"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

mercoledì 25 luglio 2012

Le belve, di Don Winslow, Einaudi editore

Allora, c'è Ben, diciamo che è il cervello, c'è Chon, che è il braccio, c'è Ophelia, che si fa chiamare semplicemente O, che è la bella e svampita e ricca e simpatica e problematica; poi, dall'altra parte c'è il cartello della Baja California. Ben e Chon, uno pacifista e filantropo, cresciuto ed educato in una famiglia di ex hippie sinistrorsi e l'altro, che va e viene dall'Afghanistan come marines, che ha finito per accettare l'idea di essere pagato dallo stato per uccidere altra gente che, d'altronde, altrimenti ucciderebbe lui. Ben, in fondo, crede, nella possibilità dell'uomo di redimersi e nella sua fondamentale bontà, Chon disprezza l'umanità intera e sa perfettamente di farne parte. Insieme hanno avviato e gestiscono un'attività di produzione e spaccio di mariujana, la migliore che c'è sul mercato (non entro nei dettagli, ma viene miscelata a seconda del cliente tra indica e sativa, eccetera eccetera eccetera). Il cartello criminale della Baja California ha deciso di prenderne possesso, dal momento che ha la necessità vitale di espandersi negli Stati Uniti. Com'è facile da immaginare, ad un cartello, che sia Baja California o altro, non si può dire di no. Ben e Chon ci provano. Ophelia, che ha una relazione alla luce del sole con entrambi, suo malgrado, diventerà moneta di scambio ed ago della bilancia della trattativa. Non dico di più, perchè in questo libro, la trama è tutto. Più che la trama, direi (perchè la trama in effetti non è tutta quella gran novità inusitata) in questo libro i colpi di scena sono tutto. In effetti, fino a che le situazioni non si incastrano per dare il via all'azione, il libro, onestamente, non sa di molto. Peggio, stucca per il tentativo continuo di utilizzare una lingua letteraria molto alla Ellroy, ma più paracula, sempre attenta ai giochi di parole (molti dei quali, quantomeno in italiano, sono solo d'intralcio alla lettura) ed a strizzare l'occhio ad un pubblico giovane e cinematografaro. E difatti: Oliver Stone, maestro del genere (vedi U turn, un finto pulp imbellettato, ma comunque piacevole e ben fatto: solo non verace... come dire? paraculo!) ne ha tratto un film che, con ogni probabilità sarà pure un bel film, speriamo, e che, immagino, utilizzerà il libro come pura e semplice sceneggiatura. Perchè in effetti questo Le belve non è molto altro. Alcuni capitoli sono scritti addirittura secondo i dettami tecnici di una sceneggiatura: esempio: esterno giorno, Chon: blablabla. Ben: blablabla, eccetera, come se l'autore stesse ricordando al regista di turno che legge il libro che quello che ha davanti agli occhi è proprio quello che pensa, una sceneggiatura bella e pronta! Il libro è diviso in 290 capitoli, per lo più brevi o brevissimi, che diventano sincopati sul finale, quando l'azione incalza maggiormente e il pathos cresce. Dicevo, dal momento in cui è l'azione a prendere il sopravvento, diventa una lettura filante, che ti costringe ad andare avanti di buona lena, come si sul dire: ti tiene incollato alla pagina. Non è male, ma sa, come dire? di plastica. Un libro preconfezionato e molto furbo che ci si può aspettare da un esordiente che cerca disperatamente una pubblicazione, non da quello che viene considerato un maestro del genere. Poi viene il dubbio che gli sia stata prima commissionata la sceneggiatura e solo in un secondo momento ci abbia tirato fuori, con pochi colpi di pennello qua e là, un romanzo fatto e finito. Pare che Il potere del cane sia il suo capolavoro, e sbirciando un po' in libreria mi sembra che la scrittura sia quello che ci si aspetta da un buon poliziesco e non strizzi l'occhio a niente ed a nessuno. Speriamo, mi riservo di leggerlo, nella speranza che sia qualcosa di diverso da questo Le belve che, diciamo, non è malaccio, ma neanche poi un granchè. E sa di plastica.

