"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 31 maggio 2019

La lavoratrice, di Elvira Navarro, Liberaria editore, trad. di Sara Papini

  Siamo a Madrid e ci troviamo improvvisamente immersi nella vita di due donne che ai giorni nostri possiamo tranquillamente permetterci di definire giovani, precisamente due donne in bilico su un precipizio. Questo libro, il primo di Elvira Navarro tradotto in Italia, è la cronaca del loro camminare sull'orlo di questo precipizio. Elisa lavora per una casa editrice come collaboratrice, mal pagata e vessata, precaria suo malgrado. Susana, sulla quarantina, è donna misteriosa, sbilenca, perennemente fuori posto nel mondo e nella sua stessa esistenza. Poi c'è Madrid, che è anch'essa una protagonista del romanzo, è anch'essa è misteriosa, oscura, fuori quadro, malconcia e, a suo modo, precaria. Se non fosse stata Madrid ma Parigi, o Roma o qualsiasi altra grande città non sarebbe cambiato molto, o forse nulla. Madrid è il palcoscenico sul quale si muovono Elisa e Susana, ma è anche, e soprattutto, un'immagine riflessa della vita interiore delle due donne: Elisa, in qualche modo irrazionale e forse istintivo, lo capisce, e ci s'immerge. Esce in avanscoperta per le periferie, nei parchi semi abbandonati, nei quartieri abusivi come potrebbe farlo una esploratrice lungo le vie delle Ande o sui sentieri non tracciati della giungla amazzonica, e ciò che scopre potrebbe (o forse dovrebbe) illuminarla e chiarirle qualcosa di sé stessa che, in realtà, non arriva mai a comprendere fino in fondo. Camminare per la città (per quella parte della città che ha in sé qualcosa di post apocalittico, senza che un'apocalisse ci sia stata) per Elisa significa andarsene a spasso per il suo inconscio, guardinga, col fiato sospeso eppure affascinata dal pericolo sotteso al suo investigare. Susana, al contrario, scivola sulla città senza darsene cura e senza rendersi conto di quanto quella città (e forse tutte le città, e forse la folle intera realtà) le assomigli, il suo rapporto con la metropoli si manifesterà in maniera singolare, ricomponendosta su strane mappe di sua creazione che, però, rimangono soltanto una forma mediata ed astratta (e, si vedrà, anche artistica) di aereo contatto con la città. Il libro è strutturato in un prima e un dopo, coerentemente divisi in una prima parte e una seconda parte (c'è ovviamente anche una terza parte, secondo la classica tripartizione della narrazione filmica, ma il cuore del libro è diviso in due, non in tre). Nella prima parte del libro Elisa (lo capiamo dopo un po') ci narra il passato di Susana, fatto di inquietudini e incontri al buio con amanti occasionali raccattati negli annunci dei giornali, di perversioni più o meno sane e più o meno malate, e della relazione di Susana con Andrea un nano dal tocco delle mani miracoloso e dal temperamento malinconico e geloso. E' una vita di promiscuità (non mancano gli incontri di Susana con esponenti del suo stesso sesso) prima dell'avvento dei cellulari, dei social network e dei siti di appuntamenti, quando ancora bisognava mandare l'annuncio al giornale, pagare per vederlo stampato, e dotarsi di una segreteria telefonica per registrare le chiamate. E proprio le voci impresse sul nastro delle segreteria diverranno importanti per Susana, una sorta di ossessione che le inferirà dipendenza, trascinandola sempre più in quel gorgo equivoco ed eccitante, anaffettivo, degli appuntamenti al buio. La seconda parte è il presente, e la voce di Elisa è finalmente libera da orpelli e finzioni, è una voce schietta, pacata, eppure immersa in balbettio di fondo (non stilistico, ma esistenziale) che è il suo modo di avanzare nell'esistenza, a tentoni, priva della sicurezza che la vita adulta non le sa assicurare. E' durante il suo trasferirsi