"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 10 giugno 2018

La troga, di Giampaolo Rugarli, Adelphi edizioni

  Cosa sia la Troga nessuno lo sa, almeno fino ad un certo punto. Tra la domanda che in pratica apre il libro e la risposta, un fiume di morti ammazzati, tradimenti, doppi e tripli giochi, macchinazioni e colpi di scena. Giampaolo Rugarli, napoletano, classe 1932, scrittore prolifico in tarda età e gemma particolarissima (e, temo, troppo poco conosciuta) della letteratura italiana, intesse una storia che sarebbe un perfetto pulp alla Tarantino, comprensivo di decollamento, suore mascoline, ratti invasori e quant'altro, ma al contempo potrebbe essere un perfetto thriller del complotto: entità sconosciute che si muovono dietro scenari istituzionali, giochi di potere, figli illegittimi, segreti inconfessabili. In realtà, è altro ancora. E' tutto questo ma è soprattutto altro: è la storia dell'Italia recente o, per meglio dire, una parodia della storia d'Italia. E' anche e soprattutto un ritratto dell'Italia e degli italiani, un ritratto amaro e senza veli, che non fornisce consolazione a chi si rimira allo specchio: c'è, nell'immagine che ne riceviamo, tutta la stanchezza e lo sconforto di chi l'innocenza l'ha persa irrimediabilmente, da un pezzo e, ormai, non riesce più a richiamarne alla memoria neppure i tratti essenziali, un'immagine oscena e stanca (e satanica, abitata da quei demoni immaginati da Flaiano, coi quali ci si può sempre mettere d'accordo) deformata dalla fatica di stare al mondo e di scendere a compromessi, è l'immagine della capitale nella quale si concretano tutti i vizi nazionali, tutto il marciume che comporta portare avanti una nazione. Roma è una malattia che ammorba tutto e tutti, la febbre Lassa, ha cieli gonfi come ascessi, grondanti pioggia fredda e incolore, cieli solcati da misteriosi passaggi di dirigibili neri che sembrano voler significare qualcosa, qualcosa di incombente e minaccioso, il cui significato però sfugge. Ne La troga, il mistero non è  elemento vibrante che spinge ad avanzare la narrazione e a scuotere l'albero della curiosità, al contrario è un pantano di melma dal quale si vorrebbe evadere, invano.  Il commissario Carlo Pantieri, vedovo disamorato della defunta moglie, spossato dall'esistenza e dalle sue convenzioni, in quell'età nella quale la sensazione di essersi lasciati sfuggire tra le mani l'essenza della vita diviene lancinante, ascolta i deliri (apparenti?) di una vecchina, la quale nel suo sproloquio confusionario, probabilmente attivato dall'alzehimer fa riferimento alla "troga". Tutti sono invischiati con la troga, tutti, non si può fermarla, ma va fermata. Pantieri l'ascolta sconsolato,  fino a quando la vecchia non chiama in causa la defunta consorte di Pantieri, anch'essa implicata nella troga. Nella troga, sua moglie, quella specie di mummia incolore, priva di slanci, sessuali in particolar modo? Si, prossima addirittura a diventarne una sacerdotessa.

  << Lei cosa vuole da me? Vuole presentare una denuncia? Una querela? Un esposto? >>
<< E come potrei? >>, rispose la vecchia signora. << I fatti sono troppo numerosi: piraterie, sequestri di persona, rapine, grassazioni, plagi, oscenità, stupri, eresie, sacrilegi, corruzioni... Ma questi sono i sintomi del male. Il vero male è più profondo. Io temo si voglia provocare una mutazione del genere umano. >>

  Poco dopo la vecchia signora viene trovata morta. E così anche il figlio della donna, un rinomato medico. Ma poco alla volta che i morti si affastellano, che gli scenari cambiano, sempre la stessa parola compare, spesso come lapsus, come illusione/allusione: la troga. Pantieri indaga, ma, come aveva avuto a predirgli la vecchina:  
<< Commissario, lei sarà distrutto dalla troga. >>

  E l'intrigo che si andrà componendo da questo meraviglioso incipit in avanti sarà un budello maleolente avvinghiato su sè stesso, a tratti talmente inverosimile da ricalcare una somiglianza inquietante con la storia recente d'Italia: la Dc, il rapimento Moro, la P2, il ruolo obliquo della Chiesa, le BR, delitti insoluti, violenza insensata, massoneria, sette oscure, terrorismo, servizi segreti perennemente deviati, morti ammazzati, banche, giudici, processi senza fine (in quanto non finiti, non terminati, senza colpevoli a scriverne una conclusione), ministri con segreti inconfessabili. Praticamente ogni aspetto romanzato potrebbe trovare un suo omologo punto di riferimento nella storia reale, tanto da far sospettare il lettore che Rugarli, nel 1988, anno di pubblicazione del libro, avesse svelato in forma narrativa verità che si sarebbero fatte più esplicite solo in seguito e che, all'epoca, potevano essere sospetti sussurrati nelle segrete stanze. Ma la grandezza del romanzo non sta nell'essere una copia più o meno fedele della Storia, bensì nel divenirne un ritratto a tal punto grottesco da ricalcarne i caratteri più veri, utilizzando una lingua tanto ricca e strabordante da piegare la realtà a suo piacimento, trasformandola, frastornandola, modificandone i connotati per poterne reperire la natura più intima e vera. La Roma capitale di Rugarli, microcosmo dantesco entro i confini del quale si svolge in sostanza tutta la vicenda, è inquietantemente simile a quella odierna, pur calata nei colori, nei caffè, nelle cravatte, nei completi, nei riti di quella anni 70/80: in questo senso, una Roma eterna, sempre uguale a sé stessa, portatrice di una mostruosità onnivora e autocannibalica, una Roma che più se magna da sé, più rinasce uguale a sé stessa. 

