"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 28 ottobre 2012

Limonov, di Emmanuel Carrère, Adelphi editore

Chi sia Limonov, in Italia lo scopriamo solo ora, con questo libro di Emmanuel Carrère, pubblicato da Adelphi, che annuncia, con questo titolo, di dare il via alla pubblicazione dell'opera dello scrittore francese. Rimane inspiegabile come Einaudi, che ha pubblicato gli utlimi cinque libri di Carrère, sia riuscita nel colpo di genio di lasciarselo portare via da una concorrente come Adelphi. Carrère non è uno scrittore come tanti, non è giallista, un noirista, uno sfornatore di best seller internazionali, è molto di più. A ben vedere, non ce ne sono poi tantissimi come lui, adesso, nel panorama lettario internazionale. Carrère sa unire lo stile a trame insolite, non di rado inquietanti, sempre entro strutture eleganti e, talvolta, insolite. Per questo era inevitabile che Limonov, il personaggio Limonov, lo scrittore Limonov, il fascista Limonov, lo sbandato Limonov, il nazbol Limonov (e potremmo andare avanti così a lungo), per questo, dicevo, era inevitabile che Limonov divenisse il centro dell'attenzione dello scrittore francese, perchè si tratta di un personaggio dalla biografia a tal punto rara da poterla sospettare inventata. E' nato in Unione Sovietica, sotto il pugno del regime comunista, povero, come tutti all'epoca sotto quel regime, affascinato dal crimine, dai criminali e dal loro codice di comportamento. Ha vissuto lo smantellamento di quella realtà che per molti era identificata come Il regno del male come un forma infima di tradimento. Si è posto da solo contro il mondo, contro la sua epoca, contro i politici della sua epoca e contro gli intellettuali della sua epoca. Ha odiato molto, tutto, o quasi tutto, ha ritenuto per un certo tempo di dimostrare la sua virilità nella scrittura, ed è divenuto non una stella di prima grandezza, ma un punto di riferimento per la scena underground sovietica prima, e russa dopo. E' fuggito (per così dire) negli Stati Uniti, ha amato donne che lo hanno tradito e abbandonato, ha vagato per le strade, ha praticato il sesso più scadente ed autopunitivo che potesse procurarsi, è rinato in Francia come scrittore a la page, è tornato in Russia quando ormai il Regime Rosso era solo un ricordo e, in parte, un rimpianto (per la verità sempre più prepotente), ha vissuto il periodo del Caos Totale sotto l'alcolico Boris Eltsin, si è dato alla politica, ha fondato un movimento, poi un partito, è finito in carcere, ne è uscito, ha continuato ad essere lasciato dalle sue donne (anche se qualcuna, le più giovani, le ha lasciate lui), ha sofferto, soffre ancora, invecchia senza apparentemente invecchiare (non più di tanto), e guarda ancora avanti, con la testa alta, in cerca di un futuro che certifichi in maniera definitiva il suo passaggio su questa terra, o che lo deponga definitivamente in un placido lago di oblio. La parte meno presentabile della sua biografia, il colpo di fulmine coi cetnici serbi durante la guerra della ex Yugoslavia. Per il resto, vitalismo imperante ed eslposivo, cadute, rinascite, ricadute, ulteriori rinascite, sofferenze indicibili, e slanci impetuosi. Questa è la caratteristica che più pare affascinare Carrère, la capacità di Limonov di rimanere sè stesso sempre, di crollare fino allo sfinimento e, sempre, rinascere dalle sue stesse ceneri. E' l'immagine di una corsa continua, senza fiato, forse senza nemmeno molto discernimento, senza paura tranne, alla fine, la lieve impressione di aver sbagliato tutto, o quasi, di aver scelto una strada che non porta con sè un significato. Il problema di tutti, da sempre, vivere senza sapere il perchè. Negli interstizi che rimangono, talvolta, in questa folle corsa, Carrère incastona la storia recente dell'ex Unione Sovietica, i cambiamenti - che poi più che cambiamenti sono stravolgimenti veri e propri - che sono ondate che spazzano via la vita di innumerevoli individui travolti dalla Storia, resi niente, insignificanti, denudati di tutto ciò che hanno, beni materiali (pochi) e illusioni morali e politiche. E' la fotografia, questo Limonov di Carrère, di uno tsunami che scuote il pianeta, cancella intere geografie e annulla individui su individui, ed è la fotografia al contempo di come un uomo, Limonov appunto, sia riuscito a rimanerne a galla, bevendo tanta acqua, certo, salata per di più, rischiando spesso di annegare, ma sempre riuscendo a riguadagnare la superficie, e in un angolo di questa immagine - mossa - scorgiamo il profilo dello stesso Carrère, che spia Limonov arrancare tra le acque, che lo osserva dal suo punto di vista privilegiato di borghese benestante, culturalmente elevato al di sopra della massa di un Europa (quella francese) borghese e benestante.