Don Winslow (New York, 1953) è uno scrittore statunitense.
Viene considerato come uno degli autori più rappresentativi del poliziesco americano contemporaneo. È l'autore, tra gli altri, dei libri L'inverno di Frankie Machine e Il potere del cane, entrambi editi in Italia da Einaudi (collana Stile libero), rispettivamente nel 2008 e nel 2009.
Scrittore e regista teatrale e televisivo, nonché diverse volte attore e guida di safari, Winslow è stato anche un investigatore privato e consulente di studi legali ed assicurazioni. Vive in California, a San Diego, località in cui sono ambientati diversi suoi romanzi.
Ha esordito con il romanzo A Cool Breeze on the Underground, ancora inedito in Italia. Da The Death and Life of Bobby Z è stato tratto nel 2007 il film omonimo (uscito in Italia come Bobby Z, il signore della droga).
I diritti de L'inverno di Frankie Machine sono stati acquistati da Robert de Niro che ne trarrà un film, impersonandone il protagonista. Le belve è il suo ultimo libro, e ne è stato tratto un film da Oliver Stone, che probabilmente uscirà in autunno nelle sale italiane.


domenica 22 luglio 2012

Vedi di non morire / A tuo rischio e pericolo, di Josh Bazell, Einaudi editore

  Josh Bazell è il nuovo enfant prodige del noir d'oltremanica, paragonato dalla critica a Tarantino e a Palahaniuk oltre che a una serie infinita di scrittori e registi che non hanno nulla a che spartire tra di loro; e non solo, i suoi libri vengono accostati a film o serie televisive (la più ovvia delle quali, Dottor House) più o meno di culto. Direi che è più che sufficiente a rendere chiaro come dietro a questo plurilaureato fenomeno (in medicina alla Columbia University, se vi può fregare qualcosa, e in letteratura inglese e scrittura alla Brown University, sempre se vi frega qualcosa dei suoi titoli di studio nel momento in cui dovete scegliere di leggere un noir, o noir pulp, o neo pulp, o neo noir, eccetera eccetera eccetera) si sia mossa la più imponente macchina per far soldi che si possa immaginare. Non per nulla il suo primo libro, Vedi di non morire, diventerà un film interpretato da Leonardo di Caprio. Buon per lui, ma per noi, intendo dire noi lettori, tutto questo bailamme funziona più che altro come un sano avvertimento a tenerci lontani dal supposto fenomeno di cui sopra. E in effetti a tenere lontano il lettore ci pensa il bailamme da merchandising, certo, ma non solo: anche le copertine (tutte e due, la prima peggio della seconda), che sembrano fotocopiate a colori direttamente da una scatola di detersivo per i piatti, danno il loro sacrosanto aiuto. Immagino che il fatto che Bazell non abbia fatto furore qui in Italia, e che non sia neppure lontamente paragonabile al fenomeno che è stato e, in parte, comunque ancora è Palahaniuk, sia dovuto anche questo. Copertine inguardabili, che non azzarderebbe neppure un editore di infima categoria, di quelli che vendono, se vendono, solamente nel paese di residenza dello scrittore di turno e, a volte, si spingono fino a qualche libreria di paesini e frazioni circonvicine sempre, beninteso, con il meccanismo del conto-vendita. Comunque, chiudiamola qui. E' ovvio che Palahaniuk non è Palahaniuk per via delle copertine di Mondadori, è Palahaniuk per via della qualità dei suoi libri, magari non di tutti, ma comunque di buona parte, e lo è perchè il suo primo libro è stato niente di meno che Fight Club (che, scusate, ma è tutt'altra cosa rispetto a Vedi di non morire), che magari pubblicato come suo terzo o quarto, sarebbe sempre stato un libro culto, ma forse non avrebbe portato il suo autore a quelle vette di idolatria a cui è sottoposto ancora oggi il bardo di Portland. Bene, però, effettivamente Josh Bazell è un autore da non sottovalutare. Vedi di non morire, il suo primo libro appunto, è la storia di un ex sicario della mafia che, entrato in un programma di protezione del governo, si rifà una vita come medico. Si potrebbe dire che si tratta di due modi diversi di ammazzare la gente, ma nel libro viene sottolineato chiaramente come il protagonista, Pietro Brnwa, svolga la sua attività di medico come modo per porre rimedio ai danni procurati dalla sua vita precedente. La narrazione rimbalza tra il presente di neo medico e il passato da killer della famiglia Locano. Tutto parte dalla morte, apparentemente immotivata, dei nonni di Brnwa, e della sua ricerca dei colpevoli che lo porta a cominciare la sua attività di assassino a pagamento. La rete amicale che gli tende attorno la famiglia Locano