"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 29 gennaio 2013

Lire 26.900, di Frederic Beigbeder, Feltrinelli editore

Per dirottare un aereo, pare sostenesse nientemeno che Gramsci, bisogna - ovviamente - salirci a bordo. Questo libro, edito per la prima volta in Francia nel 2000 da Editions Grasset & Fasquelle (quindi si colloca prima di quella linea spartiacque che è stato l'11 Settembre 2001), è la storia di un copy (abbreviazione di copywriter, vale a dire un creativo che lavora in ambito pubblicitario) che sogna di dirottare un aereo, e di dirottarlo scrivendo un libro, il libro che in effetti poi ha scritto e che qui sto recensendo. Mentre appunta gli avvenimenti che follemente si susseguono nell'agenzia pubblicitaria per cui lavora e le riflessioni dettate dallo sdegno che lo anima e che formeranno parte del libro finale, i fili e gli inneschi della bomba che sta mettendo insieme per far saltare un mondo che non riconosce se non come ingiusto e demente oltre che patologico e demenziale, il protagonista, Octave, si domanda se il suo persistere all'interno della cabina di comando sia davvero un "salire a bordo", per dirla con Gramsci, o se piuttosto non sia un atto di vigliaccheria ipocrita puro e semplice. Fa parte del sistema perchè è l'unico modo per sovvertirlo, o si illude di voler sovvertire un sistema nel quale nonostante tutto sguazza e oscenamente ci si arrichisce? Le riunioni che si susseguono nevroticamente per decidere il claim (leggi slogan) e il packaging, il video, il payoff e non so quant'altro per una campagna pubblicitaria il cui cliente è un'importante produttore di formaggio magro, le idee che vengono partorite e poi bruciate in un nanosecondo, le frasi fatte, i tic e le nevrosi del mondo della comunicazione ci vengono mostrate dall'interno, in soggettiva, in una situazione in cui autore e protagonista si confondono (e piacevolmente ci confondono). Gli esempi che Octave adduce (seducendoci) per far capire la mostruosità di quel mondo in cui vive sono la parte migliore del libro: i fondi pensione dei ricconi di Miami pagati dai lavoratori dell'Europa intera, l'uso delle tecniche pubblicitarie a fini propagandistici fatto da Goebbels, la registrazione di marchi assurdi come la felicità o il colore blu da parte di grandi multinazionali, e via discorrendo (non vado oltre perchè, essendo l'aspetto più interessante del libro, non ha senso spiattellarli qui in bella mostra, rovinando così il piacere della lettura). I fatti, i dati ed i meccanismi che sottendono la realtà della pubblicità sono snocciolati come meglio non si potrebbe e bastano poche pagine per far comprendere al lettore di come la pubblicità sia una macchina da guerra che si muove in un territorio di guerra durante tempi di guerra, per vincere le nostre resistenze e convincerci di come quell'arma così seducente abbia modificato le vite di ognuno di noi e ne abbia distorto la percezione che ne abbiamo (sia della vita che della realtà). Riassunto: non siamo più schiavi costretti con la forza dal sistema a