzo è più leggero, a volte dai tratti parodistici (le ripetute ironiche raccomandazioni dei suoi superiori a che non lasci troppi morti sul suo cammino), nella seconda parte prende quota l'intreccio e la suspense, per poi finire in uno scioglimento narrativo nettamente crepuscolare quando non addirittura catacombale. Lo stile "a grana grossa" restituisce la sensazione di un racconto popolare, destinato ad un consumo immediato e veloce, agevole ai più, ma l'intreccio del complotto che stupisce il lettore per la verosimiglianza con la quale viene ordito (le varie ipotesi messe in campo sono solo un parte della paranoia nella quale viveva il mondo in quell'epoca) eleva il materiale narrativo ad un livello superiore. Il reiterare di espressioni e leit motiv (la Mongolia esteriore, Martita, i morti ammazzati, l'Avvocato, l'epoca ormai passata, ecc) diviene un marchio stilistico ben preciso (così come i: fottuto / dannato), il dialogo è quello stilizzato dello sceneggiatore navigato (quale Bernal era), la caratterizzazione dei personaggi è volutamente approssimativa, a volte poggiata sul classico stereotipo ed altre pescata a piene mani dalla vita reale, ma quello che lascia stupefatti, come sempre avviene nei libri di qualità, è la resa finale della narrazione: al contempo all'interno ed al di fuori del solco del genere nella quale si iscrive.
Una storia che è al contempo leggera e "pesantissima", avvincente e straziante. Un classico (fondante) del genere della novela negra.

Ottima "scoperta" della casa editrice LaLinea che nella collana TamTam pubblica romanzi davvero interessanti.


Rafael Bernal nasce a Città del Messico nel 1915: è stato un uomo dalla vita avventurosa e uno scrittore poliedrico. Fu un instancabile giramondo: studiò cinema a Parigi, poi fu in California come sceneggiatore, rientrò in Messico per fondare una casa editrice, si trasferì in Venezuela a lavorare in una televisione, quindi fu assunto nel corpo diplomatico messicano e spedito in Honduras, nelle Filippine, in Perù e infine in Svizzera, dove morì nel 1972. Scrisse per la radio, la televisione, il teatro e alcuni giornali. Oltre al celebre “Complotto mongolo”, ha pubblicato opere di una grande varietà di generi, tra cui: “Tres novelas policiacas” (1946), “Su nombre era muerte” (1947), “Gente de mar” (1950) e “Tierra de gracia” (1963).
    

domenica 30 ottobre 2016

L'uomo che non fu giovedì, di Juan Esteban Constaìn, Fazi editore, trad. di Andrea Rigato

La Chiesa Cattolica, nella persona del suo massimo rappresentante, Papa Benedetto XVI (attraverso il caldeggiamento di Bergoglio, all'epoca arcivescovo di Buenos Aires), intende, per la seconda volta (la prima nel 1958), valutare la santificazione di Gilbert K. Chesterton, lo scrittore umorista cattolico inglese, morto nel 1936. L'io narrante di questo libro, in tutto o comunque in larga parte sovrapponibile all'autore, in quanto conoscitore dell'antica lingua britannica viene incaricato in gran segreto di tradurre l'incartamento (il cui testo è, in parte, vergato nella antica lingua britannica di cui sopra) che avrebbe dovuto dare il là, già nel 1958, all'iter interno vaticano per poter iscrivere lo scrittore londinese tra i santi del calendario. Ma, dietro la volontà vaticana risiede un segreto, un compito che Chesterton avrebbe svolto in favore dell'allora Papa Pio XI, della Santa Madre Chiesa e della comunità cattolica tutta. Non sta qui svelare quale sia la natura del segreto in questione, dal momento che proprio tale segreto è il motore immobile attorno al quale move la trama e l'altre sottotrame, posso solo spingermi a dire che tale segreto ha a che vedere con le esperienze giovanili di Chesterton con la tavola ouija. Il grande umorista non ha infatti mai fatto mistero di essere stato scapestrato in gioventù e, sotto l'impulso del fratello Cecil e di una curiosità che spesso sfogava nella sventatezza, di aver trafficato con l'aldilà e lo spiritismo. Quindi: abbiamo un piano del presente (il presente in cui il maggiordomo del papa, Paolo Gabriele, sottrae una montagna di documenti segreti al Vaticano: vedi Vatileaks) in cui l'io narrante (in tutto o in parte riconoscibile con l'autore stesso) viene incaricato di tradurre un incartamento del 1958 nel quale si proponeva  Gilbert K. Chesterton quale soggetto ideale per la santificazione. Poi: un piano del passato nel quale un Chesterton ancora in vita, siamo nel 1929, viene incaricato da Pio XI di un compito (segreto, segretissimo) a favore della Chiesa tutta. E inoltre due punti fermi: la proposta di santificazione del 1958, e quella attuale, sulla quale viene chiamato a lavorare il protagonista ("Percy Thrillingthon"), proposta attuale che altro non è che una ripresa di quella precedente, all'epoca interrotta perchè papa Giovanni XXIII ad un certo punto, nel suo sforzo di aprire la Chiesa al mondo ed alla purificazione, aveva rivolto la sua attenzione e le sue energie a più altri intendimenti, nel caso specifico al concilio vaticano secondo. Tutto questo, e molto altro, in meno di 190 pagine (189 per essere precisi). "Detto chiaramente, senza giri di parole, quello che il papa voleva", ovvero il segreto che è motore immoto del romanzo, lo si scopre in apertura del capitolo VIII a pagina 132. Nelle restanti 57 pagine avviene tutto, sia sul piano del 1929 che su quello del presente. Ora, la buona notizia è che, pur citandolo in diverse occasioni, questo non è un libro scritto da Dan Brown o, peggio ancora, "alla Dan Brown". Il mistero c'è, il segreto pure, c'è la Chiesa, le sue alte sfere, gli accenni alle guerre intestine, ai vari scandali, dalla pedofilia, allo Ior, c'è Benedetto XVI e c'è pure Bergoglio, ma l'approccio ironico e disincantato di Constaìn ci permette di tenerci alla larga dal solito complottismo di maniera. Il tono è fintamente colloquiale o, forse, fintamente erudito (non che non lo sia, ma finge a tal punto di non esserlo da far venire il dubbio che poi, così erudito, non lo sia per davvero). La storia viene affrontata con un taglio post moderno, un (finto?) gonzo journalism ( finto a seconda che la narrazione sia o meno rispondente, in parte o in tutto, alla realtà), del tipo: vi racconto una storia, che è reale, e in parte lo è di sicuro (sulla santificazione di Chesterton, vedere QUI), in questa storia ci sono anche io, io narratore, ma non chiarisco fino a che punto tutta la storia sia reale, fino a che punto io narratore abbia preso davvero parte alla storia reale (spaziamo dallo zero al cento per cento). E per tenere in piedi questo mistero per un numero di pagine sufficienti a giustificare un libro, e non volendo ricalcare le orme di Dan Brown (direi che è il merito maggiore di Constaìn), mischio le carte, la tiro per le lunghe, affabulo, o cerco di farlo, incanto il lettore con la mia ironia. Non dico che Constaìn non ci sia riuscito, almeno in parte, tutta la vicenda storica infatti è ben trattata, con tono leggero ma senza mai permettere al lettore di perdere interesse nei confronti del plot; anche gli inserti di santificazioni - chiamiamole così - bislacche (tipo quella del paese che, al tempo delle crociate, intero si mosse in direzione della terrasanta, senza peraltro avere la minima idea di che direzione dover prendere, per poi giungere in Ungheria, scambiandola per la terra di Gerusalemme, e facendosi spogliare di ogni bene) sono piccole gemme digressive assai piacevoli, disarmanti a tratti. Le parentesi dedicate a sir Arthur Conan Doyle, a Lennon, a George Bernard Shaw, Mussolini ed alla vita privata di Chesterton, sono di indubbio interesse. Ma: un intero primo capitolo dedicato a Casanova ed alla sua fuga dai Piombi, è assolutamente dissonante rispetto al resto del testo. Gratuito. Non basta infatti riprendere il nome di Casanova qua e là nel corso della narrazione per giustificare un intero capitolo a lui dedicato, né il semplice fatto che l'azione in quel momento si svolgesse a Venezia è motivo sufficiente, ovviamente. Senza quel capitolo, la trama non cambia di una virgola, anzi, essendo già abbastanza complessa e costretta in un numero non altissimo di pagine, ne avrebbe tratto giovamento. La continua tecnica dell'eco, vale a dire la ripresa ossessiva di frasi e concetti ripetuti tali e quali alla lunga sono assolutamente snervanti ("basta nascere"), come è demenziale (e, anche in questo caso, gratuito) il vezzeggiativo col quale viene spesso indicato il maggiordomo del papa, Paolo Gabriele, "Paoletto". Il libro è indubbiamente interessante, leggero, fin troppo, anche confusionario, ricco, post moderno, ma soprattutto è assai paraculo. La necessità di piacere a tutti e a tutti i costi traspare indubbiamente oltre le intenzioni dell'autore, rendendo il tessuto del testo una palestra dove mettere in mostra tecniche che a volte non vengono maneggiate con sufficiente sapienza ( comunque indubbiamente non con la dovuta prudenza), e la foga di voler mettere molta carne al fuoco non ha permesso la lucidità necessaria per dare un maggior equilibrio alla struttura della narrazione. L'episodio della santificazione di un mostro sacro della letteratura come Chesterton è un espediente assolutamente ghiotto per mettere in moto una storia, ma la storia pare essere stata costruita per mettere in evidenza la bravura e la simpatia dell'autore. E questo non basta, non funziona, non è letteratura. E dire che il materiale per intessere un elogio dell'idiozia umana c'era tutto; immagino lo stesso materiale in mano ad un Hunter Thompson. Rimane il retrogusto dolciastro di troppo zucchero profuso a piene mani, e l'amaro di non veder chiarite le motivazioni che dovrebbero portare alla santificazione di Chesterton, né tantomeno i presunti miracoli a lui imputati.

