tag:blogger.com,1999:blog-91541594574670748162024-03-13T16:36:41.734+01:002666libros, cuentos, poesias, novelas, historiasUnknownnoreply@blogger.comBlogger187125tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-20436203845009866212021-04-30T13:30:00.008+02:002021-05-01T19:23:44.604+02:00Intervista con Felipe Polleri: IL FINALE E' SEMPRE SANGUINOSO (forse i buoni sentimenti creano una cattiva letteratura). La traduzione dell'intervista è stata curata da Carmen Piccirilli<p>In occasione delle recente pubblicazione del suo ultimo libro <span style="color: #ffa400;"><b>Le poltrone appassite</b></span> nella collana Gli Eccentrici di Arcoiris Edizioni, pubblico qui di seguito l'intervista con l'autore, il geniale Felipe Polleri, uruguaiano di origine italiane (come leggerete nell'intervista). Ne approfitto per ringraziare la cortesia e la disponibilità dell'autore (per l'avventatezza che lo ha portato a concedere la sua prima intervista per il pubblico italiano a questo piccolo e appassionato blog) e la casa editrice Arcoiris che l'ha resa possibile, in particolar modo Loris Tassi, curatore della collana Gli Eccentrici e traduttore di Polleri, e Barbara Stizzoli che ha seguito la traduzione di quanto trovate qui di seguito.</p><p> Concludo questa breve intro consigliando a tutti l'esperienza di lettura dei libri di Polleri, che amo in particolar modo: testi particolarissimi che, facendo a pezzi ogni riferimento narrativo abituale (trama, narratore, e via discorrendo), puntano dritto al cuore della sua poetica, con uno stile impeccabile che si fa esso stesso narrazione. Sono incubi ad occhi aperti, gli incubi di un'umanità dolente e goffa, scorbutica, difettosa e difettata, che amerete da subito. La speranza, a questo punto, è che ai due titoli per ora tradotti in italiano, se ne aggiungano di nuovi. </p><p>La letteratura, per citare uno slogan, come non l'avete mai vista. </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-bjoE1KLL1ac/YIvZyTrRRyI/AAAAAAAACY8/e0N827-otoQpLg7zHCDhk1Mmfq49qrxMwCLcBGAsYHQ/s280/poltroneappassite.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-bjoE1KLL1ac/YIvZyTrRRyI/AAAAAAAACY8/e0N827-otoQpLg7zHCDhk1Mmfq49qrxMwCLcBGAsYHQ/s0/poltroneappassite.jpg" /></a></div><br /><p><br /></p><p>- Ne <i><a href="https://www.edizioniarcoiris.it/gli-eccentrici/181-le-poltrone-appassite.html" target="_blank">Le poltrone appassite</a> </i>il microcosmo narrativo è quello di un palazzo. In <i><a href="https://www.edizioniarcoiris.it/gli-eccentrici/110-germania-germania.html" target="_blank">Germania, Germania!</a> </i>era il paesaggio nazista, temporale e psichico in particolar modo. La messinscena della tragedia umana è adattabile ad ogni contesto?</p><p><span style="color: #ffa400;">* <b>Pascal diceva, pressapoco, che la vita può sembrare una commedia molto divertente, ma che il finale è sempre sanguinoso. Dunque, tutta la vita umana non è altro che una tragedia contenuta in una brodaglia in scatola o nel quartiere più insigne di Roma.</b></span></p><p>- Leggendo i suoi libri (<i>Le poltrone appassite, Germania, Germania! <a href="https://www.amazon.it/inocencia-Felipe-Polleri/dp/8416738238" target="_blank">La inocencia</a>, </i>quest'ultimo titolo non è ancora stato tradotto in italiano) la sensazione che ne ricevo è che quella che sopra ho definito "tragedia umana" sia connaturata con la nostra stessa natura, in tal senso, chi ne vede la mostruosità, per riconoscerla, deve per forza porsi al di fuori di essa, e quindi, paradossalmente, al di là della propria stessa natura umana. In un certo senso lo scrittore deve trascendere l'umano, divenire occhio imperturbabile e scrutare il vivere da uno spazio profondo. Nel libro <i>Le poltrone appassite</i>, lo scrittore del 101, un Proprietario, è colui che dice di prestare la voce al povero Nestor, ma sembra più che altro un personaggio fittizio, non riesco a sentirlo come la voce di "Polleri scrittore". E' questo, per Lei, lo scrittore, colui che si pone al di fuori della vita per poterla ritrarre senza le schermature che, vivendola, ci sono imposte? Lo scrittore, quindi, è corretto affermare che è colui che, dalla morte, ci parla di noi stessi? O, in caso contrario, chi è, cos'è lo scrittore?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Lo scrittore, per come lo intendo io, è qualcuno che è stato estromesso dalla vita comune. Lui è stato estromesso o in un certo senso si è allontanato spontaneamente perché non può condividere la visione del mondo che ha la maggior parte delle persone. Dall'esterno quindi, probabilmente da una sorta di morte, descrive quello che sente e quello che vede con occhi da straniero. Forse è un mostro, ma un mostro che capta con una chiarezza singolare la mostruosità degli altri e della società in cui si vede costretto a vivere. Esagerando, si potrebbe dire che se c'è qualcosa di veramente mostruoso, è la mostruosità del neoliberismo e della conseguente miseria. O siamo vittime, o siamo carnefici. Io spero con fervore di risultare tra le vittime e non tra gli aguzzini. </span></b></p><p><b><span style="color: #ffa400;"><br /></span></b></p><p><span style="color: #ffa400;"></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #ffa400;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-UHQshNJelmA/YIvaAo5KYyI/AAAAAAAACZA/ekN8hheKTTUdETsCphLEhIWKXPiOmIuogCLcBGAsYHQ/s275/felipepolleri.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em; text-align: justify;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" height="218" src="https://1.bp.blogspot.com/-UHQshNJelmA/YIvaAo5KYyI/AAAAAAAACZA/ekN8hheKTTUdETsCphLEhIWKXPiOmIuogCLcBGAsYHQ/w394-h218/felipepolleri.jpg" width="394" /></a></span></div><span style="color: #ffa400;"><br /></span><b><span style="color: #ffa400;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></span></b><p></p><p>- Lo scrittore, nel suo caso, mi pare si possa dire perda la sua voce per diventare esso stesso voce. Ho cercato più volte di capire chi fosse il narratore in <i>Germania, Germania! </i>e in questo <i>Le poltrone appassite</i> e ogni risposta che mi davo non era soddisfacente, fino a quando non mi sono risposto che il narratore è la narrazione stessa. Nel suo caso più che in altri mi sembra che la parola si liberi di ogni legame ed orpello e si faccia carico di seguire la follia che la circonda. Qual'è il suo rapporto con la parola, chi comanda alla fine dei giochi, Lei o la parola?