"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 17 marzo 2011

Crimini, di Roberto Bolano (da El secreto del mal)

  Lei va a letto con due uomini. Lei prima è andata a letto con altri uomini e ora va a letto con due uomini. Questa è la realtà. Nessuno dei due uomini lo sa. Uno di loro dice che è innamorato di lei. l'altro non dice niente. Ciò che dicono al riguardo a lei non importa un granchè. Dichiarazioni di amore, dichiarazioni di odio. Parole. La realtà è che lei va a letto con due uomini.
  Adesso se ne sta seduta in un bar vicino alla redazione e ha davanti a sè un libro aperto, ma non riesce a leggere. Ci prova, ma non ci riesce. Il suo sguardo si distrae a vedere quello che succede al di là delle vetrate, anche se non sta guardando niente in particolare. Chiude il libro e si alza. L'uomo che sta dietro il bancone la vede avvicinarsi e le sorride. Lei gli chiede quanto gli deve. L'uomo del bancone dice una cifra. Lei apre il portafoglio e gli allunga un biglietto. Come va la vita?, dice l'uomo. Lei lo guarda negli occhi e dice: così, così. L'uomo le chiede se vuole qualcos'altro. Offre la casa. Lei scuote il capo, negativo, non voglio niente, grazie. Per un attimo si blocca come aspettando qualcosa. L'uomo la fissa con interesse. Lei mormora una frase di commiato appena udibile ed esce dal bar.
  Senza affrettarsi torna alla redazione. Mentre aspetta l'ascensore incontra un giovane, sui venticinque anni, vestito con un vecchio completo e una cravatta che attira il suo interesse; sopra uno sfondo verde acquoso una faccia cerulea e rifatta si contrae in un moto di sorpresa. Accanto al giovane, in terra, c'è una valigia di grandi proporzioni. Si salutano. L'ascensore apre le sue porte e salgono entrambi. Il giovane, dopo averla osservata, le dice che vende calze, che se le interessa le può fare un buon prezzo. Lei dice che non le interessa e pensa che è strano incontrare un venditore di calze nell'edificio e per giunta in un'ora in cui la maggior parte degli uffici sono chiusi. Il venditore di calze è il primo a scendere. Lo fa al terzo piano, dove c'è uno studio di architettura e un'ufficio di avvocati. Uscendo dall'ascensore fa mezzo giro su sè stesso e si porta la punta della dita della mano sinistra alla fronte. Un saluto militare, pensa lei, e gli sorride. Mentre le porte dell'ascensore si chiudono il venditore di calze riesce a sorriderle.
   Nella redazione, fumando seduta in una sedia accanto alla finestra, solo c'è una donna. Lei come prima cosa va alla sua scrivania, accende il computer, e poi si avvicina alla finestra; in quel momento la donna che fuma si rende conto della sua presenza e la guarda. Lei si siede sul bordo della finestra e contempla le strade con una vertigine insolita. Per qualche secondo entrambe rimangono in silenzio. La donna che fuma le chiede cosa c'è. Niente, dice lei, sono tornata per finire l'articolo di Calama. La donna che fuma torna a guardare dalla finestra il fiume di auto che escono dal centro. Poi socchiude gli occhi e ride. Ho letto qualcosa al riguardo, dice. Una vera merda, dice lei. Aveva il suo garbo, dice la donna che fuma. Non ti capisco, dice lei. In realtà non aveva nessun garbo, dice la donna che fuma dopo averci riflettuto un momento, e torna a guardare il traffico oltre la finestra. Lei allora si alza e si dirige alla sua scrivania. Ha dei lavori pendenti ed è in ritardo. Da un cassetto tira fuori un walkman e si mette le cuffie. Incomincia a lavorare. Dopo un attimo, tuttavia, si leva le cuffie e si volta. C'è una cosa strana in tutto questo, dice. La donna che fuma la guarda e le chiede di cosa parla. Della donna di Calama, dice lei. In questo momento il silenzio nella redazione è totale. O così pare. Non si sente neppure il ronzio dell'ascensore.
  Aveva ventisette anni, dice, e l'hanno pugnalata ventisette volte. Troppa coincidenza.  Perchè?, dice la donna che fuma, queste cose capitano. Sono molte pugnalate, dice lei, però senza convinzione. Ho visto cose più strane, dice la donna che fuma. Dopo un attimo di silenzio, aggiunge: può essere che si tratti solo di un refuso. Può essere, pensa lei. Ti preoccupa qualcosa?, dice la donna che fuma. Mi preoccupa la vittima, dice lei. Potrebbe essere chiunque di noi. La donna che fuma la guarda sollevando un sopracciglio. Potrei essere io, dice lei. Niente a che spartire. Anch'io vado a letto con due uomini, dice lei. La donna che fuma le sorride e ripete: niente a che spartire. In qualche modo tutti quanti le sono contro. Contro chi? Contro la vittima, ovvio. La donna che fuma solleva le spalle. I giornalisti che coprono questo tipo di notizie non si differenziano in nulla dagli assassini. Non tutti, dice la donna che fuma, ce ne sono alcuni molto bravi. La maggior parte sono degli ubriaconi di merda, mormora lei. Non tutti, dice la donna che fuma. Ventisette anni e ventisette pugnalate, non mi convince. In ogni caso è possibile che abbiano confuso l'età della vittima col numero di pugnalate. Aveva un figlio di nove anni, dice accarezzando le cuffie che regge con la mano sinistra. La donna che fuma spegne la sigaretta nel posacenere che si trova accanto alla finestra e si alza. Andiamocene, dice. No, rimango ancora un po', dice lei, e torna a mettersi le cuffie.