 Juan Esteban Constaìn è nato nel 1979 a Popayán, in Colombia, da padre colombiano e madre italiana. A 37 anni è considerato un intellettuale di riferimento nel suo paese. È storico, professore universitario, giornalista per «El Tiempo», musicista e scrittore. Poliglotta (parla sette lingue compreso l’italiano), ha tradotto dal greco e dal latino molti libri, tra i quali Il breviario della storia di Roma (città che ama molto) di Eutropio. Ha esordito nel 2004 con Los mártires, una raccolta di racconti. Nel 2007 ha pubblicato El naufragio del Imperio e nel 2010 Calcio! Con L’uomo che non fu Giovedì ha vinto il Premio Biblioteca de Narrativa Colombiana.


domenica 9 ottobre 2016

Valporno, di Natalia Berbelagua, Edicola edizioni, trad. di Rocco D'Alessandro

I racconti riuniti in questa raccolta, uscita in Cile nel 2011 per l'editore Emergencia Narrativa, sono stati ricevuti dal mondo letterario latinoamericano come uno schiaffo in pieno volto (un po' come, all'epoca, Shangay baby di Zhou Wei Hui per la Cina) ma, al contrario di quanto si possa pensare, lo scandalo reale non risiede nel "porno" del titolo, quanto nel nichilismo che permea ogni narrazione, ogni gesto ed ogni pensiero dei protagonisti. In realtà, di sesso praticato, in questi racconti non ce n'è poi molto (e in diversi racconti non ce n'è punto) e quel po' che emerge è comunque raccontato dalla voce narrante dei vari racconti e mai dall'autrice in presa diretta. Lo scandalo risiede più che altro nella visione (dell'esistenza) che è la vera protagonista del libro nel suo insieme. Nichilismo, pazzia, esseri borderline che fanno della noia la loro peggior droga e, a volte, delle droghe una vera noia. E il sesso o, per essere più precisi, le parafilie che si muovono tra i vari racconti come bestie in caccia, non sono altro che un corollario di tutto questo. E' un po', la Berbelagua, un Bukowsky in gonnella, ma senza le corse ai cavalli e il vino a sollevare il morale. In realtà neppure il sesso ha (è) un sapore diverso dal resto dell'esistenza: più che altro, risulta incomprensibile. Nasce come un impulso tra gli altri, in corpo ad esseri umani che, non comprendendo il senso dell'esistere, si limitano a vivere di impulsi, passando da una situazione surreale ad un altra con la beata indifferenza di chi non ha idea di cosa stia capitando. Che si tratti di lunghe classificazioni dal gusto postmoderno di amanti (Dieci amanti) o di potenziali vittime (La comunità della frusta), di perversioni che colpiscono all'improvviso come se si trattasse di folgorazioni illuminanti (Perversioni della domenica), di lascive voglie insaziabili di sorelle mezzo sceme (Le Toledo), o di racconti allucinati di vere e proprie parafilie (Hitachi 917), il sesso è sempre qualcosa che piomba nell'esistenza senza un codice di decifrazione, travolge tutto per qualche tempo ma in fondo non cambia nulla. I racconti Avventure di una coppia moderna (quanto ricordano, i protagonisti, Sailor e Lula, di giffordiana memoria), Fino a che pazzia non ci separi e Offerta d'amore sono forse quelli che più degli altri esplicitano il senso nichilista dei protagonisti nei confronti della vita, nichilismo che qui si fonde con la demenza vera e propria (come già, ma con un effetto più ironico, ne Le Toledo): i protagonisti di questi racconti potrebbero tranquillamente essere usciti da un racconto allucinato di Barry Gifford, e in effetti alcuni racconti si caratterizzano per venature alienate quando non decisamente pulp (Sonata dell'odio e Il cervo pagano, sono addirittura su toni noir il secondo vira decisamente verso il gotico). Valparaiso, dunque, come gli Stati Uniti. Anche lo stile, asciutto e preciso, apparentemente leggero è più nord che sud americano: gusto per le lunghe liste, apparente mancanza di psicologismo, freddezza anatomopatologica dello sguardo, ironia tagliente. I padri illustri della Berbelagua pare dunque inevitabile cercarli negli States, in quella letteratura che, non di rado, ha fatto dell'eccesso (non senza un occhio strizzato al mercato) un marchio di fabbrica. Trasferire un canone letterario altrui nella propria letteratura nazionale è certamente un'operazione coraggiosa, la Berbelagua ci riesce, ma trasponendo materiali narrativi da un altrove importa nei suoi racconti una massa travolgente di disturbante cupezza in netto contrasto col titolo ammiccante (titolo che, nella miglior tradizione dell'editoria nordamericana, strizza appunto l'occhio al mercato).
  Ci troviamo immersi in un mondo che è il nostro, ma abitato da personaggi borderline che si muovono come zombie inconsapevoli del mistero che grava sulle loro teste, incapaci di negarsi ai propri impulsi come sono incapaci di cercare un senso qualunque al loro stare al mondo, che siano in gruppo, o in coppia, la loro natura intima è quella di essere solitari o, per meglio dire, soli. Soli in quanto persi, se non addirittura perduti.