</p><p><span style="color: #ffa400;"><b>* La mia voce narrante è solo una e mi ci è voluta gran parte della vita per trovarla. Attraverso quella voce parlano i miei personaggi, i miei mostri, che non posso fare a meno di amare. Diciamo che scrivere per me significa immergermi nell'inconscio, per lasciare parlare i mostri che porto con me.</b> <b>Quelle voci dicono della parole che quasi non riconosco, parole negate che spesso mi spaventano a causa della loro malevolenza e crudeltà o per la loro veridicità. I miei personaggi stanno combattendo contro di loro. Io offro al lettore l'opportunità di dare il proprio contributo e di vedere il mondo con occhi più critici. Di prendere in considerazione problemi morali più complessi rispetto a quelli che gli presenta la letteratura dozzinale.</b></span></p><p>- Per quanto le realtà che descrive siano apparentemente grottesche, disturbanti e non poco folli, il suo stile è estremamente pulito, lineare, pur senza essere freddo. E' una voce che esce di getto o è frutto di un'opera attenta e certosina di limature e sottrazioni?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Ripeto che, la mia voce narrante è frutto di una ricerca lunga e dolorosa. A volte sgorga come un getto, altre volte devo lavorarci parecchio affinché, alla fine, il rubinetto si apra. C'è sempre una correzione accurata, con "limature" e tantissime "sottrazioni". Di tutti i miei libri, un cinquanta per cento finisce nel cestino. O anche un cento per cento.</span></b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-4Gy7-79vQGs/YIvavOtV3vI/AAAAAAAACZM/POkZQK3J8xMxRL0lQMXSXZ6N0r4W1XFfwCLcBGAsYHQ/s280/germaniagermania.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="180" height="243" src="https://1.bp.blogspot.com/-4Gy7-79vQGs/YIvavOtV3vI/AAAAAAAACZM/POkZQK3J8xMxRL0lQMXSXZ6N0r4W1XFfwCLcBGAsYHQ/w166-h243/germaniagermania.jpg" width="166" /></a></div><br />- Leggendo i suoi libri ho come l'impressione che a volte le frasi si impongano per la loro iconicità, per un loro intrinseco ritmo nascosto, come se ne privilegiasse l'estetica, come se il semplice suono di una frase fosse già parte del suo significato. In base a questa mia azzardata affermazione, quanto pensa io sia affetto da delirio, e in quale grado e forma?<p></p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Sono un esteta. Un libro si giustifica per la sua bellezza, anche se è un fiore del male. Per quanto riguarda il delirio, pur essendo una persona gentile e rispettosa con gli altri, so di avere una specie di pazzoide dentro di me. ed è la mia condanna, ma anche ciò che mi costringe a (e mi permette di) scrivere i miei libri. Dunque è una condanna e una benedizione.</span></b></p><p>- Gli Angeli/Ordinatori sono esseri umili e divini, destinati all'umiliazione in una vita in cui non è prevista l'opzione del "paradiso in Terra", si lasciano umiliare per rendere felici gli esseri umani (i Proprietari), perché è attraverso la felicità che possono avvicinarsi a Dio. Eppure l'unica modalità che hanno i Proprietari di rapportarsi con Nestor, l'Ordinatore, l'Angelo, è quella di farlo sentire inferiore, trattarlo come un ritardato, umiliarlo. Non sono capaci di vederne la natura divina. Gli esseri umani, nei suoi libri, sembrano destinati ad una vita di soprusi, inflitti o subiti, e incatenati ad una intima incapacità a cambiare il proprio registro: non esiste l'empatia nei mondi che crea. Esiste il riso, ma grottesco, amaro, beffardo, ma mai l'empatia. E con essa non s'intravede mai una possibile redenzione. Nel suo modo di vedere il mondo e la letteratura, esiste redenzione?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Potrebbe non sembrare, ma c'è empatia verso le mie vittime, verso tutte le vittime della società. Non è esplicita perché non scrivo opere a tesi. Non ho mai scritto o pensato che la mia scrittura debba essere più pia della realtà; la realtà è crudele, la nostra storia (da cui non abbiamo appreso mai niente) è una storia di genocidi.</span></b></p><p><table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody><tr><td style="text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-XQM31M0-XXQ/YIvpJSDF_YI/AAAAAAAACZc/d_aE7f98HYIy9kPp_ad5Ysr_2uwvVifGwCLcBGAsYHQ/s320/disegnopolleri.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="320" data-original-width="213" height="193" src="https://1.bp.blogspot.com/-XQM31M0-XXQ/YIvpJSDF_YI/AAAAAAAACZc/d_aE7f98HYIy9kPp_ad5Ysr_2uwvVifGwCLcBGAsYHQ/w150-h193/disegnopolleri.jpg" width="150" /></a></td></tr><tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><br /></td></tr></tbody></table><br />- La struttura sociale che sottende la vita del condominio è molto rigida e piuttosto semplice e ricalca con trasparenza le contraddizioni svelate dal marxismo: proprietari e portieri, padroni e lavoratori, e le dinamiche sono quelle tipiche dei rapporti di forza: chi può si approfitta dell'altro e lo irride. I concorsi poi paiono dei momenti istituzionalizzati e regolati che mettono in scena sempre lo stesso meccanismo, la sopraffazione, in gare che sono epifanie grottesche del meccanismo capitalista della concorrenza spietata. Eppure nei sui libri prevale l'aspetto "umano" (nel senso più deteriore del termine) rispetto alla critica sociale, come se la società fosse solo un palco sul quale vengono esibiti gli stessi mostri, mostri che cambiano maschera ma restano sempre gli stessi, quelli ai quali il genere umano è condannato. Quanta attenzione pone alle due polarità narrative? E' la società a corrompere l'uomo o è l'uomo, già naturalmente corrotto, a creare una società a sua immagine?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Credo, e magari questo è sufficiente per darmi del marxista, nella lotta di classe. Non lo so se è la società quella che ci corrompe o viceversa. Qualcuno lo sa? Ad ogni modo voglio credere che un giorno verrà un mondo più giusto.