"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 29 agosto 2013

Modi di tornare a casa, di Alejandro Zambra, Mondadori editore

Alejandro Zambra scrive bene, è fuor di dubbio, ma si ha sempre l'impressione che si trovi a scrivere lungo una china rischiosa che separa il futile (ed il volatile, il poetico) dall'essenziale. Mi spiego, o almeno ci provo. Ha quella capacità metapoetica di rivoltare le frasi come calzini e reimpostarle ad effetto, come se, così facendo, avesse trovato la formula giusta per scoprire una qualche essenziale verità che se ne sta acquattata e nascosta dietro la realtà, alle spalle delle parole che la realtà compongono. Tutto questo con una scrittura elegante, moderna, fluida e accessibile. Non per niente è uno dei giovani scrittori più promettenti del Cile e dell'America latina (Granta dixit). Poi, però, se ci pensi a fondo, se levi dalla superficie l'effetto ipnotico lasciato dallo stile e dal ritmo, e ti domandi se davvero, dopo averlo letto, ne sai di più, se realmente ti ha portato per mano in territori di cui ignoravi l'esistenza, o che immaginavi fossero reali, da qualche parte, ma non avevi idea di come fare a raggiungerli, ecco, in quel momento ti viene il dubbio. Non è una certezza, beninteso, è una titubanza che ti frena un attimo prima di consacrarlo, anche solo con te stesso, nell'intimità della tua testa, come un grande. Per un attimo, un attimo lungo, lunghissimo al limite della non finitezza, ti resta l'impressione di essere stato preso elegantemente per il culo. O, per meglio dire, di essere stato il protagonista di un gioco di prestigio al quale non sapevi neppure di assistere. Il protagonista è presumibilmente l'autore, che ricorda la notte in cui si trovò con la propria famiglia e con tutte le famiglie del rione e di Santiago del Cile per strada, ad aspettare che la successiva scossa di terremoto spazzasse definitivamente via le loro case, le loro vite, la città e, con gli occhi di bambino, l'universo intero. La notte in cui conobbe Claudia, la nipote di Raùl, il vicino di casa single, presunto democristiano, silenzioso e, a suo modo, misterioso (misterioso nel suo non essere misterioso, ma solo riservato, apparentemente). Quello è il punto che Zambra sceglie per portare avanti una sua personale riflessione su sè stesso, sulla sua famiglia e sulla storia del suo paese. Qui però, al contrario del libro di Pron (Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia), che toccando diversi registri e dilungandosi in elenchi lunghissimi ed apparentemente superficiali rimane però ossessivamente legato ad un'indagine meticolosa e drastica, la storia va sfilacciandosi, rimanendo in superficie e solo di tanto in tanto affondando (o dando l'impressione di farlo) secondo quella tecnica del calzino rivoltato citata in precedenza. Il protagonista, bambino, viene incaricato da Claudia - che non è proprio amica in quanto più grande, non è per nulla fidanzatina nè altro - di seguire lo zio e di farle rapporto settimanalmente. Poi, saltiamo temporalmente e, senza aver scoperto nulla delle motivazioni e delle conclusioni di quell'indagine, ritroviamo il protagonista adulto, con un matrimonio alle spalle che cerca tanto disperatamente quanto passivamente di rimettere in piedi (se non il matrimonio vero e proprio, la relazione con la moglie). Conosciamo la famiglia di lui, persa in una strana immobilità che pare averla permeata da sempre, come se sotto la dittatura quell'immobilità, quell'atarassia che sfiorava (o sfociava ne) l'ignavia avesse consentito la sopravvivenza stessa della famiglia, senza scossoni apparenti, traumi, drammi nè morti. Se nel libro di Pron la mancanza di senso dell'esistenza del figlio viene sublimata dalla lotta e dalla sconfitta dei genitori (e quindi il suo raccontarla diventa atto a sua volta dovuto, e portatore di senso), qui l'assoluta mancanza di ideali e di posizioni del padre lascia il protagonista senza nulla da dire, senza nulla da scrivere nè da raccontare se non scampoli confusi della propria vita per lo più insignificanti. Claudia torna, ormai adulta, anzi ritorna dagli Stati Uniti e intrattiene una relazione per lo più anafettiva col protagonista, ma è lei la vera protagonista del romanzo, è lei che torna per spiegare e per raccontare la sua storia, la storia della sua famiglia al protagonista, perchè a sua volta la racconti, ma sà già che è così non avverrà, perchè non sarà la sua storia ad essere raccontata, ma quella dell'autore. In realtà, arriviamo a conoscere per sommi capi la storia di Claudia e ci chiariremo diversi punti interrogativi lasciati in sospeso all'epoca in cui lei e il protagonista erano bambini, ma questo, che dovrebbe essere il centro pulsante della narrazione, e il punto da cui tuffarsi ed immergersi in un mare più grande, più profondo e certamente più oscuro, rimane invece semplicemente una parte, una porzione, annegata nelle elucubrazioni un tantino troppo esistenzialiste (troppo manieristicamente esistenzialiste) del protagonista, che si barcamena tra rapporti da cui non riesce ad ottenere risposte definitive. Non le ottiene dalla (ex) moglie e non le ottiene dal padre, e neppure le ottiene dalla stessa Claudia. L'impressione che rimane è quella di una fotografia sfocata, ma non perchè i soggetti siano in movimento, quanto perchè il fotografo non ha avuto mano ferma, un quadro d'insieme fuori fuoco che ci rimanda una scena un po' cupa se non proprio triste. Eppurtuttavia una foto che ha un suo fascino, che ci cattura a studiarla, a domandarci fino a che punto i suoi difetti sono voluti e dove invece sono effetto della strategia compositiva del fotografo.

