"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 31 gennaio 2012

I dispiaceri del vero poliziotto, Roberto Bolano, Adelphi editore

  Non sono d'accordo, non è un romanzo dannato (nè tantomeno indiavolato, a seconda delle traduzioni che sono state fatte. La traduzione corretta comunque è indemoniato) e il lettore non è il poliziotto affranto del titolo. Dev'essere destino che non sia mai d'accordo con le affermazioni di Bolano circa le sue opere, così come non lo ero quando deprecava Il Terzo Reich  ("una vera merda"), a mio parere un libro magnifico. Ho atteso allo spasimo questo libro che - ci tengo a precisare, perchè in altri blog ho letto che è l'ultimo titolo di Bolano che ci aspetta - non sarà l'ultimo inedito, in quanto deve ancora essere tradotta in Italia la raccolta di racconti El secreto del Mal e quella di poesie La universidad desconocida, l'ho cercato disperatamente in lingua originale per poterlo leggere quanto prima, ma devo essere sincero, sono rimasto deluso. Non tanto - non mi capita mai con Bolano - ma un po' deluso si. Abbastanza. In questo I dispiaceri del vero poliziotto ritroviamo Amalfitano e sua figlia Rosa, scopriamo qualcosa di lui, della sua vita a Barcellona, del suo lavoro  di professore universitario (dei suoi colleghi e, soprattutto, dei suoi studenti) e della sua "fuga" dalla città catalana per evitare una cacciata con ignominia causa le sue spericolate e un po' disperate (o forse no) frequentazioni sessuali. Lo vediamo giungere come un esiliato a Santa Teresa, che sulle prime non prelude nulla di quello che è realmente - un anticamera, o forse il salotto o la camera da letto, o il balcone stesso dell'inferno -, solo una città al confine del mondo, al sud di nessun nord come direbbe Bukowski. Lo spiamo prendere le misure al luogo, alla gente, all'università, alle sue nuove frequentazioini sessuali, lo seguiamo aggirarsi per i vicoli vecchi di Santa Teresa (pagine veramente notevoli, soprattutto in lingua originale, capaci di scavare nella povertà, nell'immediatezza, nei chiaroscuri e nella precarietà di quei vicoli che sono e non sono i vicoli di Genova, di Napoli, di Barcellona, di Lima, di Calcutta, di Rio) e leggiamo la sua corrispondenza lievemente straziata e sempre sporcata da uno scarto di tempo o di senso di troppo, col poeta Padilla, suo amante catalano e prima causa del licenziamento forzato dall'Università di Barcellona.
La scrittura è sempre di un livello elevatissimo e certe descrizioni di luoghi o di momenti estremamente azzeccate, ma la storia s'interrompe mentre ci chiediamo cosa succederà e, al contempo, cosa già sta succedendo. Non lo sapremo mai. La seconda parte è terribile: una serie di riassunti dei romanzi di Arcimboldi, un elenco di nemici di Arcimboldi, appunti da lezioni, questionari ed elencazioni varie. Poi, finalmente, si giunge alla terza parte, Assassini de Sonora, e finalmente la storia torna a scorrere, o forse comincia a scorrere realmente per la prima volta, anche se il balzo temporale è al revés, indietro nel tempo. E seguiamo le avventure di Pancho Monje e Pedro Negrete, storie che s'intrecciano tra loro e con quella di Amalfitano, cominciamo a vedere (o forse ad indovinare) i primi sviluppi, il contorcersi delle storie e dei personaggi su loro stessi, sulle proprie ossessioni e sui propri destini più o meno sfacciati, maledetti, e casuali. Spacciati. Poi finisce. Il fatto che termini senza una fine non è una colpa dell'autore e non è neppure il limite del libro, magari può essere letto come un marchio di fabbrica. La questione è che è squilibrato nel complesso. La parte centrale (io vi ho visto un divisione tripartita, ma i capitoli sono cinque), quella su Arcimboldi, è sicuramente figlia dell'amore dell'autore per le avanguardie e dello sperimentalismo, ma è pure terribilmente pesante e sproporzionata rispetto al resto dell'intreccio ed alla lunghezza stessa del libro. Mi spiego. Si ha la sensazione che se l'autore avesse potuto lavorarci sopra e licenziare il testo terminato, la parte arcimboldiana sarebbe stata della lunghezza e del peso corretto rispetto ad un libro più ampio, di un respiro maggiore, con un intreccio magari non terminato ma lasciato a sospendere nel vuoto ad uno stadio più avanzato, più complesso. Voglio dire che il fatto che sia un libro non terminato lo si sente non tanto dal finale quanto dal complesso della storia e dalla sproporzione delle sue parti.
  Per questo non lo considero tra le opere maggiori nè tra le migliori di Bolano, anche se rimane il fatto che la stragrande maggioranza degli scrittori viventi (e morenti, morti e moribondi) darebbe il braccio sinistro (i mancini) e alcuni quello destro pur di saper scrivere come lui.
  Penso che, comunque, sia un libro adatto a quanti già stimano Bolano, a chi già lo conosce e lo ama, anche perchè potrà scorgervi qua e là sviluppi e personaggi magari solo abbozzati ma già conosciuti in 2666 - questo sì un capolavoro, il capolavoro di Bolano -, in Stella distante, Chiamate telefoniche e I detective selvaggi; chi dovesse cominciare con questo libro ad accostarsi al mondo assoluto e dissoluto, e caotico, dell'autore cileno, temo che avrebbe difficoltà a trovare gli stimoli per affrontare il resto della sua opera. E sarebbe il peccato più grande.

