"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 26 settembre 2011

Cicatrici, di Gianluca Morozzi, Guanda editore in Parma

In realtà si tratta di due romanzi in uno. Due microromanzi, diciamo. Due microromanzi lunghi; uno un po' più lungo (o meno corto) dell'altro e, in un certo senso, in netto contrasto tra loro. Mi spiego. C'è una storia terribilmente e tragicamente realistica, la storia di Felice (donna) e Nemo Quegg (uomo), che è una storia d'amore disgraziata e maledetta. Forse. Nel senso che forse è una storia d'amore. Come storia invece è senza dubbio tragica e terribile, non ci piove. Per certi versi ricorda le inquietudini e i misteri e i sottintesi del capolavoro di Ernesto Sabato "Sopra eroi e tombe" e la figura di Felice (donna) pare ritagliata su quella di Alejandra, almeno fino ad un certo punto, poi comunque questo Cicatrici non è certo Sopra eroi e tombe. E qui finisce la similitudine. L'intrecciarsi della loro vicenda riesce ad essere tanto realistica quanto onirica. Lui è un tipografo triste che lavora di notte, ogni notte sale sul suo autobus per andare al lavoro e ogni mattina vi risale per tornare a casa. Lei appare sullo stesso autobus come per magia. Lui è brutto, enorme, sgraziato, chiuso in sè stesso e nella reiterazione sorda dei suoi giorni. Lei, no, lei è dolce, eterea, sottile. E misteriosa. Poi, com'è come non è, si conoscono: lui è già cotto da un pezzo e lei pare ricambiarlo. Fino a qui nulla di male. Poi però arriva l'altro, che è suppergiù l'incarnazione del male. Non vado oltre a svelare la trama, però ci tengo a sottolineare che nel pezzo in cui Felice (donna) ricorda e svela il suo lento (o velocissimo) cadere e degradarsi per amore dell'altro mi pare di leggere una netta volontà di riportare, trasfigurandola, una certa realtà al giorno d'oggi molto ben rappresentata nel nostro paese (e non solo): quella del potente che può e vuole tutto, abietto, che considera la donna un oggetto e che si comporta di conseguenza, che gode delle proprie perversioni e della propria impunità. Chiusa parentesi. Poi c'è l'altro microromanzo lungo (un po' meno lungo del primo), che funge da cornice, e che è una storia di reincarnazioni a rotta di collo, vorticose alla fine, una dietro l'altra, un avvilupparsi di karma che si intrecciano e dipanano alla velocità di un battito di ciglia. All'inizio pare fatichino a coabitare, ed in effetti secondo me è così, non coabitano per nulla, ma alla fine della fiera finiscono per funzionare perchè una racchiude l'altra, e quando la prima si conclude ha senso portare a termine la seconda, che quasi lascia sfumare la storia di Felice (donna) e Nemo Quegg in secondo piano, smorzando i termini tragici, guardandola come da lontano, da una spiaggia fredda e immobile sul limitare del tempo.
  Morozzi scrive bene, non lo si può negare. E' dotato di uno stile freddo e calcolato, però in qualche maniera anche fresco e se, nella prima parte della sua carriera, era messo al servizio di storie sgangherate e divertenti di provincia (la sua provincia), a dar voce a giovani sull'orlo di un allegro nulla, una banda di lievi tardoadolescenti felicemente smarriti nel mondo d'oggi, da Blackout in poi ha utilizzato le virtù del suo scrivere per scavare nel lato oscuro dei suoi personaggi. Ci riesce bene.

 
E' uscito da poco il nuovo libro di Gianluca Morozzi, Chi non muore, sempre per Guanda.
  Qui potete trovare la sua bibliografia, nonchè la biografia.

