"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 25 ottobre 2020

Aldilà, di Andrea Morstabilini, Il Saggiatore editore

 

Una casa, la pianura che si estende senza fine e colma l'occhio di vuoto, e uno scrittore in cerca di solitudine e ispirazione: non serve altro. Questo ultimo libro di Andrea Morstabilini ha bisogno davvero di pochi elementi per creare la giusta atmosfera in cui immergere il lettore, pochi punti cardinali che gli permettono di navigare con sicurezza in una storia che ha il passo lento del classico e l'ambientazione che ribalta il south gothic nostrano per riversarsi nettamente sul gotico padano. Dunque, una casa presa in affitto per isolarsi e potersi dedicare a scrivere un libro del terrore, un contratto d'affitto singolare, economico ma con clausole strambe, una casa che pare avere una personalità tutta sua, un profilo unico, sghembo, uno sguardo, un respiro, la solitudine che la circonda come un collier circonda il collo di una, nobile, vecchia signora. Il protagonista ci conduce in prima persona dentro la storia, passo per passo. Il caldo dell'estate, le valigie, la macchina da scrivere che deve arrivare, il giardiniere, la donna delle pulizie, le stanze, la sensazione misteriosa che si avverte quando si entra per la prima volta in una vecchia casa disabitata per molto tempo, l'impressione che qualcosa della vita passata sia rimasta intrappolata tra le mura, nei battiscopa, dietro i mobili, un brivido freddo (piacevole, all'inizio) che smorza la calura oppressiva della pianura cotta dal sole estivo. Lo scrittore prende possesso del suo nuovo spazio, espone i libri che si è portato con sè per farsi ispirare, lascia che l'odore della casa gli percuota le narici, sbircia stanza per stanza, e fuori dalle finestre. Si appresta far conoscenza con la sua nuova dimora, ma le vecchie case, come le vecchie, nobili, signore, sono piene di sorprese e ricche di passato, strane e misteriose, e di solito non sono facili a stringere nuove amicizie. Il centro del mistero si annida nella soffitta, laddove una grata e poi un muro non permettono di andare oltre, nemmeno col solo sguardo.                                                                                                                  Ma, quindi: cosa si cela dietro la grata, oltre il muro? Perchè quel "qualcosa" è stato nascosto, chiuso a chiave come si fa con le bestie feroci per assicurarsi che non possano fuggire e divorare nessuno?  Inoltre: perchè il giardiniere sembra scavare e coprire sempre le stesse due fosse, giorno dopo giorno? Cosa nasconde la scontrosità della donna delle pulizie? 

La storia è tutta qui, e non è poco, perchè si confronta con i classici del romanzo gotico e delle storie del terrore e, soprattutto, perchè avanza in un territorio liminale che per sua stessa natura non ha definizione, nè forma. Cos'è che ci fa paura? L'indagine avanza per accumulo di ipotesi, e noi con essa: ci troviamo in una possibile storia di fantasmi, poi in un Amityville Horror in salsa padana (o una Hill House di provincia) dove è la casa ad avere un'anima, poltergeist, possessioni, ritorni dal passato, svitati esoteristi, il giro di giostra è lungo e scandaglia tutti i ripostigli nei quali ci si aspetta di trovare un cadavere, ma, senza voler spoilerare, l'operazione di Morstabilini è più fine, non si limita ad aprire una finestra sulla nostalgia del passato della letteratura di genere, e nemmeno si pone l'obiettivo, il genere gotico, di volerlo modernizzare a tutti i costi, va più a fondo o, per meglio dire, il percorso che traccia segue un passaggio molto sottile, quasi invisibile, che si intuisce alla fine per sottrazione: vale a dire: se non è una storia di fantasmi (ma davvero poi non lo è?), se non si tratta di poltergeist, o di presenze, o di una casa con un'anima, cosa rimane? Di cosa è fatta, qual'è l'essenza materica ed immateriale che modifica la realtà e la rende misteriosa, pericolosa, incombente su un essere umano che viene ridimensionato a semplice comparsa, essere minuscolo, ininfluente, impotente che, al più, può cercare di comprendere il mondo oscuro nel quale è inscritto, senza peraltro (questa è la condanna dell'essere umano) mai riuscirvi? Alla fine della storia lo si intuisce; o forse è solo l'affacciarsi di un'ultima estrema ipotesi che possa contenere tutte le stranezze che la storia ha riversato sullo scrittore.

  Un gran bel libro, che si fa beffe delle attuali esigenze di stili vertiginosi, veloci, psichedelici, ma che segue il passo lento del camminatore, che trova il tempo di (guardare e) vedere il paesaggio e al contempo di seguire il corso delle proprie elucubrazioni, avanza lento ed elegante, scandaglia la realtà che lo circonda, e si tende per cercare di intercettare suoni inesplicati, scricchiolii, fruscii, il respiro della casa e della pianura che, spesso, procedono all'unisono. I richiami ai classici, come detto, sono molti, ed evidenti, chiari omaggi ai grandi della letteratura (li trovate riportati nella sinossi). Ma c'è anche il cinema di Pupi Avati, i richiami all'opera di Eraldo Baldini e, infine, il piacere fanciullesco di ascoltare in silenzio le storie che, bambini, non ci permettevano di dormire. 

