"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 29 giugno 2013

Intervista a Valeria Luiselli, Sarzana 21 Giugno 2013

Venerdì 21 Giugno a Sarzana (La Spezia) c'è da poco stato il terremoto, anche se nessuno sembra darsene troppo peso, non in centro, a quest'ora, e io sono in anticipo "cinque minuti - ciinque" sull'inizio della presentazione dell'ultimo libro della scrittrice messicana Valeria Luiselli (seconda tappa italiana dopo Roma e prima di Firenze) e al contempo in ritardo di un'ora e mezza scarsa rispetto alla medesima presentazione di Carte False, l'ultimo libro pubblicato in Italia della scritttrice messicana Valeria Luiselli, che fa seguito a Volti nella folla, il suo precedente libro nonché caso letterario internazionale, entrambi pubblicati da La Nuova Frontiera Editore. Non sto a spiegare oltre, ma alla fine si rivelerà una fortuna. Comunque, quando arrivo, fuori dalla libreria Il Terzo Luogo in cui è prevista la presentazione del libro incontro un gruppo di signore che parlano tra di loro; l'aria che aleggia tra me e il gruppo di signore e tutt'intorno a noi per il centro storico, e giù fino al mare e, alla rovescia, alle spalle della città, verso le alture, è un tantino troppo fresca considerando che siamo alla fine di Giugno, ma in fondo anche questa è una fortuna. Dò una sbirciata all'interno e mi arrischio a domandare se mi trovo nel posto giusto.

  Dal momento che il posto è quello corretto ma l'orario no, la proprietaria della libreria si muove a compassione e si fa in quattro, contattando qualcuno dello staff che segue la Luiselli nel suo tuor italiano spacciandomi per un giornalista che vorrebbe farle un'intervista. Io, a dir la verità, non sono un giornalista e mi sarei accontentato di un paio di domande, ma tant'è. Tempo un minuto, mi ritrovo in una minuscola piazzetta seduto tra l'Editore e l'Autrice (e una serie di persone a me sconosciute tra cui la signorina gentilissima che si è fiondata a prelevarmi alla libreria e mi ha conodotto in loco, e un ragazzo con una gran barba nera) e, a questo punto, obbligato mio malgrado a sfoderare una serie di domande il più possibile sensate e attinenti argomenti almeno vagamente letterari atte a dimostrare se non proprio il mio status di giornalista, comunque di esperto del settore. Se non esperto, almeno amante dell'argomento.In realtà credo di dare l'impressione di essere un tipo strambo caduto lì per caso, tra loro, da chissà dove. Con estremo esercizio di cortesia i presenti non lasciano trasparire di essersi resi conto del mio imbarazzo nè di null'altro e mi fanno sedere come se fossi una persona normale appartenente ad una delle categorie fittizie poco sopra elencate. Comunque, ad ogni buon conto, per evitare spiacevoli fraintendimenti, preferisco subito specificare di non lavorare per le Pagine Culturali di Repubblica, ma di scrivere per il presente Blog (e rimane difficile trasmettere lo stupore e l'emozione di scoprire che l'Autrice conoscesse - per essere più precisi: aveva l'impressione di averlo già visitato - il già citato presente Blog (anche se mi rimane il dubbio che la sua sia stata una forma estrema di cortesia - o di ironia sottile e devastante - forse tipicamente messicana))


  Valeria Luiselli, giusto per rendere l'idea, è una giovane signora estremamente gentile che parla con una voce sottile e pacata e dà l'impressione (impressione insistente ma per nulla inquietante) di essere un personaggio da lei stessa creato per il suo primo libro Volti nella folla (e in un certo senso è così, se l'avete letto sapete cosa intendo): lievemente retrò, come se giungesse nel nostro presente da un qualche passato, non remoto, ma relativamente vicino a noi e sempre sul punto di dissolversi nell'aria singolarmente fresca in questo Giugno assurdo, o di spezzarsi in mille pezzi. Fuma sigarette che si prepara da sola con tabacco e cartine e può dare l'idea a chi la vedesse per la prima volta di essere una giovane intellettuale intellettuale intenta a dissimulare la propria superiorità culturale e cerebrale, ma comunque non una scrittrice di successo internazionale nel mezzo di un tour promozionale (vale a dire che non se la tira, e se lo fa, lascia la sensazione di essere estremamente attenta a non farlo trasparire). La piazzetta in cui ci troviamo raddoppia, triplica o forse decuplica l'intensità in decibel del vociare e dei rumori (e se qualcuno nutrisse dei dubbi al riguardo ho le prove registrato che certi bambini possono strillare ininterrottamente e "ad alta inensità" per almeno 18 minuti e 22 secondi) e dopo qualche attimo sparisce (la piazzetta) e mi lascia solo e sospeso a parlare con l'Autrice.