rimanere tali, siamo schiavi inconsapevoli di esserlo che chiedono al sistema di tenerli soggiogati. Amiamo le nostre catene, perchè le nostre catene sono lucide, brillano, paiono d'oro, sono trendy e siamo noi a spaccarci la schiena ogni giorno per potercele permettere, per esibirle al mondo o anche solo ad uno specchio o in un supermercato: questo è l'insegnamento che il sistema ha tratto dal fallimento della grandi ideologie e conseguenti dittature del novecento. Uno schiavo che sa di esserlo e patisce la propria condizione, prima o poi troverà il modo di liberarsi, l'ideale è uno schiavo inconsapevole, apparentemente beato della propria condizione, ebete. E questo risultato il sistema ha capito come ottenerlo: con la pubblicità, quella cosa che studia l'uomo per fotterlo, per vendergli "tutta quella merda", per citare l'incipit del romanzo. Fin qui, dicevo, tutto bene. Cioè tutto male, ma il romanzo si rivela notevole e di piacevole lettura, la realtà scende a patti con la finzione e vi si adatta alla perfezione. Poi però cambia qualcosa. E' come se ad un certo punto l'autore avesse sentito la necessità di tornare coi piedi per terra lasciando che la struttura narrativa prendesse il sopravvento su quanto di reale era stato fino a quel momento ben amalgamato alla fantasia, e qui cominciano i problemi. Perchè il libro scade nel banale, nelle frasi ad effetto usate da Beigbeder con sapienza, ma anche con la furbizia tipica del copy, come se la seconda parte del libro mettesse in pratica quanto esposto nella prima al solo scopo di rendere più appetibile il libro indirizzandolo verso un target ben preciso (uso certi temini non a caso).
Octave, che già è stato lasciato (si è "lasciato lasciare") dalla findanzata incinta, Octave che prima abusa e poi si disintossica dalla cocaina, Octave che frequenta, pagandola cifre astronomiche, una prostituta per poi ammirarle gomiti e palpebre, viene coinvolto in vortice abilmente costruito (ma neppure poi tanto abilmente) in cui sesso, dandismo di maniera, amoralità e immoralità si susseguono fino a giungere alle estreme conseguenze che si concretizzeranno in un suicidio ed in un omicidio. Maledettismo di facciata, cinismo trendy e colpi di scena improbabili e stridenti, niente più.  Poi, da un certo punto in avanti, la storia si fa confusa e sfuma nell'onirico (con un tentativo poco riuscito di sfociare nel poetico) e non si capisce più se il dirottatore alla fine lo ha dirottato, l'aereo, o se al contrario c'ha preso gusto ed ora lo sta pilotando.
  Poco importa, perchè non è quella la questione, nè il punto di forza del libro. La storia in questo caso va considerata, come e più che in altri libri, come un semplice pretesto per descrivere e criticare (condannare) un certo mondo, per metterci in allarme e lanciare un razzo di segnalazione nel bel cielo blu: per urlarci: scendete fin che siete in tempo! Tutto il resto, la storia diciamo, il plot o come diavolo vogliamo chiamarlo, è un insieme di controluoghi comuni utili semplicemente ad arrivare alla fine del libro.

