"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 27 novembre 2011

I falsificatori / Gli illuminati, di Antoine Bello, Fazi editore

  Il romanzo incomincia con tale Gunnar Eriksson che assume tale Sliv Dartunghuver nella società di studi ambientali che dirige, a Reykjavìk. La società, è solo una copertura. I due personaggi ce li porteremo avanti per mille pagine, fino ad ora almeno, ignoro se sia previsto un terzo libro per poter assurgere al grado di trilogia, ma potrebbe benissimo essere. Ora, due personaggi maschili, e uno femminile, Lena Thorsen, di una bellezza algida e calcolatrice, in nord europa, a Reykjavìk. Non è un giallo nordico, per fortuna. E non è un noir nordico, sempre per fortuna. Apro una parentesi, quando parlo di romanzo mi riferisco ad entrambi i libri, vale a dire I falsificatori e Gli illuminati, perchè in realtà è esattamente ciò che sono, parti diverse di uno stesso romanzo, pubblicati in momenti diversi per ovvie ragioni commerciali. Sliv verrà convocato da Eriksson che gli proprorrà di entrare a far parte de CFR, vale a dire del Consorzio di Falsificazione della Realtà. Da qui in avanti incomincia la storia vera e propria, che in realtà non è importante, come quasi mai lo sono le storie in sè: ci saranno personaggi che si aggiungono, coppie che si formano, momenti di tensione, tentativi di comprendere sè stessi, pericoli veri o presunti per la propria o altrui incolumità e via discorrendo. Vale a dire ciò che ci si aspetta da un romanzo che possa avvincerci. C'è tutto. Tutto quanto diluito in mille pagine. La vita non come la conosciamo ma come vorremmo che fosse: interessante, avventurosa, sorprendente. Ciò che non è la nostra: noiosa, piatta, banale. Ma non è questo il centro pulsante della narrazione. Il punto di fuoco del romanzo è la capacità di mettere seriamente in dubbio il nostro modo di vedere il mondo. Se la cagnetta Layka non fosse mai stata spedita in orbita? Se Cristoforo Colombo non fosse lo scopritore del continente americano? Se. Se. Fino a qui, non ci troviamo di fronte ad una rivoluzione copernicana, in fondo internet è pieno di teorie del complotto o revisioniste. Esiste, in questo romanzo, un ulteriore slittamento di senso: se invece il complotto fosse stato applicato non a posteriori per mettere in dubbio una verità acclarata, bensì giorno per giorno per crearne di nuove che diverranno esse stesse verità ufficiali? Se il ritocco della realtà servisse a far emergere la verità di un avvenimento, altrimenti soffocato dalle varie cortine fumogene delle innumerevoli ragioni di stato (politiche, religiose, economiche e geopolitiche)? Chi è dunque che dà il senso con cui interpretare la realtà, e perchè? Quali sono i fini del CFR?  