2666 - Il tuo stile di scrittura ne Volti nella folla è molto pulito, essenziale, e conduce i lettori poco alla volta all'interno di una storia estremamente volatile, che col procedere della narrazione viene ad assumere dei tratti quasi onirici, raccontata in una struttura volatile, sperimentale nella sua forma: ci sono stati scrittori che hanno influenzato questa tua forma di scrittura? 

V.L. - Bene, credo che la relazione con gli scrittori che leggiamo sia sempre in divenire... Nel caso di Carte false ci sono una serie di scrittori che sicuramente mi hanno influenzata. Carte false è un libro che è allo stesso tempo una sorta di diario di lettura, una specie di diario di viaggio e di esplorazione di spazi. Gli scrittori che sono presenti sono senza dubbio Robert Walser, poi ad esempio lo scrittore tedesco Sebald, e sicuramente Brodskij, che leggevo costantemente mentre scrivevo. Io mi sono formata come lettrice di filosofia più che come lettrice di letteratura, per questo in realtà sono entrata in dialogo più che altro con diversi filosofi che stavo leggendo in gioventù, in particolar modo Wittgestein, che è un filosofo al quale si avvicinano molti scrittori, che riflette sul linguaggio in modo molto giocoso e libero. Non so se vuoi una lista molto lunga: Robert Walser è uno scrittore che è sempre stato presente nella mia scrittura, anche ora, e che ho continuato a leggere e che rileggo sempre mentre sto scrivendo un libro, e ultimamente i russi, soprattutto ora sto leggendo un russo che si chiama Daniil Charms che mi piace moltissimo, ma che è poco tradotto in spagnolo, in pochi libri. Coincidences è uno dei pochi.

2666 - Wittgestein era uno degli autori a cui era più legato David Foster Wallace...

V.L. - Non ho mai letto Foster Wallace, non tanto come ho intenzione di leggerlo in futuro...

2666 - Mi colpisce il fatto che tra gli scrittori che hai citato non ci sono latinoamericani mentre mi pare di vedere nella tua scrittura, soprattutto nelle strutture che utilizzi, molto della Nuova Letteratura Latinoamericana: la ricerca di forme nuove e diverse che vanno oltre la struttura standard del romanzo classico.

V.L. - Io da parte mia non ho in testa un particolare programma che prevede di scrivere libri necessariamente diversi dalle forme convenzionali, se non che cerco di scriverli mantenendo un'unità (stilistica) coerente. Il modo che ho di comporre la narrazione è sempre dettato dalla storia che sto raccontando, e trovare la forma più appropriata mi richiede molto tempo, perché il modo di narrare emerge poco alla volta che incontro la storia che sto narrando, ma in effetti non ho una forma programmatica di scrivere un libro già pensando di utilizzare una forma che sia per forza diversa da quelle convenzionali. Non mi sento legata a questa necessità. Ma, mi parlavi dell'assenza di scrittore latinoamericani nella mia scrittura?

2666 - Al contrario, mi stupiva la loro assenza nel tuo elenco di scrittori di riferimento.

V.L. - Nel mio elenco eh?... Beh, non so... Per esempio nel mio romanzo Volti nella folla, mentre lo scrivevo lessi, rilessi più che altro, Juan Rulfo, che è uno scrittore messicano che seppe giocare molto bene con la forma in un romanzo che manteneva nello stesso spazio vivi e morti, e che seppe rompere il tempo e lo spazio in un'unica forma, e io l'ho potuto trasformare in una struttura che è diversa dalla sua ma che solo leggendolo mi ha permesso di trovare uno spazio di libertà per modulare Volti nella folla. Però in effetti sono cresciuta leggendo autori di lingua spagnola, come ovviamente Cortàzar e Borges, che furono letture fondamentali, che mi riempirono, ma che non erano scrittori che tenevo presente mentre scrivevo.

2666 - Hai fatto riferimento ora a Borges e Cortàzar che sono tra i grandi padri della letteratura latinoamericana, tu ora invece vieni inserita in quell'ondata di nuovi scrittori che vengono indicati sotto l'etichetta Nuova Letteratura Latinoamericana (nella quale personalmente inserisco anche il Giornalismo Letterario Latinoamericano). Ti senti parte di quest'onda o esterna ad essa?