  Una nota particolare, personale, mi permetto, per la copertina, che trova assolutamente perfetta.

 


 Andrea Morstabilini (1983) è editor e traduttore. per Il Saggiatore ha curato la nuova edizione de Le montagne della follia, di Lovecraft (2018), e ha pubblicato il romanzo Il demone meridiano (2016)

mercoledì 12 agosto 2020

Il rapporto di Brodeck (1: L'altro / 2: L'indicibile), di Manu Larcenet, trad. di Francesca Scala, Coconino Press

E' un'opera sulla memoria, sul suo potere distruttivo? Si. E' un'opera sulla colpa, sulla colpa collettiva e su quella individuale? Anche. E' un'opera sulla guerra, sul suo potenziale distruttivo e disumanizzante? Assolutamente si. Come sempre quando si parla di Larcenet, il tema non è mai uno solo ed è così ben amalgamato agli altri da renderlo inisolabile, perchè Larcenet ha quel dono che era di Shakespeare: raccontare una storia parlando di tutto. In ogni storia c'è un universo di significati, di registri, di stili, di richiami, ogni storia è un universo completo in ogni suo aspetto. Quindi: è una storia d'amore, è la storia di un delitto, un  romanzo psicologico, un romanzo diaristico (diaristico su più piani), una storia di vendetta, di colpa, di silenzi, di montagna, di comunità isolate chiuse a pugno di fronte alla pazzia del mondo, è la storia di un omicidio, è un manuale su come dimenticare le proprie colpe, è un libro (in realtà due ma comunque è come se fosse uno e, credo, presto lo sarà), sul razzismo, sulla paura che lo sottende, sull'inumano che è alla base dell'umanità, sulle dinamiche bestiali che reggono ogni società, è una storia sul valore antropologico del capro espiatorio, è un libro che racchiude un mondo, o più mondi, tutti quanti, o quasi, disastrosi, disastrati, pericolosi, oscuri, selvatici e impietosi verso l'idea stessa di essere umano. L'opera di Larcenet è tratta dal libro di Philippe Claudel, Il rapporto (Ponte alle grazie, 2008). E' la storia di come un piccolo paese di montagna, nel post guerra, accolga uno straniero e di come questo "Anderer" (straniero appunto, così lo chiameranno sempre tutti gli abitanti) sconvolga suo malgrado gl'incerti equilibri degli abitanti e risvegli in loro le paure più irrazionali. L'intreccio è semplice: gli abitanti, macchiatisi del delitto, chiederanno a Brodeck, uno dei pochi ad avere la mani pulite rispetto all'assassinio dell'Anderer, uno dei pochi a saper scrivere (compila per mestiere rapporti periodici su flora e fauna locale), di redigere un rapporto che li assolva. La richiesta è esplicita e dà per scontato che lo stesso Brodeck, pur non essendo stato presente al delitto, ne condivida le radici e la messa in atto. Da subito, quindi, stendere il rapporto per Brodeck diventa una sorta di esame, una prova per dimostrare di essere realmente parte della comunità (lui che venne accolto anni prima, ma mai del tutto accettato). Da subito si sente osservato, seguito, controllato: la paura degli abitanti è che Brodeck non compia correttamente il suo lavoro, perchè in fondo dubitano di lui in quanto, appunto, mai accettato fino in fondo come facente parte del villaggio. E Brodeck infatti li tradisce: scrive sì, un rapporto assolutorio, ma al contempo, di nascosto, scrive la sua versione dell'arrivo e della permanenza dell'Anderer nel paese (quella che noi leggiamo). 

Con un abile uso di flash back la storia dell'Anderer esonda fino a diventare la storia di Brodeck e, soprattutto, dell'intero paese e dei suoi abitanti, la storia della guerra e della sua brutale follia. Di fronte a questo, all'insensata follia degli esseri umani in armi, l'unica risposta è quella della moglie vittimizzata di Brodeck, che perde l'uso della parola e si isola da tutto e da tutti, limtandosi a cantare ossessivamente la canzone con la quale si era conosciuta con Brodeck. Al di fuori del silenzio e dell'isolamento, il mondo è un grumo di dolore che gli animali, il bosco e la natura selvaggia, si limitano ad osservare da lontano, apparentemente incapaci di comprenderne le logiche. L'Anderer quindi, con la sua sola presenza, scoperchia un passato prossimo fatto di colpa, di vergogna e di paura che gli abitanti hanno il bisogno (prima di tutto inconscio) di dimenticare il più presto possibile. Invece, la sua presenza sortisce l'effetto opposto: tutti ricordano, tutti vedono le loro colpe e loro debolezze specchiarsi nello straniero e nel suo (apparente) mistero. Sono tensioni che non sono tollerabili, la psiche collettiva del paese va in tilt, i singoli non contano più, gli abitanti diventano un solo organismo psicotico e come tale reagiscono ad una guerra dall'Anderer mai dichiarata. L'unica possibilità è macchiarsi di una nuova colpa pur di dimenticare quelle precedenti. A questo serve il rapporto di Brodeck, a dimenticare. Se però Brodeck non dovesse sottomettersi al volere degli abitanti e decidesse di perseguire la verità, la soluzione certa sarebbe un altro delitto, altra colpa da aggiungere alla colpa, qualsiasi cosa pur di cancellare la memoria, personale e collettiva. Pur avendo detto molto, non ho svelato nulla, perchè la profondità di quest'opera è tale che comunque una parte importante rimane comunque fuori da qualsiasi riduzione se ne voglia fare.

