Per definire il romanzo di Rielli è necessario utilizzare il titolo di un altro libro, appena uscito, di Maurizio Maggiani: Il romanzo della nazione. Lascia stare la gallina è, nonostante il titolo "Cochirenatesco", la storia tragica (pur se raccontata con stile disincantato, quasi drammaticamente leggero) degli ultimi decenni italiani, è la cronistoria di come una società sostanzialmente sana (pur con i suoi atavici difetti) si sia corrotta da sola.
C'è gente che pagherebbe pur di vendersi (Victor Hugo)
L'operazione che mette in campo Rielli è ambiziosa, letterariamente molto rischiosa, ma gli riesce alla perfezione. Il nuovo Salento turistico-affaristico-edonistico si è sovrapposto a quello rurale e arretrato, lasciandone però emergere vecchi campanilismi (verso i baresi, i napulicchi, i polentoni), razzismi (verso gli albanegri) e sessismi atavici (la vittima è donna, le altre, quasi tutte, vivono in uno stereotipo: o madri e donne di casa o prostitute), è questo Salento il microcosmo che viene messo sotto la lente d'ingrandimento per studiarne le dinamiche che in realtà sono quelle che hanno stritolato il paese a livello nazionale. Ma il romanzo non si ferma qui, non si limita a riprodurre su carta uno schema, con agili flashback ci mostra il passato (la manifattura tabacchi, l'attività sindacale, l'infanzia del protagonista compresa la gallina del titolo) e lascia che il lettore non solo metta a fuoco lo scarto tra il prima ed il poi (il presente) ma che isoli e definisca quali sono stati i prodromi che hanno dato il via all'attivarsi di un meccanismo di potere corruttivo che ci ha condotti fino ai giorni nostri. Se Salvatore Petrachi è il simbolo dell'ultima generazione che ha pagato (caro) pur di vendersi, il Salento lo è di quell'Italia che, nel suo volontario scadere a semplice divertimentificio da paese dei balocchi, ha venduto non solo sè stessa ma al contempo il futuro dei propri cittadini. Lascia stare la gallina insinua uno sguardo chirurgico e scanzonato dietro le quinte del sistema di potere e corruzione mafioso o paramafioso che si è impossessato della vita pubblica del paese.
Agosto 2011. Martina Scalzi, giovane turista in vacanza in Salento, viene trovata morta tra le dune del campeggio nel quale trascorreva le vacanze assieme ad alcune amiche. Della sua morte viene immediatamente incolpato un altro ragazzo, il ventiduenne Marco De Sanctis, figlio della Bologna bene. Qui sta l'inghippo che mette in moto il meccanismo narrativo: il pollo da sacrificare proviene da una famiglia che ha i mezzi per reagire. L'avvocato della famiglia De Sanctis incarica l'ex poliziotto corrotto Salvatore Petrachi, attualmente imprenditore rampante nel campo della sicurezza privata e criminale a tempo pieno, di indagare alla ricerca di prove che scagionino il suo cliente. De Sanctis è il colpevole ideale, è l'ultimo ad essere stato visto con la vittima, con la quale tra l'altro ha consumato un rapporto sessuale poco prima che questa venisse uccisa, quando è stato fermato dalle forze dell'ordine se ne stava andando dal campeggio in anticipo rispetto alla data prevista e infine è stato trovato in possesso di un certo quantitativo di marijuana. Però non è stato lui ad uccidere Martina. Il testimone che giura di averli visti litigare, mente. Perchè? Chi protegge? Totò Petrachi comincia a darsi da fare, fa domande, mette il naso in giro e, poco alla volta, il delitto da cui è nata l'indagine e quindi la narrazione, finisce col diventare un semplice riferimento di fondo. Le piste che segue, che a volte non portano a niente, aprono scenari che svelano il mondo (il mondo di mezzo) che stà al di là delle quinte da Bel Paese che tutti ammirano e con le quali tutti si crogiolano. Sesso, corruzione, mafia nostrana e albanese, politica, malaffare, traffico d'armi, di droga, il salvataggio posticcio della locale manifattura tabacchi (operazione che ricorda moolto da vicino l'affaire Alitalia), imprenditoria di facciata che in realtà nasconde attività illegali (Il Saraceno, il ristorante alla moda di proprietà di Petrachi - socio occulto - e di Adamo Greco, suo amico e cumpa' d'infanzia), servizi segreti, razzismo (che solo il comune terreno criminale stempera), prostituzione di alto livello, orgie e ammazzatine varie. Ancora più sullo sfondo, ma come amor che move il sole e l'altre stelle, lo scenario politco nazionale, a Roma. Il presidente regna ancora ma ormai il suo declino è evidente a tutti e il crollo è già deciso, di conseguenza nelle province dell'impero tutta una serie di sommovimenti di assestamento preparano le realtà politiche locali al nuovo scenario che di lì a poco rimodellerà il paese. Ogni periodo di cambiamento e di crisi è un momento che apre nuove possibilità agli occhi dell'imprenditore capace, e Totò Petrachi, a suo modo, lo è: approfitterà delle rivoluzioni in atto per ritagliarsi il suo angolo di paradiso nel Salento che conta.