Alejandro Zambra è nato nel 1975 a Santiago del Cile, dove vive. Poeta, narratore e critico letterario, insegna letteratura all'università Diego Portales e scrive per il supplemento "Babelia" di "El País" e per la rivista messicana "Letras Libres". Il suo primo romanzo, Bonsai (Neri Pozza 2007), ha vinto il premio cileno della critica. Nel 2010, Zambra è stato segnalato dalla rivista "Granta" come uno dei migliori giovani narratori di lingua spagnola.

Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia, di Patricio Pron, Guanda editore

  Ci sono paesi in cui i figli non sono altro che la rivincita dei genitori rispetto alle loro sconfitte, o forse lo sono dappertutto, in ogni parte del mondo, in ogni epoca. In Argentina più che in altri posti, i giovani uomini e le giovani donne di oggi sono questo, e o prima o dopo devono farci i conti. Sono i figli di una generazione che ha intrapreso una guerra, una generazione che ha perso una guerra, anche se alla fine i dittatori sono caduti e la democrazia è stata ripristinata. Una generazione di sconfitti, spaesati, abbattuti, sferzati dalla storia e dai suoi mostri, e chi ne è uscito vivo non ha potuto fare altro che perpetuare quell'esistenza che ha messo a rischio così sfacciatamente, seppur spesso nella clandestinità, forse in maniera meccanica, seguendo il richiamo dell'istinto e null'altro. Il protagonista del romanzo di Pron è uno di questi figli della dittatura. Vive in Germania, a furia di ingurgitare pastiglie ha praticamente rimosso buona parte della propria memoria e quando gli viene comunicato che suo padre, in Argentina, sta male ed è in pericolo di vita, decide di tornare in quel paese col quale otto anni prima aveva tagliato i ponti, lasciandoselo alle spalle come qualcosa di morto e maleodorante, o moribondo e maleodorante. Il padre, Chacho, è in ospedale seppellito sotto una forma di mutismo comatoso. La casa è divenuta un corpo estraneo per il protagonista, un corpo che si è conosciuto e poi si è voluto dimenticare e dal quale si è fuggiti, mettendo chilometri da esso. La madre e i fratelli sono fantasmi che emergono enigmatici da un passatto che è fatto di nebbie e di silenzi, di brandelli di ricordi e di enormi ellissi di oblio. Il padre, inchiodato nel letto d'ospedale e, più simbolicamente, in un non luogo dove nessuno ha possibilità di raggiungerlo, è il fulcro degli interrogativi muti che vorticano nella testa del protagonista. Giornalista, padre e marito, protagonista di brevi scene strappate all'oscurità della dimenticanza, e ora corpo immobile e inconcosciente incapace di percepire la presenza del figlio. Il protagonista, presumibilmente Pron stesso, s'imbatte nello studio del padre in una serie di cartelle stipate di stralci di articoli sulla scomparsa di un tale José Alberto Burdisso, detto Burdi, sessantenne semplice e innocuo , dipendente presso il club Trebolense, dedito a lavori umili e manuali. La scomparsa era presto divenuta un caso che aveva inquietato e appassionato la città, in maniera forse inspiegabile. Soprattutto Pron (Pron protagonista) non riesce a spiegarsi l'interesse del padre per la scomparsa