V.L. - Credo che ci sia... Voglio dire, ci sarebbe da separare diversi aspetti in questa domanda, perché da un parte c'è la nuova onda che deriva dallo sforzo editoriale di commercializzare certa letteratura; non sto parlando de La Nuova Frontiera, penso piuttosto a queste liste che si fanno, gli elenchi di Granta, e in definitiva da questa concezione mi sento assolutamente indipendente ed esterna. Non ho nemmeno con la maggioranza (di questi scrittori) un reale dialogo. Le generazioni letterarie si costruiscono sempre così, attraverso cataloghi che vengono composti da agenti ed editori, e in questo senso non sento un particolare un particolare dialogo con questa idea di generazione però, dall'altro lato, sì ci sono una serie di scrittori latinoamericani coi quali intrattengo una corrispondenza quotidiano, di cui leggo i manoscritti e che a loro volta leggono i miei, e in questo senso mi sento sicuramente parte di un gruppo di persone con le quali c'è un sentimento comune e uno scambio continuo del nostro lavoro. 

2666 - Questo libro, Carte False, non l'ho ancora letto, ma mi pare che anche in questo caso non si tratta di un romanzo convenzionale.

V.L. - Esatto, in realtà non è neanche un romanzo, è una sorta di libro ibrido che alcuni hanno letto come romanzo e altri hanno letto come un libro di racconti di finzione e altri ancora come un libro di saggi. Insomma è un libro ibrido.

2666 - Feltrinelli (di Pisa, nel resto dello Stivale lo ignoro) lo espone in Saggistica, anzi, per essere più precisi in Critica Letteraria.

V.L. - Sono scelte editoriali. E' un peccato. In Messico per esempio viene esposto nei ripiani di Narrativa. Ma non è certamente un libro di Critica Letteraria.

2666 - Un romanzo, diciamo così, "classico" non fa parte delle tue corde e quindi lo eslcudi anche in futuro, o è qualcosa che stai tenendo da parte per un altro momento, un'altra storia?

V.L. - Come dicevo prima, non ho un programma razionale al riguardo della forma tradizionale o meno del romanzo, io credo che ogni storia ha bisogno di una struttura particolare e se mi capiterà di raccontarne una che necessita di una struttura classica, la scriverò. Non ho una posizione ideologica al riguardo, o inamovibile, ma abbastanza libera.

2666 - In America Latina è più facile in questo momento riuscire a pubblicare per un giovane scrittore, magari anche permettendosi di esordire con un romanzo chiaramente letterario come il tuo?

V.L. - Credo che non sia mia facile riuscire a pubblicare, per nessuno, però in effetti in tutta l'America Latina, in particolare in paesi come l'Argentina, il Messico, la Colombia e il Cile ora ci sono molte case editrici indipendenti che sono più propense a rischiare a pubblicare libri che le grandi case editrici non pubblicherebbero mai.

2666 - Un'ultima domanda, soprattutto legata al nome del Blog e alla mia personale passione letteraria: cosa pensi dell'opera di Bolano?

V.L. - Cosa penso riguardo l'opera di Roberto Bolano? Bene, per cominciare non sono una lettrice avida di Bolano, non l'ho letto tutto: il fenomeno di lettori che hanno letto tutto ciò che Bolano ha scritto è relativamente recente. Insomma, in effetti non l'ho letto tutto. La prima cosa sua che ho letto è stata i Detective Selvaggi, ed è stato fondamentale, soprattutto la prima e l'ultima parte, non tanto le interviste, là dove credo che sia, dopo La regiòn màs transparente, di Carlo Fuentes (in italiano: L'ombelico della luna, Il saggiatore, 200, Net 2006), sia, i Detective Selvaggi il grande romanzo della letteratura del Messico: è una testimonianza internazionale fondamentale della letteratura contemporanea latinoamericana. 2666 anche, l'ho letto in introduzione inglese perché dovevo scrivere delle cose riguardo certe letture particolari, e poi ho letto alcuni saggi, che mi sono piaciuti. Credo che Bolano sia stato una figura importantissima che ha liberato la letteratura latinoamericana, o l'immagine che si aveva della letteratura latinoamericana nel mondo anglo-ispano. E' stata la figura grazie alla quale finalmente abbiamo posto termine al realismo magico e a quelle cartoline che avevano incarcerato la nostra letteratura in uno spazio chiuso, e ha inaugurato un'era nella quale gli scrittori più giovani possono muoversi la di fuori di questa vecchia etichetta. Curiosamente però ha significato anche un altro piccolo carcere per i nuovi scrittori latinoamericani, perchè non c'è modo che non ti paragonino, in quanto scrittore latino, a Bolano, o per mettere in evidenza le differenze o per fare un'equiparazione. Spero che si possa superare in fretta questa fase di "piccoli Bolanini".

