"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 17 agosto 2019

Tor, la montaña maldita, Carles Porta, Editorial Anagrama


Tor è un piccolo "pueblo" che confina con Andorra, frazione del comune di Alyns, nella regione del Pallars Sobirà, nei Pirenei Catalani, e si trova a 1646 metri di altitudine. Ovviamente in Spagna. Nel 2010 contava 19 residenti. Conta 13 case.
  Nel Luglio del 1995 viene ritrovato nella sua baita il cadavere di Josep Montané (Sansa), uno dei leader della comunità (l'altro è Palanca e, in un ruolo di secondo piano, Cerdà). "No estaba muerto, estaba podrido" (non era morto, era marcio, decomposto), queste parole lasciano intendere perché non sia possibile riportare ancora oggi una data certa di morte e si sia costretti ad indicare un generico "luglio 1995". A trovarlo sono due hippies che si sono introdotti in casa di Sansa, confidando nella sua assenza (pensavano fosse da giorni a Barcellona), per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Sugli hippies ci torneremo. Pochi mesi prima Sansa era stato indicato dal tribunale a cui si era rivolto per risolvere una disputa che andava avanti da molti anni come l'unico proprietario della montagna. La sentenza aveva provocato molti malcontenti, in particolar modo aveva mandato su tutte le furie (cosa relativamente facile da ottenere) il principale contendente della proprietà: Palanca. Due anni dopo i fatti, nel 1997, il giornalista di Tv3Catalunya, Carles Porta, si reca a Tor, accompagnato da due collaboratori, Pol e Pepe, e vi rimane per diversi mesi portando avanti l'inchiesta raccontata in questo libro.
E' un'inchiesta, ed è un'investigazione, una detection: fino all'ultimo Porta non si toglie dalla testa la possibilità di riuscire a trovare la soluzione del caso e ad individuare il colpevole. Ma quel mondo, quello della gente di Tor, della montagna, del confine con Andorra, è un mondo chiuso, violento, verticale, dove ognuno è un anfratto a parte, dove i rapporti interpersonali sono basati su logiche selvatiche e primitive e dove la legge non arriva, e quando infine riesce ad arrivarci è un riflesso deformato di ciò che dovrebbe essere. Tutto nasce nel 1896, quando i vecchi del paese siglano un contratto tra loro nel quale si autoeleggono proprietari di Tor e della montagna; ma c'è una clausola. La clausola prevede che mantengano il diritto di proprietà soltanto coloro che "non faranno spegnere il fuoco" delle loro case, vale a dire, coloro che continueranno a risiedere in paese tutto l'anno. Stiamo parlando di un frazione le cui abitazioni (tredici, vale la pena ricordarlo) ancora pochi anni fa non avevano a disposizione né l'elettricità né l'acqua corrente, un gruppo di case che durante il rigido inverno di quelle zone rimaneva totalmente isolato a causa della neve e del ghiaccio che ricoprivano l'unico sentiero che unisce Tor al primo paese più vicino (che in questo caso è da considerarsi il primo avamposto di civiltà).
  Nel 1997, quando Porta comincia la sua inchiesta, le condizioni di vita erano quelle appena descritte.