 

L'Anderer dipinge (da notare come la sua figura sia simile a quella che sarà poi quella di Polza Mancini in Blast, con quel pizzo che anche in altri fumetti pare essere un segno di riconoscimento biografico dell'autore), la sua pittura scatenerà la follia omicida degli abitanti, Brodeck scrive, e anch'egli rischia sulla propria pelle gli sfoghi dell'intolleranza del paese: il mondo è un coacervo di pulsioni primarie, violente, animalesche, selvatiche, e chiunque ne sia fuori, almeno in parte, viene visto come un pericolo: il diverso è il pericolo. Saper scrivere, saper dipingere, saper parlare correttamente, arrivare da fuori, fermarsi in paese, qualsiasi elemento di discrepanza dai canoni sclerotizzati del paese e dei suoi abitanti è sintomo di pericolo: innanzitutto di un pericolo psicologico (perchè l'Anderer non può certo rappresentare un pericolo sul piano fisico), una variabile che può o non può turbare equilibri sottili ed incerti. Il branco si riunisce e fa della propria paura l'arma per annullare qualsiasi pulsione al cambiamento, vera o presunta che fosse. Quando la primitiva mente dei singoli si agglomera in un'unica entità collettiva, la follia diviene la regola, è la comunità che risponde ad un pericolo invisibile ma, al contrario degli animali, la psicologia umana pone un secondo livello di incertezza: vale a dire che non può accettare la propria colpa (perchè, diversamente dall'animale, percepisce il proprio comportamento come sbagliato) e pertanto nasce il bisogno disperato dell'oblio. Ma si tratta di un bisogno a tal punto assoluto che, per assurdo, per cancellare la vergogna di una colpa è disposto a commetterne una nuova.

Chiodo scaccia chiodo, e in questo vortice di umano (per come ci ostiniamo a considerare l'umanità) non rimane più nulla. Lo sguardo degli animali, lo si può intendere in questo senso come perplesso: non perchè condannino la violenza, che è parte del loro stesso mondo, ma perchè non capiscono il senso di colpa successivo e lo scatenarsi di nuova violenza che, a quel punto, diviene immotivata, sganciata da qualsiasi causa sul piano reale. La tragedia dell'essere umano è tutta psicologica, ed è permeata di paura, la paura di essere qualcosa di diverso dall'animale che si desidera continuare ad essere.  

 

 

Manu Larcenet è nato nel 1969. Ha studiato grafica al Sèvres Lycée e ha iniziato a pubblicare alla fine del

199

4, nello stesso periodo in cui cantava in un gruppo punk rock. La sua attività spazia dal fumetto all’illustrazione all’ideazione di giochi. Ha legato il suo nome soprattutto alla collana “Poisson Pilote” di Darga

ud, ma ha lavorato con tutti i maggiori editori francesi.

Larcenet ha collaborato con vari sceneggiatori, ma sono le storie più personali il suo punto di forza, come il graphic novel “Lo scontro quotidiano”, che ha vinto il premio come “Miglior libro” al Festival di fumetti di Angoulême e il premio come “Miglior libro straniero” al Comicon di Napoli.

Con Jean-Yves Ferri, l’attuale sceneggiatore di Asterix, ha realizzato i volumi della serie umoristica “Ritorno alla terra” e da solo la saga “Blast”, anche questa in corso di pubblicazione in Italia da Coconino Press.

giovedì 30 luglio 2020

Blast, di Manu Larcenet, Coconino Press, traduzione di F. Scala

      
                                                         
Chi è Polza Mancini?
Il filo conduttore di questo romanzo a fumetti sta tutto in questa domanda. Polza lo troviamo arrestato e interrogato dalla Polizia. Sappiamo che ha aggredito una donna e che questa donna ora si trova in gravi condizioni e rischia la vita. Ma Polza nega di averle fatto del male. Da qui in avanti il romanzo avanza a strappi, tra incursioni nel presente e lunghi flash back, grazie ai quali ricostruiamo la sua storia. Il libro è imponente, inizialmente pubblicato in 4 volumi, questa edizione integrale consta di 816 pagine. Se vogliamo ampliare  l'orizzonte ottico del lettore e sorvolare sul taglio classicamente noir dell'opera, potremmo dire che è la storia di Polza Mancini. In pratica vi troviamo un po' tutto quello che dovrebbe rientrare in una biografia, tutti i momenti importanti, le persone essenziali, gli affetti, gli snodi, ma Blast non è ovviamente una biografia (o lo è solo in parte o, più probabilmente non lo è affatto). Blast è la storia di uno sbandato, su questo non ci sono dubbi, su una persona con problemi psicologici importanti, con traumi emotivi, al contempo Polza è un uomo estremamente intelligente, lucido (di quella lucidità che per lui è una condanna e che cerca continuamente di fuggire), ma è anche un assassino? Un pluriassassino, un serial killer, uno psychokiller? Da questa angolazione (quella scelta da Larcenet) il libro è indubbiamente un noir, una detection, un viaggio nell'abisso strampalato della psiche di un uomo strano, enorme, famelico e dolente. Polza mente, o Polza è l'unico che racconta la verità, tutta la verità? La sua testa funziona, o è matto da legare?