  Ascolta musica di Deladande. Le fa male una spalla anche se per lo più si sente bene, con voglia di lavorare. Con la coda dell'occhio osserva la donna che fuma, chinata sulla sua scrivania, che infila qualcosa nella borsetta. D'un tratto sente la mano della sua collega, che le sfiora appena la spalla e che in questo modo la saluta. Continua a lavorare. Dopo mezz'ora si alza e si dirige all'archivio della redazione (un archivio che ormai quasi nessuno utilizza più) e allora lo vede.
  E' in piedi, senza osare oltrapassare la soglia dell'ufficio, ma con la porta aperta, e la guarda con mezzo sorriso. Lei soffoca un grido e gli chiede cosa voglia. Sono io, dice lui, il venditore di calze. Ai suoi piedi c'è la valigia. L'ho capito, dice lei, ma non voglio comprare niente. Volevo solo curiosare un poco, dice lui. Lei lo studia per qualche secondo: non è più spaventata, ma adirata e la presenza del giovane venditore le sembra un segno di qualcosa di importante che però riesce appena a scorgere. Solo sà che è importante (o relativamente importante) e che ormai non ha più paura. Non sei mai stato in una redazione?, dice lei. In verità no, dice lui. Entra, dice lei. Lui esita, o fa come se esitasse poi prende la valigia ed entra. E' giornalista? Lei fa si col capo. E cosa sta scrivendo? Lei dice che si tratta di un articolo su un omicidio. Il venditore lascia di nuovo la valigia in terra e il suo sguardo si sposta di scrivania in scrivania. Posso dirle una cosa? Lei lo guarda e non pensa a niente. Nell'ascensore, dice, mi è sembrato che stesse soffrendo per qualcosa. Io? dice lei. Si, mi è parso che soffrisse, anche se ovviamente non ne conosco la ragione. Tutta la gente soffre, dice lei un poco incongruentemente. Nessuno dei due si è seduto. Lui è in piedi con la porta aperta alle sue spalle. Lei è in piedi ed è indietreggiata fin quasi alla finestra. Ora i due rimangono immobili, eretti, in attesa. Le loro parole, tuttavia, sono patinate da un falso tono di familiarità.
  Su che omicidio sta lavorando?, dice lui. L'omicidio di una donna, dice lei. Lui sorride. Ha un bel sorriso, pensa lei, anche se quando sorride sempre più vecchio e in realtà non deve avere più di venticinque anni. Uccidono sempre le donne, dice lui, e fa un gesto con la mano destra che risulta incomprensibile. Come se d'un tratto uscisse da un sogno, lei si rende conto che si trova da sola nella redazione con uno sconosciuto, ad un'ora, tra l'altro, in cui l'edificio è quasi vuoto. Un leggero tremore la percorre dall'alto in basso. Lui percepisce il tremore e come se volesse placarlo cerca un posto e si siede. Mi racconti, dice. Per lei la richiesta è insopportabile. Aspetti che esca nella rivista. No, me lo racconti adesso, magari le posso suggerire qualcosa, dice lui. Lei è un esperto di omicidi di donne?, dice lei. Lui la guarda senza rispondere. Lei si rende conto che ha commesso un errore e cerca di tornare sui suoi passi, però prima che possa dire nulla lui si allontana  e dice che non è un esperto di omicidi. E perchè glielo dovrei raccontare?, dice lei. Perchè a volte ha bisogno di parlare con qualcuno, dice lui. Può essere che abbia ragione, dice lei. L'ha uccisa il marito? No. Il marito non ha nulla a che vedere col crimine. E perchè ne è così sicura?, dice lui. Perchè l'assassino lo arrestarono il giorno stesso, dice lei. Ah, capisco, dice lui. Aveva ventisette anni, si separò da suo marito, poi ha avuto un amico, ha vissuto con questo amico, un tipo più giovane, di ventiquattro anni, poi si è separata da questo amico e ha cominciato ad uscire con un'altro. L'amico A e l'amico B, dice lui. Si potrebbe dire così, dice lei, e d'un tratto si sente tranquilla, stanca e tranquilla, come se una parte di una lotta immaginaria  (le cui regole le sono ignote) si fosse conclusa.