Diplomato all'Istituto di Studi Politici di Parigi.
È il figlio di Louis Carrère e della sovietologa e accademica Hélène Carrère d'Encausse, e fratello di Nathalie Carrère e Marina Carrère d'Encausse.
I suoi esordi sono stati nella critica cineatografica, per Positif e Télérama. Il suo primo libro, Werner Herzog, è stato pubblicato nel 1982. Il suo esordio come romanziere risale al 1983: è L'amico del giaguaro, pubblicato da Flammarion. Il successivo, invece, è stato pubblicato da POL, editore con il quale da allora non ha più interrotto i rapporti.
Sceneggiatore e regista, nel 2005 ha tratto un film da un suo romanzo degli anni ottanta, Baffi. 
  In Italia sono stati pubblicati: Bravura (Marcos y Marcos, 1984), Baffi (Theoria, 1986), Fuori Tiro (Theoria 1988), Io sono vivo e voi siete morti (Theoria, 1995) La settimana bianca (Einaudi 1995), L'avversario (Einaudi, 2000), Facciamo un gioco (Einaudi, 2002), La vita come un romanzo russo (Einaudi 2007), Vite che non sono la mia (Einaudi 2009). E' anche sceneggiatore.
  Ho letto Baffi (credo oggi sia difficilmente rintracciabile), Io sono vivo e voi siete morti (idem), La settimana bianca e L'avversario: sono tutti notevoli ma, sugli altri, a mio parere spiccano Io sono vivo e voi siete morti, biografia amorevole di Philip Kindred Dick e L'avversario.