e le prevedibili conseguenze sono il resto. Il concetto di amicizia, si sa, per i mafiosi è un filino distorto rispetto al comune sentire. Il suo presente da medico, invece, comprensivo di nuova identità fittizia, è messo in pericolo da un fatto inaspettato. Un mattino, nel suo giro di controllo dei pazienti, scopre che uno dei nuovi arrivati è una sua vecchia conoscenza stretta nella sua vita precedente. Se non lo salva, la vendetta della famiglia Locano piomberà su di lui senza pietà. E, forse, pure nel caso in cui riuscirà a salvare la pelle al suo ex accolito. Il fatto che ne venga tratto un film, da questo libro, non deve stupire, perchè in realtà il libro stesso è già un film, o più film mescolati insieme. Il divertimento è assicurato e la lettura piacevole. Consigliabile. Passiamo al secondo, A tuo rischio e pericolo. Il solito Brnwa, ora riciclatosi come medico nelle navi da crociera, viene chiamato da un eccentrico miliardario ad occuparsi di un mistero a tutto tondo: un mostro lacustre. Nel White Lake, una sorta di lago minore collegato al Ford Lake, pare si aggiri una creatura acquatica primitiva che, a differenza di Nessie, il più famoso mostro di Loch Ness, ha già ucciso almeno due persone. Il nostro dottore, affiancato dalla paleontologa sexy Violet Hurst (memorabile), si reca sul posto e indaga. Si troverà in mezzo ad un villaggio di psicopatici (chi più, chi meno), tossici, spacciatori, camping da incubo, corpi fatti a pezzi, Sarah Palin e tanto altro. Anche in questo caso, nulla di nuovo sotto il sole. L'impressione è quella di trovarsi in un film, le atmosfere sono le stesse, i colpi di scena anche ma, bisogna ammetterlo, è davvero piacevole come lettura. Scorre, secondo me anche più del primo libro, e l'ambientazione, proprio perchè già introiettata da decine di riduzioni cinematografiche o televisive, ci risulta famigliare o, meglio ancora, inquietante e famigliare. I boschi, il lago, l'acqua scura, il piccolo villaggio isolato dal mondo, il camping isolato dal villaggio, sono tutti elementi nei quali il lettore si muove con una certa padronanza, ripeto, quasi con piacere. Violet Hurst è la giusta eroina che porta una sana dose di stravagante erotismo. E poi c'è il mistero, il più classico dei misteri, che è un elemento che mancava assolutamente in Vedi di non morire. E veniamo alla domanda delle domande: perchè, allora, Josh Bazell, dovrebbe spiccare tra le centinaia di scrittori che cercano di giocare con gli stessi elementi con cui gioca lui, mettendo insieme cultura popolare (vi basta SpongeBob?), prodotti cinematografici e televisivi con la pagina scritta, perchè in lui gli inserti splatter funzionano senza connotarlo come autore horror, perchè dovrebbe essere il nuovo Tarantino delle lettere, perchè mai dovrebbe avere "reinventato di sana pianta un intero genere letterario"? Be', un motivo non c'è. In realtà non ha reinventato un bel niente, più che altro ha dato una buona scusa ai pubblicitari ed alle case editrici per risvegliarsi dal letargo e tornare a darsi da fare (copertine a parte), ma bisogna ammettere che Josh Bazell non è uno dei tanti. Innanzitutto la lettura dei suoi libri è un esperienza gradevole e divertente, a volte spassosa e a tratti quasi adrenalinica, al di là di qualsiasi merito letterario, e questo è già qualcosa. In realtà è ben più di "qualcosa", ma sorvoliamo. In questo senso, i suoi sono libri che consiglio. Poi c'è un altro particolare che, a mio parere, è quello che lo porta ad emergere rispetto alla media, vale a dire la scrittura. E' veloce, immediata, usa con nonchalance espressioni del parlato, anche basso, come se niente fosse, e per di più, mescolandole al gergo tecnico di chi fa della medicina il proprio mestiere. Il risultato è un amalgama che, miracolosamente, non è volgare, ma piuttosto immediato e ironico. L'ironia è infatti l'arma vincente nella ricetta che ha messo insieme Bazell per caratterizzare il suo stile. A pie' di pagina numerose note completano e commentano il testo e, spesso, sono la parte migliore dello stesso. Sono intelligenti, a volte esaustive come vere note a pie' di pagine, e sempre brillanti e ironiche, a volte anche feroci. Non è un autore di culto, non è Palahaniuk nè Tarantino nè altri, ma è un autore a tutto tondo con un marchio di fabbrica di qualità che è la sua scrittura. Se un giorno deciderà di metterla al servizio di testi meno furbi e più letterari, sarà interessante vedere cosa ne uscirà fuori. Con tutta probabilità qualcosa di notevole.


