"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 23 settembre 2013

Un bravo ragazzo, di Javier Gutierrez, Neri Pozza editore

Rubén Polo, la voce narrante del romanzo, non è un bravo ragazzo. I suoi amici, Chico e Nacho, non sono dei bravi ragazzi, e certamente non lo sono i gemelli. Il titolo del libro è ironico o, forse, rimanda ad un momento lontano nel tempo in cui tutti eravamo ancora puri, bravi ragazzi, e non ci eravamo ancora sporcati le mani con i gangli inevitabili dell'esistenza, a quell'attimo prima che il meccanismo infernale entri in funzione e prenda, lentamente, a schiacciarci, modificandoci fattezze e morale, mandando in frantumi tutta quella costruzione traballante che era la nostra identità. Ma di quell'attimo, nel libro, sappiamo ben poco. La narrazione avviene tutta a posteriori, quando ormai Polo è tutto fuorchè un bravo ragazzo e si trova in qualche maniera a fare i conti con sè stesso e con le conseguenze delle azioni commesse in passato. Il fatto assurdo è che pensa, da qualche parte nella sua testa bacata, di poter giungere ad uno stato di pacificazione con sè stesso, con il mondo e finanche con le sue vittime. Torniamo al presente della narrazione: Polo lavora in banca, è un ragazzo serio, come tanti, è spagnolo ma è andato a studiare negli Usa, e al ritorno ha trovato lavoro nello stesso istituto bancario del padre. Ha una fidanzata stupenda, Gabi, che lo ama e che vive con lui a Madrid. La quintessenza del quadretto di felicità borghese, se non fosse che non riesce più ad avere rapporti intimi con Gabi, e quando ci provano piange. Qualcosa si sgretola dentro di lui e ciò che rimane lo riporta sempre al passato, agli anni novanta, quando era ancora un ragazzo e suonava in un band coi suoi amici, Chico, Nacho e Blanca, la sorella di Nacho. All'epoca erano forti, stavano per giungere alla cresta dell'onda, erano in procinto di incidere il loro primo cd quando ogni cosa è andata in pezzi: ad un tratto, ognuno per la sua strada, Polo negli States, e l'arrivo della polizia, le domande, gli interrogatori e i gemelli che finiscono dentro. Ma dove sta il discrimine, dove si nasconde il punto di non ritorno? Quand'è che le cose hanno cominciato a prendere la piega sbagliata? Con l'approssimarsi della fama, con la consapevolezza graduale dei propri mezzi artistici, con le droghe, con l'incontro coi gemelli? Il momento preciso in cui tutto ha preso a precipitare senza possibilità di porvi rimedio, ha un nome preciso: roipnol. La droga dello stupro. Se una ragazza non si accorge di nulla, allora è come se non fosse accaduto niente. Se non si ricorda nulla il giorno dopo, allora non le si è fatto del male. Il roipnol diventa una dipendenza: vedi una ragazza, ti piace, la inviti ad una festa, la fai addormentare e a quel punto é tua, o di tutti quelli che la vogliono. Giù di sotto giochi alla playstation mentre aspetti il tuo turno, mentre aspetti ti fai di coca, guardi telepredicatori alla tv, non parli, non fai neppure accenno a quello che avviene di sopra, aspetti il tuo turno. E il giorno dopo la voglia torna, aumentata, e la sensazione di potere anche, il senso di onnipotenza e di invulnerabilità ti ottunde la mente, quello e le droghe, e quando conosci una ragazza che ti piace, o che anche solo ti solletica, il roipnol fa la sua parte, e il giro di giostra ricomincia. Cos'è successo anni prima a Blanca: sono stati gemelli? E perchè quel rapporto così tormentato tra Polo e Gabi? Cos'è successo realmente anni prima? Tutto il romanzo è costruito sulla ricostruzione del passato, tassello dopo tassello, saltando tra passato e presente, tra dialoghi tra gli amici che si ritrovano, tra Polo e Gabi, tra Polo e il suo analista, stralci giustapposti di conversazioni e pensieri che si alternano nel corso dello stesso capoverso, spesso all'interno della stessa frase (tecnica in cui è maestro Vargas LLosa). E' una discesa in ben strani (ma realissimi) inferi, dove il male è casuale, leggero, quasi inconsapevole di sè stesso, ottuso dalle droghe, dove alla fine è il carnefice che va a cercare le vittime per ottenere da loro l'assoluzione senza portare però in cambio un vero e proprio pentimento ma solo qualche patetica giustificazione peraltro un filo lagnosa, mezza verità e mezza bugia (o mezza verità taciuta). Javier Gutierrez ci presenta un'analisi sicuramente accattivante ma molto approfondita del meccanismo del senso di colpa e del suo risveglio, ma soprattutto del male e del suo infido insinuarsi nella vita di tre bravi ragazzi, di come il male agisce, e delle conseguenze che apporta nelle esistenze di chi il male perpetra e di chi lo subisce. Un racconto molto ben intessuto, strurrato in modo tale da mascherare la linearità del plot. Una storia del genere avrebbe potuto raccontarla Stephen King, e ne avrebbe tirato fuori un thriller più o meno riuscito; per fortuna la storia l'ha messa su carta Gutierrez, e il risultato è immensamente superiore a qualsiasi best seller avrebbe potuto trarne un qualsiasi (pur bravo e navigato) autore di thriller da scaffale.