</span></b></p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-XZwtgqU0Hi0/YIvbKLx8GuI/AAAAAAAACZU/AVDywZ3VWMUEuE1dG3svinRhGoa9aY5qQCLcBGAsYHQ/s282/lainocencia.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="282" data-original-width="179" src="https://1.bp.blogspot.com/-XZwtgqU0Hi0/YIvbKLx8GuI/AAAAAAAACZU/AVDywZ3VWMUEuE1dG3svinRhGoa9aY5qQCLcBGAsYHQ/s0/lainocencia.jpg" /></a></div><br />- La morte, il disgusto, la violenza, la sofferenza, le pene legate ad un corpo materiale che si deteriora, che odora, che suda, che marcisce: tutto questo è parte del vivere o è il tutto?<p></p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Oltre alla morte, al disgusto, alla violenza, alla sofferenza, ecc., esistono l'amore, l'amicizia, la solidarietà, ecc. ma forse i buoni sentimenti creano cattiva letteratura, come è già stato detto.</span></b></p><p><b>- </b>Quanto è importante per l'essere umano come specie la narrazione di sé stesso? Perché siamo così intimamente legati alla necessità di raccontare noi stessi a noi stessi? Di rappresentarci all'interno di un meccanismo narrativo come se questo potesse dare un senso al nostro stare la mondo?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Narrare, nel mio caso, significa provare a vedermi in modo oggettivo. Ed è l'unica maniera che ho trovato per scoprire chi sono e cosa sento perché da buon "pazzo" ho un'identità problematica. </span></b></p><p>- Non esiste empatia, forse nemmeno nella narrazione, non esiste redenzione: esiste almeno la speranza di vedere altri suoi libri tradotti in italiano?</p><p><b><span style="color: #ffa400;">* Ci redimiamo nell'amore per una donna, per gli amici, nel rispetto per tutti gli esseri umani con i quali ci incrociamo e che proviamo ad aiutare. Sì: ho la speranza di vedere altri miei libri tradotti con amore in italiano dai miei amici di edizioni Arcoiris. Spero che li collochino tra la Divina commedia e le opere di Pasolini. Scherzi a parte, il mio cognome è italiano e mia nonna era una contadina lombarda. Ho un certo diritto, pertanto, ad avere un posticino molto, molto modesto, nelle librerie italiane. E molto, molto lontano da Dante, o Leopardi, o Ungaretti, tre poeti che amo.</span></b></p><p><b><span style="color: #ffa400;"><br /></span></b></p><p><b><span style="color: #ffa400;"><br /></span></b></p><p><b></b></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><b><a href="https://1.bp.blogspot.com/-ENHf-0ug6zg/YIvVQfvi9iI/AAAAAAAACY0/5yqIGjhVvZEtaRLJzJiyNh_3QJlkgSZBQCLcBGAsYHQ/s200/polleri.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="200" src="https://1.bp.blogspot.com/-ENHf-0ug6zg/YIvVQfvi9iI/AAAAAAAACY0/5yqIGjhVvZEtaRLJzJiyNh_3QJlkgSZBQCLcBGAsYHQ/s0/polleri.jpg" /></a></b></div><b><br /></b><span style="color: #0c343d; font-family: verdana;"><span style="background-color: white;">Apprezzato da autori come <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Levrero" target="_blank">Mario Levrero</a>,<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Rodolfo_Fogwill" target="_blank"> Fogwill</a>, <a href="https://es.wikipedia.org/wiki/Elvio_Gandolfo" target="_blank">Elvio Gandolfo</a> e <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Bellatin" target="_blank">Mario Bellatin</a>, l'uruguaiano Felipe Polleri è considerato uno dei più grandi scrittori latinoamericani degli ultimi decenni. </span></span><p></p><p><span style="color: #0c343d; font-family: verdana;"><span style="background-color: white;">Edizioni Arcoiris ha pubblicato <i><b>Germania, Germania</b></i>! e, da poco, <i><b>Le poltrone appassite</b></i>. </span></span></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><span style="color: #0c343d;"><br /></span></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><br /></div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-27151532019178970202020-10-25T18:04:00.005+01:002020-10-25T18:04:39.173+01:00Aldilà, di Andrea Morstabilini, Il Saggiatore editore<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-KonvbEnhmDk/X5RlDFXJ3rI/AAAAAAAACV0/t7AV_jGWBd8-CBtAaWRcfQMIotbh9bWYACLcBGAsYHQ/s275/aldila.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" src="https://1.bp.blogspot.com/-KonvbEnhmDk/X5RlDFXJ3rI/AAAAAAAACV0/t7AV_jGWBd8-CBtAaWRcfQMIotbh9bWYACLcBGAsYHQ/s0/aldila.jpg" /></a></div>Una casa, la pianura che si estende senza fine e colma l'occhio di vuoto, e uno scrittore in cerca di solitudine e ispirazione: non serve altro. Questo ultimo libro di Andrea Morstabilini ha bisogno davvero di pochi elementi per creare la giusta atmosfera in cui immergere il lettore, pochi punti cardinali che gli permettono di navigare con sicurezza in una storia che ha il passo lento del classico e l'ambientazione che ribalta il south gothic nostrano per riversarsi nettamente sul gotico padano. Dunque, una casa presa in affitto per isolarsi e potersi dedicare a scrivere un libro del terrore, un contratto d'affitto singolare, economico ma con clausole strambe, una casa che pare avere una personalità tutta sua, un profilo unico, sghembo, uno sguardo, un respiro, la solitudine che la circonda come un collier circonda il collo di una, nobile, vecchia signora. Il protagonista ci conduce in prima persona dentro la storia, passo per passo. Il caldo dell'estate, le valigie, la macchina da scrivere che deve arrivare, il giardiniere, la donna delle pulizie, le stanze, la sensazione misteriosa che si avverte quando si entra per la prima volta in una vecchia casa disabitata per molto tempo, l'impressione che qualcosa della vita passata sia rimasta intrappolata tra le mura, nei battiscopa, dietro i mobili, un brivido freddo (piacevole, all'inizio) che smorza la calura oppressiva della pianura cotta dal sole estivo. Lo scrittore prende possesso del suo nuovo spazio, espone i libri che si è portato con sè per farsi ispirare, lascia che l'odore della casa gli percuota le narici, sbircia stanza per stanza, e fuori dalle finestre. Si appresta far conoscenza con la sua nuova dimora, ma le vecchie case, come le vecchie, nobili, signore, sono piene di sorprese e ricche di passato, strane e misteriose, e di solito non sono facili a stringere nuove