  
Laureato in letteratura inglese e scrittura alla Brown University e in medicina alla Columbia, ha scelto di specializzarsi in psichiatria alla University of California, San Francisco, dove attualmente risiede.
Vedi di non morire
(Einaudi Stile libero, 2009) è il suo primo romanzo, scritto durante la pratica in ospedale. A tuo rischio e pericolo è il suo secondo romanzo (Einaudi 2012).              

mercoledì 11 luglio 2012

Viva la musica!, di Andres Caicedo, Sur edizioni

Andrés Caicedo muore suicida nel 1977, subito dopo aver ricevuto la prima copia del suo primo ed unico romanzo, Que viva la musica!; Maria del Carmen Huerta, al contrario, la protagonista del libro, continua imperterrita la sua vita irregolare ed esagerata. Di più, la ricomincia da capo ogni qual volta un nuovo lettore apre la prima pagina di Viva la Musica! In questo senso, mi viene in mente, è perfetta la frase di Bolano che le edizioni Sur hanno scelto di far campeggiare in cima al loro sito: Todos los libros del mundo estan esperando a que los lea; quindi immagino che questo libro mi stesse aspettando. Io no, neppure sapevo che fosse esistito dall'altra parte del mondo, in Colombia, un ragazzo - uno scrittore, critico musicale e cinematografico - di nome Andres Caicedo. Quando è morto avevo due anni, quindi non posso aver conservato ricordi dell'epoca, ma dubito che in questa parte del mondo qualcuno allora si sia reso conto della sua scomparsa. Adesso, qui in Italia almeno, in seguito alla traduzione e pubblicazione di questo libro, qualcuno ci sarà che si domanderà se davvero questo ragazzo sia stato "un Cesare Pavese tropicale" o "il Kurt Cobain della letteratura colombiana" (secondo Fuguet, l'autore dello splendido Missing, Nuova frontiera editore) e, se davvero lo è stato, cosa questo possa significare perchè, in tutta onestà, continuo a vedere una certa distanza tra Pavese e il cantante dei Nirvana. La prima idea che ti salta in mente è che sono tre artisti, giovani (Pavese un po' meno), che devono aver trovato qualche difficoltà di troppo ad accettare la realtà così come ci è data, e l'hanno rifiutata. Tre artisti, tre suicidi. Eppure la sua eroina (che, detto tra parentesi, non ha nulla a che vedere con Huckleberry Finn nè tantomeno con Holden Caulfield: lo specifico per chi avesse letto il retro del libro) è l'esatto contrario del rifiuto (ma si tratta poi di rifiuto o di resa?) che sta inscritto a chiare lettere in ogni suicidio. Maria del Carmen Huerta si tuffa nella vita, molla gli ormeggi e non si preoccupa minimamente dei rischi a cui va incontro. Inanella un errore dietro l'altro - via uno avanti l'altro - e ogni errore alla lunga è sempre una sconfitta, ma non si ferma, lei balla, cerca la musica (rock prima, salsa poi) in ogni angolo della sua città, Cali, che non è capace di lasciare come non si può lasciare il proprio destino. Quindi, Maria balla, sempre e comunque. E vive di notte, o vive la notte, vedete voi. Scivola da una festa all'altra, da un ragazzo ad un altro, da una droga alla successiva e si sposta, di eccesso in eccesso, rimanendo sempre sull'onda. L'onda di quegli