Che cos'è il CFR? Una multinazionale segreta della contraffazione, potrei definirla così, e credo che non sbaglierei di molto, sempre volendo ammettere di aver sbagliato. Sliv è uno scenarista, il migliore della sua generazione. Sceglie un argomento, decide come cambiarlo, individua i punti nodali sui quali è possibile ammorsare la nuova storia, e la cuce su misura. Gli scenari possono essere di piccola, media o enorme portata, e avere risvolti minimi o epocali. L'importante - l'essenziale direi - è che lo scenario sia perfetto, che non abbia punti deboli. Inattaccabile. Poi, al lavoro dello scenarista si somma quello del falsificatore. Lena Thorsen è una falsificatrice, la migliore della sua generazione. Il falsificatore studia lo scenario e verifica tutti i punti che necessitano di pezze d'appoggio reali. Inserisce falsi documenti negli archivi, procura testi inesistenti di bibliografie inesistenti. Redige certificati di nascita e morte. Modifica le dichiarazioni di personaggi storici creando falsi articoli di giornali, e via discorrendo. Gli scenaristi mettono insieme la storia, e quindi modificano il senso e la direzione della realtà, i falsficatori forniscono pezze d'appoggio affinchè la storia si trasformi in realtà. Il CFR ha antenne sparse per il mondo, le antenne sono le sedi, ogni sede ha una sua funzione specifica. Un'immensità di uomini e donne che hanno lavori di copertura ma che in realtà tramano per dare un senso alla vita. Quale senso, però? Sliv e Lena si scontreranno e si perderanno lungo tutto l'arco del romanzo (dei due libri, delle mille pagine), si attrarranno e si respingeranno, facendosi male e forse provocandone. Metteranno in piedi scenari e li renderanno reali. Sliv si costuirà una rete di poche ma salde amicizie, ma sempre, in fondo, rimarrà aleggiante la domanda di fondo. Qual'è la vera ragione d'esistere del CFR? La sua ragione sociale, diciamo. Il suo obiettivo? Dove vuole arrivare? Cosa vuole fare del mondo? La risposta a questa domanda è il vero motore che regge e permette al romanzo di evolversi e di crescere per accumulazione. e quando finalmente ne saremmo messi a conoscenza, noi e Sliv, una vertigine ci riporterà alla domanda primigenia dello stare al mondo. Perchè? Perchè la guerra in Iraq? Il CFR vuole la guerra in Iraq, o la vuole ostacolare? Ha creato scientemente delle false prove per avallarla o qualcuno dal suo interno ha tradito? Il CFR è bene o è male?
  E' difficile definirlo, questo romanzo, perchè non è un giallo, non è una spy story, non è un romanzo main stream, forse (e sottolineo forse) lo si può considerare un romanzo di formazione. Potrebbe essere un romanzo filosofico, ma ha una struttura troppo commerciale per esserlo realmente, e una scrittura scorrevole ma piatta, priva di slanci. Però rimane imprescendibile ugualmente, al giorno d'oggi. E' una riflessione che unisce diversi generi su cosa sia la realtà e su cosa stia dietro di essa, sul significato che hanno le nostre vite e su quello che noi stessi decidiamo di porvi. La verità, intendo il concetto stesso di verità, invece viene scardinato nel breve volgere di poche pagine, e gettato alle ortiche come un qualcosa di vecchio e ormai inutilizzabile.