  Aspetto la traduzione de Il segreto del male. Alcuni racconti sono al livello dei suoi migliori e la raccolta in sé è di sicuro valore.

 Roberto Bolano è nato a Santiago del Cile 28 Aprile 1953, ed è morto a Barcellona il 14 Luglio 2003. Semplicemente è Bolano, L'ultimo classico, un Borges elettrico, il cantore del caos e dell'esilio, degli intrecci sospesi, del destino in mano al caso. Se avesse un senso questo aggettivo in letteratura, direi semplicemente: il migliore.
Chi volesse approfondire e documentarsi su tutti gli aspetti legati a quest'autore può andare qui. E' il sito più completo (e complesso) che si possa trovare.

sabato 28 gennaio 2012

I malcontenti, di Paolo Nori; Einaudi editore

Quando ho avuto tra le mani questo libro di Paolo Nori, un paio di giorni fa, mi sono detto che l'avrei recensito quanto prima, e mi era sembrata una bella idea, nuova, come se fosse il primo libro di Nori che leggevo, poi mi sono domandato perchè mai non ne avessi recensito uno suo prima, dal momento che li ho letti (quasi) tutti.
Non ho una risposta. Solo, mi sono ricordato di come sono incappato la prima volta in un suo libro, Mi compro una gilera. Mi era piaciuto il titolo e la copertina, la foto in copertina, che era quella di sua figlia, personaggio che torna spesso nei suoi libri nei panni de l'Irma. Poi da lì in avanti non mi sono più fermato. Mi sono chiesto il perchè. Non lo so. Non so neppure perchè mi è piaciuto questo libro, I malconenti. Vedo di spiegarmi. Se lo leggi per la prima volta, Nori (qualsiasi cosa di Nori), le prime righe ti domandi se questo è scemo o cosa, se ti sta prendendo per il culo o cosa, perchè lo stile è incredibilmente discorsivo, ma non nel senso che fila via liscio, non solo in questo senso, quanto piuttosto perchè è un parlato che nessuno aveva osato proporre in testi letterari, con frasi smozzicate, interruzioni, salti logici, errori sintattici e via discorrendo. Provate a registrarvi quando parlate e poi sbobinate il tutto su carta e potrete rendervi conto di ciò che intendo. Ovviamente poi capisci che quel caos di stampo prettamente orale è stato usato dall'autore in maniera programmatica, in realtà creando un finto caos che dopo un po' (poco per la verità) crea un ritmo tutto suo e ti entra sottopelle. Da quel punto in avanti non hai modo di mollare il testo. Immagino per via del fatto che è un po' come avere l'autore, Nori Paolo, che è lì con te nella stanza e ti parla, ti racconta le sue cose, ti racconta com'è stato quando ha pubblicato il suo primo libro, come sono i suoi amici, com'è la vita a Parma o a Bologna, cosa ha detto o fatto l'Irma, com'è stato trascorrere diverso tempo in un reparto grandi ustionati, in ospedale. Immagino che ci sia chi lo ama follemente e chi lo odia visceralmente: io mi iscrivo al primo gruppo. Un'altra caretteristica sono le trame, che non ci sono, quasi, o quantomeno sono così semplici - fragili verrebbe da dire - che vengono quasi nascoste dai personaggi che popolano