amicizie. Il centro del mistero si annida nella soffitta, laddove una grata e poi un muro non permettono di andare oltre, nemmeno col solo sguardo. Ma, quindi: cosa si cela dietro la grata, oltre il muro? Perchè quel "qualcosa" è stato nascosto, chiuso a chiave come si fa con le bestie feroci per assicurarsi che non possano fuggire e divorare nessuno? Inoltre: perchè il giardiniere sembra scavare e coprire sempre le stesse due fosse, giorno dopo giorno? Cosa nasconde la scontrosità della donna delle pulizie? <p></p><p>La storia è tutta qui, e non è poco, perchè si confronta con i classici del romanzo gotico e delle storie del terrore e, soprattutto, perchè avanza in un territorio liminale che per sua stessa natura non ha definizione, nè forma. Cos'è che ci fa paura? L'indagine avanza per accumulo di ipotesi, e noi con essa: ci troviamo in una possibile storia di fantasmi, poi in un Amityville Horror in salsa padana (o una Hill House di provincia) dove è la casa ad avere un'anima, poltergeist, possessioni, ritorni dal passato, svitati esoteristi, il giro di giostra è lungo e scandaglia tutti i ripostigli nei quali ci si aspetta di trovare un cadavere, ma, senza voler spoilerare, l'operazione di Morstabilini è più fine, non si limita ad aprire una finestra sulla nostalgia del passato della letteratura di genere, e nemmeno si pone l'obiettivo, il genere gotico, di volerlo modernizzare a tutti i costi, va più a fondo o, per meglio dire, il percorso che traccia segue un passaggio molto sottile, quasi invisibile, che si intuisce alla fine per sottrazione: vale a dire: se non è una storia di fantasmi (ma davvero poi non lo è?), se non si tratta di poltergeist, o di presenze, o di una casa con un'anima, cosa rimane? Di cosa è fatta, qual'è l'essenza materica ed immateriale che modifica la realtà e la rende misteriosa, pericolosa, incombente su un essere umano che viene ridimensionato a semplice comparsa, essere minuscolo, ininfluente, impotente che, al più, può cercare di comprendere il mondo oscuro nel quale è inscritto, senza peraltro (questa è la condanna dell'essere umano) mai riuscirvi? Alla fine della storia lo si intuisce; o forse è solo l'affacciarsi di un'ultima estrema ipotesi che possa contenere tutte le stranezze che la storia ha riversato sullo scrittore.</p><p> Un gran bel libro, che si fa beffe delle attuali esigenze di stili vertiginosi, veloci, psichedelici, ma che segue il passo lento del camminatore, che trova il tempo di (guardare e) vedere il paesaggio e al contempo di seguire il corso delle proprie elucubrazioni, avanza lento ed elegante, scandaglia la realtà che lo circonda, e si tende per cercare di intercettare suoni inesplicati, scricchiolii, fruscii, il respiro della casa e della pianura che, spesso, procedono all'unisono. I richiami ai classici, come detto, sono molti, ed evidenti, chiari omaggi ai grandi della letteratura (li trovate riportati nella sinossi). Ma c'è anche il cinema di Pupi Avati, i richiami all'opera di Eraldo Baldini e, infine, il piacere fanciullesco di ascoltare in silenzio le storie che, bambini, non ci permettevano di dormire. </p><p> Una nota particolare, personale, mi permetto, per la copertina, che trova assolutamente perfetta.</p><p> </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-SdnpiMlUL6c/X5Rvh2ggyUI/AAAAAAAACWA/MqjfXfuByLgDZ7s0wtWdNWrUQr8OwnVMACLcBGAsYHQ/s275/morstabilini.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" src="https://1.bp.blogspot.com/-SdnpiMlUL6c/X5Rvh2ggyUI/AAAAAAAACWA/MqjfXfuByLgDZ7s0wtWdNWrUQr8OwnVMACLcBGAsYHQ/s0/morstabilini.jpg" /></a></div><br /> <span style="color: #ffa400;">Andrea Morstabilini</span> (1983) è editor e traduttore. per Il Saggiatore ha curato la nuova edizione de <a href="https://www.ilsaggiatore.com/libro/le-montagne-della-follia-2/" target="_blank">Le montagne della follia</a>, di Lovecraft (2018), e ha pubblicato il romanzo <a href="https://www.ilsaggiatore.com/libro/il-demone-meridiano/" target="_blank">Il demone meridiano</a> (2016)<br /><p></p>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-55256108981315162452020-08-12T13:39:00.001+02:002020-08-12T13:39:36.483+02:00Il rapporto di Brodeck (1: L'altro / 2: L'indicibile), di Manu Larcenet, trad. di Francesca Scala, Coconino Press<p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-dt6EoyAWBf4/XzLR5CrTZ2I/AAAAAAAACUE/86OdZPktS9YNuSylamAHd7jjwWXI-RtJQCLcBGAsYHQ/s261/brodek1.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="261" data-original-width="193" src="https://1.bp.blogspot.com/-dt6EoyAWBf4/XzLR5CrTZ2I/AAAAAAAACUE/86OdZPktS9YNuSylamAHd7jjwWXI-RtJQCLcBGAsYHQ/s0/brodek1.jpg" /></a></div><p>E' un'opera sulla memoria, sul suo potere distruttivo? Si. E' un'opera sulla colpa, sulla colpa collettiva e su quella individuale? Anche. E' un'opera sulla guerra, sul suo potenziale distruttivo e disumanizzante? Assolutamente si. Come sempre quando si parla di Larcenet, il tema non è mai uno solo ed è così ben amalgamato agli altri da renderlo inisolabile, perchè Larcenet ha quel dono che era di Shakespeare: raccontare una storia parlando di tutto. In ogni storia c'è un universo di significati, di registri, di stili, di richiami, ogni storia è un universo completo in ogni suo aspetto. Quindi: è una storia d'amore, è la storia di un delitto, un romanzo psicologico, un romanzo diaristico (diaristico su più piani), una storia di vendetta, di colpa, di silenzi, di montagna, di comunità isolate chiuse a pugno di fronte alla pazzia del mondo, è la storia di un omicidio, è un manuale su come dimenticare le proprie colpe, è un libro (in realtà due ma comunque è come se fosse uno e, credo, presto lo sarà), sul razzismo, sulla paura che lo sottende, sull'inumano che è alla base dell'umanità, sulle dinamiche bestiali che reggono ogni società, è una storia sul valore antropologico del capro espiatorio, è un libro che racchiude un mondo, o più mondi, tutti quanti, o quasi, disastrosi, disastrati, pericolosi, oscuri, selvatici e impietosi verso l'idea stessa di essere umano. L'opera di Larcenet è tratta dal libro di Philippe Claudel, <a href="https://www.rivistapaginauno.it/nero-come-il-cuore/" target="_blank">Il