Frederic Beigbeder nasce da una famiglia piuttosto agiata: sua madre Christine de Chasteigner è traduttrice di romanzi rosa, mentre suo padre Jean-Michel Beigbeder è reclutatore di talenti. Diventato redattore in una grande agenzia pubblicitaria, Beigbeder collabora anche come critico letterario in alcune riviste come Elle e Paris Match.
Nel 2000, conscio che la pubblicazione gli avrebbe causato il licenziamento, dà alle stampe il romanzo che gli è valsa la celebrità, Lire 26.900 (titolo originale francese: 99 francs), impietosa denuncia del mondo della pubblicità divenuta un caso editoriale con 380.000 esemplari venduti.
Nel gennaio 2003, la casa editrice Flammarion propone allo scrittore di cambiare fronte e di diventare editore. Da quel momento ha pubblicato circa 25 libri.
Il suo romanzo Windows on the world, che si ambienta nelle Torri Gemelle di New York durante gli attentati dell'11 settembre, gli è valso il premio Interallié 2003. Il romanzo stesso è in corso di adattamento cinematografico da parte del regista anglo-francese Max Pugh.
Beigbeder è divorziato ed ha una figlia, Chloë. Dal 2004 al 2007 è stato unito sentimentalmente all'attrice francese Laura Smet.