anni che erano, per il mondo intero, quelli della rivoluzione culturale giovanile, della musica rock, dell'amore e delle droghe libere. E' una figlia dei fiori, ma non è una figlia dei fiori nel senso cui siamo abituati noi occidentali, cioè non è una figlia dei fiori all'americana come siamo abituati a vedere nei film, e non solo non è una figlia dei fiori americana, ma non è neppure una figlia dei fiori occidentale. E', innanzitutto, una latina, e poi lei si definirebbe più un fiore che una figlia dello stesso. E' bionda, e questo semplice dato di fatto ha per lei il valore di una predestinazione. Dove passa, la gioia spunta, all'improvviso, le feste prendono vita, la musica s'innalza di tono, ritmo e significato, quando lei se ne va, ogni cosa appassisce. C'è stata un'altra ragazza, prima di lei, ad avere i suoi stessi "poteri", e in qualche maniera aveva tracciato una strada che l'avrebbe potuta mettere in guardia, ma Maria non è interessata a guardarsi da niente e da nessuno. Ha un semplice sussulto, ma veloce e superficiale, quando si sparge la voce che le droghe bruciano le cellule cerebrali, cellule che non riproducono sè stesse, e questa vaga presa di coscienza la porta all'unica conclusione per lei possibile, vale a dire che le cellule cerebreali sono schifosamente pigre, e dunque, in certo senso meritano di morire. Maria è un unico flusso di coscienza, dall'inizio alla fine, e ci tiene (a volte lo dice) a renderci in presa diretta i passaggi fondamentali della sua vita, del suo punto di vista, interpretati con la sua testa e i suoi metri (o centimetri, verrebbe da dire) di giudizio e Maria - Maria e il flusso di coscienza che incarna - è un viaggio in un epoca, in una parte del mondo, in una città che non prevede la possibilità nè di una fermata nè del biglietto di ritorno, è un viaggio che è una caduta, una stella che brucia e cade e si guarda bruciare e cadere e ci racconta, con la sua propria voce, cosa significhi bruciare, che sensazioni dà, e cosa prevede il cadere, se fa paura o meno, se si viva o meno in attesa dello schianto. Maria è un flusso, è un viaggio, è un cadere ed un bruciare ma è anche, se non soprattutto, la musica, non è una camminata nella musica, o in una musica, Maria è la musica, la salsa, Ricardo Ray e Bobby Cruz, è le sensazioni che la musica trasmette, è l'importanza che la musica ha avuto nel corso di quella rivoluzione culturale, il ruolo essenziale che ha ricoperto, è le ginocchia che si piegano, le caviglie che si tendono, i capelli che si perdono nell'aria, il sudore che ricopre il corpo, il ritmo che ti guida e sul quale regoli il tuo respiro. Maria, non sarà una sorpresa per nessuno, non fà una bella fine, ma poi, leggendo il libro, ci si domanda se importa davvero fare una bella fine, e cosa sia una fine degna e, soprattutto, se avesse fin dall'inizio la possibilità di scegliere un copione differente o se, magari, non fosse predestinata a bruciare, a cadere ed a ballare tutto il tempo della sua caduta. La risposta, o semplicemente una risposta possibile, credo che il suo autore, il 4 Marzo 1977, l'avesse ben chiara in testa.