  Fino a questo punto, come detto, l'autore sceglie un genere ed una struttura ben conosciuti, non esiste, in queste scelte, alcuna novità rilevante, nulla che sia indicatore che questo romanzo a fumetti sia qualcosa di più di un noir. Invece la sensibilità di Larcenet e la sua incredibile capacità narrativa fanno di Blast un libro eccezionale. Provo a spiegare perchè. Larcenet bordeggia diversi stili, gioca con delle sensibilità molto diverse tra loro e lo fa dosandole in maniera sopraffina. Non sono solo perfetti i tempi narrativi rispetto alla detection, ma anche i tempi che svelano di volta in volta, aspetti della storia e del suo protagonista che lo rendono ora quasi poetico (un Jack Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma a fumetti), ora delirante, ora cupissimo ai limiti dello splatter, ora sociale (la storia del padre di Polza è puro neorealismo, e pertanto Larcenet disegna il padre di Polza in maniera totalmente fantasiosa, come un essere inumano, col becco, sfigurato e disumanizzato dalla fatica e dai dolori dell'esistenza). Se inizialmente affrontiamo la lettura con la convinzione che quel buffo e singolare ciccione sia sostanzialmente innocente, e che riuscirà a sbrogliare la matassa e a dimostrare la sua estraneità ai fatti, e col tempo  arriviamo a comprendere, almeno in parte (almeno ad avvicinarci a comprendere) il perchè delle sue stranezze (e la tentazione è sempre quella di leggere qualche avvenimento del passato quale causa giustificatoria per il suo peso e per la sua fame atavica e animalesca), con l'avanzare della stroia veniamo portati a dubitare sempre più delle nostre sensazioni. Forse Polza non è quel bontempone che pensavamo, forse è qualcosa di peggio. Comunque di più complesso. Questo passaggio, e gli altri che seguiranno, è però graduale, quasi impercettibile, bisogna tendere l'orecchio per rendersene conto. Mettiamo in dubbio la storia e mettiamo in dubbio la reale natura di Polza. Avanzando, entriamo in un territorio che mescola sapientemente degrado sociale e disagio psichico, ci addentriamo in quel mondo che è ai margini del nostro, nella penombra, e poi nel buio. Ad un certo punto ci rediamo conto che l'unica cosa che resta da chiarire è se i delitti (si, sono più di uno quelli di cui è accusato) sono opera di Polza o meno, ma intanto avremo viaggiato abbastanza a lungo nella mente e nelle scelte scellerate del protagonista da esserci fatti un'idea più chiara di chi sia realmente. E' un bambino bullizzato, dalle limitate possibilità economiche, senza madre, forse troppo sensibile per accettare un mondo che per lui è da subito estremamente duro. E' un uomo che trova la sua strada lavorativa, la sua vita matrimoniale, ma che abbandona tutto quando il padre muore. Da quel momento, tutta l'oscurità che l'infanzia e l'adolescenza avevano fatto crescere dentro di lui, trovano una via di fuga e si manifestano. Da lì in poi è una lotta tra fantasmi, tra Polza e il suo passato, tra il mondo di Polza e il mondo reale, tra le regole (o, per meglio dire, l'assenza di regole) del mondo di Polza e le regole del mondo reale. Il nuovo mondo fatto di libertà però non sarà meno violento di quello vissuto dal protagonista nella sua infanzia, forse, anzi, è peggio. Polza fugge da un mondo che sente come falso, che si teneva in piedi solo grazie alla figura del padre che ne era in qualche modo garante, e piomba in un mondo in cui la libertà assoluta che si è scelto (di vagare, di sperimentare, di essere slegato da tutto e da tutti) porta con sè delle conseguenze devastanti. La ricerca (non della detection, non della polizia, non nostra di lettori di noir) di Polza diventa la "queste" ossessiva di un "blast", un viaggio diverso, psichico, un trip, lontano da regole morali, un luogo che gli permetta di dissolvere la sua stessa identità, un luogo-non luogo dove il dolore non esiste, nè quello fisico nè quello psicologico, dove gli altri non ti possono fare del male semplicemente perchè in quel non luogo gli altri non ci sono: non c'è nessuno, c'è solo Polza, e un Moai, un volto immaobile, enorme ed inanimato, che significa qualcosa che nessuno conosce. O, forse, significa esattamente quello: l'impossibilità di conoscere qualcosa, qualsiasi cosa.