Rielli, già Quit the Doner (Quitaly, Indiana Editore), ha al suo arco talmente tanti talenti narrativi da lasciare inizialmente l'impressione di esagerare nel farne sfoggio. Con questo libro scrive la storia del suo paese, e lo fa senza mai spostare l'attenzione dalla godibilità della trama, dipinge personaggi credibili e disegna con attenzione lo schema preciso di come entità politica, imprenditoriale, malavitosa e giornalistica collaborino al fine di controllare la realtà di un territorio (e qui si dimostra anche gionalista di razza) . Nessuno nel libro è totalmente buono, e anche chi è cattivo tout court non risulta comunque una semplice immagine bidimensionale da fumetto, ogni personaggio ha una sua profondità e una passato che lo ha costruito. Lo stile è straripante, vulcanico, ironico e moltiplica i punti di vista della storia fancendo di questo Lascia stare la gallina un romanzo corale. Moltiplica i registri, fa ampio uso del parlato dialettale, inserisce articoli giornalistici, sa quando alzare il piede dall'acceleratore e quando invece pigiarlo fino in fondo. L'uso dell'ironia non svaluta mai la brutalità degli eventi ma, semmai, come la colonna sonora in Arancia meccanica, la rende più spaesante. Il male non è un'entità che entra nel corpo di una persona e la possiede, bensì la risultante di innumerevoli scelte sia di natura politica e sociale che di natura più strettamente personale, e come tale non contamina un solo individuo ma l'intera società (per questo un romanzo corale).
Non so se Rielli sia effetivamente l'Irvine Welsh italiano (io penso di si), se la sua produzione letteraria futura confermerà questo giudizio (e quanto sarà difficile confermare una qualità e complessità come quella di quest'opera prima!), indubbiamente è la novità più straordinaria capitata alla letteratura italiana negli ultimi anni.
Unica, minima, pecca: sappiamo perchè Martina Scalzi è morta (e ovviamente qui non lo svelo) ma, considerando che ogni piega narrativa è stata svicerata e portata a suo termine, ci si sarebbe aspettati che anche questo aspetto venisse appronfondito e spiegato a fondo (avrebbe avuto un certo potenziale narrativo da dispiegare).
Daniele Rielli (Quit the Doner) è nato nel 1982. Realizza reportage narrativi
per “Il Venerdì di Repubblica”, “Internazionale” e “Riders”. Scrive
storie per la televisione e il teatro. Laureato in filosofia, ha
collaborato anche con “Vice” e “Linkiesta” diventando uno degli autori
più noti di long-form journalism italiano. Nel 2013 ha vinto il Mia
Award per il miglior articolo italiano e nel 2014 ha pubblicato con
Indiana Editore Quitaly, raccolta dei suoi reportage. I suoi lavori
sono riuniti su www.quitthedoner.com, uno dei siti autoriali più
seguiti d’Italia.
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