  A volte la solitudine è terribile e mi vedo come una Sylvia Plath senza talento 
che soffre fissando lo spazio vuoto dove dovrebbe andare il forno
 e dove in verità non c'è nulla. A volte invece la solitudine attrae gente .

Natalia Berbelagua è nata a Santiago del Cile nel 1985. Ha pubblicato i libri di racconti Valporno (2011), La bella muerte (2013) e Domingo (2015). Alcuni suoi testi sono stati inseriti nelle antologie CI Fronteras di Editorial Universidad ALberto Hurtado, We rock, ocho historiasràpidas y pesadas di Ediciones B, Escritura y visualidad di Ediciones Altazor e nell'antologia personale El arte de las sonrisas di Suburbano Ediciones, Miami. Ha scritto sceneggiature per la tv cilena e tiene corsi di letteratura. Mentre lavora allo spettacolo di musica e poesia Chinoy y los poets, sta per essere pubblicata dalla casa editrice Pez Espiral la sua opera riunita. Da dieci anni vive a Valparaiso. In Italia è pubblicata da Edicola edizioni che vive e pubblica tra Italia e Cile.

domenica 25 settembre 2016

La forma delle rovine, di Juan Gabriel Vasquez, Feltrinelli editore, traduzione di Elena Liverani

<< Perdonami, tu sanguinante pezzo di terra, per il mio essere mite e gentile con questi macellai. Tu sei le rovine dell'uomo più nobile che mai visse nella marea dei tempi. >>
   Così Antonio accanto al fresco cadavere di Giulio Cesare nell'omonima opera di William Shakespeare. 

Questa la citazione dalla quale nasce il titolo dell'ultimo libro dell'imprescindibile colombiano Juan Gabriel Vasquez. Le rovine del titolo sono, materialmente, una calotta cranica e un vertebra: in senso più estensivo sono le rovine sulle quali è stata costruita la democrazia colombiana, e sulle quali continuamente uomini ostinati (forse encomiabili, o forse pazzi) continuano a costruirvi sopra. Prima rovina (calotta cranica): il 15 di Ottobre 1914, il generale Rafael Victor Zenòn Uribe Uribe, eroe nazionale con un glorioso passato militare nella guerra dei mille giorni (Guerra de los mil dias) e un presente da politico riformista, viene ucciso a Bogotà, a colpi di accetta, da Leogivildo Galarza e Jesùs Carvajal, apparentemente due individui isolati, ossessionati dalla paura delle politiche progressiste che Uribe Uribe andava sostenendo.. Seconda rovina (vertebra): il 9 Aprile 1948 Juan Roa Sierra uccide a colpi di arma da fuoco l'idolo del popolo e giovane promessa del partito liberale, Jorge Eliecer Gaitàn, dando così il via allo scatenarsi della violenta follia che colpì Bogotà in quei giorni e che è universalmente ricordata come "El bogotazo". Sierra viene bloccato dalla folla e linciato sul posto, e il suo cadavere spogliato e portato in giro per la città come un trofeo che avrebbe dovuto essere il lasciapassare per la folla per entrare nel palazzo presidenziale. I due assassini del generale Uribe Uribe, incarcerati, godranno di un trattamento particolarmente morbido e delle attente visite di padri gesuiti e si lasceranno sfuggire affermazioni misteriose nelle quali paiono alludere ad una loro presunta intoccabilità garantita da personaggi potenti appartenenti a non meglio specificate alte sfere. In entrambi i casi nelle settimane precedenti ai fatti, pur trattandosi apparentemente di gesti estemporanei di semplici cittadini slegati da qualsiasi legame con centri di potere, occulti o meno, la voce della prossima morte dei due politici era circolata in alcuni circoli cittadini. In entrambi i casi, la voce della chiesa, per bocca di singoli prelati, aveva condannato la condotta dei due politici e istigato la popolazione ad una ribellione anche violenta. In entrambi i casi, in seguito, erano nate teorie cospirative che prevedevano la regia occulta degli omicidi nelle mani di personaggi eleganti, più volte visti assieme a quelli che sarebbero divenuti noti alla storia come assassini (nel caso di Gaitàn sarà lo stesso Gabriel Garcia Marquez a riportare in un libro il suo personale ricordo*). Juan Gabriel Vasquez, ancora una volta, ci porta per mano a rivisitare ampie porzioni della storia più o meno recente del suo paese, e in questo libro lo fa calandosi  direttamente nel ruolo di personaggio, dando così l'impressione al lettore di trovarsi tra le mani un saggio giornalistico piuttosto che un romanzo. Una sorta di mockumentary. Vasquez personaggio entra in contatto con l'eccentrico Carlos Carballo, ossessionato dalle teorie cospirative che aleggiano attorno al 9 Aprile, al Bogotazo ed alla morte di Jorge Eliecer Gaitàn. Carballo trasmetterà (almeno in parte) le sue ossessioni a Vasquez, inizialmente scettico, il quale scriverà un libro sulle teorie occulte che sottendono la verità ufficiale: presumibilmente il libro che Vasquez personaggio si prende il compito di scrivere è questo La forma delle rovine, scritto dal Vasquez reale. Nel mezzo, a far da sfondo e, al contempo, a dare solidità all'ipotesi del libro-verità, la complicata nascita delle figlie di Vasquez, i suoi rapporti, spesso difficili, con Francisco Benavides, l'uomo che lo mette in contatto con Carlos Carballo, i libri che Vasquez pubblica, il suo trasferimento a Barcellona e il progredire della sua carriera letteraria. Il libro è diviso (almeno) in tre parti: la prima nella quale i fatti introducono all'omicidio di Gaitàn ed alle teorie cospirative che piombano nella vita dell'autore come un cammello in un autogrill, inaspettate. La seconda parte, la più ampia, che tratta approfonditamente dell'omicidio di Uribe Uribe e del processo che ne è conseguito, e che inserisce il personaggio (storico anch'esso) di Marco Tulio Anzola Samper, il giovane che viene incaricato dalla famiglia di Uribe Uribe di avviare un indagine parallela sulla morte del generale (e che s'imbatterà a suo rischio e pericolo in una serie di indizi indimostrabile che parrà sostenere la tesi del complotto e che prenderanno forma scritta nel libro Quienes son?). La terza e conclusiva parte, attraverso i ricordi personali di un sempre più allucinato Carballo, torna al Bogotazo, al 9 Aprile ed alla morte di Gaitàn, andando a conchiudere il circolo della narrazione. Apparentemente si tratta di un libro che vuole analizzare la nascita ed il perdurare, più o meno illogico, delle teorie complottistiche così in voga al giorno d'oggi (e per farlo mette in mezzo, in maniera piuttosto inutile e ridondante - un tantino paracula, per essere chiari - anche diversi accenni all'omicidio Kennedy), non disdegnando di cercare quale sia la motivazione intrinseca nell'essere umano nel voler a tutti i costi ipotizzare, dietro alla velo delle versioni ufficiali, una volontà più alta che occultamente governa il mondo, ma nella realtà si tratta dell'ennesima tappa di un lucido percorso che l'autore ha intrapreso di riscrittura (o rilettura, fate voi) della propria storia patria. Quali sono le basi dalle quali nasce la moderna Colombia? Sono quelle basi così incerte e permeate di violenza (forse eterodiretta) popolare ad aver inevitabilmente prodotto un personaggio come quello di Pablo Escobar che, non per niente, visse ossessionato dalla volontà di entrare in politica e di diventare presidente della Colombia? In questo libro, certamente imperfetto, soprattutto in una struttura a volte non perfettamente calibrata e forzata nei suoi assi principali, sono a volte gli accenni minori a renderlo imperdibile, quelle parentesi narrative che lasciano il lettore libero di crearsi le proprie domande ed i propri collegamenti che non necessariamente sono quelle messe in primo piano dal libro. Gabriel Garcia Marquez, il nobel, l'orgoglio colombiano per eccellenza, il realismo magico incarnato in una penna che nel suo libro Vivere per raccontarla fa accenno ad un uomo elegante che aizza la folla affinchè faccia a pezzi l'assassino di Gaitàn:

  Cinquant'anni dopo , la mia memoria conserva fissa l'immagine dell'uomo che sembrava istigare la calca davanti alla farmacia, e non l'ho trovato in nessuna delle innumerevoli testimonianze che ho letto su quel giorno. L'avevo visto molto da vicino, con un vestito di lusso, una pelle di alabastro e un controllo millimetrico dei gesti. mi colpì tanto che non gli staccai gli occhi di dosso fin quando non passarono a prenderlo con un'automobile troppo nuova non appena si furono portati via il cadavere dell'assassino, e a partire da allora fu come cancellato dalla memoria storica. Persino dalla mia, fino a molti anni dopo, ai tempi in cui facevo il giornalista, allorchè mi venne l'idea che quell'uomo fosse riuscito a far ammazzare un falso assassino per proteggere l'identità di quello vero.

  Vasquez non reinventa la storia, la rilegge, la analizza in cerca di qualche elemento che lo possa portare a propendere, tra quella ufficiale e quella cospiratoria, per una versione definitiva, e lo fa componendo un libro-mondo (un mondo strano, paranoico, ossessionato dalle rovine, dalle reliquie di santi laici, di uomini anonimi che tirano i fili immersi nell'ombra) esagerato, poco calibrato, che a volte pare voler parlare solo dell'uccisione del generale Uribe Uribe per poi ricredersi e cedere alla necessità di intessere un quadro unico, un libro nel quale Vasquez si cala a tal punto da divenirne personaggio, un libro che pare scaturire da una necessità personale impellente dell'autore di scavare: tra le rovine ovviamente. Ma che soprattutto si apre in lampi di perfezione che solo il lettore è in grado di scegliersi. Gabo (lo stesso che parlerà della narco-Colombia ai tempi di Escobar nel suo libro Notizia di un sequestro) che testimonia un fatto (e un personaggio) cancellato dalla storia, Escobar che causa un secondo Bogotazo inseguendo la sua ossessione di divenire presidente della Colombia, due politici ammazzati da semplici cittadini dietro i quali paiono muoversi ombre conservatrici e la lunga mano di quella stessa Chiesa che sosterrà gli Stati Uniti impegnati nella famigerata Operazione Condor, il Bogotazo del 1948, resti umani che scompaiono e riappaiono anni dopo i fatti, prove cancellate, testimoni scomparsi. Vasquez, al giorno d'oggi, è imprescindibile, anche quando non raggiunge risultati formalmente perfetti. Forse, in questi casi, lo è ancora di più.

  Una nota di disappunto per il pessimo editing, un trattamento che il libro ed il suo autore davvero non meritano.


Juan Gabriel Vásquez è nato a Bogotà nel 1973. Scrittore sudamericano di primissimo piano, tradotto in sedici lingue, ha conseguito un grande successo internazionale di critica e di pubblico con i suoi romanzi. Gli informatori (Ponte alle Grazie, 2009) è stato scelto come uno dei romanzi colombiani più importanti degli ultimi venticinque anni dalla rivista “Semanal”, è arrivato finalista dell’Independent Foreign Fiction Prize e ha attirato gli elogi di autori come Mario Vargas Llosa e John Banville. Storia segreta del Costaguana (Ponte alle Grazie, 2008), magnifico omaggio alla storia colombiana e all’opera di Joseph Conrad, si è aggiudicato il Premio Qwerty a Barcellona e il Premio Fundación Libros & Letras a Bogotà. Il rumore delle cose che cadono (Ponte alle Grazie, 2012), oltre agli elogi di scrittori del calibro di Edmund White e Jonathan Franzen. Si è aggiudicato il Premio Alfaguara 2011, il English Pen Award 2012 e il Premio Gregor von Rezzori-Città di Firenze 2013. Vásquez ha inoltre vinto due volte il Premio Nacional de Periodismo Simón Bolívar e nel 2012 gli è stato assegnato il premio francese Roger Caillois per l’insieme dell’opera. Feltrinelli ha pubblicato Le reputazioni (2014).

domenica 17 luglio 2016

Gli innocenti, di Oswaldo Reynoso, Sur editore, trad. di Federica Niola

Si può dire che Reynoso sia el secreto mejor guardado de la literatura peruana. Le edizioni Sur, dopo aver pubblicato Niente Miracoli ad Ottobre nel 2015 (1966 prima edizione peruviana) ora pubblica il primo libro di Oswaldo Reynoso (prima traduzione assoluta), Gli innocenti (1961) una raccolta di cinque racconti, ognuno dedicato ad un personaggio, che si può leggere come un romanzo breve o, meglio, come uno sguardo unico ottenuto da quadri giustapposti. Il centro gravitazionale dei racconti è la sala biliardi, nella quale regna, silenzioso ed incontrastato, il Choro Plantado, uno dei pochi adulti del romanzo, gran giocatore di biliardo dal passato oscuro e galeotto (nel vero senso di essere stato in prigione), e punto di riferimento esistenziale dei ragazzini che sono i veri protagonisti della narrazione: Faccia d'Angelo, Il principe, Carambola, Rossetto, Ciambella (uno per ogni capitolo (più Corsaro, Natkinkol, il Cinese e Mani alate. Gli altri punti di riferimento dei ragazzi sono il bar del Japonese e la casa di Gaby (il bordello). Lima è sempre la Ciudad de los Reyes (il primo nome con la quale la città fu fondata nel 1535 nella regione di Limaq, da cui avrebbe poi preso il suo nome attuale), ma è anche una metropoli sospesa tra un passato glorioso e un presente da capitale povera e violenta di un terzomondo che nella realtà è assai diverso (soprattutto le città lo sono) dal ritratto che ne fa il realismo magico letterario di quegli anni. Tra l'altro, il Perù, con la notevole eccezione di Manuel Scorza (noto per il suo pentealogico ciclo andino, la cosiddetta Ballata: Rulli di tamburo per Rancas, Storia di Garabombo l'invisibile, Il cavaliere insonne, Cantare di Agapito Robles, La Vampata), rimane abbastanza alla periferia di questo movimento che ha in Gabriel Garcia Marquez il suo patriarca e nume tutelare, e vanta una schiera di scrittori che sono la diretta derivazione di una classe di letterati intellettuali, lontani dalla realtà quotidiana, forse ancora più da quella metropolitana che da quella indigena (in questo senso non si può non citare José Marìa Arguedas e la sua narrativa antropologico-letteraria). Per la prima volta, Gli innocenti esce nel 1961, uno scrittore racconta la Lima dei barrios popolari, ne racconta gli umori, il sudore, gli odori, il parlato gergale, basso, le ambizioni e, soprattutto, lo sconcerto, il disorientamento di fronte alla vita che la città pone loro di fronte. La cultura dell'epoca dipinge un uomo che, più che uomo, è e deve essere maschio, e come tale con tutti gli attributi che ne conseguono: essere donnaiolo, bevitore, duro, incapace di mostrare debolezze, pronto a difendere le proprie ragioni anche con la violenza. E' questa cultura che incombe sulle anime e sui destini dei protagonisti che disperatamente cercano di allinearsi a quanto la società chiede loro. Sono ragazzini ritratti nel momento di passaggio che dall'innocenza sfocerà in altro, nella perdizione che pare inevitabile per tutti, o quasi (la preghiera del narratore alla fine del libro è per Ciambella, l'unico che potrebbe non attraversare il confine e rimanere, come da titolo, innocente):