rapporto</a> (Ponte alle grazie, 2008). E' la storia di come un piccolo paese di montagna, nel post guerra, accolga uno straniero e di come questo "Anderer" (straniero appunto, così lo chiameranno sempre tutti gli abitanti) sconvolga suo malgrado gl'incerti equilibri degli abitanti e risvegli in loro le paure più irrazionali. L'intreccio è semplice: gli abitanti, macchiatisi del delitto, chiederanno a Brodeck, uno dei pochi ad avere la mani pulite rispetto all'assassinio dell'Anderer, uno dei pochi a saper scrivere (compila per mestiere rapporti periodici su flora e fauna locale), di redigere un rapporto che li assolva. La richiesta è esplicita e dà per scontato che lo stesso Brodeck, pur non essendo stato presente al delitto, ne condivida le radici e la messa in atto. Da subito, quindi, stendere il rapporto per Brodeck diventa una sorta di esame, una prova per dimostrare di essere realmente parte della comunità (lui che venne accolto anni prima, ma mai del tutto accettato). Da subito si sente osservato, seguito, controllato: la paura degli abitanti è che Brodeck non compia correttamente il suo lavoro, perchè in fondo dubitano di lui in quanto, appunto, mai accettato fino in fondo come facente parte del villaggio. E Brodeck infatti li tradisce: scrive sì, un rapporto assolutorio, ma al contempo, di nascosto, scrive la sua versione dell'arrivo e della permanenza dell'Anderer nel paese (quella che noi leggiamo). </p><p></p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-8rTLhQBunic/XzLZzt2Z18I/AAAAAAAACUQ/8BHA1ZckZeI7ecXF7Bv-o52nX0MJh4_5wCLcBGAsYHQ/s261/Brodek2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="261" data-original-width="193" src="https://1.bp.blogspot.com/-8rTLhQBunic/XzLZzt2Z18I/AAAAAAAACUQ/8BHA1ZckZeI7ecXF7Bv-o52nX0MJh4_5wCLcBGAsYHQ/s0/Brodek2.jpg" /></a></div><p>Con un abile uso di flash back la storia dell'Anderer esonda fino a diventare la storia di Brodeck e, soprattutto, dell'intero paese e dei suoi abitanti, la storia della guerra e della sua brutale follia. Di fronte a questo, all'insensata follia degli esseri umani in armi, l'unica risposta è quella della moglie vittimizzata di Brodeck, che perde l'uso della parola e si isola da tutto e da tutti, limtandosi a cantare ossessivamente la canzone con la quale si era conosciuta con Brodeck. Al di fuori del silenzio e dell'isolamento, il mondo è un grumo di dolore che gli animali, il bosco e la natura selvaggia, si limitano ad osservare da lontano, apparentemente incapaci di comprenderne le logiche. L'Anderer quindi, con la sua sola presenza, scoperchia un passato prossimo fatto di colpa, di vergogna e di paura che gli abitanti hanno il bisogno (prima di tutto inconscio) di dimenticare il più presto possibile. Invece, la sua presenza sortisce l'effetto opposto: tutti ricordano, tutti vedono le loro colpe e loro debolezze specchiarsi nello straniero e nel suo (apparente) mistero. Sono tensioni che non sono tollerabili, la psiche collettiva del paese va in tilt, i singoli non contano più, gli abitanti diventano un solo organismo psicotico e come tale reagiscono ad una guerra dall'Anderer mai dichiarata. L'unica possibilità è macchiarsi di una nuova colpa pur di dimenticare quelle precedenti. A questo serve il rapporto di Brodeck, a dimenticare. Se però Brodeck non dovesse sottomettersi al volere degli abitanti e decidesse di perseguire la verità, la soluzione certa sarebbe un altro delitto, altra colpa da aggiungere alla colpa, qualsiasi cosa pur di cancellare la memoria, personale e collettiva. Pur avendo detto molto, non ho svelato nulla, perchè la profondità di quest'opera è tale che comunque una parte importante rimane comunque fuori da qualsiasi riduzione se ne voglia fare.</p><p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-6MkCXTQcFF8/XzLeaZMgjnI/AAAAAAAACUc/rXvdw0l6mM0U7U0lgv8-IBSBXGLq4gr3QCLcBGAsYHQ/s2048/20200807_194714%257E2.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1565" data-original-width="2048" height="297" src="https://1.bp.blogspot.com/-6MkCXTQcFF8/XzLeaZMgjnI/AAAAAAAACUc/rXvdw0l6mM0U7U0lgv8-IBSBXGLq4gr3QCLcBGAsYHQ/s640/20200807_194714%257E2.jpg" width="393" /></a></div><p></p><p>L'Anderer dipinge (da notare come la sua figura sia simile a quella che sarà poi quella di Polza Mancini in Blast, con quel pizzo che anche in altri fumetti pare essere un segno di riconoscimento biografico dell'autore), la sua pittura scatenerà la follia omicida degli abitanti, Brodeck scrive, e anch'egli rischia sulla propria pelle gli sfoghi dell'intolleranza del paese: il mondo è un coacervo di pulsioni primarie, violente, animalesche, selvatiche, e chiunque ne sia fuori, almeno in parte, viene visto come un pericolo: il diverso è il pericolo. Saper scrivere, saper dipingere, saper parlare correttamente, arrivare da fuori, fermarsi in paese, qualsiasi elemento di discrepanza dai canoni sclerotizzati del paese e dei suoi abitanti è sintomo di pericolo: innanzitutto di un pericolo psicologico (perchè l'Anderer non può certo rappresentare un pericolo sul piano fisico), una variabile che può o non può turbare equilibri sottili ed incerti. Il branco si riunisce e fa della propria paura l'arma per annullare qualsiasi pulsione al cambiamento, vera o presunta che fosse. Quando la primitiva mente dei singoli si agglomera in un'unica entità collettiva, la follia diviene la regola, è la comunità che risponde ad un pericolo invisibile ma, al contrario degli animali, la psicologia umana pone un secondo livello di incertezza: vale a dire che non può accettare la propria colpa (perchè, diversamente dall'animale, percepisce il proprio comportamento come sbagliato) e pertanto nasce il bisogno disperato dell'oblio. Ma si tratta di un bisogno a tal punto assoluto che, per assurdo, per cancellare la vergogna di una colpa è disposto a commetterne una nuova. </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-FPQ798pY5hI/XzLeqoHgKDI/AAAAAAAACUk/8LhxzTDRxkY6-9ziMZBlWyiyJgbeaHkGwCLcBGAsYHQ/s2048/20200807_194511%257E2.