mercoledì 23 gennaio 2013

Gli onori di casa, di Alicia Giménez Bartlett, Sellerio editore

  A volte i misteri si nascondono nelle cose apparentemente più banali. E in questo caso c'è da domandarsi come sia possibile che dei gialli per lo più classici, affrontati da una coppia di poliziotti come è doveroso che accada in un qualsiasi giallo (un giallo classico appunto) seguendo la classica dicotomia uomo-donna, com'è possibile che dei libri che ad una prima occhiata sono quanto di più normale ci si può aspettare, poi alla lettura diventino tutt'altro? Lo stile, ad esempio, in questo caso, nel caso specifico della Bartlett, non è nulla di strordinario, all'apparenza, certo non sembra uscito da una qualche scuola di scrittura creativa, usa una abbastanza classica prima persona singolare, non si perde in barocchismi o neobarocchismi o sperimentalismi vari, non usa strutture particolari, niente flash back, l'autrice se ne sta ben nascosta dietro i suoi personaggi e non si rivolge mai direttamente all'autore, quando i personaggi parlano tra loro lo fanno con un banale virgolettato. Non c'è niente, all'apparenza, che possa spiegare come sia possibile che i libri della Bartlett ci strattonino già dalle prime righe e poi ci portino via con loro fino all'ultima pagina, senza darci modo di decidere i ritmi e le pause, gli stacchi, niente, neppure di riprendere fiato. Si apre il libro, e quello prende il sopravvento. Quando poi si chiude l'ultima pagina, allora si scende dall'ottovolante e ci si ritrova a dispiacersi al pensiero che il prossimo libro, ora, chissà tra quanto esce. Finora non ho fatto riferimento a questo libro in particolare, Gli onori di casa, perchè i libri della Bartlett della serie dedicati a Petra Delicado li ho letti tutti e posso assicurare che mi hanno fatto tutti la stessa impressione o, per meglio dire, la stessa malìa. Pedra Delicado era un avvocato che poi decide di entrare nella Policia Nacional per amore delle costruzioni teoriche e deduttive perfette che sono necessarie per risolvere i casi, pensava lei, diciamo quindi per una sorta di passione per i giochi intellettuali. Ma si rende presto conto di essersi sbagliata di grosso. I casi si risolvono consumandosi le scarpe a furia di camminare da un lato all'altro della città, Barcellona, e interrogando i sospettati, più e più volte e poi, alla fine, spesso quando si riesce a giungere alla conclusione corretta, ci si arriva o per caso, o per un errore del colpevole o per una semplice e banale intuizione. Il suo vice si chiama Fermìn, un popolano come ama definirsi lui, che si fionda in ogni bar a portata di mano in preda ad attacchi omerici di fame e di sete. C'è da dire una cosa ad onore dell'autrice: i suoi protagonisti non sono travagliati da passati tragici ed ingombranti o misteriosi e osceni, non hanno una doppipa vita oscura e peccaminosa, sono persone normali. Hanno una vita famigliare (Petra Delicado è al suo terzo marito e Fermìn alla seconda moglie), hanno figli propri o acquisiti, già adulti o ancora bambini, cadono in tentazione e a volte vi cedono, hanno dei caratteri ben precisi e assolutamente non immuni da difetti, al contrario, ma non sono, nè l'uno nè l'altra, portatori di particolari filosofie di vita (che non siano il mangiare tanto e bene di Fermìn), di visioni della realtà, credo politici o religiosi: sono persone normali, con i loro dubbi (molti, specie Pedra, anche se il suo carattere forte tende a mascherarli) e le loro poche ma granitiche certezze. Dopo qualche pagina hai l'impressione di averli già conosciuti da qualche parte e quando arrivi alla fine del libro avresti voluto conoscerli davvero. Poi c'è l'ambientazione, Barcellona, nulla di più commerciale, editorialmente parlando, eppure è una Barcellona che non ha nulla a che vedere con quella di Montalbàn o di Gonzalez Ledesma: è contemporanea, moderna, pare assistere allo svolgersi dei fatti mentre è indaffarata in mille altre faccende. La Barcellona di Ledesma è soprattutto una Barcellona prima idealizzata e poi riportata alla luce attraverso gli occhi di Mendez, siamo nel presente, ma la vediamo com'era (o come Mendez la ricorda) nel passato: una città oscura e romantica, piena di battone dal cuore d'oro, pensionati ammuffiti e nostaligici franchisti o, al contrario anarchici, orfani traviati, pervertiti non privi di una loro poesia e cani di strada che si spulciano al ritmo del riflusso delle onde in lontananza. La Barcellona della Bartlett è quella che può conoscere chiunque salga su un aereo domani - destinazione El Pratt o Girona - e vi trascorra una settimana. In questa indagine, però, lo scenario cambia e i due si troveranno a lavorare anche in Italia, a Roma, seguendo le piste che portano ad un sicario pazzo che cinque anni prima ha fatto fuori un imprenditore del tessile catalano. Parte tutto da un cold case, l'apparente omicidio dell'imprenditore di cui sopra da parte del pappone-fidanzato di una giovane prostituta con la quale il vecchio industriale stava consumando un rapporto. Ma, ovviamente le cose non sono mai quelle che sembrano, e alla fine, passando per oscuri intrecci con la malavita organizzata italiana, si giunge ad un finale di tutt'altro tipo (o livello o lignaggio). Non potendo dire molto di più circa la storia per ovvi motivi, mi limito a consigliarlo spassionatamente, questo libro, e mi spingo fino a consigliare di leggere anche gli altri libri della serie, sempre pubblicati da Sellerio. Il perchè non lo so, ma sono veramente appassionanti.