Sei triste perchè sai che un ragazzo come te può perdersi. Non è il caso del Principe, che è un ladro; di Rossetto, che fa il <<Maledetto>>, ed è quasi, quasi perduto; di Faccia d'angelo, un giocatore capace d'impegnarsi la camicia per pagarsi un tavolo da biliardo e di tornare a casa nudo, la sera; di Carambola, che se la spassa con una donna più vecchia di lui; di Natkinkol, libero e festaiolo; per non parlare del Cinese e di Corsaro.(...) Se hai sbagliato è per via della tua famiglia, povera e rovinata; per la tua "quinta", caotica e degradata; per il tuo quartiere, che è un vero inferno; e per la tua Lima

 Gli innocenti del titolo sono loro. Faccia d'Angelo (primo capitolo) che viene bullizzato dal gruppo e che a sua volta si domanda se non sia davvero frocio, come lo accusano di essere. Ma è disorientato, si mette alla prova con la Gaby, al bordello, e poi si trova a registrare le avances violente di Rossetto, che è il capobanda ma gli lascia capire che lo desidera (lo desidera come una sfida, come una caccia tra animali, in maniera istintiva e primordiale, sollevando le labbra e lasciando scoperti i denti). Faccia d'Angelo che si vede portare via il pane che aveva comprato per la madre e che non è nemmeno consapevole del suo disorientamento. Si limita a registrare il comportamento degli altri e, come conseguenza, a domandarsi chi sia lui.
Il principe (secondo capitolo) che assume una certa fama da rockettaro per essere finito sul giornale per aver rubato una macchina, che fa il duro durante l'interrogatorio, e si domanda come diavolo può essere che un principe nella ciudad de los reyes vada in giro senza neppure una macchina per conquistare la sua Alicia. Carambola (capitolo 3) che si aggira attorno al Choro Plantado per farsi consigliare su come comportarsi con Alicia, che lui vede innocente e virginale, ma che in realtà è ben altro (Povero Carambola, se solo sapesse che la sua Alicia è più troia di una gatta in calore.) Rossetto, il capobanda, quello che ha imparato come gestire la sua paura per piegare il branco ai propri capricci ma che davanti ad una ragazza diventa impacciato, non sa cosa dire nè come comportarsi: 

  La banda... Lì sì che sono coraggioso. Per strada sono Rossetto il capobanda. Ma alle feste me la faccio sotto. Sono un vigliacco.

E infine Ciambella, che è ancora un bambino ma va in giro con la sigaretta in bocca e con in tasca un foglio assurdo che si è scritto da solo, falsificando la firma della madre, che recita:
La sottoscritta, tramite la presente, certifica che suo figlio Romulo Campos ha vent'anni, ragion per cui ha il permesso di fare cose da uomini. Si pregano i signori poliziotti di non importunarlo, perchè ha problemi di fegato. Cordialmente Gosefina Martines de Campos, sua mamma.

Su tutti loro incombe Lima, i suoi odori, il suo cielo opaco e bollente, il suo passato regale e il presente vigliacco, quella Lima che in fondo è un'entità vera e propria, quell'essere che tutti schiaccia al suo volere, ai propri canoni di comportamento. Che da un parte ti rende capobanda e dall'altra un vigliacco con le ragazze, che ti impone il machismo ma in fondo rende il corpo sudato degli altri maschi un oggetto di un desiderio forse insoprimibile, misterioso, violento e rapinoso. Gli innocenti sono questi ragazzini che rincorrono l'età adulta coi mezzi che hanno, con gli esempi che si trovano a disposizione (il Choro Plantado su tutti), con i soldi che non posseggono, con l'innocenza che li blocca davanti al mistero del sesso, dell'altro sesso e del proprio. Stanno per attraversare una linea dalla quale non si torna indietro, verso la quale la cultura, la società, Lima stessa li spinge, e assaporano ogni attimo, ogni odore, ogni umiliazione (inferta o subita) che la vita gli concede, appena consapevoli di essere ragazzini dei peggiori barrios de la ciudad de los reyes.
  Reynoso, marxista convinto, scrittore di razza, capace di una prosa immediata, dura e poetica al contempo, divenne da subito una sorta di scrittore maledetto, uno scrittore d'iniziazione, e il suo libro (...) un talismano (dalla perfazione di Mariana Enrìquez a Niente miracoli ad Ottobre, ed.Sur, pag.13). Venne da subito tacciato dall'estalishment letterario dell'epoca di pornografia, un maiale che si compiace della sporcizia che descrive, ad eccezione di due grandissimi scrittori, Arguedas e Vargas Llosa, che subito riconobbero in lui l'ambizione innovativa di un narratore di razza. Trascorse poi diversi anni in Cina, pensando di trovare la vita perfetta che il socialismo reale nel quale credeva gli prospettava, ammettendo infine di non averla trovata. E' morto il 24 maggio di quest'anno, ansioso di poter visitare l'Italia (era invitato per quest'estate a diversi festival letterari), il primo paese che ha tradotto, finalmente, i suoi libri.


Oswaldo Reynoso (1931-2016) ha pubblicato romanzi, racconti e poesie. Il suo esordio, con la raccolta di racconti Gli innocenti (venne anche edito col titolo Lima en rock), fu salutato da José María Arguedas e dal futuro premio Nobel Mario Vargas Llosa come uno spartiacque nella letteratura peruviana. Edizioni Sur ha già pubblicato Niente miracoli ad Ottobre (2015).