martedì 23 ottobre 2012

Cargo, di Matteo Galiazzo, Einaudi editore

Questo libro è stato pubblicato nel 1999, lo scorso millennio, dalla casa editrice di Via Biancamano. Cosa sia questo libro, non lo so. Questo libro, Cargo, è stato scritto da Matteo Galiazzo. Un amico dell'autore l'ha definito "una onesta truffa affabulatoria", e penso che avesse ragione, ma rimane il fatto che è una definizione perfettamente centrata che però non ci permette di avanzare sulla strada del chiarimento nemmeno di un passo. Cioè, cos'è questo libro, Cargo? Questo libro Cargo di Matteo Galiazzo. Potremmo dire che una definizione vera e propria non esiste ma che ci possiamo avvicinare poco alla volta, e sempre di più, alla natura del libro, ma che ogni volta che ci avviciniamo ad una descrizione il più completa e corretta possibile, l'oggetto stesso della nostra ricerca diviene impercettibilmente più lontano. Ci avviciniamo ma non possiamo raggiungerlo: lo spazio che intercorre tra la definizione dell'oggetto e l'oggetto stesso, poco alla volta che lo percorriamo, si divide in un numero infinito di spazi minori che, in quanto infiniti, non ci permetteranno mai di raggiungere il termine del percorso. Ecco, le parole comprese tra "Potremmo" e "percorso", quelle in corsivo per intenderci, sono quanto di più vicino può esserci ad una descrizione del libro Cargo, di Matteo Galiazzo. Nel 1996 Galiazzo esordisce con un racconto (uno dei migliori, se non il migliore) nell'antologia Gioventù cannibale (immagino sia inutile spiegare cosa sia stata e, soprattutto, cos'abbia significato per lo svecchiamento della letteratura italiana questa raccolta), nel 1997 pubblica per Einaudi la raccolta di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte, poi viene Cargo nel 1999, poi Il mondo è posteggiato in discesa nel 2002, poi più niente. E mica non è morto, Galiazzo. Si è laureato, ha trovato lavoro, dice ha altro da fare. Vabbè. Torniamo a Cargo: Cargo di Matteo Galiazzo è un paradosso, anzi, è una serie infnita ed intrecciata di paradossi e sproloqui scientifici o pseudo tali, è un insieme di pensieri, di ragionamenti posti sotto forma di storie abbozzate che non appena vengono accennate si perdono in mille rivoli lontani. E' un calice di intelligenza viva che trabocca, che non si prende sul serio, che quando finge di raccontarci una storia già mette in chiaro (o comunque lascia intendere) che si tratta di una scusa, anche mal posta all'interlocutore (cioè al lettore), per fare quattro chiacchiere in totale relax, come si può fare tra amici. Tra amici che si stimano, che amano ascoltarsi ragionare per tirare a far serata. Ci sono diverse linee narrative, ma spesso non ci si accorge neppure che lo siano: paiono correre si binari paralleli ma lontani, poi si intrecciano, quasi loro malgrado, di malavoglia, e solo per strizzare l'occhio al lettore e dargli un contentino. Volevi un finale? Eccotelo servito. ma non è un finale, non ci sono finali perchè in un certo senso non c'è un inizio, non ci sono incipit: è come se aprendo il libro entrassimo in una stanza a discorso già iniziato e alla fine venissimo gentilmente messi alla porta quando ancora non s'è terminato di ragionare. Che dire? C'è Alfio, che è un investigatore privato, che pedina una ragazza per conto di un amico che ne è il fidanzato, o che sostiene di essere il fidanzato, ma la ragazza pedinata (la