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1140" data-original-width="2048" height="230" src="https://1.bp.blogspot.com/-FPQ798pY5hI/XzLeqoHgKDI/AAAAAAAACUk/8LhxzTDRxkY6-9ziMZBlWyiyJgbeaHkGwCLcBGAsYHQ/s640/20200807_194511%257E2.jpg" width="342" /></a></div>Chiodo scaccia chiodo, e in questo vortice di umano (per come ci ostiniamo a considerare l'umanità) non rimane più nulla. Lo sguardo degli animali, lo si può intendere in questo senso come perplesso: non perchè condannino la violenza, che è parte del loro stesso mondo, ma perchè non capiscono il senso di colpa successivo e lo scatenarsi di nuova violenza che, a quel punto, diviene immotivata, sganciata da qualsiasi causa sul piano reale. La tragedia dell'essere umano è tutta psicologica, ed è permeata di paura, la paura di essere qualcosa di diverso dall'animale che si desidera continuare ad essere. <p></p><p> </p><p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-afJqmD2NR_Y/XzLfvh4-XzI/AAAAAAAACUw/gunavyy4xkg_hEn4Nu16HJE8JX8JtxTXwCLcBGAsYHQ/s260/Larcenet.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="194" data-original-width="260" src="https://1.bp.blogspot.com/-afJqmD2NR_Y/XzLfvh4-XzI/AAAAAAAACUw/gunavyy4xkg_hEn4Nu16HJE8JX8JtxTXwCLcBGAsYHQ/s0/Larcenet.jpg" /></a></div><p><span style="color: #ffa400;">Manu Larcenet</span> è nato nel 1969. Ha
studiato grafica al Sèvres Lycée e ha iniziato a pubblicare alla fine
del </p><p>199</p><p>4, nello stesso periodo in cui cantava in un gruppo punk rock. La
sua attività spazia dal fumetto all’illustrazione all’ideazione di
giochi. Ha legato il suo nome soprattutto alla collana “Poisson Pilote”
di Darga</p><p>ud, ma ha lavorato con tutti i maggiori editori francesi. </p><div><div class="term-description">
<p>Larcenet ha collaborato con vari sceneggiatori, ma sono le storie più
personali il suo punto di forza, come il graphic novel “Lo scontro
quotidiano”, che ha vinto il premio come “Miglior libro” al Festival di
fumetti di Angoulême e il premio come “Miglior libro straniero” al
Comicon di Napoli. </p>
<p>Con Jean-Yves Ferri, l’attuale sceneggiatore di Asterix, ha
realizzato i volumi della serie umoristica “Ritorno alla terra” e da
solo la saga “Blast”, anche questa in corso di pubblicazione in Italia
da Coconino Press.</p>
</div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-18139556997234124802020-07-30T08:22:00.001+02:002020-07-30T08:22:56.250+02:00Blast, di Manu Larcenet, Coconino Press, traduzione di F. Scala<div> <br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-tZccH2pFXgE/Xx75I5tWR_I/AAAAAAAACS8/PS9ouRclzHQl4krnFZhUZye0spyy-lPGwCLcBGAsYHQ/s255/blast.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="255" data-original-width="198" src="https://1.bp.blogspot.com/-tZccH2pFXgE/Xx75I5tWR_I/AAAAAAAACS8/PS9ouRclzHQl4krnFZhUZye0spyy-lPGwCLcBGAsYHQ/s0/blast.jpg" /></a></div> </div><div>Chi è Polza Mancini?<br />Il filo conduttore di questo romanzo a fumetti sta tutto in questa domanda. Polza lo troviamo arrestato e interrogato dalla Polizia. Sappiamo che ha aggredito una donna e che questa donna ora si trova in gravi condizioni e rischia la vita. Ma Polza nega di averle fatto del male. Da qui in avanti il romanzo avanza a strappi, tra incursioni nel presente e lunghi flash back, grazie ai quali ricostruiamo la sua storia. Il libro è imponente, inizialmente pubblicato in 4 volumi, questa edizione integrale consta di 816 pagine. Se vogliamo ampliare l'orizzonte ottico del lettore e sorvolare sul taglio classicamente noir dell'opera, potremmo dire che è la storia di Polza Mancini. In pratica vi troviamo un po' tutto quello che dovrebbe rientrare in una biografia, tutti i momenti importanti, le persone essenziali, gli affetti, gli snodi, ma Blast non è ovviamente una biografia (o lo è solo in parte o, più probabilmente non lo è affatto). Blast è la storia di uno sbandato, su questo non ci sono dubbi, su una persona con problemi psicologici importanti, con traumi emotivi, al contempo Polza è un uomo estremamente intelligente, lucido (di quella lucidità che per lui è una condanna e che cerca continuamente di fuggire), ma è anche un assassino? Un pluriassassino, un serial killer, uno psychokiller? Da questa angolazione (quella scelta da Larcenet) il libro è indubbiamente un noir, una detection, un viaggio nell'abisso strampalato della psiche di un uomo strano, enorme, famelico e dolente. Polza mente, o Polza è l'unico che racconta la verità, tutta la verità? La sua testa funziona, o è matto da legare?</div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-F2kC02Dt8I8/Xx8GPLelThI/AAAAAAAACTU/8neTIIBJAFwx07FecyCVZ17s_NW3dwaiQCLcBGAsYHQ/s300/moai.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-F2kC02Dt8I8/Xx8GPLelThI/AAAAAAAACTU/8neTIIBJAFwx07FecyCVZ17s_NW3dwaiQCLcBGAsYHQ/s0/moai.jpg" /></a></div><div><br /></div><div> Fino a questo punto, come detto, l'autore sceglie un genere ed una struttura ben conosciuti, non esiste, in queste scelte, alcuna novità rilevante, nulla che sia indicatore che questo romanzo a fumetti sia qualcosa di più di un noir. Invece la sensibilità di Larcenet e la sua incredibile capacità narrativa fanno di Blast un libro eccezionale. Provo a spiegare perchè. Larcenet bordeggia diversi stili, gioca con delle sensibilità molto diverse tra loro e lo fa dosandole in maniera sopraffina. Non sono solo perfetti i tempi narrativi rispetto alla detection, ma anche i tempi che svelano di volta in volta, aspetti della storia e del suo protagonista che lo rendono ora quasi poetico (un Jack Nicholson di Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma a fumetti), ora delirante, ora cupissimo ai limiti dello splatter, ora sociale (la storia del padre di Polza è puro neorealismo, e pertanto Larcenet disegna il padre di Polza in maniera totalmente fantasiosa, come un essere inumano, col becco, sfigurato e disumanizzato dalla fatica e dai dolori dell'esistenza). Se inizialmente affrontiamo la lettura con la convinzione che quel buffo e singolare ciccione sia sostanzialmente innocente, e che riuscirà a sbrogliare la matassa e a dimostrare la sua estraneità ai fatti, e col tempo arriviamo a comprendere, almeno in parte (almeno ad avvicinarci a comprendere) il perchè delle sue stranezze (e la tentazione è sempre quella di leggere qualche avvenimento del passato quale causa