2666 - Perchè, a tuo parere, sembra che i grandi libri della letteratura messicana siano scritti da autori non messicani: Bolano per i Detective Selvaggi, Lowry per Sotto il vulcano?

V.L. - Bene, Sotto il vulcano è un buon esempio, ma non è così certo, perché La regiòn màs transparente, di Carlos Fuentes, è il Grande Romanzo Nazionale Messicano. E ci sono poi scrittori meno conosciuti, ma non sconosciuti ai lettori latinoamericani, come Salvador Novo e Alfonso Reyes...

  A questo punto, una signora seduta al "nostro" tavolino, si alza e saluta, seguono baci, abbracci e ringraziamenti che durano il tempo necessario perché l'Autrice prenda fiato, mi sorrida e mi chieda, per cortesia, di terminare qui l'intervista, che è comunque molto di più di quello che avrei potuto sperare se fossi arrivato in orario rispetto all'orario effettivo e non su quello teorico. Il terremoto è come se non ci fosse mai stato, e lascia dietro di sé solamente una bava fresca di brezza notturna che è come se arrivasse, ppiù che non da un altro luogo, da un altro tempo: Aprile, ad esempio.



L'autore del blog e dell'intervista ci tiene a ringraziare: la proprietaria della libreria Il Terzo Luogo (non appena riuscirò a scoprire i suoi dati anagrafici li riporterò prontamente), il signor Lorenzo Ribaldi, nonché Editore, che in questo caso si è messo a disposizione anche come "correttore di bozze" e "procacciatore di foto", e ovviamente la signora Valeria Luiselli, per la pazienza, la cortesia innata e il buon grado coi quali si è sottoposta alle mie domande come se in realtà a fargliele fosse stato davvero un inviato delle Pagine Culturali di Repubblica.             

sabato 22 giugno 2013

Ogni storia d'amore è una storia di fantasmi, vita di David Foster Wallace, di D.T.Max, Einaudi stile libero