Ogni esperienza umana, se non del tutto negativa, finisce comunque per impregnarsi di dolore, la vita borghese, la moglie, il lavoro e gli affetti, sono stati rifiutati in toto. Non resta spazio nè nel mondo reale nè in quello psichico per un angolo di pace, non c'è requie. Per Polza, così enorme, così goffo, ingombrante, così inadatto ai canoni del vivere civile, non c'è posto. E' di troppo. Troppa carne sulle ossa, troppa intelligenza, troppa sensibilità, troppa voglia di cercare altro, troppo tutto. Il mondo è troppo stretto per lui (non basta la natura, non bastano le apparizioni quasi mistiche degli animali), e anche la sua psiche lo è, persino le droghe e l'alcool lo sono, Polza, non sappiamo se sia un serial killer o un ghettizzato dalla sorte, un loser, un pazzerello, un mostro da prendere in giro per l'aspetto fisico, ma sappiamo per certo che qualsiasi cosa sia, qualsiasi azione abbia commesso, qualsiasi sia la sua reale aspirazione, è troppo complesso per un mondo che non lo accetta, nè lo accetterà mai.
Larcenet ci racconta questa odissea, questa biografia (questo noir) con uno stile tutto suo che non è epico, non è biografico nè noir, Polza rimane un "monstrum", un essere sfaccettato, quasi poetico, vittima e forse carnefice, e folle e forse feroce, inincasellabile, fa paura perchè è altro da noi, ma richiama tenerezza perchè è anche profondamente come noi, si spinge dove noi tutti almeno qualche volta avremmo voluto osare, e poi va oltre, e oltre ancora. E poi si perde e non sa più dove si trova, nè lo sappiamo noi e, credo, nemmeno il suo autore.
  Alla fine, che il blast lo cerchiamo o lo rifuggiamo, ci rendiamo conto che le domande di Polza, le sue aspirazioni, il suo anelito di libertà, sono quelle cose che abbiamo soffocato ormai molto tempo fa. E forse - leggendolo veniamo presi anche da questo dubbio -in fondo abbiamo fatto la scelta giusta.


Manu Larcenet è nato nel 1969. Ha studiato grafica al Sèvres Lycée e ha iniziato a pubblicare alla fine del 1994, nello stesso periodo in cui cantava in un gruppo punk rock. La sua attività spazia dal fumetto all’illustrazione all’ideazione di giochi. Ha legato il suo nome soprattutto alla collana “Poisson Pilote” di Dargaud, ma ha lavorato con tutti i maggiori editori francesi.

Larcenet ha collaborato con vari sceneggiatori, ma sono le storie più personali il suo punto di forza, come il graphic novel “Lo scontro quotidiano”, che ha vinto il premio come “Miglior libro” al Festival di fumetti di Angoulême e il premio come “Miglior libro straniero” al Comicon di Napoli.

Con Jean-Yves Ferri, l’attuale sceneggiatore di Asterix, ha realizzato i volumi della serie umoristica “Ritorno alla terra” e da solo la saga “Blast”, anche questa in corso di pubblicazione in Italia da Coconino Press.