di un uomo che non aveva nulla in comune con lui (se non aver frequentato alcune classi insieme, a scuola, da bambini), e niente di affascinante nella propria biografia. Tutta la parte centrale del libro è un'analisi accurata e pedante del contenuto delle cartelle del padre, fino a conclusione della storia della scomparsa di Burdisso e della sua terribile risoluzione. Un particolare emerge dall'indagine e ci trasporta nella terza ed ultima parte: la sorella di Burdisso, Alicia, era scomparsa durante la dittatura, desaparecida, presumibilmente uccisa. 
  Ma chi era Alicia, perchè era collegata a quel padre sospeso in uno stato di non vita in una stanza anonima di un ospedale, perchè tra tanti desaparecidos lei era importante, la scomparsa del fratello aveva qualcosa a che vedere con quella di Alicia, anni prima?
  Il protagonista si trova di fronte all'evidenza brutale e sottile che non potrà conoscere realmente il padre, e quindi non potrà capire sè stesso e il suo senso nel mondo, se non vincerà la sua amnesia e non indagherà nel passato, suo, della sua famiglia e di Alicia Burdisso.
  La soluzione della sua indagine sarà ciò che chiunque si potrebbe aspettare se solo ci pensasse, ma riflettere sul passato, su quel certo passato, è un atto che fa tremare i polsi, perchè il passato, per definizione, non esiste ma, pur non esistendo, proietta la sua ombra sul presente e con l'ombra pone le basi per dare un senso al presente. Qual'è quel senso, per il protagonista, e dunque qual'è la sooluzione della sua indagine?
  Nel quantità spropositata di romanzi argentini sul periodo della dittatura, il romanzo di Pron è una lama elegante che affonda nei recessi meno evidenti dell'abisso di dolore che quegli anni hanno provocato, nei rapporti famigliari di chi è sopravissuto, nella proiezione del senso ostinato di sconfitta che una generazione trasmette, suo malgrado, a quella dei figli, nel senso di spaesata inutilità di quei figli che si ritrovano annegare in un mare di silenzi, di accenni involontari, di indizi disseminati più o meno volontariamente perchè qualcuno un giorno li individui, e li metta insieme, e infine ne racconti la storia.
  Un romanzo lento, scritto con la perizia di un anatomista nel descrivere sentimenti che non possono essere esplicitati, che racconta le conseguenze del male e come queste conseguenze si propagano come onde di generazione in generazione, mutando forme ed intensità ma rimanendo sempre uguali a sè stesse nella domanda di fondo. Un romanzo, quello di Pron, che senza voler essere consolatorio, è a sua volta una risposta, seppur imperfetta e dolorosa, a quella domanda che il romanzo stesso pone, instaurando un gioco di specchi e di dolori che in essi si riflettono che si comprende appieno solo alla fine. Certi mali, e con essi certe sconfitte, acquistano un senso solo se qualcuno trova la forza, la pazienza ed il coraggio di narrarli. Chi assolverà questo compito dolente, non si salverà, nè cambiera la propria vita e tantomeno il corso della storia: ma darà un senso ad Alicia, e a Chacho, a chi è morto e a chi è rimasto vivo senza più nemmeno la forza di raccontare.