presunta fidanzata) non lo conosce. C'è un miliardario che ha fatto fortuna con delle idee assurde sugli imballaggi, la cui moglie viene rapita per evitare che lui possa portare a termine una scalata d'acquisizione ad una società in mano alla mafia. La moglie del miliardario diventa, da rapita, una scrittrice famosa di best seller (due, best seller: "Dalla grotta" e "Dalla grotta2"). In un universo parallelo i libri si tengono in tubetti e due carcerati confrontano le loro vite in cella. Uno di loro ha il sistema simpatico in panne e deve gestire tutti i movimenti involontari del corpo (battito cardiaco respirazione, ecc) in maniera consapevole. Si parla delle Terre della bassa natalità dove è così raro riuscire a concepire che non approfittare di qualsiasi occasione per congiungersi carnalmente con chiccessia è un reato. Letteralmente. Si parla della legge dell'acceleratore, che tutto regola, nel mondo, e nell'universo, in un modo o nell'altro, in una sua declinazione o in un altra. Si parla dell'economia che alla fine si può riassumere nell'espressione "spremere sangue dalle rape". Cargo di Matteo Galiazzo è come sentire parlare Margherita Hack sotto acido, che spiega l'universo e tutto il resto, in maniera sbilenca, confusa e terribilmente divertente; come seguire i ragionamenti di un ubriaco che sa di essere ubriaco. Cargo è tutto questo e anche altro ma, come spiegato qualche riga più sopra, è un paradosso perchè c'è, esiste, ma non è raggiungibile, Cargo è una terra dell'utopia che possiamo solo scorgere all'orizzonte. Non è facile da spiegare, non è mai facile, ma in questo caso è meno facile del solito. A mio avviso questo libro è un capolavoro. I testi di Galiazzo, che siano romanzi (due, se consideriamo questo, Cargo, un romanzo) o racconti, hanno la caratteristica delle cose di qualità: il tempo non li invecchia. Al contrario, leggendoli, è come se fosse il tempo a riavvolgersi su sè stesso e tornare a quegli anni di fine millennio. Galiazzo è scomparso, letterariamente parlando, dieci anni fa, ed è diventato una sorta di Saliger italiano (scusate la banalità), ma per certi versi è meglio di Salinger, è più visionario: è più Vonnegut ad esempio. Lo sarebbe se volesse esserlo, o se gli interessasse esserlo. Il problema è che da dieci anni a questa parte pare non avere neppure interesse ad essere Matteo Galiazzo, letterariamente parlando. Il problema non è suo, immagino che abbia di meglio da fare; il problema è nostro che siamo costretti a rileggere i suoi pochi libri pubblicati e a sentirci orfani dei suoi paradossi, delle sue follie, della sua mostruosa capacità affabulatoria, e a rimanere in attesa. In verità quest'anno la casa editrice Indiana ha dato alle stampe una raccolta di racconti titolata Sinapsi ("opere postume di un autore ancora in vita"), che riunisce testi già pubblicati in rete o su riviste letterarie (menzione speciale a Il maltese narrazioni), tranne, mi pare, un inedito. E' incredibile pensare che una casa editrice minore sia riuscita in questa operazione e che Einaudi, che all'epoca dimostrò fiuto e coraggio nello scoprire e pubblicare Galiazzo, non si sia neppure posta il problema di riportarlo nelle librerie. Cargo attualmente è difficilmente reperibile (chissà che Einaudi non si decida a ripubblicarlo), ma se vi capita di incapparvi in qualche bancarella o remainder non lasciatevelo sfuggire.