da una casa all'altra, cambiando quartiere, che conoscerà Susana, alla quale subaffitterà una stanza per potersi pagare l'affitto dell'intero alloggio. Il romanzo è privo di un centro gravitazionale vero e proprio, e questo lo rende affascinante: al principio sembra che parli di Susana, ma poi si incentra su Elisa, ma alla fine pare parlare di tutt'e due, ma in realtà parla di altro che non è così chiaro cosa sia. Alla fine quello che emerge è l'atmosfera, un paesaggio interiore che cerca disperatamente degli appigli per rendersi saldo, e invece muta. Certo, ad una prima lettura è un libro che parla di giovani donne e del loro rapporto col mondo precario del lavoro, ma in fondo non è questo il fuoco reale del romanzo, o comunque non è l'unico e forse è solo quello più superficiale. Susana ed Elisa, o Elisa e Susana, sono due atomi, i loro rapporti con le famiglie appaiono inesistenti, o talmente flebili da risultare impalpabili, è come se il loro passato non esistesse e fossero apparse a Madrid già adulte, già complessate (e complesse) senza essere state create da nessuno, aliene atterrate in periferia. Entrambe cercano nella cultura e nell'arte un chiodo a cui appendere il proprio cappello emozionale, ma entrambe si ritrovano ad aggrapparsi anche in questo caso alla periferia di quel mondo che agognano. Si annusano, non si capiscono, si avvicinano, mai troppo, e si respingono, non trovano modo di fidarsi fino in fondo l'una dell'altra: e in questo senso il libro ricorda una storia di fantascienza nella quale, in seguito a qualche calamità non meglio specificata, il genere umano è quasi scomparso, e chi rimane si aggira per le rovine cercando cibo e una logica nuova in una realtà disastrata che, però, ormai ha perso le stigmate grandiose del disastro, ormai vive nel grigiume di una normalità diaria che è impossibile evitare. E' quel mondo postqualcosa che pone le protagoniste di fronte ai dilemmi della vita quotidiana o è qualcosa di più profondo ancora? E' la vita moderna, atomizzata, che le rende monadi in perenne movimento privo di una meta o non è forse un'incapacità a trovare la chiave di lettura di sé stesse? E' il dentro o il fuori? Sono Elisa e Susana o è Madrid? E' il prima o è il dopo? E' il presente incerto e privo di punti di riferimento o è una ferita non rimarginata che si è appropriata del passato? Elisa, la voce narrante, è perfetta nel rimanere in bilico su quel baratro di cui sopra, è la voce chirurgica di una lama che tenta di tagliare la nebbia, una nebbia farmacologizzata che prende il sopravvento (o tenta di farlo) sulla razionalità, una nebbia che è esistenziale, ma densa, vischiosa, e che si posa sui rapporti interpersonali, sulle relazioni, sull'affettività, sulle ferite non rimarginate, sulle ferite vecchie e nuove, sulle famiglie assenti, sulle strade di una Madrid periferica e allucinata, vuota, sul presente che non si manifesta, si marginalizza. Eppure, in questo paesaggio interiore da "terra desolata", l'importante è muoversi, cambiare qualcosa, muovere il proprio pedone sulla scacchiera, anche di poco, anche se è inutile, bisogna interiorizzare le ferite, procurarsene di nuove, cercare di capire, uscire, la notte, ad esplorare la città e sé stesse. In un certo senso, essendo questo romanzo tante cose e nessuna in particolare, può essere letta come un'autopsia su un corpo vivo, infinito, informe.


Elvira Navarro tradotta in Italia per la prima volta da LiberAria, ha pubblicato i romanzi La ciudad en invierno, La ciudad feliz, La trabajadora, Los últimos días de Adelaida García Morales e la raccolta di racconti La isla de los conejos. Ha ricevuto il Premio Jaén de Novela e il Premio Tormenta come miglior nuovo autore, ed è stata finalista per il Premio Dulce Chacón per la narrativa spagnola.