 Alicia Gimenez-Bartlett è nata ad Almansa nel 1951 e vive dal 1975 a Barcellona. Laureata in Letteratura e Filologia Moderna, ha insegnato per tredici anni letteratura spagnola e, dopo il successo dei suoi romanzi, ha deciso di dedicarsi completamente alla scrittura. Prima di ottenere infatti un enorme successo in patria con i romanzi Ritos de muerte e Dias de Perros la Bartlett ha pubblicato diversi libri: con Una abitacion ajena, che racconta il difficile rapporto tra Virginia Woolf e la sua cameriera, ha vinto nel 1997 il premio Feminino Lumen per la miglior scrittrice spagnola. Si è poi dedicata alla serie con protagonista l’ispettrice Petra Delicado, che l’ha consacrata in Spagna come una delle più seguite e amate gialliste. In Italia è considerata una Camilleri spagnola per la vivacità della scrittura e l’originalità delle storie.

domenica 20 gennaio 2013

L'angelo dell'abisso, di Ernesto Sabato, Sur edizioni

  L'angelo dell'abisso (titolo originale Abaddon el exterminador) è il terzo capolavoro di Ernesto Sabato, seguito e conclusione de Il tunnel (1948) e Sopra eroi e tombe (1961). Immagino ci siano un sacco di cose da dire al riguardo, ma è piuttosto complicato metterle insieme perchè L'angelo dell'abisso non è un libro convenzionale (sempre che i capolavori lo siano, ma in questo caso è anticonvenzionale anche rispetto alla "categoria" dei capolavori): si sussueguono un sacco di scene, di nomi, di andirivieni nel tempo, di conversazioni, elucubrazioni, articoli di giornali, narrazioni pure e spurie, di personaggi che risalgono ai suoi precedenti romanzi, ma alla fine sembra che non sia accaduto niente. Quantomeno niente che non sia sogno o, per essere più precisi, incubo. Non è un libro facile, ma è un libro imprescindibile, quantomeno per chi voglia sondare a fondo il mistero del male nel mondo e nella storia. Lo stesso Ernesto Sabato compare come personaggio, sia indicato come Sabato che semplicemente come S., e funge in qualche maniera come tratto d'unione tra i vari personaggi che abitano questo romanzo-non-romanzo: è lui che ci accompagna tenendoci (o tenendosi) per mano in questo lungo tunnel scuro che è in una qualche misura la sua anima e la sua visione del mondo: un incubo con i tratti della veridicità o, all'opposto, una realtà ritratta con le stigmate dell'oscurità onirica. Difficile dirlo, perchè a volte, sopratutto se si fa riferimento ai suoi altri libri, anche a Prima della fine (la sua autobiografia), si ha l'impressione che Sabato ci parli di qualcosa di terribilmente reale e mostruoso, a tal punto terribile da vedersi costretto a dargli forma di narrazione fantastica, ma la narrazione fantastica è così ben congegnata e a tal punto credibile da farci sospettare che stia descrivendo non la realtà mascherata ma un incubo narrativo. Se poi si pensa che questo libro è stato scritto nel 1974 e nella sua parte finale riporta le descrizioni vivide e precise fino all'assurdo di torture di regime che l'Argentina avrebbe vissuto solo due anni dopo, si viene percorsi da brividi. E' come se Sabato, che presiedette la commissione d'indagini Nunca Màs sui crimini perpetrati dalla dittatura, avesse fatto un salto nel futuro - nel suo futuro e in quello del suo paese - e avesse registrato le testimonianze dei sopravissuti ai campi di tortura e poi fosse tornato indietro a scriverne. O come se già all'epoca lui sapesse cosa sarebbe successo, e intendo dire che lo sapesse non come proiezione di un'analisi del presente, ma lo sapesse perfettamente, per filo e per segno, come se qualcuno che preparava il colpo di stato e il susseguente regime (qualcuno all'interno della P2, o del vaticano, o dell'esercito, o del corpo industriale, o degli U.S.A.) gli avesse anticipato i piani di ciò che sarebbe successo. Ma da questo punto di vista Sabato è molto reticente, addossa le colpe delle brutture del mondo, come già in Sopra eroi e tombe, ad una misteriosa setta di ciechi (come già in Sopra eroi e tombe, nel famoso Rapporto sui ciechi), che però, proprio per la sua natura segreta ed esoterica, sembra rimandare ad altro di molto simile, qualcosa come ad una loggia, o all'incarnazione antelitteram delle attuali teorie del complotto del nuovo ordine mondiale, degli illuminati (luce che i chiechi non possono vedere o luce che rende ciechi?) e chi più ne ha più ne metta. Paranoia, il male incarnato nella storia, Sabato che si muove in una Buenos Aires cupa che sembra presagire ed attendere inquieta ciò che di lì a poco le toccherà vivere sulla popria pelle, i personaggi dei suoi romanzi che vi si aggirano come formiche su un cadavere. E' un romanzo oscuro, per molti versi e ancora maggiori sensi: è difficile da seguire, e quando ci si riesce (o si crede di esserci riusciti) ci si domanda se l'ipotesi che ci è balzata in testa sia frutto della nostra follia o se fosse in fondo il reale messaggio che l'autore ha voluto inviarci, come a metterci in guardia da una bestia orribile e famelica che ci ostiniamo a fingere di non vedere, a dimenticare a causa del terrore che ci incute, ma che non possiamo cancellare, che è con noi, vive nei recessi delle nostre ombre dall'inizio dei tempi e, pare dirci Sabato, non ci lascerà mai. Non ci resta che aprire gli occhi - non essere ciechi, non rimanerne accecati - e combatterla, giorno dopo giorno, con le armi che abbiamo, nella speranza di evitare l'inevitabile, cioè il ripetersi delle tragedie (sempre le stesse, sempre uguali, sempre banali), ben sapendo che sarà impossibile. Questo è il nostro destino e, se non ci sono altri significati, questo è la spiegazione del perchè del nostro transito terreno. Una spiegazione che, forse, è assurda tanto se non di più del vivere senza conoscerne il perchè.