domenica 4 settembre 2011

La ballata di Mila, Matteo Strukul, Edizioni e/o

Ora, questo dovrebbe essere un romanzo pulp (o sugarpulp, secondo la definizione dell'autore) che si addentra e ci illumina sulla realtà criminal-economica del nostro paese; pare che esattamente per questo motivo sia stato scelto (per inaugurare la collana SabotAge) dal curatore della collana Massimo Carlotto, nonchè nome di punta del noir nostrano. Il romanzo è ambientato in quel NordEst tanto caro a Carlotto, e una delle cose migliori che traspare da questa Ballata di Mila è esattamente "l'amore per" e "la conoscenza del" territorio. Grazie alla cura con cui Strukul ce lo descrive, riusciamo a quasi a vederlo e, per la prima volta dopo diverso tempo, ad immaginarcelo differente da quello che balza agli onori delle cronache come una landa medieval-industriale abitata da orde di razzisti medioborghesi incapaci di parlare un italiano corretto e dediti, di solito, ad accumulare soldi e arricchire la cronaca nera nazionale di casi più o meno turpi. Vien voglia di prendere la macchina e visitarli, certi altopiani e certe zone se non proprio descritte comunque accennate: però non è un libro di viaggio, nè un pamplet turistico della regione Veneto. C'è un cinese, tale Guo, che s'è installato nel NordEst per conto di una triade cinese, la 14K, e c'è un tale Rossano Pagnan che è il boss indigeno che gestisce la malavita locale, entrambi ben inseriti nel contesto sociale e politico della zona. Poi c'è Mila, una ragazza piuttosto bella che, deradlock rossi a parte, ricorda molto da vicino la protagonista di Kill Bill, ed è una macchina da guerra alimentata ad odio e vendetta (a giusta ragione, tra l'altro). Senza voler svelare troppo, Mila si inserisce tra le due gang e le mette una contro l'altra, così spiega la quarta di copertina del libro (bella la copertina di Laurenti). In realtà qui cominciano, a mio avviso, le contraddizioni. Cioè, il romanzo si apre con un ammazzamento dei commercialisti di Pagnan da parte della Triade: dunque, deduco che erano già, le due organizzazioni, in guerra tra loro. Quantomeno quella doveva essere con ogni probabilità la prima mossa che avrebbe scatenato comunque il putiferio. La presenza di Mila sulla scena non è spiegabile. Sapeva già della pianificazione dell'omicidio? E come? Dopodichè Mila si mette nel mezzo e prende parte a degli eventi che, ripeto, si ha la netta sensazione che, a logica, si sarebbero verificati ugualmente ed ineluttabilmente. Scorre una quantità di sangue impressionante, senza peraltro che le forze dell'ordine diano segno di vita, come se in realtà tutto ciò avvenisse in una qualche regione selvaggia ed abbandonata all'anarchia del globo terracqueo. Le contraddizioni non sono concluse: ci sono riprese video in soggettiva che vengono viste scaricate su computer comprese delle immagini di chi le ha girate, ci sono monchi che allungano le mani, e avvimenti che non paiono essere proprio ancorati ad una rigida sequenza causa effetto. Un pregio di Strukul è quello di non voler a tutti i costi copiare il suo mentore, Carlotto, e questa per un esordiente è una virtù da non sottovalutare, inoltre riesce a tratti ad utilizzare uno stile che, senza lanciarsi nei personalismi, riesce ad essere parecchio incisivo e, di tanto in tanto, evocativo. Però non sempre. A volte certe frasi lasciano la sensazione di non essere passate attraverso nessun editing (come la questione del monco che porge le mani) e suonano stonate, come certe scene. L'ultima, ad esempio, che più che una conclusione è un aggancio a quella che sarà sicuramente la prossima puntata. E' un romanzo ingenuo, con diverse imperfezioni, nel quale si possono riconoscere i modelli ed i padri, sia cinematografici che letterari, ed è un romanzo che ha come principale difetto il fatto di essere spacciato per quello che non è. Una volta letto non saprete nulla di più della realtà criminale del NordEst (per quello leggete Carlotto) nè di quella italiana o cinese (leggete Genna). Sicuramente è un romanzo che ha la sua forza più sul versante pulp, nonostante tutti i limiti e le ingenuità di cui sopra, ed è un romanzo che si fa leggere con piacere. Solo che, leggendolo, a volte ti trovi ad incazzarti perchè non capisci come certi errori siano sfuggiti prima della pubblicazione. Un po' come un buon film di genere, a basso budget, in cui di tanto in tanto si vede il microfono che ballonzola sul lato superiore dell'inquadratura e che, invece che essere venduto per quello che è, magari un buon noir casereccio, viene spacciato per nouvelle vague italiana. In questo senso trovo totalmente controproducente la tirata di Tim Willocks sul benvenuto a Strukul nella cerchia dei romanzieri folli e via discorrendo, così come gli accostamenti non tanto a Tarantino o Rodriguez (la differenza di medium può mascherare e giustificare certe differenze) quanto a Joe Lansadale (su Victor Gischler non mi sbilancio perchè non l'ho mai letto). Non è Lansdale, nella maniera più assoluta, non adesso, e questo va detto, nel bene e nel male. E' un'altra cosa, Strukul, e sicuramente in futuro sarà qualcosa forse anche di notevole nel suo genere, ma per ora manca la mano sicura (a volte c'è, ma non sempre, e si sente), l'esperienza, e un buon editing. Il punto forte - uno dei punti forti assieme a certe frasi come lampi ed alla descrizione del territorio - è la costruzione del personaggio di Mila. Il suo passato e il suo presente. Il suo look e il suo modo di muoversi e di combattere la rendono una eroina che rimane nella memoria, e se anche i suoi modelli sono piuttosto chiari e facili da rintracciare (Kill Bill, Nikita, Alias, Lisbeth Salander) ciò non toglie nulla alla resa del personaggio che, pur non volendo essere un esempio di neorealismo, rimane un immagine che continua a muoversi nel subconscio del lettore ancora tempo dopo averlo letto. Nonostante tutti i limiti e le contraddizioni sottolineate (comunque comprensibili per un esordiente) ed il fastidio per i paragoni roboanti e - per ora - fuori luogo, rimane un romanzo divertente che si fa leggere volentieri e che lascia presagire un autore interessante per il futuro.



N.B: è interessante notare come certi personaggi borderline femminli, come ad esempio quello di Mila, abbiano avuto modo di venire alla luce solo dopo l'esplosione sulla scena mondiale della Lisbeth Salander di Stieg Larsson.