Patricio Pron ha conseguito un dottorato in filologia romanza all'università di Gottingen e attualmente vive a Madrid, dove lavora come traduttore e critico letterario. E' autore di racconti (Hombres infames; El vuelo magnifico de la noche; El mundo sin las personas que lo afean y lo arruinan; Trayendolo todo de regreso a casa e La vida interior de las plantas de interior) e romanzi (Formas de morir; Nadadores muertos; Una puta mierda; El comienzo de la primavera e appunto il libro qui recensito: El espiritu de mis padres sigue subiendo en la lluvia) che hanno ricevuto numerosi premi.

Un interessante articolo su Pron lo trovate qui, dal blog delle edizioni Sur.

Il blog di Patricio Pron lo trovate qui (blog sul quale abbiamo l'onore di essere ospitati con un link nella sezione resena , vale a dire recensioni, esattamente qui: un grazie di cuore all'autore, Patricio Pron)






domenica 18 agosto 2013

L'infermiera Wolf e il dottor Sacks, di Paul Theroux, Baldini Castoldi Dalai editore

  Il punto di forza di questo breve libro è, al contempo, il suo limite. Diciamo la brevità, ma non in quanto tale, ma perchè Theroux condensa in poche pagine un materiale che avrebbe meritato spazi ben più ampi e una trattazione approfondita che ne scandagliasse i vari gangli e le implicazioni che, evidentemente, saltano agli occhi del lettore. Ma questo, forse, è anche il bello del libro. Il lettore (io sono in questo caso il lettore perfetto, vergine, essendo la prima opera che leggo di Theroux) si trova infatti ad essere lasciato solo di fronte ad una serie di bivi che non vengono esplorati dall'autore, ma che vengono evidenziati in maniera esplicita, di modo che sia il lettore (io, o voi) a lanciare la propria immaginazione a briglia sciolta a continuare la strada lasciata a metà dalla narrazione. Per quanto semplice possa sembrare, lo considero un classico - e ben riuscito esempio - di meta-libro, che può essere l'inizio di un percorso che ne evidenzi la natura di semplice tessera di un puzzle o, appunto, per chi già fosse intimo dell'opera di Oliver Sacks, un'ennesima pedina nel panorama di una partita più ampia, che qui viene solo lasciata indovinare. Il libro è schematico nella struttura e affabulatorio nello stile. E' una chiacchierata tra amici seduti ad un tavolo di un caffè, Theroux parla e gli amici siamo noi, che lo ascoltiamo rapiti, a volte divertiti, a volte rabbuiati dal suo incedere nel racconto. Una chiacchierata tra amici intellettualmente stimolanti (questa è una delle caratteristiche del successo di Theroux, credo, il lasciare nel lettore l'impressione di essere intellettualmente al suo livello, mentre è lui che si abbassa al nostro). La prima parte è il resoconto dell'amicizia dell'autore con l'infermiera Wolf, una famosa (almeno nell'ambiente sadomaso di Manhattan) dominatrice, o padrona che dir si voglia. Una signora che viene pagata per soddisfare le fantasie più strambe e spesso sinistre dei propri clienti. L'infermiera Wolf spiega, dettagliatamente, il suo lavoro, non solo o non tanto nella descrizione visiva di ciò in cui consistono i suoi trattamenti, a seconda che siano persone che vogliono farsi riempire di botte, essere trattati come neonati, usati come wc, ecc, ecc, ecc, quanto nello spiegare cosa stia sotto tutto questo, e il rapporto vero e proprio che si crea tra lei, che regge i fili del gioco, e i