il suo universo, personaggi caserecci che, se non sono strambi di propria natura, vengono comunque descritti dall'autore da un punto di vista obliquo, dove le stranezze balzano subito all'occhio e si pongono immediatamente all'attenzione dell'autore e quindi del lettore. E un po' tutto il mondo che Nori descrive nella sua produzione è caratterizzato da questa dicotomia, da un lato è incredibilmente routinario, è esattamente il mondo che conosciamo tutti noi ogni giorno, il panettiere, la mamma, l'amico, il gatto, il datore di lavoro, il fratello, l'amica, il tizio in autobus, il collega, il proprietario del pub, dall'altro è sempre visto e raccontato con uno sguardo puro, un po' singolare, come se il mondo il protagonista lo vedesse per la prima volta, come se tutto quanto fosse visto con gli occhi di una bambina di quattro anni, l'Irma, anche quando in realtà non è l'Irma a parlare. Addirittura anche nei libri in cui l'Irma non era ancora venuta al mondo il protagonista (di solito Learco Ferrari) vive e si nutre di quello sguardo. Il risultato è straniante: ironico, comico a volte, spiazzante e, in certi casi, anche un filo malinconico. Come in questo caso, ne I malcontenti. E' la storia di una coppia (in un'età che fa si che oggi venga definita giovane coppia) che si lascia. Noi la seguiamo nelle sue vicissitudini un po' giornaliere un po' assurde, dal piano di sotto, dall'alloggio di sotto, dove vive il protagonista, che li conosce in quanto nuovi inquilini, entra in contatto con loro in qualità di vicino di casa e, poco alla volta, diventa amico, confidente, collaboratore suo malgrado in progetti assurdi, fino a quando, semplicemente, senza nessun rumore, si lasciano, senza scene madri indiavolate, piatti che volano, recriminazioni, porte che sbattono e via discorrendo. Questa è la storia. La posso riassumere perchè non è un mistero la storia in sè, non è un giallo il cui finale dev'essere preservato, quello che importa è altro, come quasi sempre nei libri e nella vita. E' lo stesso Nori che spiega che questo libro gli porta alla memoria un film di Lubitsch in cui la trama (un uomo innamorato di una donna scomparsa, a cena con un amico, si rende conto che la donna che ama è la moglie dell'amico) viene riportata dai commenti che giungono dalla cucina: dal cuoco, dal cameriere e dal maggiordomo. Penso che questo libro sia esattamente la cucina del film di Lubitsch.
  Qui cambiano i nomi, l'Irma è Una bambina di quattro anni, Paolo Nori-Learco Ferrari è Bernardo (anche detto Bernardo Provenzano) e le città in cui si muovono i protagonisti hanno nomi tedeschi, e non solo le città. C'è Francesco, che l'hanno rovinato gli psichiatri (da non perdere, per motivi differenti e opposti, la sua autobiografia registrata e le interviste a cui lo sottoponeva il protagonista)
  La giovane coppia è composta da Nina e Giovanni. Poi c'è Quello delle scarpe.
  E scoprirete che cos'è (cos'è stato e cosa invece doveva essere) il Festival dei Malcontenti.