 Matteo Galiazzo è nato a Padova nel 1970 e vive a Genova. È autore della raccolta di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte (Einaudi 1997) e dei romanzi Cargo (Einaudi 1999) e Il mondo è posteggiato in discesa (Einaudi 2002). Suoi racconti sono usciti nelle antologie Gioventù cannibale e Anticorpi (Einaudi 1996 e 1997) e nella rivista «Maltese narrazioni», di cui è tra gli animatori. Quest'anno è tornato in libreria con la raccolta Sinapsi, opere postume di un autore ancora in vita, per Indiana editore.



  Non ho mai letto Tolstoj, né Pasolini, né Salinger, né Hesse, non ho mai letto Pirandello, non ho mai letto Hemingway, Kerouac, Proust, Hugo, non ho mai letto Fenoglio, né Primo Levi, né Carver, né Conrad. Pensate a un autore che ritenete imprescindibile: molto probabilmente io non ne ho letto nemmeno una riga. Attualmente il libro piú bello che ho letto in vita mià è Gödel, Escher, Bach, un'eterna ghirlanda brillante di Douglas Hofstadter. Non è una cosa solo mia: ho scoperto che molti lo considerano il libro piú bello che abbiano letto in vita loro. A volte quando sono in libreria mi metto vicino allo scaffale dove c'è Hofstadter, e spesso passa qualcuno che dice a qualcun altro: « Vedi? Quello è il libro piú bello che abbia mai letto».
Nella mia personale classifica dei libri piú belli, anche nelle posizioni successive non ci sono testi di letteratura:
Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond, La realtà inventata a cura di Paul Watzlawick, Dio e la nuova fisica di Paul Davies, e altre robe cosí.
Nella letteratura ho sempre cercato piú o meno le stesse cose, romanzi in cui storia e ambientazione fossero un pretesto per pagine manualistiche che illustrassero tecniche, tecnologie, mestieri, o visioni extraumane. Ecco, mi piacciono i libri che spostano il genere umano dal centro del pensiero.
Insomma, sono stato un lettore di letteratura soprattutto a causa della mia pigrizia, perché i romanzi fino a una certa età erano piú invitanti dei manuali e dei saggi, tutto andava giú piú facilmente. Perché leggere un noioso manuale di procedure di volo quando invece puoi prendere una copia di
Staccando l'ombra da terra di Daniele Del Giudice?
La cosa strana a questo punto è che io mi sia messo a scrivere narrativa, dato che della narrativa mi interessano questi aspetti piuttosto marginali. Perché, mi potrebbe chiedere uno, perché ti sei messo a scrivere racconti e romanzi e non manuali di questo e di quello? Perché a pochi è consentito scrivere un manuale. A chiunque, invece, è consentito scrivere un romanzo, non ci sono controlli cosí severi. Allora eccomi qua.