venerdì 17 luglio 2020

Tokyo città occupata, David Peace, Il Saggiatore, trad. di Marco Pensante

Sono le tre e venti del 26 Gennaio 1926, a Tokyo, alla banca Teykoku si avvicina la chiusura, mentre gli adetti sbrigano le ultime scartoffie della giornata: entra nella filiale un uomo che chiede di parlare urgentemente col direttore. Il direttore ha lasciato da poco l'ufficio perchè stava male, presentava forti dolori allo stomaco. Siamo nell'anno del ratto, il Giappone è un paese in ginocchio, occupato, stravolto dalla povertà, dalle malattie che circolano tra la popolazione come un nuovo esercito nemico, tifo e dissenteria la fanno da padroni. L'uomo viene condotto nell'ufficio del vicedirettore, si presenta come il dottor Yamaguchi Jiro (responsabile tecnico, Ministero della Sanità e dell'Assistenza sociale), sostiene che in mattinata è entrato in quella filiale un uomo infetto che presentava sitnomi di dissenteria. La dissenteria in quegli anni, in un Giappone in quelle condizioni, ti prosciuga, ti porta alla morte, ogni infetto contagia altri infetti, la morte porta altra morte. L'uomo, che ha al braccio un fascia che reca scritto Medico prevenzione malattie (o Ufficio metropolitano città di Tokyo, o Caposquadra disinfenzione, o Amministrazione quartiere di Tashima, squadra epidemie), sostiene di essere stato inviato appositamente per mettere in sicurezza il personale della banca, ha con sè gli antidoti. Il primo Farmaco e il secondo farmaco. Da prendere subito, immediatamente. Chiede di chiamare a raccolta il personale presente. Fuori, dice, lo aspetta il tenente Parker (Parker o un nome simile). Il personale viene riunito, l'uomo spiega come assumere i farmaci. Il personale ingerisce il primo, stando attento a inghiottirlo direttamente, senza che questo vada a contatto con i denti o con le gengive, poi si aspetta un  minuto esatto, a quel punto si può ingerire il secondo farmaco. Solo a quel punto si può bere acqua per ripulirsi la bocca dal sapore amaro dei medicinali. I dipendenti della filiale della banca Teykoku si avviano verso il bagno per sciacquarsi la bocca e bere, invece vengono scossi da conati e contrazioni, vomitano, cadono in terra, muoiono, uno dopo l'altro. Solo una dipendente riesce a trascinarsi fuori dalla filiale e ad essere soccorsa. Alla fine si conteranno dodici vittime.
  Il romanzo si apre con uno scrittore che corre verso la Porta Nera ("ma nel tempio di Zojoji non rimane nulla... Alberi enormi e bruciati, radici rivolte al cielo...Tutte le rovine della vecchia Porta Nera"; Tokyo anno zero, pag 52), teme di non arrivare in tempo, corre a perdifiato, perchè alla Porta Nera si deve tenere una seduta spiritica, verranno evocate dodici anime, lo scrittore avrà modo, finalmente, di conoscere la verità sul misterioso caso della banca Teykoku, potrà terminare il suo libro e portare alla luce la verità.
Uno dopo l'altro, si manifestano nel fiato corto di una candela che lentamente va a morire, le anime dei sopravvissuti, di detective, di giornalisti, di militari, di presunti colpevoli: ognuno racconta la propria storia, ogni storia contraddice, almeno in parte, quelle precedenti. L'identikit dell'assassino è sfaccettat: ha diverse altezze, diverse caratteristiche, dice certe cose e dice altre cose, la fascia che porta al braccio mostra una scritta, anzi un'altra, o forse un'altra ancora. O un'altra. Quello che rimane è il suo biglietto da visita. L'unica traccia materiale che resta del suo passaggio alla filiale della banca Teykoku. Nasce la squadra investigativa "Biglietti da visita". Vengono individuati tutti coloro che sono in possesso di quel dato biglietto da visita, vengono interrogati, verificati alibi, interrogati parenti, possibili testimoni, si cercano contraddizioni, collegamenti, si seguono piste che non portano ad alcuna soluzione e si seguono piste che portano in uno dei cuori oscuri della guerra: l'unità 731, là dove la guerra non la combattono i generali ed i soldati, ma i dottori e gli scienziati. Dipartimento di guerra betteriologica.
E se le storie delle varie anime si contraddicono l'un l'altra, lette insieme permettono però di farsi un quadro, per quanto sfocato, non tanto del colpevole del crimine della banca, quanto dei colpevoli dei crimini di guerra o, quantomeno dei colpevoli crimini di guerra. Lo scrittore si trova così per le mani un puzzle dell'orrore che sotto la patina della fredda perfezione nipponica nasconde crimini inumani, prigionieri usati come cavie, i cosiddetti "tronchi", popolazione civile inconsapevole sterminata per testare virus e batteri letali. Bambini, donne, cinesi, russi, persone che guardano con gratitudine i dottori credendo che gli stiano iniettando medicinali salvifici e che invece li stanno giustiziando. E' questo il vero crimine di questo noir, e l'umanità ne è il colpevole, nessuno è innocente, nè i giapponesi, nè i russi, nè gli americani, nessuno s'indigna per i crimini commessi, tutti sono interessati a coprirli, le vittime rimangono anime che si manifestano nella fiamma di una candela, esistenze ormai trascorse e dimenticate in nome di una normalità che poggia le sue fondamenta sui crimini di guerra. Tokyo è una città occupata, dove non sono più i giapponesi a comandare e a decidere di loro stessi, Tokyo diviene così il palcoscenico sul quale lo scrittore ricostruisce la rappresentazione dell'abisso nel qual si dibatte l'umanità intera. E' Tokyo, è il Giappone, ma potrebbe essere qualsiasi altro posto del mondo, qualsiasi altra guerra, qualsiasi dopoguerra, l'inumanità è la stessa ovunque.
Tokyo città occupata è il secondo libro di una trilogia (il primo è Tokyo anno zero, l'ultimo, di prossima pubblicazione sempre per Il Saggiaotre è Tokyo redux) incentrata sulla città di Tokyo, una capitale martoriata, uscita a pezzi dalla guerra, nella quale la gente prova a costruirsi una normalità che ancora non può essere tale, e fa (o non fa) i conti col proprio passato recente. Quella città, in quel momento è La città, il microcosmo sul quale Peace punta il proprio microscopio e studia la vita dopo la morte, la vita dopo la guerra, e le nuove guerre che servono per costruire una nuova vita. Nessuno è innocente, la normalità ha radici sporche, la vita si nutre della morte di chi è stato prima, la guerra porta nuova vita, disperata, sbilenca e, dalla distanza di un sipario che divide i vivi dai morti, anche assurda. Chi studiava le armi batteriologiche, oggi si arrabatta a sopravvivere, o ha trovato nuovi lavori, ha famiglie a cui nascondere il proprio passato, la guerra, così vicina, sembra lontana, le proprie colpe, così lontane, sembrano vicine, così vicine da cercare di scrollarsele di dosso, come fossero insetti repellenti.
  Il solito, grande, eccellente Peace, dopo il capolavoro assoluto del Red Riding Quartet (anch'esso ripubblicato in toto da Il Saggiatore) trova un'altra pozza oscura e maleodorante nella quale immergere le mani, alla ricerca di cosa significhi essere umani. Non vi piacerà saperlo, vorrete voltarvi dall'altra parte, fingere di non vedere, non sentire, non capire, ma Peace il suo mestiere lo ha fatto. Col suo stile sincopato, ossessivo, preciso fino allo sfinimento, vi ha mostrato l'orrore nel quale siamo immersi. Non potrete più far finta di non sapere, di non aver capito, di non aver guardato nel fondo dell'abisso. Dopo, niente è più come prima.
  David Peace, a mio parere, è semplicemente il più grande scrittore di noir vivente, e uno dei migliori scrittori del mondo.