 la Roma dei cesari e dei papi era più che un'astrazione, una favola ad uso dei turisti ignari; una grigia macchia di case spariva nel cielo che si velava di turchino in lontananza, foglie gialle turbinavano giù dai rari alberi e, in margine alla via, si ammucchiavano le consuete immondizie. Più lontano, nei prati già pronti per nuove lottizzazioni, brucavano le pecore; era tutto ciò che sopravviveva dell'epoca in cui la campagna non conosceva le ruspe.

Una Roma malarica, zozza, malata di ratti, di febbri misteriose, una capitale sempre in procinto di partorire qualche nuova mostruosità con la leggerezza di chi ha visto e provato tutto, di chi sa che un omicidio è solo un omicidio, un'ammazzattina, e in fondo abbastanza saggia da sapere che tutto serve, l'ammazzattina, l'orgietta, il colpevole da trovare, ma quello giusto però, quello che faccia tornare tutti i pezzi al loro posto, perché anche trovare i colpevoli è un'arte, anche sistemare la giustizia è un'arte, e sopraffina per giunta, non la puoi lasciare al caso. Non basta essere colpevoli per essere colpevoli, ci sono tutta una serie infinita di conseguenze da tenere in considerazione per far si che l'ingranaggio non s'inceppi, tanto che, alla fine della fiera, il colpevole è meglio fabbricarselo su misura, alla bisogna. In casa. Anche l'ansia di rivoluzione nel romanzo di Rugarli è sottratta al fanatismo ideologico per divenire una posa, una ricerca di novità artefatta che, almeno, riesca a vincere la noia, giusto per qualche tempo. 

Non si può vivere in un mondo senza idee, ma tutte le idee sono sbagliate. Dobbiamo accontentarci di idee sbagliate?

 Questa è la Roma di Rugarli. E la lingua che la descrive è l'altro vero miracolo narrativo che compone un libro sopraffino e popolare al contempo: la sua è una lingua manganelliana, duttile, colta e popolana, ricca di diallettismi, di dialetti, scavata in maniera ossessiva e sovrabbondante, una lingua scavata che a sua volta scava la realtà in cerca di quelle zone d'ombra che non possono essere descritte ma solo accennate. 
  Leggetelo, sarete distrutti dalla troga.

... Non capirono. se ne andarono placati, mangiando pane e salame, sognando boschi faide e coltellate.




 Giampaolo Rugarli nasce a Napoli il 5 dicembre 1932 da padre emiliano e madre della Basilicata, trasferendosi con la famiglia allo scoppio della Seconda guerra mondiale a Milano. Laureato in giurisprudenza, lavora in una grande banca del nord dal 1955, venendo trasferito a Roma per la sua attività nel 1967, e divenendo poi Direttore della Sede romana dell'Istituto Cariplo nel 1972.
Rientrato a Milano (dopo un breve periodo a Brescia e uno più lungo a Londra), viene messo a capo della Esattoria Civica. L'esperienza si conclude quando ravvisa gravi irregolarità che segnala alla Autorità competente. Dopo un periodo di punizione in una specie di reclusorio della banca (queste vicende sono state raccontate da R. nella Introduzione del libro Diario di un Uomo a Disagio), viene nominato capo dell'Ufficio Studi. In questa veste fonda con l'Editore Laterza, e dirige, la Rivista Milanese di Economia, che accoglie contributi di Claudio Magris, Pietro Citati, Claudio Cesa, Mario Monti e altri importanti intellettuali ed economisti.
Alla fine del 1985, raggiunti 31 anni di servizio, e anche "perché si moltiplicano episodi di censura e di intolleranza da parte dell'amministrazione" lascia la banca. Da quell'anno si dedica unicamente alla attività di scrittore (che aveva condotto privatamente nei lustri precedenti), pubblicando oltre 20 opere, tradotte in più lingue.
Racconti e interventi di Rugarli sono stati letti alla radio. Ha scritto i versi di un'opera lirica, musicata da Riccardo Malipiero: alcuni brani, con i versi di Rugarli, sono stati cantati in concerto alla Scala e al Conservatorio G. Verdi di Milano.