Javier Gutiérrez (Madrid 1974), laureato in Economia presso l'Universidad Complutense de Madrid, ha lavorato come economista e pubblicitario. Ora scrive a tempo pieno. È autore di Lección de vuelo (premio Ópera Prima de Nuevos Narradores 2004) e di Esto no es una pipa (premio Salvador García Aguilar 2009). È anche il vincitore del premio di narrativa breve José Saramago 2008 e finalista del premio Tiflos de relatos 2010, a cui ha partecipato con lo pseudonimo di Rubik, in omaggio al famoso creatore del cubo.

giovedì 12 settembre 2013

Le sparizioni, di Scott Heim, Neri Pozza editore

  Il Kansas come provincia estrema degli Stati Uniti, una di quelle province dove può accadere di tutto, in qualsiasi momento, e dove in effetti tutto accade, senza peraltro che nulla, apparentemente, cambi. Una cittadina, un luogo lontano, dove l'umanità è quella che può permettersi di essere, vale a dire, solitaria, gretta, in preda alle deviazioni che derivano dal grigiume e dalla mancanza di prospettive, dal sentirsi tagliati fuori non solo dal centro dell'impero, ma da tutto. O forse no, forse si tratta semplicemente di una qualsiasi periferia abitata da persone qualsiasi, e ciò che colora tutto di grigio e di noia è la vita stessa. La voce narrante, Scott, una sorta di pennivendolo che compone storie a buon mercato da stampare su libri per l'infanzia, torna in Kansas dalla madre, malata di tumore, anche se ancora non è consapevole della gravità dello stadio della malattia. Scott è un drogato, ha provato ad uscirne, ma ciclicamente ci ricasca. Sua madre è strana (oltre che malata) e ha la fissa dei minorenni scomparsi, l'ha sempre avuta fin da quando Scott e sua sorella hanno memoria e ha riempito casa di archivi interi e collezioni di foto in bella vista, come se si trattasse della redazione di Chi l'ha visto?. Quando Scott arriva alla stazione dei pullman non trova sua madre ad aspettarlo, ma una sua amica, tale Dolores, una signora all'incirca dell'età della madre e con problemi di alcolismo, che gli spiega quali siano le reali condizioni in cui versa la mamma. Cioè sta messa male, molto male, diciamo che è agli sgoccioli, e la sua testa comincia a delirare, racconta strane storie, una fra tutte relativa al fatto di essere stata rapita, quando era piccola, per una settimana, episodio dal quale deriverebbe la sua mania per i bambini scomparsi. Per Dolores trattasi di vaneggiamenti, sbarellamento di testa; Scott non ne è convinto, quello che sà è che prova una naturale avversione verso Dolores (effetto specchio: tossico che vede riflesso un alcolista, e lo denigra). Arriva a casa, la mamma è ridotta allo stremo, la malattia la sta erodendo. Seguono sensi di colpa da figlio deviato (drogato e omosessuale, e lontano da casa) e successivo tentativo di redimersi mettendosi a disposizione della follia, apparente, della mamma. L'accudisce, la coccola, vive tutto il suo tempo con lei, e l'accompagna nei suoi tour in cerca di giovani svaniti nel nulla. Niente ha senso, l'impressione è quella di galleggiare tra i vaneggiamenti di una donna sull'orlo del baratro, quello definitivo, dal quale non si torna indietro, a meno che non ti chiami Dante o Gesù Cristo. Ma i vaneggiamenti sono solo quelli della madre o sono anche quelli della voce narrante (non è un vero e proprio protagonista, quanto piuttosto un semplice punto di vista, anche se con una sua storia e una psicologia abbastanza ben delineata)? La forzata astinenza non sta minando la percezione della realtà di Scott, esattamente come d'altronde gli accade quando è fatto? Chi è che sta sbrindellando la realtà, o non sono forse tutti e due ad essere sull'orlo della follia? Un giorno Scott scende in cantina, e trova un ragazzo assicurato su un giaciglio con delle catene. Un ragazzo che, scoprirà, somiglia incredibilmente a sè stesso a quando aveva all'incirca quell'età, e che lui e sua madre hanno incontrato lungo una strada alcuni giorni prima caricandolo in macchina, in una scena apparentemente molto simile ad un rapimento. Perchè c'è quel ragazzino in cantina? Perchè le versione che la madre ha raccontato a lui, a sua sorella e a Dolores del rapimento subìto da bambina divergono su moltissimi punti, anche se ne mantengono alcuni inquietantemente fissi?