Matteo Galiazzo

mercoledì 3 ottobre 2012

Sotto questo sole tremendo, di Carlos Busqued, Atmosphere libri

  Cominciamo: squilla il telefono e Cetarti viene a sapere che sua madre è morta, ammazzata, e suo fratello pure, e così il convivente della madre, di cui Cetarti ignorava l'esistenza: tipico caso di omicidio-suicidio. Prima di rivolgere contro di sè l'arma, l'omicida, s'era tolto la dentiera, dopodichè s'era sparato un colpo in testa. Cetarti prende atto della nuova situazione che gli si pone di fronte e torna a concentrarsi su un documentario sulla pesca dei calamari giganti. Poi: Cetarti si mette in viaggio e giunge nel Chaco, a Lapachito, l'ultima residenza della madre e del fratello (residenza di cui lui non sapeva nulla), e si incontra con Duarte, curatore delle ultime volontà, amico ed ex commilitone (avevano militato nell'aeronautica insieme) dell'omicida-suicida, visiona le foto della strage, entra nella casa dove sono stati trovati i cadaveri e si mette d'accordo con Duarte per scucire un po' di soldi all'assicurazione del convivente della madre. Poi, più o meno, succede di tutto e niente, al contempo. Vengono fumate un numero imprecisato e comunque mostruosamente alto di canne, la televisione è - quasi - costantemente accesa su canali che trasmettono documentari di ogni tipo, facciamo conoscenza di uno scimunito di nome Danielito, figlio del morto, e amico piuttosto inconsapevole (a tal punto inconsapevole da esserne complice) di Duarte, vediamo morire la madre di Danielito e Danielito gettarne le ceneri nella tazza del cesso, incappiamo in una quantità di animali ed insetti più o meno ripugnanti che per lo più fanno una brutta fine, seguiamo Duarte rapire persone per poi chiederne il riscatto, disseppelliamo il cadavere di un bambino di nome Danielito, ammiriamo Cetarti spendere le proprie giornate ciondolando davanti al televisore, rubricando immondizia (unico lascito del fratello), studiando una specie di salamandra d'acqua dolce e nutrendosi di cibo spazzatura. Dicono che sia la fine del mondo, questo libro, la quintessenza della novela negra, e Busqued che sia una sorta di fenomeno. Non so. L'unico fatto incontestabile è che ci troviamo immersi in un mondo di squallidi perversi (perversi lunatici!, ma non picari), addirittura inconsapevoli della propria infima bassezza, persone (se così si possono definire) incapaci di porsi un orizzonte più ampio di uno spinello, un documentario alla tv (puntualmente frainteso), e un fascio di pesos che li porti fino al giorno dopo, totalmente anaffettivi, inadatti a qualsiasi livello di empatia. L'attenzione morbosa, lenta, tipica degli sballati, ai particolari più insignificanti e un certo sadismo nei confronti di animali ed insetti (ma pure di persone, anche se si tratta di un sadismo involontario e, soprattutto, inconsapevole) rende i personaggi del romanzo dei serial killer in nuce. E' come se fossimo noi a seguire un documentario alla televisione, un documentario lento ed incoerente su rifiuti umani che, poco alla volta, passo dopo passo, si muovono verso un futuro da assassini psicopatici e il particolare terribile che salta agli occhi di noi spettatori è che non c'è nulla di strano, nulla di grandioso nè di malvagio in questo percorso da larva a farfalla omicida. Solo squallore. Il livello di vita psichica ed interiore dei personaggi non è superiore a quella di un calamaro gigante o di uno dei tanti insetti ripugnanti che circolano per il romanzo, al punto che una vera differenza tra le due categorie sembra non esserci. Si muovono in mezzo ai rifiuti senza una vera motivazione che non sia la soddisfazione delle necessità primarie, cibo e droghe sostanzialmente (nel caso in questione le droghe sono da considerarsi giocoforza necessità primarie), non arrivano da nessuna parte e non vanno da nessuna parte, forse vorrebbero partire, ma non possono, non sanno dove nè come e, casomai uno di loro riuscisse a raggiungere il Brasile (terra nè immaginata nè sognata, solo che "ci vanno tutti") il suo problema principale sarebbe avere la tv via cavo in camera. La pornografia come oggetto di studio dell'elasticità del corpo umano, i documentari come tentativo (miseramente fallito) di elevere la propria capacità di attenzione, la morte come scocciatura o come risorsa per mettere insieme due soldi. Esseri che si muovono incorentemente all'interno di un giardino, di un acquario, di un quartiere o di una città o, infine, in quell'enorme scatola aperta che è l'Argentina. A rimettere un po' di ordine in tutto questo caos primordiale ci penserà una mucca, "con un'aria pacifica e leggermente incuriosita", e al proposito non dico una parola di più. In effetti è un noir o novela negra che dir si voglia, ma non c'è tensione, al massimo una certa sensazione di ribrezzo, non c'è disvelamento nè ricerca, non c'è sesso se non visionato su videocassette pornografiche, in realtà non c'è niente, forse, una certa dose di ironia triste insita nella idiozia connaturata nei personaggi. E' come se ci trovassimo di fronte ad un prodotto pulp scaduto, fuori tempo massimo, anni dopo la fine ufficiale del periodo d'oro del pulp. Se mi ricorda qualcosa - ma stiamo parlando di un ricordo sbiadito, come un riflesso che mi giunge alla vista dopo essere rimbalzato su un numero imprecisato ed alto di specchi sporchi e, taluni, rotti - posso dire che mi riporta alla mente Bestie, di Magnus Mills, più che altro per il vuoto assoluto che permea dall'interno i protagonisti, ma Mills era un'altra cosa. Che poi l'intera storia di Sotto questo sole tremendo possa essere letta come una metafora delle recente storia argentina (Duarte e il morto erano piloti militari, il muro elettrificato della casa del fratello di Cetarti, il rapimento di persone innocenti) mi pare onestamente una forzatura.
  La cosa assolutamente fuori dalla norma, e con questo intendo dire "superiore alla norma", è la copertina di Francesco Sanesi: se la fissate bene, potete indovinare già tutto ciò che troverete nel resto del romanzo.


Classe 1970, Carlos Busqued (è il signore ritratto qui accanto, anche se nella foto assomiglia terribimente a Maurizio Landini) ha fatto parlare di sé con Sotto questo sole tremendo, sua opera prima. Blogger, collaboratore di piccole e strane riviste, Busqued scrive con una prosa che ha permesso alla stampa di avvicinarlo a Raymond Carver. Ma non è il caso di aspettarsi uno stile minimalista. Al contrario, Busqued usa un linguaggio turpe, grasso, che va dritto al cuore dell'espressione, senza fronzoli e senza troppe inutili spiegazioni, retto da una struttura narrativa più che solida, che non toglie il fiato dal collo del lettore. Sotto questo sole tremendo è stato già pubblicato in Germania e Francia. Il suo blog lo potete trovare qui: borderlinecarlito.