giustificatoria per il suo peso e per la sua fame atavica e animalesca), con l'avanzare della stroia veniamo portati a dubitare sempre più delle nostre sensazioni. Forse Polza non è quel bontempone che pensavamo, forse è qualcosa di peggio. Comunque di più complesso. Questo passaggio, e gli altri che seguiranno, è però graduale, quasi impercettibile, bisogna tendere l'orecchio per rendersene conto. Mettiamo in dubbio la storia e mettiamo in dubbio la reale natura di Polza. Avanzando, entriamo in un territorio che mescola sapientemente degrado sociale e disagio psichico, ci addentriamo in quel mondo che è ai margini del nostro, nella penombra, e poi nel buio. Ad un certo punto ci rediamo conto che l'unica cosa che resta da chiarire è se i delitti (si, sono più di uno quelli di cui è accusato) sono opera di Polza o meno, ma intanto avremo viaggiato abbastanza a lungo nella mente e nelle scelte scellerate del protagonista da esserci fatti un'idea più chiara di chi sia realmente. E' un bambino bullizzato, dalle limitate possibilità economiche, senza madre, forse troppo sensibile per accettare un mondo che per lui è da subito estremamente duro. E' un uomo che trova la sua strada lavorativa, la sua vita matrimoniale, ma che abbandona tutto quando il padre muore. Da quel momento, tutta l'oscurità che l'infanzia e l'adolescenza avevano fatto crescere dentro di lui, trovano una via di fuga e si manifestano. Da lì in poi è una lotta tra fantasmi, tra Polza e il suo passato, tra il mondo di Polza e il mondo reale, tra le regole (o, per meglio dire, l'assenza di regole) del mondo di Polza e le regole del mondo reale. Il nuovo mondo fatto di libertà però non sarà meno violento di quello vissuto dal protagonista nella sua infanzia, forse, anzi, è peggio. Polza fugge da un mondo che sente come falso, che si teneva in piedi solo grazie alla figura del padre che ne era in qualche modo garante, e piomba in un mondo in cui la libertà assoluta che si è scelto (di vagare, di sperimentare, di essere slegato da tutto e da tutti) porta con sè delle conseguenze devastanti. La ricerca (non della detection, non della polizia, non nostra di lettori di noir) di Polza diventa la "<i>queste</i>" ossessiva di un "blast", un viaggio diverso, psichico, un trip, lontano da regole morali, un luogo che gli permetta di dissolvere la sua stessa identità, un luogo-non luogo dove il dolore non esiste, nè quello fisico nè quello psicologico, dove gli altri non ti possono fare del male semplicemente perchè in quel non luogo gli altri non ci sono: non c'è nessuno, c'è solo Polza, e un Moai, un volto immaobile, enorme ed inanimato, che significa qualcosa che nessuno conosce. O, forse, significa esattamente quello: l'impossibilità di conoscere qualcosa, qualsiasi cosa.</div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-2i-pygq5P4A/Xx8GgLhp0FI/AAAAAAAACTc/MtoYFc2DAYAHN1NjI87qRe80Tu2nhP2dwCLcBGAsYHQ/s300/moai.jpg" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-2i-pygq5P4A/Xx8GgLhp0FI/AAAAAAAACTc/MtoYFc2DAYAHN1NjI87qRe80Tu2nhP2dwCLcBGAsYHQ/s0/moai.jpg" /></a></div><div></div><div><br /></div><div> Ogni esperienza umana, se non del tutto negativa, finisce comunque per impregnarsi di dolore, la vita borghese, la moglie, il lavoro e gli affetti, sono stati rifiutati in toto. Non resta spazio nè nel mondo reale nè in quello psichico per un angolo di pace, non c'è requie. Per Polza, così enorme, così goffo, ingombrante, così inadatto ai canoni del vivere civile, non c'è posto. E' di troppo. Troppa carne sulle ossa, troppa intelligenza, troppa sensibilità, troppa voglia di cercare altro, troppo tutto. Il mondo è troppo stretto per lui (non basta la natura, non bastano le apparizioni quasi mistiche degli animali), e anche la sua psiche lo è, persino le droghe e l'alcool lo sono, Polza, non sappiamo se sia un serial killer o un ghettizzato dalla sorte, un loser, un pazzerello, un mostro da prendere in giro per l'aspetto fisico, ma sappiamo per certo che qualsiasi cosa sia, qualsiasi azione abbia commesso, qualsiasi sia la sua reale aspirazione, è troppo complesso per un mondo che non lo accetta, nè lo accetterà mai. <br /></div><div>Larcenet ci racconta questa odissea, questa biografia (questo noir) con uno stile tutto suo che non è epico, non è biografico nè noir, Polza rimane un "monstrum", un essere sfaccettato, quasi poetico, vittima e forse carnefice, e folle e forse feroce, inincasellabile, fa paura perchè è altro da noi, ma richiama tenerezza perchè è anche profondamente come noi, si spinge dove noi tutti almeno qualche volta avremmo voluto osare, e poi va oltre, e oltre ancora. E poi si perde e non sa più dove si trova, nè lo sappiamo noi e, credo, nemmeno il suo autore. <br /></div><div> Alla fine, che il blast lo cerchiamo o lo rifuggiamo, ci rendiamo conto che le domande di Polza, le sue aspirazioni, il suo anelito di libertà, sono quelle cose che abbiamo soffocato ormai molto tempo fa. E forse - leggendolo veniamo presi anche da questo dubbio -in fondo abbiamo fatto la scelta giusta.</div><div><br /></div><div><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://1.bp.blogspot.com/-R5fabuoAfRY/Xx8Eu6LQOgI/AAAAAAAACTI/GSjPScj1rt8hFDJQ6EaKJ0zFmYmTAJXpwCLcBGAsYHQ/s260/Larcenet.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="194" data-original-width="260" src="https://1.bp.blogspot.com/-R5fabuoAfRY/Xx8Eu6LQOgI/AAAAAAAACTI/GSjPScj1rt8hFDJQ6EaKJ0zFmYmTAJXpwCLcBGAsYHQ/s0/Larcenet.jpg" /></a><span style="color: #ffa400;">Manu Larcenet</span> è nato nel 1969. Ha
studiato grafica al Sèvres Lycée e ha iniziato a pubblicare alla fine
del 1994, nello stesso periodo in cui cantava in un gruppo punk rock. La
sua attività spazia dal fumetto all’illustrazione all’ideazione di
giochi. Ha legato il suo nome soprattutto alla collana “Poisson Pilote”
di Dargaud, ma ha lavorato con tutti i maggiori editori francesi. </div><div><div class="term-description">
<p>Larcenet ha collaborato con vari sceneggiatori, ma sono le storie più
personali il suo punto di forza, come il graphic novel “Lo scontro
quotidiano”, che ha vinto il premio come “Miglior libro” al Festival di