  Vediamo di spiegarci: c'è il mistero, quello stesso senso di enigma irrisolvibile e in qualche modo terribile che deriva da ogni scomparsa irrisolta e che compatta attorno allo schermo il vasto pubblico appassionato di trasmissioni come Chi l'ha visto?. Poi c'è la detection, la ricostruzione, passo per passo, degli eventi così come si svolsero a suo tempo, il mettere insieme un passato che dovrebbe giocoforza spiegare il presente, e svelare il mistero, ma si tratta di una detection complicata dagli stati alterati di coscenza di Scott e di sua madre, e dai loro rapporti e dai nodi che questi rapporti hanno creato negli anni. E qui, in questi diversi livelli magistralmente sovrapposti ed in particolar modo in quest'ultimo, quello relativo al gioco di specchi e di sentimenti irrisolti e fiocamente illuminati dalla costante sensazione della fine che si approssima inesorabilmente che sta la bravura dell'autore, il suo gioco di magia. Non fatevi ingannare dal titolo, nè dalla trama a grana grossa: non è un libro sugli scomparsi. Potremmo sostituire gli scomparsi con gli annegati, o con i fantasmi, o con i ricordi di un vecchio cimitero indiano o con l'ossessione per gli ufo, e otterremmo esattamente lo stesso risultato: un ottimo libro su un figlio che guarda la madre spegnersi e fare, a suo modo, i conti con la propria esistenza, e su una madre che sta per morire e che vuole, in un suo modo contorto ma carico di amore, salvare suo figlio dalla sua stessa esistenza (esistenza perduta, o in avanzato stato di perdizione). Per questo nella presente recensione compare spesso l'avverbio "apparentemente", perchè può sembrare spesso che si parli di qualcosa, di qualcosa di misterioso, o di terribile, o di tragico, o semplicemente di tedioso e mediocre, ma in realtà è di una madre e di suo figlio che si sta ragionando, e di come tutti e due si pongono davanti alla morte, affinchè la morte stessa doni un senso non solo a loro, ma soprattutto al loro rapporto genitore-figlio, a tutto quello che è stato e che, di lì a poco, non sarà mai più.

Scott Heim è nato ad Hutchinson, nel Kansas nel 1966. Crebbe in una piccola comunità di agricoltori, e in seguito frequentò l'Università del Kansas a Lawrence, dove si è laureato in inglese e storia dell'arte nel 1989, per poi conseguire un master in Letteratura inglese nel 1991. In seguito frequentò un corso di scrittura alla Columbia University, periodo durante il quale ha scritto il suo primo romanzo, Mysterious skin, pubblicato da Harper & Collins nel 1995 e seguito, due anni dopo, da una seconda opera di narrativa, In Awe.

Egli è anche autore di un libro di poesie del 1993, Saved From Drowing.

Da Mysterious Skin è stata tratto un dramma teatrale che ha esordito a San Francisco; successivamente, nel 2004, ne è stato ricavato un film dal regista Gregg Araki, prodotto dalla Antidote Films. La pellicola fu presentata alla Mostra del cinema di Venezia con grande successo di critica e pubblico. L'opera ha dovuto attendere dieci anni prima di ottenere una pubblicazione in Italia, pubblicato dall'editore indipendente Playground specializzato in letteratura gay, nella collana Liberi & Audaci

Tanto le opere di narrativa, quanto i saggi e le recensioni scritti da Heim trovano frequente collocamento nelle principali riviste di letteratura americane.