Il 4 marzo 1977, subito dopo aver ricevuto la prima copia del suo unico romanzo Viva la musica!, Andrés Caicedo, venticinque anni, si suicida, entrando nel mito e lasciando la letteratura latinoamericana orfana di un grande autore. La critica lo ha definito «un precursore di Bolaño» e «un Cesare Pavese tropicale». 
Allengo il link alla pagina delle edizioni Sur dedicata ad Andres Caicedo, riporta materiali ed interviste per chi volesse approfondire la figura dell'autore: qui.

lunedì 9 luglio 2012

Acqua buia, di Joe R. Lansdale, Einaudi editore, Stile Libero

L'ultimo libro che ho letto di Joe R. Lansdale è stato Tramonto e polvere, un buon libro, ma non all'altezza de La sottile linea scura che, a sua volta, pur essendo un libro notevole e peraltro godevolissimo, non era all'altezza di Sotto gli occhi dell'alligatore (poi ristampato da Fanucci col titolo In fondo alla palude), a mio parere il suo miglior libro. Fino a questo Acqua buia. Prima, invece, sono uscite, per lo più per Fanucci, una serie di pubblicazioni di valore onestamente non eccelso, anche per generi di nicchia come il western o la fanstascienza. Tra l'altro anche Einaudi, di solito attenta alla qualità delle uscite, ha messo in commercio un paio di titoli di Lansdale che si possono tranquillamente rubricare come "senza infamia e senza lode". E' il problema degli scrittori di razza: se abituano bene il proprio pubblico, non possono far altro che lavorare sempre al massimo livello per non scontentarlo.Questo Acqua buia (titolo originale Edge of the dark water) non tradisce le attese: ci riporta nel Texas della Grande Depressione, dove razzismo, sessismo e violenza sono pane quotidiano, e dunque accettati come normale accessorio della vita, come un balzello da pagare per ottenere il diritto stesso ad essere vivi, per quanto tempo, poi, quello è tutto da vedere. Il Texas, e quel dato periodo della storia americana, sono il luogo ed il tempo prediletti da Lansdale per intrecciare le sue storie e, se è vero quanto sostiene Juan Rulfo, vale a dire che per raccontare una storia bisogna "creare" il personaggio, "creare" l'ambiente nel quale il personaggio si muove e "creare" il linguaggio attraverso cui il peronaggio si esprime, Lansdale è un vero maestro della narrazione, e il suo Texas, povero, poverissimo e crudele fino agli estremi, ma anche capace di un'ironia maschia e feroce, e gli anni della Grande Depressione, sono gli elementi fondamentali per ricreare un universo all'interno del quale il lettore si muove da subito con grande agilità. Lo stile è inconfondibile, ogni frase, ogni paragone porta in sè qualche elemento che caratterizza istntivamente i luoghi nei quali si svolge la storia; spesso si tratta di figure retoriche che utilizzano pietre di paragone basse, oggetti quotidiani, animali e piante, iperboli spesso volgari e sempre ironiche. I dialoghi sono al vetriolo e l'amalgama narrativo scorre in maniera estremamente piacevole, rimanendo però sempre dalle parti della Letteratura, senza mai scadere nella sciatteria. Ora veniamo ai personaggi. Acqua buia è un romanzo corale i cui protagonisti sono tre ragazzini e una donna, ma chi narra gli eventi è la voce di una sola di essi, Sue Ellen, un sedicenne bianca che vive lungo il fiume Sabine, povera in canna, con un padre con sinistre tendenze all'alcolismo, alla violenza ed alle molestie sessuali. La donna che si unisce all'avventura dei tre ragazzi è la madre di Sue Ellen, che vive chiusa nella sua stanza, lontana da tutto e da tutti, intossicata da certi toccasana che, per lei, altro non sono che droghe. Gli altri due protagonisti sono Jinx, una adolescente nera terribilmente sboccata e Terry, un ragazzino omosessuale dalla faccia d'angelo e dai modi stranamente garbati se si considera l'ambiente nel quale è costretto a vivere. Pescando col padre e con lo zio, Sue Ellen e il suo amico Terry incappano nel cadavere di una loro amica, May Linn, che affiora dalle aque buie del Sabine ormai gonfia e con le caviglie assicurate ad una vecchia macchina da cucire. May Linn era bella, vanitosa, consapevole e felice di essere bella, e nutriva il sogno di andare ad Hollywood a fare l'attrice, e non ne faceva segreto con nessuno. I tre amici, un po' per lealtà nei confronti dell'amica ed un po' per fuggire ad una realtà squallida che li schiaccia e rischia di renderli, col passare del tempo, dei personaggi abbrutiti come i loro genitori e come la maggior parte degli adulti del luogo, decidono di bruciare il corpo di May Linn e viaggiare fino ad Hollywood per poi disperderne le ceneri lungo le vie della Mecca del cinema. S'imbatteranno in una mappa, si approprieranno di soldi rubati, fuggiranno dalle loro vite con alle calcagna genitori (violenti, alcolizzati, maniaci), zii (violenti, alcolizzati, maniaci), un agente psicopatico ed un personaggio che, se esistesse davvero, non potrebbe essere altro che l'incarnazione stessa del male, Skunk, un nero enorme - puzzolente - che taglia le mani delle proprie vittime e gioca con loro prima di spedirle nell'aldilà. Come in ogni racconto di Lansdale, la distinzione tra bene e male è la vera protagonista delle sue storie, ed anche in questo caso il succo non cambia. Il punto di vista è quello di tre adolescenti disagiati, che oggi si direbbero borderline, che ribellandosi al brodo culturale nel quale sono immersi e cercando un altro orizzonte lungo il quale vivere danno il via ad un tipico romanzo di formazione e d'avventura in cui i temi tipici della fiaba e del mito sono perfettamente inseriti nei luoghi e nei tempi prediletti dall'autore. Quando finalmente giugneranno al termine del loro viaggio, niente sarà più come prima, e nessuno di loro sarà più lo stesso: il fiume Sabine li avrà cambiati. Avventura, riflessione sul bene e sul male, mostri da combattere e paure da vincere mescolati in un racconto che è un inno alla ferocia della vita, all'imbecillità che permea l'essere umano, specie se adulto, ed alla speranza di poter cambiare il proprio destino, anche nel Texas, anche durante la Grande Depressione, anche se si è neri, od omosessuali, o poveri in canna.
  Un Joe Lansdale finalmente di nuovo al massimo delle sue possibilità, ed è una bella notizia, e questo, se mi posso permettere di consigliarlo, è un libro da non perdere.