Ernesto Sabato ha vinto il premio Cervantes nel 1984, e nel 2007 è stato candidato al Nobel. Ha scritto nella sua vita solo tre romanzi: Il tunnel (1948), Sopra eroi e tombe (1961) e L'angelo dell'abisso (1974). In italiano è possibile trovare, oltre Il tunnel (Feltrinelli), Sopra eroi e tombe (Einaudi) e L'angelo dell'abisso (Sur), anche Prima della fine (Sur) e Lo scrittore e i suoi fantasmi (Meltemi)

martedì 15 gennaio 2013

Banksy L'uomo oltre il muro, di Will Ellswoth-Jones / Wall and piece, di Banksy, L'ippocampo editore


Cosa c'è dall'altra parte del muro o, per meglio dire, chi è l'uomo al di là del muro? Il meccanismo è lo stesso che porta Leopardi a fantasticare sull'infinito oltre la siepe: la siepe ti dà il senso del finito e tutto ciò che c'è oltre diventa giocoforza infinito. L'identità di un individuo lo connota e dunque, in un certo senso, lo limita: Banksy è ciò che campeggia oltre la siepe, è la mancanza di indentità, cioè l'infinito, vale dire che si trasforma in quello spazio informe entro il quale la fantasia può reclamare libero sfogo e scatenarsi. Banksy è un artista o è l'arte? E' un graffiti artist (o stencil artist o street artist) o è la stessa graffiti art (o stencil art o street art)? Il tema dell'identità priva di confini misurabili si intreccia in questa biografia (ovviamente non autorizzata) con il tema dell'arte, dell'arte per tutti, dell'arte di strada e del mercato dell'arte, del denaro e della fama che il successo porta inevitabilmente con sè e dei dilemmi morali che ne conseguono. La scrittura di Ellsworth-Jones è indubbiamente elegante, e ha il pregio di non essere altezzosa, scivola via al servizio del contenuto, ma non è certo una scrittura letteraria, e Banksy L'uomo oltre il muro non ha nulla del romanzo (e infatti non lo è), ma al contempo è assolutamente narrativa. Fascinosamente narrativa. Ci racconta la storia di un uomo di cui non conosciamo praticamente nulla, se non le sue opere (per questo rimando a Wall and piece, e lo consiglio vivamente), e di cui quel che poco che sappiamo sono testimonianze e a volte addirittura semplici congetture di chi l'ha conosciuto, o dice di averlo conosciuto, e di chi ha lavorato con lui in tempi in cui Banksy non era nessuno. Ora, è una star planetaria, un nome che ha creato un mercato dove mercato non esisteva, che ha dato lustro ad una forma d'arte - la street art - che forse avrebbe preferito rimanere nell'anonimato ribelle e romantico di un certo vandalismo da strada. Banksy è l'uomo che, nato in una filosofia che prevede che le opere siano di tutti, alla portata di tutti e abbiano una durata limitata, si trova d'un tratto, forse suo malgrado, obbligato a gestire e controllare ogni aspetto della propria attività, dal mercato delle opere da lui certificate, a quello delle opere a lui semplicemente attribuite, alla comunicazione coi media fino all'organizzazione di eventi e di mostre. Vive nella contraddizione di dovere (e volere) controllare ogni aspetto della sua produzione quando il credo della street art è l'esatto opposto. Deve convivere con il peso della ricchezza quando la street art considera sè stessa come una forma d'arte totalmente gratuita. Deve gestire una fama mondiale e al contempo garantirsi l'anonimato. E', questo libro, la fotografia di un insieme di contraddizioni che si scontrano tra loro nel miracolo incredibile di riuscire alla fine a convivere tra loro, e queste contraddizioni tutte insieme formano poco alla volta un'immagine, che è l'immagine di Banksy appunto, ma che per quanto affascinante possa risultare rimane una foto fuori fuoco, l'ombra scura proiettata da un cappuccio sul volto di un uomo che non possiamo vedere e che - speriamo - non vedremo mai (non vi dice niente il nome di Benno Von Arcimboldi o quello di B. Traven?). E qui troviamo uno dei risvolti più interessanti del libro e che non riguarda direttamente Banksy quanto piuttosto i suoi fans (quindi ciò che possiamo definire "altro da Banksy"): quando un giornale ha pubblicato delle foto che pretendevano di ritrarre il vero volto di Banksy, la gente ha sommerso il sito del giornale accusandoli di aver rovinato tutto. Il fascino di un mistero che, per assurdo, non funziona in quanto in attesa di essere svelato ma, esattamente all'opposto: un mistero che emana fascino perchè deve rimanere tale. Un gran bel libro che, letto dopo aver avuto modo di vedere l'opera (o, per meglio dire, le opere: vedi Wall and piece) di Banksy, ci catapulta direttamente in un mondo che credevamo lontano, quello di un'arte di strada che spesso è confuso (e a volte invece lo è veramente) con l'imbrattamento, col vandalismo, e ci accompagna in un viaggio nel genio di un artista che con immagini semplici e provocatorie riesce a parlare direttamente alla gente (e non solo al cuore ma, cosa non disprezzabile, anche al cervello), a tutta la gente, all'esperto d'arte, al laureato, al notaio, così come al ragazzino che non sa neppure chi sia Van Gogh, al muratore come alla casalinga.
  Un genio senza lineamenti.

 Will Ellsworth-Jones è uno dei più grandi giornalisti inglesi. Caporedattore, poi corrispondente da New York per il Sunday Times ha ricoperto in precedenza posizioni di primo piano nello staff per il Telegraph, The Indipendent e Saga. E' autore di We will no fight, un saggio sugli obiettori di coscienza della prima guerra mondiale. Vive a Londra.





Qui di seguito il film documentario (ma ovviamente, parlando di Banksy si tratta di qualcosa di più di un semplice documentario e di difficile catalogazione) Exit Trought The Gift Shop, di Banksy, finalista ai premi oscar 2011.