QUI potete trovare un'intervista a Reynoso su Los inocentes (Lima en rock)
  

N.B.: ci auguriamo che le traduzioni proseguano presto con il libro El hombre y el escarabajo.

domenica 10 luglio 2016

Il demone di Angkor Vat, di John Burdett, Bollati Boringhieri editore, trad. di Carlo Prosperi

E se il centro del male presente e, soprattutto, futuro fosse quella follia della storia che è la Cambogia? Cosa può accadere se la scienza occidentale più spinta (tanto spinta da sembrare pazzia) si sposa con l'ancestrale magia khmer e la psicologia farang (occidentale)?
Burdett, ancora una volta ci porta a seguire le vicende dell'ispettore mezzo farang ed ex monaco Sonchai Jitpleecheep, ma questa volta (come già ne Il padrino di Kathmandu, quando il centro dell'azione era il Tibet), la narrazione degli eventi si sposta in un luogo lontano da Bangkok: la Cambogia: terra di demoni, uno dei luoghi nei quali la follia della storia ha scelto di manifestarsi (vedi alla voce: khmer rossi). Tutto comincia con un delitto: una ragazzina viene decapitata a mani nude, apparentemente da un essere dalla forza sovrumana. Sulla scena del delitto viene trovata una scritta che chiama in causa proprio Sonchai Jitpleecheep:

Detective Sonchai Jitpleecheep, io so chi è (macchia) padre

Poi il comandante Vikorn lo manda ad assistere (sotto l'egida della collega lesbica Krom) ad un evento tanto misterioso quanto orribile sul fiume Chao Praya. Quello che inizialmente pare non avere senso, col procedere delle indagini, viene svelato: il tentativo di vendita del primo asset. L'asset, tanto per essere chiari, è un essere TU, trans umano. Potenziato. Capace di apprendere qualsiasi cosa in tempi brevissimi. E' un essere umano a tutti gli effetti, ma migliore, più potente, più intelligente, assemblato con app di ogni tipo e con innesti infracorporei di alta tecnologia. L'asset è l'ultima evoluzione del Candidato Manciuriano (che, a dar retta a Burdett, a questo punto avrebbe dovuto chiamarsi Candidato Cambogiano), il frutto degli esperimenti della Cia denominati MKUltra. Manipolazione genetica e mentale. Durante la guerra in Vietnam sarebbe partito il progetto, poi abbandonato a causa di problemi "tecnici" (o, forse, "umani"): l'ingestibilità psicologica dei soggetti. In seguito, grazie alla collaborazione di un singolare psicologo inglese, seguendo un protocollo assolutamente top secret, il progetto sarebbe stato ripreso e portato avanti nelle foreste cambogiane e tra le rovine di Angkor Vat. Scienza, psicologia e magia. Oggi, appunto, mentre l'uomo comune ignora totalmente tale realtà, il mercato che si apre, la nuova arma militare è l'asset. Il paese che per primo riesce a mettere le mani su un esercito di super uomini, avrà il controllo del panorama geopolitico mondiale. In previsione di paesi che sempre meno saranno aperti alla democrazia e che, quindi, sempre più avranno il problema della gestione dei conflitti e delle insurrezioni interne, un esercito di superuomini diventa una dotazione essenziale per qualsiasi stato non voglia cadere nel caos e nell'anarchia. Questa, a grandi linee, la trama. Ma ovviamente c'è molto di più: Chanya, la moglie di Sonchai, le sue velleità intellettuali e la sua relazione omosessuale (vera, o solo immaginata) con la lesbica Krom, il demone del titolo, lo smarrimento di Sonchai e del suo karma di fronte ad una realtà assurdamente enorme ed incombente e, soprattutto, di fronte alla soluzione dell'enigma circa l'identità di suo padre, il militare americano di cui ha sempre saputo poco o niente. La trama, le sottotrame, le geometrie che legano l'una alle altre, sono come sempre impeccabili e molto ben gestite dal polso dell'autore, ma il vero centro d'interesse, così come in altri suoi libri era lo studio della mentalità orientale a beneficio del lettore farang (che in questo libro rimane nettamente nell'ombra), è in questo caso l'analisi tra il filosofico e l'antropologico del presentarsi sulla scena mondiale di una nuova realtà (non si può definirla solamente "tecnologia") come quella dei trans-umani. I nuovi dei. Il ritorno del messia. Gli asset, i cosiddetti umani potenziati, fanno ancora parte del genere umano o sono altro, divinità appunto? Quale sarà la relazione tra le due categorie: saranno i transumani agli ordini degli umani (magari anzi, quasi sicuramente, per soggiogare altri umani) o prenderanno il controllo del potere? Cosa provano? Sono, e saranno - sapranno essere - equilibrati e saldi nelle loro missioni, o l'enormità dei loro poteri, la (apparente) perfezione della loro tecnologia li porterà a divenire una minaccia per il mondo e per sè stessi? Le domande, queste ed altre, sono il vero fulcro d'interesse del romanzo e, più che porsele Sonchai Jitpleecheep, Burdett le pone direttamente al lettore (L), sempre con la sua tecnica (onestamente un filo stucchevole) con la quale gli si rivolge direttamente (es: "L, tu sei cresciuto insieme a tuo padre? / Ora L, non posso certo affermare che..." ecc)
  Il mondo disegnato dall'autore è catastroficamente simile al nostro, e il futuro che si appresta all'orizzonte è quello che vediamo avvicinarsi sempre di più al nostro presente, fino a fagocitarlo, le paure e le teorie complottistiche che ne scaturiscono spesso rimagono tali e vanno ad aumentare esponenzialmente il grado di paranoia nell'aria che respiriamo. Burdett prende spunto da queste teorie, ma non si sofferma sulla mostruosità di progetti inumani quali l'MKUltra, sulla domanda  principe in questi casi: come può un essere umano concepire simili mostruosità? Con una logica tutta orientale, si limita a prendere atto dell'esistenza della realtà, per quanto terribile ed apparentmente inverosimile, e l'analizza. La domanda principe, una volta preso atto delle cose come stanno, diventa quindi: come mi pongo io di fronte al mutamento delle cose, che posto occupo (decido di occupare, al netto delle considerazioni relative al mio karma) in un mondo di trans umani?
  Come sempre, i romanzi del ciclo di Jitpleecheep danno l'impressione di essere letteratura take-away, nutrite a base di trash ed effetti forti: sesso e sangue, in salsa esotica, ma ancora una volta l'abilità di Burdett sta nel costruire una storia con materiali poveri, adattandovi una narrazione apparentemente da "segretissimo" da edicola, per scavare però più a fondo. Al di là dei personaggi, ben riusciti ed ai quali, libro dopo libro, ci si affeziona, al di là dell'ambientazione esotica e degli effetti pulp sesso-sangue, i libri di Burdett sono una esplorazione di realtà che spesso ci sforziamo di tenere attentamente lontano dagli occhi: snuff movie, prostituzione infantile e non, commercio di organi ecc.

  A questo punto ci si aspetta che vengano pubblicati anche Bangkog8 e Bangkok tatoo, e ristampato L'uomo di Bangkok.

John Burdett è nato in Gran Bretagna e vive in Asia. Ex avvocato, ha scritto A Personal History of Thirst, The Last Six Million Seconds, Bangkok 8, un romanzo che ha venduto piú di centomila copie negli Stati Uniti ed è stato tradotto in 19 paesi, e Bangkok Tattoo. Bangkok uccide è apparso nelle classifiche americane dei romanzi piú venduti del 2007.