In attesa della pubblicazione del terzo volume del trilogia di Tokyo, vi consiglio di rileggervi i primi due volumi, o di recuperarli e leggerli per la prima volta, se ancora non lo avete fatto.


DAVID PEACE nasce nel 1967 a Ossett dove cresce, nel West Yorkshire. Nel 1991 lascia il Manchester Polytechnic per andare a insegnare inglese a Istanbul, dove rimane per due anni, prima di tornare in patria. Dal 1994 si trasferisce a Tokyo, con l'intenzione di trascorrervi un periodo altrettanto breve, invece si ferma a vivervi stabilmente.
Nel giro di quattro anni, dal 1999 al 2002, pubblica il cosiddetto Red Riding Quartet, una quadrilogia di romanzi noir ambientati nello Yorkshire di fine anni settanta e primi ottanta, segnati degli efferati delitti dello Squartatore dello Yorkshire. Per questi romanzi, che mescolano cronaca nera e finzione, con uno stile molto impegnativo per il lettore, Peace viene paragonato al James Ellroy di American Tabloid e Sei pezzi da mille.
Nel 2009 il primo, il secondo e il quarto romanzo sono stati adattati in tre film per la televisione, conosciuti collettivamente come Red Riding e trasmessi da Channel 4.
Nel 2003 l'autorevole rivista letteraria Granta inserisce Peace nella sua lista dei venti migliori giovani (under 40) romanzieri britannici (Best Young British Novelists), pubblicata a cadenza decennale.
La sua opera successiva, GB84 (2005), è incentrata su un episodio cruciale della storia britannica, lo sciopero dei minatori del 1984-1985, terminato con la vittoria di Margaret Thatcher e del Partito Conservatore e la completa sconfitta dei sindacati. Il romanzo vince il prestigioso premio letterario nazionale James Tait Black Memorial Prize.
In Il maledetto United (2006) Peace racconta, a modo suo, il breve periodo (soli 44 giorni) durante il quale Brian Clough allenò il Leeds United. Nel 2009 il romanzo è stato adattato per il cinema dallo sceneggiatore Peter Morgan, nel film omonimo, diretto da Tom Hooper, con Michael Sheen nel ruolo del protagonista e Timothy Spall come coprotagonista.
Con Tokyo anno zero (2007) dà inizio ad una trilogia ambientata nel Giappone devastato dopo la Seconda guerra mondiale, durante l'occupazione americana, ispirata ad autentici episodi di cronaca nera. Tokyo città occupata (2009) è il secondo libro della trilogia che verrà completato dalla pubblicazione del terzo volume Tokyo redux (in Italia per Il Saggiatore).

 (nota biografica tratta da Wikipedia)

domenica 12 luglio 2020

Terra Alta, di Javier Cercas, Guanda editore in Parma, trad. Bruno Arpaia

Javier Cercas abbandona la sua comfort zone (spero temporaneamente), lascia la strada che aveva tracciato e che correva sul limitare tra fiction/non-fiction e autofiction e si dedica a fare due passi ristoratori nel giallo tradizionale.