Antoine Bello, nato in Canada, cresciuto in Francia e ora residente negli Usa, è autore di Elogio del pezzo mancante, pubblicato in Italia da Bompiani.
  I falsificatori e Gli illuminati sono stati avvicinati alla poetica di Borges, ma non vi hanno nulla a che vedere.

lunedì 14 novembre 2011

La gamba sinistra di Joe Strummer, di Caryl Férey, e/o edizioni

  A McCash manca l'occhio destro, perso in un pub di Belfast, sfondato dal calcio di un fucile, ma questo è un avvenimento di molti anni prima, quando ancora credeva nell'Ira. Poi è finito in Francia e si è ritrovato a fare il poliziotto. Adesso, nel momento in cui facciamo la sua conoscenza, è steso su un lettino con un dottore che lo rimprovera per non aver mai pulito la sua protesi (l'occhio di vetro), e per non averla mai cambiata. McCash è scosso da dolori lancinanti che gli perforano la cavità oculare e gli strapazzano il cervello, la sua "bestia" personale. Da sotto la benda di cuoio nero gli sgorga liquido giallastro che non lascia intendere nulla di buono. McCash è stanco, rassegna le dimissioni ad un passo dalla pensione, ripensa amaramente alla moglie che lo ha abbandonato (con tutte le ragioni, tra l'altro). E' il classico tipo che, per noia o per destino, le donne le ha perdute. Come ogni noir che si rispetti sta raschiando il fondo dell'esistenza, con le unghie, quello strato putrido di sozzura che si accumula inevitabilmente col passare dei giorni, a voler vivere. Ed è ad un passo da premere il grilletto che spazzerà via ogni cosa, sozzura, esistenza e tutto il restante. Quando apre una busta. All'interno della busta c'è una lettera. La lettera lo mette al corrente di avere una figlia, Alice, una bambina speciale dice la lettera, che aggiunge che la madre della bambina, la scrivente, sta per morire di cancro, lasciando la bambina da sola nel mondo. Aggiunge dove trovarla, e lo prega di prendersene cura. Poco dopo essere giunto in incognito nel paese dove la bambina risiede presso una famiglia temporanea, McCash s'imbate nel cadavere di una bambina di poco più piccola di sua figlia, portata dal fiume, con un passamontagna rosso in testa. Caryl Férey pare sia uno dei nomi di punta del noir francese (polar), anche se qui da noi prima di questo libro è stato tradotto solamente Zulu, per la Mondadori (attualmente disponibile nella collana Piccola Biblioteca Mondadori). Ha vinto tutti i premi francesi dedicati alla letteratura noir. Eppure a me non sembra totalmente un noir, questo La gamba sinistra di Joe Strummer, anche se lo è, ma non a tutti gli effetti. Dopo il ritrovamento del cadavere della bambina ovviamente si innesca il meccanismo dell'indagine che andrà a scavare nelle miserie morali e nei vizi della provincia francese, come da copione. C'è poi anche uno spostamento di scena, in Marocco, secondo la lezione di Jean Christophe Grangé. Eppure non ha nulla del noir alla Derek Raymond, nè tantomeno di quello alla Izzo, come erroneamente rivendicato in ultima di copertina. Nonostante il protagonista sia un duro dal cuore tenero, provato (provatissimo!) dalla vita, sommerso dai rimorsi più che dai ricordi e sempre in cammino su quel terreno che divide la vita dalla non vita, nonostante dissemini la sua strada di morti senza darsi troppa pena, forse proprio perchè la distinzione tra morte e vita per lui non ha più un gran significato, nonostante la bontà umana non la s'intravveda neppure da lontano e il paesaggio sia quasi sempre scuro e piovoso, l'impressione che se ne ha è che non sia un noir. Intendo dire un noir per davvero. Il nucleo del male, non lo si sfiora mai. C'è il vizio, c'è la corruzione, c'è la violenza, ma il vero centro nero dell'esistenza pare non essere mai messo a fuoco. Alla fine, la causa della morte della bambina col passamontagna rosso e di tutte quelle che verrano in seguito a cascata si verificherà essere semplicemente grettezza, non però avulsa da un coacervo di sentimenti addirittura positivi seppur distorti.Il vizio e le perversioni di provincia (uguali identiche ai vizi ed alle perversioni delle metropoli), non sono altro che un'occasione, e non hanno nulla della grandezza del male, sono solo passatempi che aiutano a rimanere vivi, a vincere la noia, ad intessere relazioni di potere o ricattatorie. Il male vero, sarebbe a dire il mare di morti che ne consegue, compreso quella della bambina, è una sorta di danno collaterale non voluto e non previsto da nessuno dei protagonisti. Eppure questo libro è una lettura piacevole (e anche in questo non è un noir che, per sua stessa natura, è disturbante), scritto non in maniera eccelsa ma certamente trascinante, con un'ottima scansione delle scene ed un buon ritmo. Per dire, poi, quanto non sia noir, termina in un finale che potrebbe quasi essere una sorta di happy end.
  Un bel giallo, solido anche quando pare non esserlo, capace di trasciare il lettore nell'oscura provincia francese e nelle sue perversioni, seguendo un protagonista che è bidimnesionale al punto giusto per farci da Virgilio nel suo personale inferno.
  La sua qualità, dicevo, non si trova nella qualità della scrittura, buona ma non eccelsa, nè in altro che riesco ad indentificare, però lascia la voglia di correre a comprare Zulu, l'altro libro di Férey tradotto in italiano, quantomeno per cercare di capire dove risieda il quid che permette all'autore di immergerci nel suo mondo, anche se un po' sgangherato, e a non lasciarci andare fino all'ultima riga.







Carel Férey è nato nel 1967. Si è imposto all'attenzione del pubblico con Haka e Utu, due noir ambientati tra i Maori, per i quali ha ricevuto prestigiosi premi, e con Zulu, pubblicato in Italia da Mondadori nella collana Strade Blu.