  Scrivere una biografia è niente più niente meno che un puro e semplice esercizio di follia. Questo per gli ovvi motivi che sono connessi con l'atto stesso di voler ridurre una vita all'interno di un certo numero più o meno alto di pagine. Per quanto si riesca ad infilarci dentro, nell'ordine giusto dato dall'importanza degli avvenimenti per la persona che li ha vissuti (e già questo è un atto tutt'altro che scontato), ciò che rimane tagliato fuori sarà comunque una mole enorme di fatti, momenti, sensazioni, minuti, vissuti interni che, comunemente, chiamiamo appunto vita. Ciò che poi rimane incluso, dev'essere ovviamente interpretato (dalla sensibilità dell'autore, dalle testimonianze di chi fu vicino al soggetto biografato, ecc.) e la psicologia c'insegna che neppure il soggetto stesso può essere un buon interprete di sè stesso, ovvero della sua vita interiore (e delle conseguenze che questa riverbera sull'esistenza pratica, sociale, interrelazionale, professionale, ecc.), in questo senso si potrebbe dire che ogni biografia è una storia di fantasmi, perchè è una forma di detection in cui l'oggetto della ricerca sono le ombre che l'essere umano (quel certo essere umano biografato) ha lasciato sul suo cammino, fantasmi appunto, ectoplasmi di quello che fu, segni ed indizi di qualcosa che, comunque, resta inafferrabbile per definizione. In questo caso particolare, l'impresa è una follia all'ennesima potenza, dal momento che la vita da scandagliare è quella di un genio. Peggio, o meglio, quella di un genio sul limite, forse non tanto della follia quanto del disturbo mentale, come David Foster Wallace. Se vi dico che alla fine muore, non svelo niente. Questo è uno dei vantaggi delle biografie, non bisogna porsi troppi problemi a non svelare dettagli e particolari; per tutto il resto è un casino. Perchè una biografia dovrebbe essere degna di lettura e un'altra no? Dipende solo dal tipo di vita che viene narrata? Ovviamente no, non solo., anche se tendo a pensare che la biografia di un lattaio morto di crepacuore a cinquantacinque anni a giù di lì, con moglie e due figli adolescenti sia quasi automaticamente meno interessante di quella di un terrorista internazionale come Carlos, ad esempio, ma il succo sta da un'altra parte, e in questo la vita di D.F.W. certamente ha aiutato l'autore di questo libro. Sta nella scelta degli episodi riportati e nel valore da assegnare ad ognuno di essi. In questo senso, D.F.W. è stato prodigo. Figlio della piccola borghesia, di due genitori all'incirca nella norma, come possono esserlo molti altri, con una sorella più piccola, Amy, D.F.W. si rivela fin da piccolo, se non proprio un bambino prodigio o un piccolo genio, comunque un bambino dotato di un'intelligenza fuori dal comune. Come spesso accade, da qui i problemi. Mente acutissima e affetto da un mania di perfezionismo assoluta, soprattutto nell'analisi dei processi mentali suoi ed altrui, viene presto colpito da attacchi di panico violentissimi che causano i suoi primi ricoveri in strutture apposite. Pur brillando per i risultati, si vede costretto a dover interrompere gli studi al college per curarsi e finirà per dipendere a vita da farmaci specifici che saranno, in un certo senso, causa della sua morte prematura, proprio quando, in un eccesso di ottimismo, crede di potervi farne a meno. In mezzo sobbollono le dipendenze dalle droghe e i relativi (e successivi) processi di disintossicazione, i libri, il postmodernismo, Pynchon e DeLillo, il sesso promiscuo vissuto anch'esso come una dipendenza, la scrittura (una dipendenza anch'essa, anche se in certi casi dolorosissima da mettere in pratica, sempre per via del suo perfezionismo maniacale, in special modo da mettere in pratica con metodo e dedizione assoluta), le lettere agli amici scrittori (Franzen e DeLillo su tutti), le amicizie nate nei programmi di disintossicazione, di meditazione o di preghiera, il disconoscimento del postmodernismo come soluzione a cosa e come e, soprattutto, perchè narrare e il riconoscimento dell'ironia postmoderna come il male dei nostri giorni, le collaborazioni con le riviste, il tennis, Infinite jest, il successo ed il senso di colpa che questo porta con sè, la fine dei problemi economici, il distacco ed il silenzio dalla famiglia, la crocifissione della madre identificata come l'origine dei suoi mali, i suoi cani, l'insegnamento cercato, agognato, poi vissuto come limitativo e castrante, e infine nuovamente visto come benefico e rigenerante, l'insegnamento come atto morale e, soprattutto, la parabola di un uomo con un intelletto fuori dal comune che avrebbe avuto tutti i motivi per fuggire da sè stesso e che, al contrario, ha preferito martoriarsi pur di non venire mai meno alla propria autocoscienza, e (poi, in più), all'analisi di questa autocoscienza e delle sue conseguenze. E' un uomo che guarda sè stesso (e già questo fa tremare i polsi alla maggior parte degli esseri umani, quando non li porta direttamente alla follia), che poi si allontana e si guarda guardare sè stesso, che riflette su ogni implicazione possibile di ciò che vede e del suo guardarsi guardare e, non contento, studia a fondo il contesto che circonda il suo primo Io, e poi il secondo, e poi il terzo. Si domanda il perchè l'americano medio si rincitrullisca per almeno sei ore al giorno davanti ad un elettrodomestico come la televisione, e perchè, soprattutto, l'americano medio (verrebbe da dire: l'essere umano medio) predilige i programmi spazzatura, e si chiede come queste sei ore giornaliere influiscano sul modo di pensare e di percepire la realtà, e quale tipo di realtà l'abbia condotto a sentire la necessità di tutte quelle ore di fronte ad uno schermo che mostra (quando più, quando meno) il peggio della natura umana. Si pone domande su un sacco di cose, da quelle apparentemente più banali, come le grandi fiere agricole regionali o il mondo della pornografia, a quelle più insondabili e terribili.
  Sempre che esistano risposte univoche e definitive, quelle che ha trovato D.F.W. non dovevano essere delle più incoraggianti.
 D.T.Max, ci conduce in un viaggio affascinanate e terribile, del quale è bene rimanere spettatori per non correre il rischio di lasciarci travolgere dal quel vortice che, assieme ad una serie di capolavori che ci ha lasciato a testimonianza di quanto sia complesso e terribile vivere, ha trascinato D.F.W. in un gorgo affascinante e doloroso per lasciarlo infine appeso ad una trave di casa sua, il 12 Settembre 2008. E' una biografia ben scritta, non solo per gli appassionati di D.F.W.
  Chi la leggerà, sono quasi certo che comunque lo diventerà (appassionato).

 D.T.Max è nato e cresciuto a New York. Dopo essersi laureato a Harvard, ha cominciato la sua attività lavorando per il New York Observer, il New Yorker e in New York Times Magazines.
Il suo libro precedente era un saggio dal titolo The Family that Couldn't Sleep. A Medical Mistery (2007). Attualmente vive in New Jersey.
Qui potete trovare una sua intervista per il sito Archivio David Foster Wallace Italia.