  Su 2666 sono apparse le recensioni di Bangkok Uccide, e Il padrino di Kathmandu

domenica 5 giugno 2016

Il romanzo luminoso, di Mario Levrero, Calabuig edizioni (JakaBook), trad. di Maria Nicola

  Un uomo aspetta di essere operato di colecisti. Quell'uomo, temendo complicazioni ed eventualmente la morte in seguito alle ipotetiche complicazioni dell'operazione, decide di scrivere un libro nel quale riportare le proprie esperienze "luminose" (vedremo in seguito cosa si intenda per "luminose"). Anni dopo, quello stesso uomo ormai anziano che, per inciso, è uno scrittore - l'autore stesso - riceve una donazione da un ente culturale (fondazione Guggenheim) per potersi dedicare a scrivere in santa pace, senza assilli di tipo economico (almeno per qualche tempo) e decide di tenere un diario, il cosiddetto Diario della borsa, nel quale appunta sia la sua decisione di tornare a lavorare sul Romanzo luminoso, con l'intenzione di completarlo, sia il quotidiano stillicidio dei suoi giorni a Montevideo: la sua dipendenza da computer, il suo ormai quasi del tutto rovesciato ritmo sonno-veglia, la sua telepatia col venditore di libri usati, la sua storia con Chl, l'ossessione passeggera per le immagini pornografiche, le visite della sua dottoressa (sua ex-moglie) e del cane Mendieta, il caldo impossibile delle estati e la necessità di un condizionamento in casa, le sue lezioni e i suoi studenti, le sue fobie, le passeggiate con le sue accompagnatrici (nel vero senso della parola, cioè: donne, amiche, che lo accompagnano), il lento decomporsi di un piccione sul tetto del palazzo di fronte e le successive visite della vedova al cadavere del compagno. Il romanzo luminoso è una reiterazione del quotidiano che pone un'attenzione ossessiva a certi - pochi - aspetti che nel loro ritmico susseguirsi ritraggono fedelmente la vita di un uomo nel tramonto della propria esistenza, un attento compendio che attua uno scostamento sottile dalla mera realtà quotidiana al mondo interiore dell'autore.
  L'esistenza descritta vive di una geografia ben precisa e sempre uguale a sé stessa: l'appartamento, le passeggiate, sempre le stesse strade, il negozio di libri usati: pochi punti che delineano la topografia entro la quale il proprio corpo si muove, metodicamente, quasi barcollando, con un'andatura balbuziente, da vecchio che si adatta all'idea di impaurirsi del mondo esterno, che sempre si pone in una condizione di autoauscultazione dei propri acciacchi, dei segni che il proprio corpo gli invia per metterlo in allarme, ma quella mappa diviene da subito la tela sulla quale Levrero riporta per intero la propria vita mentale (intendo dire mentale prima ancora che interiore), i ricordi, le storie che si aprono come riflessioni improvvise per poi a volte, spesso, non terminare in nulla, gli appunti per storie da sviluppare, le morti degli amici che gli giungono come attutite da una lontananza a volte geografica a volte temporale, gli accenni - pochi - asfittici alla figlia, la scrittura come àncora di salvezza ma al contempo così terribilmente difficile da praticare. Il reale dunque, pur se descritto nella sua mera quotidianità, viene percepito come in bilico, costantemente sul punto di sfaldarsi. Ed è proprio il concetto stesso di reale che il romanzo rende "luminoso", quel non esaurirsi in sé stesso o, per meglio dire, nella percezione che normalmente ne abbiamo: altre dimensioni si aprono su quella presente, e lo stesso essere umano, lo stesso autore, nel raccontare la banalità di una vita quasi bidimensionale, permette agli squarci "luminosi" di brillare in tutta la loro forza. Non solo la realtà è più complessa e dimensionata di quanto siamo soliti pensare ma lo stesso essere umano lo è. Levrero, autore quasi sconosciuto in Italia (incomprensibilmente), scrive un diario che, come tale, non finisce e abbozza un romanzo, non terminato anzi, appunto, solo abbozzato, e parlando direttamente a sé stesso e quindi al lettore (e viceversa), ci descrive non tanto la sua biografia quanto l'idea stessa di biografia ossia, l'impossibilità di una biografia come accademicamente la si intende. La biografia come avventura mentale, totalmente mentale, avventura nella quale il corpo, il piano fisico è un incidente di percorso che permette lo sviluppo, e l'avviluppo, di un'esistenza mentale. In Levrero l'aspetto intangibile dell'esperienza umana diviene corposo, acquista dimensioni, colori, consistenze, mentre la vita fisica scivola in un ruolo di secondo piano: il corpo serve in fondo solo per portare in giro il proprio cervello e per trascendere sé stesso. Il romanzo luminoso è un'avventura, a volte parapsicologica, esoterica, fantastica, ed è un romanzo d'amore, una riflessione sulle donne e su Dio, sulle paure che vivere comporta, è un modo di entrare direttamente nei gangli neuronali dell'autore, nelle sue fobie, negli errori percorsi e schivati, ed è ovviamente un diario, un appuntarsi (un aggrapparsi, direi, a) il quotidiano per immergersi in quella zona che alla fine è il proprio io, o la propria psiche, o quello che nel tempo abbiamo costruito per definirlo "io", noi stessi.
L'ordine ossessivo da seguire secondo rituali precisi agganciano il reale alla percezione dell'autore come se seguire un certo percorso fosse condizione necessaria per permettere a quello stesso percorso di esistere: in questo senso è la meccanica creatrice dello scrittore che (apparentemente controvoglia, o quasi) prima immagina, poi crea. La realtà che viene narrata dietro ad ogni aspetto banale e quotidiano nasconde non solo un complicato ricettacolo di ragionamenti e rimandi che le permette di crearsi, ma anche uno squarcio (anzi, numerosi) su universi inquietanti, apparentemente statici eppure in constante, lento, movimento, continenti (anzi, dimensioni) che invece di collidere si sovrappongono, scivolano a formare una realtà che non può essere descritta, perché in certe dimensioni, forse, non esistono le parole, o comunque da questa dimensione non riusciamo a raggiungere le parole corrette per descriverla. Per questo all'autore non resta che la possibilità di balbucear, di cercare continuamente di aggiustare il tiro, di cercare il termine adatto e, continuamente, vedersi costretto a portare esempi, girare al largo per circoscrivere qualcosa che non può essere catturato. Eppure, questa balbuzie inevitabile e terribilmente umana, nella tecnica superlativa di Levrero, si trasfonde in uno stile preciso e totalmente "luminoso". Appunto.

La realtà è un insieme di percorsi mentali che a volte possono, o no, condurre ad uno scarto, un aprirsi di prospettive che modificano la realtà stessa. E un'operazione alla colecisti può tradursi in paura della morte e realizzarsi in un capolavoro "luminoso" che ci racconta di un vecchio scrittore, del suo appartamento a Montevideo, della sua amata, e del suo diario. Solo Levrero potevo farlo.

  Uno dei libri che non si può non leggere, in attesa di altre traduzioni di Levrero, e di altri lettori di Levrero.

  Mario Levrero (Montevideo 1940 – 2004) ha pubblicato una decina di romanzi che lo hanno reso uno scrittore di culto, un punto di riferimento per molti autori latinoamericani. Appassionato di ipnosi, fenomeni telepatici, computer e libri gialli, ha esercitato molti mestieri, tra i quali il fotografo, il libraio, il direttore di riviste di enigmistica e l’autore di videogiochi. La rivista “Granta” lo ha recentemente proposto all’attenzione dei lettori europei nella rubrica Best Untranslated Writers. Il romanzo luminoso è il suo primo libro tradotto in italiano.