Paolo Nori è nato a Parma nel 1963. Ha pubblicato:

 La meravigliosa utilità del filo a piombo (2011), I malcontenti (2010), A Bologna le bici erano come i cani (Ciclopolis) (2010), Le cose non sono le cose (2009), L'accalappiacani. Settemestrale di letteratura comparata al nulla: 4 (2009), Pancetta (Universale economica) (2008), Mi compro una Gilera (I narratori) (2008), Baltica 9. Guida ai misteri d'oriente (Contromano) (2008), I libri devono essere magri (2008), Pubblici discorsi (Compagnia Extra) (2008), Siam poi gente delicata. Bologna Parma, novanta chilometri (Contromano) (2007), Tre discorsi in anticipo e uno in ritardo. Su Calatrava, su Cechov, sulle scimmie, sulla canzone popolare (Narrativa) (2007), La vergogna delle scarpe nuove (Narratori italiani) (2007), Noi la farem vendetta (I narratori) (2007), Le cose non sono le cose (Fernandel) (2006), Storia della Russia e dell'Italia (LDM. Libri di merda) (2006), I quattro cani di Pavlov (2006), Ente nazionale della cinematografia popolare (I narratori) (2005), Pancetta (I narratori) (2004), Learco. In un'ora, nove romanzi in musica con Learco Ferrari, in un'ora. Con CD Audio (Plurale immaginario) (2004), Gli scarti (Super universale economica) (2003), Si chiama Francesca, questo romanzo (Einaudi. Stile libero) (2002), Grandi ustionati (Einaudi. Stile libero) (2001), Diavoli (Einaudi. Stile libero) (2001), Spinoza (Einaudi. Stile libero) (2000), Bassotuba non c'è (Vox) (2000), Bassotuba non c'è (Einaudi. Stile libero) (2000)

sabato 21 gennaio 2012

Godzilla en Mexico, poesia di Rodrigo Fresàn, in Mantra, editoriàl Mondadori

Atiende esto, hijo mio: las bombas caìan
sobre Ciudad de México
pero nadie se daba cuenta.
El aire llevò el veneno a través
de las calles y ventanas abiertas.
Tù acababas de comer y veìas en la tele
los dibujos animados.
Yo leìa en la habitaciòn de al lado
cuando supe que ìbamos a morir.
Pese el mareo y las nàuseas me arrastré
hasta el comedor y te encontré en el suelo.
Nos abrazamos. Me preguntaste qué pasaba
y yo no te dije que estàbamos en el programa de la muerte
sino que ìbamos a iniciar un viaje,
uno màs, juntos, y que no tuvieras miedo.
Al marcharse, la muerte ni siquiera
nos cerrò los ojos.
Qué somos? Me preguntaste una semana o un
ano después,
hormigas, abejas, cifras equivocadas
en la gran sopa podrida del azar?
Somos seres humanos, hijo mìo, casi pàjaros,
hèroes pùblicos y secretos.

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Ascolta questo, figlio mio: le bombe cadevano
su Città del Messico
ma nessuno ci faceva caso.
L'aria portò il veleno attraverso
le vie e le finestre aperte.
Tu finivi di mangiare e guardavi i cartoni animati
alla televisione.
Io leggevo nella stanza accanto
quando seppi che saremmo morti.
Nonostante il capogiro e le nausee mi trascinai
fino alla sala da pranzo e ti trovai sul pavimento.
Ci siamo abbracciati. Mi domandasti cosa stava succendendo
e io non ti dissi che ci trovavamo nel programma della morte
ma che stavamo per iniziare un viaggio,
uno in più, assieme, e che non avessi paura.
Partendo, la morte neppure
ci chiuse gli occhi.
Chi siamo? mi domandasti una settimana o un
anno dopo,
formiche, api, somme sbagliate
nella gran zuppa marcia del caso?
Siamo esseri umani, figlio mio, quasi uccelli,
eroi pubblici e segreti.

La poesia qui tradotta ha come titolo Godzilla en Mexico, e fa parte del libro Mantra, di Rodrigo Fresàn, un autore da noi inspiegabilmente poco conosciuto. Argentino di nascita, vive a Barcellona, dove lavora come giornalista e dove dirige la collana Roja y Negra, nella editorial Mondadori. Da noi sono stati tradotti, I giardini di Kensington (per Mondadori) e Esperanto (per Einaudi).
E' uno dei grandi autori contemporanei della narrativa sudamericana. Vale la pena di imparare lo spagnolo solo per leggerlo.
... In speranzosa attesa che qualche editore lungimirante si decida a tradurre tutta la sua opera (Mantra è comunque imprescindibile).