  Suppongo, dice il venditore di calze, che si trattasse di una splendida donna. Si, era una bella donna, dice lei, e in più era giovane. Be', mica tanto, dice lui. Le pare che una donna a ventisette anni non sia tanto giovane? E' giovane, però non è più molto giovane, dice lui, siamo ragionevoli. Lei quanti anni ha? Ventinove. Avrei detto che ne avesse ventincinque, dice lei. No, ventinove. Lui non le chiede l'età. Lavorava o si faceva mantenere dalle sue grazie? Era una segretaria. Questa donna non l'ha mantenuta mai nessuno. E aveva un figlio di nove anni. E chi l'ha uccisa, l'amico A o l'amico B? domanda lui. Lei chi direbbe? L'amico A, ovvio. Lei fa segno di sì col capo. E l'ha uccisa per gelosia. Sì, dice lei. Ma lei crede che fu solo per gelosia? No, dice lei. Ah, vede, lei e io pensiamo lo stessa cosa, dice lui. Lei allora preferisce non controbattere e si allontana dalla finestra. Dovrebbe accendere una luce, dice lui. No, lasci così, dice lei mentre sposta un sedia e si siede. Dopo un attimo, lui dice: e lei era triste per questa storia, una storia che, se ho inteso bene, capitò qualche mese fa. Lei lo guarda e non dice niente. Magari si è identificata con la vittima? No, dice lei, però ho pensato spesso alla vittima. Lei è sposata? No. Io neppure, dice lui, però ho vissuto con qualche donna. Lei pensa che a noi uomini non piaccia che le donne facciano l'amore? Lei svia lo sguardo: dall'altro lato della finestra la notte avvolge gli edifici. La sensazione che prova è di claustrofobia. L'hanno uccisa perchè gli andava di farlo, dice lei senza guardarlo. Sente lui che dice: ah, un ah tra l'ironico e l'agonico. Si alzava presto, tutte le mattine alle sei e un quarto. Lavorava in una impresa mineraria di Calama, era segretaria, e la stampa disse che la sua vita amorosa era stata una fonte costante di conflitti. Una fonte costante, ripete lui, che poetico. Gli uomini si innamoravano di lei, anche se non era precisamente una bellezza, dice lei. La bellezza è qualcosa di relativo, dice lui. Tutti abbiamo qualche forma di bellezza a portata di mano. Lei crede? chiede lei, e torna a guardarlo fissamente. Tutti, dice il venditore di calze, i brutti, quelli che non sono tanto brutti, i medi e la gente bella. La bellezza su cui posano gli occhi i brutti, certamente, dice lei, è brutta ma non tanto brutta. Vedo che mi capisce, dice lui. La capisco, si, dice lei ironicamente, ma non sono d'accordo. La bellezza è la stessa per tutti, come la giustizia. La giustizia è la stessa per tutti? Non mi faccia ridere, dice lui. In teoria, almeno. E' che in teoria le cose sono diverse, sospira lui, ma non mettiamoci a discutere, mi racconti qualcosa in più della sua segretaria assassinata. Ha visto il cadavere? Il cadavere? No, non l'ho visto, non ho coperto io la notizia, ho solo scritto un articolo sul crimine. Cioè non è stata alla camera mortuaria di Calama, nè ha visto la vittima, nè ha parlato con l'assassino. Lei lo guarda e sorride enigmaticamente. Con l'assassino sì che ho parlato, dice.
  Questo, almeno, è qualcosa, dice lui. E? Niente, dice lei, abbiamo parlato, mi disse che era pentito e che amava la vittima alla follia. Una dichiarazione molto appropriata, dice lui. Si conobbero al terminal aereo di Calama, lui era una guardia di sicurezza e lei lavorò per qualche tempo lì, come receptionista.  Prima di ottenere il lavoro alla miniera, dice lui. In una impresa mineraria, dice lei. E' lo stesso, dice lui. Be', non esattamente. E come l'ha uccisa?, dice lui. Con un coltello, dice lei. Le ha dato ventisette pugnalate. Non le pare strano? Per qualche secondo lui abbassa lo sguardo e si fissa la punta delle scarpe. Poi torna a guardarla e dice: cos'è che le pare strano, che avesse ventisette anni e che abbia ricevuto ventisette pungalate? Lei allora sente un intenso accesso di rabbia e dice: io sono più o meno come lei, immagino che un giorno o l'altro qualcuno verrà ad ammazzare anche me. Per un momento le piacerebbe dire: tu mi ucciderai, povero infelice, ma alla fine ci ripensa e non dice nulla. Sta tremando. Da dove lui è seduto, tuttavia, è impossibile percepirlo. Riassumendo: lei muore per mano del fidanzato precedente. Quella notte dorme col suo amico del momento. L'altro è venuto a conoscenza della situazione. Glielo ha detto lei e le sono arrivati dei segnali. Si muore di gelosia. La mette sotto pressione, la minaccia. ma lei non gli fa caso, è pronta a continuare la sua vita. Conosce l'altro uomo. Vanno a letto insieme. Lì sta la chiave del crimine, lei non rinuncia a niente e firma la sua condanna a morte. Si, dice il venditore di calze, adesso lo vedo chiaro. No, lei non vede chiaro niente.     

traduzione dvd illevir

I detective selvaggi


 

Nota del Traduttore e Curatore del Blog:
 
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