  QUI potete trovare un articolo dal blog di EdizioniSur di Raul Schenardi e una traduzione di Loris Tassi per farvi un'idea di chi sia stato Mario Levrero.

martedì 26 aprile 2016

Il male minore, di Carlos Eduardo Feiling, Fanucci editore, trad. di Ilaria Magnani

  Buenos Aires è invasa da spettri (che in realtà non sono spettri, ora ci arriviamo) che solo alcune persone possono vedere, e il Male ha aperto un varco nella Recinzione, proprio sopra la zona di Calle Tristàn Narvaja.
  Inès Gaos, si è appena trasferita in un alloggio non distante dal ristorante di cui è socia assieme all'amico (e non solo, non proprio) Alberto, quando la prima notte che passa in casa (sola, ad eccezione della gatta Azucena) viene terrorizzata da un'apparizione mostruosa. Seguono tragedie: il suicidio del fidanzato (insomma, più o meno), e oscuri presagi. Nelson Floreal è un cartomante che studia come meglio spillare i pochi soldi che gli riesce ai suoi clienti, assiste l'anziana madre e, la sera, si siede fuori dall'uscio di casa e osserva preoccupato un singolare via vai di presenze di non-vivi che si aggira per le strade di Buenos Aires. Inès è una figlia della Buenos Aires bene, colta e cocainomane, Nelson Floreal e la madre si arrangiano come possono, vivacchiano, galleggiano sull'orizzonte quotidiano della sopravvivenza, loro e i loro due cani. Alberto ha la stessa estrazione sociale (e lo stesso vizio) dell'amica e socia in affari Inès, e studia storia delle religioni. Partendo da queste semplici basi l'autore ottiene un'atmosfera cupa (a volte, poche, decisamente splatter) e inquietante ma al contempo non riesce a non perdere una certa leggerezza nello sguardo che è tipica, più che non della letteratura, del cinema. Ma un punto è importante: l'effetto spiazzante che ne deriva stilisticamente è speculare a quello strutturale, ne consegue quindi l'impressione che l'autore sia quasi svagato nel seguire i suoi personaggi e/o lo faccia senza credere fino in fondo alla paura che vuol far vivere ai propri lettori ma, appunto, si tratta solamente di un'impressione. Quest'effetto straniante che emerge dal contrasto cupezza/leggerezza non svilisce le potenzialità del romanzo ma, al contrario, le intensifica, rendendolo un caso unico nel genere. Poi, ci sono particolari che non sono quello che sembrano: ad esempio l'anziana madre malata di Nelson Floreal non è solo una vecchietta sull'orlo della povertà e della morte, è un arconte. Gli arconti, che nel mondo sono 12 - devono sempre essere 12, pena: il disastro su scala planetaria - sono gli unici esseri umani che non sognano, e sono i guardiani della Recinzione. La Buenos Aires de Il male minore, la più europea delle capitali latine, è una città oscura dove solo il nome della topografia ci fa capire dove ci troviamo, ben lontani dallo stereotipo dell'America latina che ha colonizzato l'immaginario occidentale. Il passaggio suicidiario ai tropici è solo una grottesca caricatura dell'idillio naturalistico e marxista (splendido il viaggio in aereo con i "compagni" in visita nell'Avana comunista) che ci si potrebbe aspettare. Dalla casa di Inès, al quartiere, a Buenos Aires, al SudAmerica, ai Tropici, il male si annida dappertutto, avanza, guadagna spazio, demolisce luoghi comuni e colleziona morti, si adatta, accumula energia per allargare il varco e permettere ai due mondi di colare l'uno nell'altro. Feiling ha perfettamente appreso la lezione del maestro del genere Stephen King e mette in scena un male multiforme, che cambia faccia a seconda di chi si trova di fronte, che incarna le paure di coloro che, di volta in volta, tentano di parargli il passo, e un male cangiante è un male che non ha un'identità sua propria. E l'indefinitezza è per sua natura ciò che più crea paura: si teme ciò che non si conosce. Ci fa orrore un volto privo di tratti. Ci terrorizza una minaccia che non capiamo da dove arrivi. Ciò che è sfumato, potenzialmente non ha confini. Ma Feiling va oltre, l'universo semantico in cui fa muovere i suoi personaggi e monta la sua storia, lo costruisce su un'unità di base che lo rende incredibilmente coerente con sé stesso e con la storia stessa: l'intera cosmogonia che regge l'universo de Il male minore e che rischia di mandare in pezzi il mondo così come lo conosciamo è centrato sul sogno. Sul potere distruttivo e creatore del sogno. Torniamo alla Recinzione. Cosa c'è di là dalla Recinzione? Un dimensione nella quale esistono (nel vero senso della parola) i sogni del mondo (o, per essere più precisi: degli esseri umani), un contenitore oscuro nel quale gli arconti recludono l'inconscio del mondo. Ecco il centro innovativo del libro. Non è tanto una questione di apparizioni, di oscuri presagi, di case maledette, di città invase da schiere di fantasmi, di pazzia virale, di abitatori dell'inconscio, streghe, mostri e vampiri (tantomeno!). Il centro del tutto, e in fondo ora che lo sappiamo, e lo sappiamo perché Feiling ce lo ha spiegato (o, per meglio dire: ce lo ha lasciato capire) è l'inconscio collettivo, il male che viene da dentro. Non dall'interno di un singolo essere umano, ma dall'oscurità misteriosa che cova nei sogni dell'umanità intera; e cosa c'è di più spaventoso e perverso dei sogni dell'umanità? Cosa sarebbe la realtà se ciò che l'umanità sogna improvvisamente si materializzasse? O, ancora: e se la realtà fosse quella che è - cioè in molti suoi aspetti e in molte latitudini, un vero e proprio inferno sulla terra - proprio perché quel mondo che sta al di là della Recinzione ha già aperto una falla e si è infiltrato nel nostro presente?
  Il tocco geniale dell'autore sta nel non concentrarsi in spiegazioni complesse, psico-antropologiche, religiose o altro e, poco alla volta che la scopre, nell'accettare la realtà così com'è, assurda e tragica, illogica e pur tremendamente razionale, limitandosi a seguire i suoi personaggi, portandoli freddamente verso il compimento dei loro destini. Se all'apparenza si tratta di un mix riuscito tra Ghostbusters e L'inquilino del terzo piano (e in effetti lo è), in realtà Il male minore è (anche e soprattutto) un romanzo scioccante che procede verso la catastrofe con la stessa leggerezza con la quale l'orchestra del Titanic suonava andando incontro all'iceberg ("Il Titanic è appena rientrato in porto", per citare appunto Ghostbusters). Un libro unico, sicuramente in debito con l'immaginario cinematografico ma al contempo saldamente letterario, un libro strano e straniante, che spiazza il lettore portandolo ad assumere lo sguardo doloroso e incredulo di chi sa di dover morire di lì a poco (e i personaggi del romanzo muoiono, uno dopo l'altro, come farà il suo autore, con una facilità repentina, illogica eppure assurdamente naturale).
  Il capitolo finale, il cui contenuto qui non svelo, è illuminante.  E' solo alla fine che ogni tassello trova il suo alloggio, e la realtà si lascerà invadere dai propri sogni.




  L'autore, Carlos Eduardo Feiling, quando muore (di leucemia) nel 1997 ha 36 anni e all'attivo una raccolta di poesie (Amor a Roma, 1995) e tre libri di narrativa: El agua electrizada, 1992, Un poeta nacional, 1993 e El mal minor, finalista al premio Planeta Biblioteca del Sur del 1995, l'unico suo libro tradotto in Italia. Curò inoltre l'antologia Los mejores cuentos del terror.
   Era nato a Rosario nel 1961. Laureatosi in Lettere e Filosofia, iinsegnò linguistica, latino e filosofia, prima di dedicarsi, dal 1990, esclusivamente al mestiere di scrittore e giornalista.