  Nel 1976 Sansa, Cerdà e Generosa (sorella di Cerdà) si autoproclamano unici proprietari della montagna ed entrano in contatto con un promotore immobiliare, tale Ruben Castaner Ejarque, personaggio equivoco, come quasi tutti quelli che entrano ed escono da questa storia; Ruben è intenzionato a costruire in loco una stazione sciistica, e con questo intento con lui Cerdà, Sansa e Generosa mettono in piedi una società. Palanca, in risposta alla mossa del suo storico nemico Sansa, convoca la vecchia società e con i restanti soci si dichiara a sua volta legittimo proprietario della montagna. Nel 1980 vengono uccisi in una sorta di rissa degenerata in agguato mortale due lavoratori, Pedro Linan e Josè Aguilar, alle dipendenze di Palanca. Nello stesso episodio anche Ruben Castaner rimane ferito. Questi sono i primi due morti che si possono collegare con evidenza alla questione del 1896, vale a dire alla prima società fondata tra i residenti in Tor.
  Porta, giunto sul posto, scopre da subito un ambiente schiacciato dalle presenze (spesso presenze-assenze, sospese come l'alito del maligno a vibrare nell'aria) di personaggi che incutono timore e vivono in un alone di leggenda, per quanto bruta e primitiva. Primo tra tutti Palanca, che non si farà problemi a minacciarlo in maniera piuttosto esplicita. Ma se quelli fin qui elencati sono i personaggi principali, la corte di comparse che li accompagna non è meno incredibile ed inquietante. Gli hippies dicevamo: sono in molti che vivono accampati nella frazione di Tor, come cani selvatici si accucciano fuori dalla casa di Sansa e ne divengono delle sorta di guardaspalle tuttofare, in cambio delle briciole che Sansa concede loro o, più spesso che si limita a promettere loro. Lo stesso vale per Palanca. I lavoratori, gli hippies, i guardaspalle quasi sempre sono figure sovrapponibili, spesso sbandati, fuggiti da guai più grossi di loro che li aspettano in agguato nel mondo "civilizzato", da qualche città che li ha feriti e che si rifugiano in montagna nella speranza di farsi dimenticare dal mondo e, a loro volta, di dimenticarlo. Per sopravvivere e ritagliarsi il loro spazio vitale - quasi sempre composto, quando gli va bene, da un paio di pasti scarsi al giorno (spesso non hanno nemmeno un tetto sulla testa) - si schierano ora con un contendente ora con l'altro, divenendone gli sgherri, lasciandosi tirare dentro ad un gioco che diviene sempre più violento e folle e che sempre di più ha a che fare con la morte. Poi ci sono i contrabbandieri.

 La zona che da Tor porta ad Andorra è, da tempi immemorabili, una via sicura per i contrabbandieri. Contrabbando di sigarette, ma non solo, anche di armi e, in tempi di guerra, zona che veniva usata per far fuggire gli ebrei che, pare, spesso venivano derubati dei loro averi e poi venduti ai nazisti o direttamente eliminati nei boschi. Molti in quelle zone, si mormora, si sono arricchiti sulla pelle degli ebrei. Ci sono poi le istituzioni che, come pugili suonati, non riescono ad imporre la legge dello stato, vengono incolpati di ogni cosa e rimangono come una figura istupidita sullo sfondo. A Tor la legge, se c'è, quando c'è, non funziona. Come ha da rimarcare uno dei tanti avvocati che girano attorno a questa storia:

la giustizia è lenta, e Tor è lontano.

  Non ha logica andare oltre a spiegare la trama, è un libro di non fiction novel e pertanto la trama è tutto, non fosse altro perché è la realtà sporzionata e servita su un piatto direttamente al lettore. L'indagine andrà avanti, le sentenze si susseguiranno, Porta riuscirà a confezionare il servizio per il programma 30minutos che avrà una certa risonanza presso l'opinione pubblica, soprattutto quella catalana. Ma quello che rimane di questa inchiesta e del modo che Porta sceglie per raccontarcela è l'incursione in un mondo ancestrale e violento che ci vive accanto ma del quale ignoriamo (o preferiamo ignorare) l'esistenza. Tor è un microcosmo senza acqua né elettricità nel quale chi è più forte comanda, una porzione di realtà presa in ostaggio dalla lotta tra due capibranco che si scontrano fino ad ammazzarsi, senza che questo ne scalfisca il mal inteso senso dell'onore e della sopraffazione. I codici comportamentali che s'intravedono in controluce sono quelli ancestrali della sopravvivenza, della legge della giungla che prevede che solo il più forte comandi e che il debole deperisca. Un mondo nel quale non sono previsti sentimenti che non siano paura o vendetta. L'ansia di dominio a Tor viene certificata e giustificata dall'accordo del 1896 che, nell'ansia di garantire al paese una vita il più lunga possibile (per questo la clausola del fuoco che non si deve spegnere) ne decreta invece una lotta intestina delle più sanguinose immaginabili. Su Tor e sui suoi abitanti regna un povertà assoluta, che riporta a quelle zone della cosiddetta "Spagna vuota" (secondo la definizione di Sergio Dal Molino *) che è ben rappresentata da Las Hurdes (a questo proposito lascio il link al documentario di Luis Buñuel che ne tratta: Las Hurdes, tierra sin pan), ma la sua strategica posizione al confine con Andorra fa sì che Tor stessa rimanga in una zona altrettanto di confine tra povertà endemica e una ricchezza improvvisa che potrebbe essere portata dall'arrivo della civiltà e della stazione sciistica (e che tarda ad arrivare).