Joe Lansdale è nato il 28 ottobre 1951 a Gladewater, Texas.
Grande lettore, Lansdale è stato influenzato da Mark Twain, Edgar Rice Burroughs e Jack London, ma anche da scrittori di fantascienza come Ray Bradbury e Fredric Brown. E' un grande appassionato di fumetti, di B-movie e letteratura “pulp” (etichetta con la quale è sbarcato in Italia, paese che lo ha adottato e dove ha una nutrita schiera di fans). Ha svolto diversi lavori dal contadino al buttafuori in locali pubblici, dal bidello all'operaio in fabbrica. Nel gennaio del 1997 aprì una sua scuola di arti marziali, e il Lansdale’s Self-Defense Systems è uno stile riconosciuto a livello internazionale. Ha pubblicato:  Una stagione selvaggia (Savage Season, 1990), Einaudi; Mucho Mojo (Mucho Mojo, 1994), Bompiani riedito da Einaudi, Il mambo degli orsi (Two-Bear Mambo, 1995), Einaudi, Bad Chili (Bad Chili, 1997), Einaudi, Rumble Tumble (Rumble Tumble, 1998), Einaudi, Capitani oltraggiosi (Captains Outrageous (2001), Einaudi, Sotto un cielo cremisi (Vanilla ride) (2009), Fanucci, La notte del Drive-In (The Drive-In, 1988), Einaudi; Mondadori Urania n. 1214, Il giorno dei dinosauri (The Drive-In 2, 1989), Einaudi; Mondadori Urania n. 1224, La notte del drive-in 3, La gita per turisti, 2008, Einaudi, Atto d’amore (Act of Love, 1980), La morte ci sfida (Dead in the West, 1983),Il lato oscuro dell'anima (The Nightrunners, 1983), Texas Night Riders (1983), Il carro magico (Magic Wagon, 1986), Freddo a luglio (Cold in July, 1989), L’ultima caccia (The Boar, 1998), Fanucci, Fiamma fredda (Freezer Burn, 1999), I Neri Mondadori n. 1, riedito nel 2007 dalla Fanucci con il titolo “Freddo nell’anima”, Il valzer dell’orrore (Waltz of shadows, 1999, Fanucci), Blood Dance (2000), In fondo alla palude, Fanucci – premio Edgar Award 2001, L’anno dell’uragano (The Big Blow, 2000), Fanucci, Fuoco nella polvere (Zeppelins West, 2001) Fanucci, La sottile linea scura (A Fine Dark Line, 2002), Einaudi, Bubba Ho-Tep (Bubba Ho-Tep, 2003), Addictions-Magenes Editoriale, Tramonto e polvere (Sunset and Sawdust, 2004), Einaudi, Flaming London (2005), Echi perduti (Lost Echoes, 2006), Fanucci, The Shadows Kith and Kin (2007), God of the Razor (2007), La lunga strada della vendetta (Batman: Captured by the Engines), Edizioni BD, La ragazza dal cuore d’acciaio (Leather Maiden, 2007), Fanucci, Laggiù nel profondo (Way Down There, 2007) Edizioni BD, Cielo di Sabbia, Einaudi, eccetera eccetera eccetera.

  Allego il link del sito di Joe R. Lansdale: Qui.

Poi ci sarebbe da parlare, e anche a lungo e possibilmente non a sproposito (cosa non sempre facile), della serie di Hap e Leonard, due fra i personaggi più riusciti ed assolutamente indimenticabili del giallo letterario degli ultimi anni (assieme all'ispettore Mendez di Gonzalez Ledesma), ma questo argomento sarà bene trattarlo in altro post.