clienti. Theroux è abile a non scadere nella pornografia, ma a seguire i ragionamenti e le implicazioni che la Wolf snocciola con una innocenza che lascia sbalorditi noi abitanti del mondo cosiddetto normale, con un candore che non scade mai nella stupidità o, peggio, nella caricatura della stupidità, l'idiozia. Non è una cavalcata selvaggia nel lato oscuro del desiderio umano, quanto un lento blues, una chiacchierata appunto, una graduale analisi informale di quel lato oscuro che ci ostiniamo a considerare altro da noi. In sottofondo, lasciate appunto alle nostre elucubrazioni personali, le domande sul perchè, sulle motivazioni o i traumi che possono portare a certe fantasie.
Poi cambia tutto, e troviamo Theroux che ci parla di e parla con Oliver Sacks,(che, a volte nei suoi lavori di divulgazione scentifica, si firma Oliver Wolf - Wolf appunto) l'autore di L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Un antropologo su Marte e altri titoli di divulgazione neurologico-scentifica che sfociano felicemente nella narrativa di qualità. L'ammirazione dell'autore per Sacks è più che evidente - è esplicita -, e risulterebbe quasi fastidiosa se il libro non continuasse a mantenere un tono confidenziale che lo esime da qualsiasi terzietà (pseudo)scientifica. Ascoltiamo le storie di Sacks e dei suoi pazienti, ne incontriamo alcuni. Lasciamo che nascano domande in noi sulle quali non avevamo mai riflettuto, o che avevamo da tempo messo da parte e dimenticato. Tra le tante microstorie che ci vengono offerte con garbo, come da un ospite premuroso, penso che sia doveroso riportare la più spaventosa di tutte. Quella di un medico, direttore di una clinica pischiatrica: l'uomo raggiunge l'età della pensione e si ritira, ma dopo pochi anni sbrocca di testa e viene ricoverato nella medesima clinica da lui precedentemente diretta. Un giorno prende un camice, lo indossa, e torna a credersi medico. Entra nel suo vecchio ufficio e si mette ad analizzare le cartelle dei pazienti. Ne trova una che valuta come particolarmente critica, "Questo è messo male", esclama, legge il nome sull'intestazione della cartella, ed è il suo.
  Vi verrà voglia di fiondarvi a leggere qualcosa di Sacks (come ho fatto io), e di Theroux, perchè questo piccolo pamphlet, è interessante, affascinante, affabulatorio, e ha di unico questo particolare, nella sua imperfezione: essere una parte di un tutto più grande, di rappresentare solo uno stralcio di quella più ampia conversazione tra intelletti elevati e stimolanti che è il magma di opere dei due autori, e di altri - di infiniti altri - che è la letteratura. Un rimando continuo e perenne a qualcosa che completa qualcos'altro e che da altro ancora deve essere completato.

Paul Edward Theroux è nato nel 1941 a Medford, Massachusetts. Figlio di un franco-canadese e di un’italiana, ha studiato scrittura creativa all’Università del Maine, si è specializzato a Syracuse e a Urbino e si è trasferito in Africa, dove ha insegnato e preso parte a missioni umanitarie. Ha scritto per numerosi settimanali e mensili, tra cui «Playboy», «Esquire» e «Atlantic Monthly». Ha pubblicato diversi romanzi e molti saggi sul tema del viaggio. Per Baldini Castoldi Dalai editore sono usciti: Ultimi giorni a Hong Kong, Il Gallo di Ferro, O-Zone, Hotel Honolulu, L’infermiera Wolf e il dottor Sacks, L’ultimo treno della Patagonia e Mosquito Coast.