Intanto però chi ci vive si arrangia come può, mostra i denti, fa affari coi contrabbandieri, combatte una guerra di trincea in cui ogni metro di avanzamento è una vittoria, una guerra portata avanti con ogni mezzo, bruciando case, usando a proprio piacimento morti di fame in cerca di una scodella calda, affidando ad avvocati la contesa presso i tribunali (avvocati che vengono sostituiti uno dopo l'altro, che spesso non vengono pagati, avvocati a loro volta strani, inquietanti, nostalgici franchisti), fino all'omicidio ("morir matando!"). Poi ci sono ossa nascoste sotto il pavimento della baita di Sansa, gli hippies scomparsi, i suicidi tentati e i suicidi riusciti, i nazisti, i pastori dalla vita talmente disgraziata da non riuscire a contenerla tutta nella propria razionalità (struggente la vita di Antono Gil Josè, testimone considerato inattendindibile, borderline e disadattato).

  Tutto questo è a un passo da noi, poco più, dalle nostre città, proprio come le morti di Alleghe svelavano un paesaggio umano non dissimile da questo di Tor in una località di vacanza, già abituata al turismo (anche se ancora non di massa): cartoline sotto cui si cela l'incubo. Quello che rimane è un libro perfetto che racconta un'indagine giornalistica su un fatto delittuoso, ma che s'innerva in un'esistenza che pensavamo ormai dissipata da tempo, cancellata dalla vita frenetica delle città. La voce di Porta è però capace di grande umanità e riesce nell'impresa di non giudicare (o non farlo più di tanto) le persone "selvatiche" che incontra nel corso della sua inchiesta, in certi casi pare arrivare a compatirle se non a capirle del tutto. Tor come Alleghe: seppur inscritti entro paesaggi idilliaci, a tanti metri di altitudine, alla fin fine si rivelano quartieri degradati come tanti altri, si trovano ad essere in mano al delinquente più forte, al più minaccioso. Sono zone in cui la legge non arriva, dove avvengono i fatti più turpi, dove, forse, si intrecciano anche interessi più grandi, incombono personalità innominabili che vivono altre esistenze, a chilometri dai luoghi del delitto, che tirano fili che nessuno vede, ma qualcuno indovina esserci. Tor è (o forse era, speriamo) uno di quei posti dove i nomi non si fanno e, a volte, nemmeno si sussurrano.

  Se volete leggetelo come un noir, è comunque godibilissimo. Ma è pura e semplice non-fiction novel, delle migliori. Proprio come I misteri di Alleghe, di Sergio Saviane (libro del 1964 che precede di due anni quello che è universalmente riconosciuto come il primo libro di non-fiction novel, quel capolavoro che ancora è A sangue freddo, di Truman Capote)
  
  Potrebbe avere un unico difetto: si trova solo in spagnolo, per ora. Ma se conoscete la lingua, consiglio di leggerlo.

* Il libro di porta qui recensito è citato in La Spagna vuota, di Sergio dal Molino, Sellerio editore, 2019. Oltre il caso di Tor, nel libro di Del Molino, si accenna anche ad un altro delitto, quello avvenuto nella località di Fago, anche su questo caso esiste un libro scritto da Carles Porta: ne parlano qui.








Carles Porta (Vila Sana 1963)

giornalista, scrittore, produttore, ha lavorato 14 anni per il programma 30minutos, del canale Tv3, componendo reportage di investigazione. E' stato inoltre inviato in zone di guerra, in Bosnia, in Ruanda, in Kosovo e in Medio Oriente.