  Nella Terra Alta, regione sud della Catalunya, vengono scoperti nella propria casa i cadaveri di un'anziana coppia e della loro domestica. I due anziani, al piano di sotto, (al contrario della domestica rumena, freddata con un colpo di pistola) sono stati torturati a lungo e in modi atroci, la volontà, chiara, è stata quella di farli soffrire. L'uomo è il proprietario delle Graficas Adell, l'azienda più florida della zona, ormai divenuta multinazionale con sedi in diverse parti del mondo e che dà lavoro a buona parte dei residenti nella Terra Alta. In realtà Le Graficas Adell o, per meglio dire, il suo proprietario e fondatore, sono proprietarie di quasi tutta la Terra Alta. Ad indagare sul crimine che sconvolge l'intera regione, c'è, tra gli altri, Melchor Marìn, un poliziotto giovane, ossessionato dal libro I miserabili, dal passato travagliato diviso tra luci ed ombre (più ombre che luci, a ben vedere). E' stato inviato in Terra Alta per allontanarlo dai pericoli della vendetta da parte del terrorismo islamico dopo che, durante gli attacchi del 2017 a Barcellona, ha freddato, da solo, quattro terroristi. Figlio di una prostituta il cui omicidio è rimasto irrisolto e di padre ignoto, in seguito ad una gioventù scapestrata è stato in carcere, ed è qui dove, leggendo il capolavoro di Hugo e identificandosi nel personaggio di Javert, decide di entrare in polizia. Nella Terra Alta ha trovato il proprio equilibrio, un comunità che lo ha accolto, e una compagna con la quale ha creato la propria famiglia: la sua vita ora scorre su binari tranquilli, ma il brutale omicidio dell'anziana coppia  (e della domestica) lo porta a contatto con una realtà che, ancora una volta, lo fa precipitare nell'ossessione. Ossessione per la giustizia assoluta, per la ricerca della verità e del trionfo del bene. Ma cos'è davvero il bene? L'indagine, che gli toglierà ogni certezza, materiale e non, pare arenarsi di fronte alla mancanza di prove che portino ad imboccare una linea investigativa, l'impressione è che i colpevoli e le motivazioni del delitto debbano a tutti i costi rimanere occulti, che interessi troppo grandi e persone troppo in vista vogliano che il caso rimanga irrisolto. Ma perchè sono stati uccisi i due anziani? Chi li odiava o, per meglio dire, chi odiava il vecchio Adell, proprietario e fondatore di un impero? Tutti lo amano o lo odiano tutti? Si è trattato di una rapina, o di una vendetta? A compiere il delitto sono stati dei professionisti o dei ladri drogati? I colpevoli (forse, a questo punto, si può parlare anche di mandanti) sono da cercarsi all'interno dell'organigramma aziendale, o all'interno della famiglia?
La detection si intreccia ai flashback sulla storia personale di Melchor, e funziona come un meccanismo perfetto. La tensione è sempre alta e le svolte narrative sono preparate e dosate con sapienza. Melchor è un personaggio memorabile, complesso e tormentato ma non irredimibile, capace di trovare una sua via alla felicità e di tenersela stretta ma, anche, di metterla in gioco pur di arrivare fino in fondo alla verità. Fino a questo punto parliamo di un ottimo thriller, godibilissimo, capace di tenere avvinto il lettore già dalla prima pagina. Però qui l'autore è un signore che nella sua carriera ha scritto capolavori come Soldati di Salamina, Anatomia di un istante e L'impostore (e cito qui anche il pregevole saggio Il punto cieco), e dunque non si accontenta di seguire le regole del genere, di scrivere bene e di dosare al punto giusto tutti gli ingredienti di un buon thriller: se l'ossessione di Melchor sono i personaggi de I miserabili (l'unica concessione alla "metaletteratura" e allo specchiarsi tra narrativa e vita), quella di Cercas è il passato, e anche in questo caso la soluzione del caso giungerà da un passato che nessuno poteva sospettare. Il passato dunque è, come in tutti i libri di Cercas, il vero protagonista: la sua natura fallace, scivolosa, bifronte, e l'incapacità dell'essere umano di rapportarvisi in maniera sensata. E' il passato che nasconde la verità, ma col passare del tempo, la verità perde i suoi contorni, si arricchisce di nuove prospettive, la storia la illumina secondo modalità nuove e ciò che ad un dato momento sembrava essere una figura bidimensionale, priva di chiaroscuri, col tempo diviene un caleidoscopio di ipotesi. Fare i conti col passato vuol dire fare i conti con sè stessi o, piuttosto, scegliere scientemente di rinunciare al proprio io costruito negli anni, alla propria identità sociale e privata, in favore di un nuovo equilibrio sbilenco? Il passato, sembra dirci l'autore, è foriero di cambi di prospettiva bruschi, spesso violenti, mette in discussione ogni certezza, le sgretola, distrugge un mondo e non garantisce di porre le basi per un mondo nuovo. Eppure è dal passato che veniamo, siamo quello che siamo perchè abbiamo vissuto quello che abbiamo vissuto. Ma quello che abbiamo vissuto, rivisitato da una prospettiva futura, è ancora ciò che abbiamo vissuto, e solo quello?
  Terra alta ha diversi livelli di lettura, può essere un ottimo giallo, e può essere letto come una riflessione sul valore del passato, della vendetta e sul senso del tempo. I capolavori di Cercas sono altri, chiaro, ma gialli solidi, maturi, profondi e disturbanti come Terra Alta non sono molti in circolazione.

Melchor Marìn è un protagonista (quasi) indimenticabile (chissà che non torni in qualche libro futuro, magari più anziano, alle prese con la figlia adolescente). Cercas è sempre Cercas, anche fuori dalla sua comfort zone, basta che abbia una penna in mano (o le mani su una tastiera).



Javier Cercas è nato nel 1962 a Ibahernando, Cáceres. La sua opera, tradotta in più di trenta lingue, è pubblicata in Italia da Guanda: Soldati di Salamina (Premio Grinzane Cavour 2003), Il movente, La velocità della luce, La donna del ritratto, Anatomia di un istante, Il nuovo inquilino, La verità di Agamennone, Le leggi della frontiera, L’avventura di scrivere romanzi (con Bruno Arpaia), L’impo­store, Il punto cieco e Il sovrano delle ombre. Anatomia di un istante ha vinto nel 2010 il Premio Nacional de Narrativa e nel 2011 il Premio Salone Internazionale del Libro di Torino e il Premio Letterario Internazionale Mondello. L’impostore è stato finalista al Man Booker International Prize 2018.