fumetti di Angoulême e il premio come “Miglior libro straniero” al
Comicon di Napoli. </p>
<p>Con Jean-Yves Ferri, l’attuale sceneggiatore di Asterix, ha
realizzato i volumi della serie umoristica “Ritorno alla terra” e da
solo la saga “Blast”, anche questa in corso di pubblicazione in Italia
da Coconino Press.</p>
</div></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-40645843901953625112020-07-17T12:28:00.000+02:002020-07-17T12:28:05.262+02:00Tokyo città occupata, David Peace, Il Saggiatore, trad. di Marco Pensante<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-tBdPBGT6_Ns/Xw7j8jys3ZI/AAAAAAAACSI/up2DyMMqw_ITn0DH8BPNppqUB6gYkCY4ACLcBGAsYHQ/s1600/tokyocittaoccuoata.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="393" data-original-width="250" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-tBdPBGT6_Ns/Xw7j8jys3ZI/AAAAAAAACSI/up2DyMMqw_ITn0DH8BPNppqUB6gYkCY4ACLcBGAsYHQ/s320/tokyocittaoccuoata.jpg" width="201" /></a></div>
Sono le tre e venti del 26 Gennaio 1926, a Tokyo, alla banca Teykoku si avvicina la chiusura, mentre gli adetti sbrigano le ultime scartoffie della giornata: entra nella filiale un uomo che chiede di parlare urgentemente col direttore. Il direttore ha lasciato da poco l'ufficio perchè stava male, presentava forti dolori allo stomaco. Siamo nell'anno del ratto, il Giappone è un paese in ginocchio, occupato, stravolto dalla povertà, dalle malattie che circolano tra la popolazione come un nuovo esercito nemico, tifo e dissenteria la fanno da padroni. L'uomo viene condotto nell'ufficio del vicedirettore, si presenta come il dottor Yamaguchi Jiro (responsabile tecnico, Ministero della Sanità e dell'Assistenza sociale), sostiene che in mattinata è entrato in quella filiale un uomo infetto che presentava sitnomi di dissenteria. La dissenteria in quegli anni, in un Giappone in quelle condizioni, ti prosciuga, ti porta alla morte, ogni infetto contagia altri infetti, la morte porta altra morte. L'uomo, che ha al braccio un fascia che reca scritto Medico prevenzione malattie (o Ufficio metropolitano città di Tokyo, o Caposquadra disinfenzione, o Amministrazione quartiere di Tashima, squadra epidemie), sostiene di essere stato inviato appositamente per mettere in sicurezza il personale della banca, ha con sè gli antidoti. Il primo Farmaco e il secondo farmaco. Da prendere subito, immediatamente. Chiede di chiamare a raccolta il personale presente. Fuori, dice, lo aspetta il tenente Parker (Parker o un nome simile). Il personale viene riunito, l'uomo spiega come assumere i farmaci. Il personale ingerisce il primo, stando attento a inghiottirlo direttamente, senza che questo vada a contatto con i denti o con le gengive, poi si aspetta un minuto esatto, a quel punto si può ingerire il secondo farmaco. Solo a quel punto si può bere acqua per ripulirsi la bocca dal sapore amaro dei medicinali. I dipendenti della filiale della banca Teykoku si avviano verso il bagno per sciacquarsi la bocca e bere, invece vengono scossi da conati e contrazioni, vomitano, cadono in terra, muoiono, uno dopo l'altro. Solo una dipendente riesce a trascinarsi fuori dalla filiale e ad essere soccorsa. Alla fine si conteranno dodici vittime.<br />
Il romanzo si apre con uno scrittore che corre verso la Porta Nera (<i>"<span style="color: orange;">ma nel tempio di Zojoji non rimane nulla... Alberi enormi e bruciati, radici rivolte al cielo...Tutte le rovine della vecchia Porta Nera"</span></i>; <a href="https://www.ilsaggiatore.com/libro/tokyo-anno-zero-2/" target="_blank">Tokyo anno zero</a>, pag 52), teme di non arrivare in tempo, corre a perdifiato, perchè alla Porta Nera si deve tenere una seduta spiritica, verranno evocate dodici anime, lo scrittore avrà modo, finalmente, di conoscere la verità sul misterioso caso della banca Teykoku, potrà terminare il suo libro e portare alla luce la verità.<br />
Uno dopo l'altro, si manifestano nel fiato corto di una candela che lentamente va a morire, le anime dei sopravvissuti, di detective, di giornalisti, di militari, di presunti colpevoli: ognuno racconta la propria storia, ogni storia contraddice, almeno in parte, quelle precedenti. L'identikit dell'assassino è sfaccettat: ha diverse altezze, diverse caratteristiche, dice certe cose e dice altre cose, la fascia che porta al braccio mostra una scritta, anzi un'altra, o forse un'altra ancora. O un'altra. Quello che rimane è il suo biglietto da visita. L'unica traccia materiale che resta del suo passaggio alla filiale della banca Teykoku. Nasce la squadra investigativa "Biglietti da visita". Vengono individuati tutti coloro che sono in possesso di quel dato biglietto da visita, vengono interrogati, verificati alibi, interrogati parenti, possibili testimoni, si cercano contraddizioni, collegamenti, si seguono piste che non portano ad alcuna soluzione e si seguono piste che portano in uno dei cuori oscuri della guerra: l'unità 731, là dove la guerra non la combattono i generali ed i soldati, ma i dottori e gli scienziati. Dipartimento di guerra betteriologica.<br />
E se le storie delle varie anime si contraddicono l'un l'altra, lette insieme permettono però di farsi un quadro, per quanto sfocato, non tanto del colpevole del crimine della banca, quanto dei colpevoli dei crimini di guerra o, quantomeno dei colpevoli crimini di guerra. Lo scrittore si trova così per le mani un puzzle dell'orrore che sotto la patina della fredda perfezione nipponica nasconde crimini inumani, prigionieri usati come cavie, i cosiddetti "tronchi", popolazione civile inconsapevole sterminata per testare virus e batteri letali. Bambini, donne, cinesi, russi, persone che guardano con gratitudine i dottori credendo che gli stiano iniettando medicinali salvifici e che invece li stanno giustiziando. E' questo il vero crimine di questo noir, e l'umanità ne è il colpevole, nessuno è innocente, nè i giapponesi, nè i russi, nè gli americani, nessuno s'indigna per i crimini commessi, tutti sono interessati a coprirli, le vittime rimangono anime che si manifestano nella fiamma di una candela, esistenze ormai trascorse e dimenticate in nome di una normalità che poggia le sue fondamenta sui crimini di guerra. Tokyo è una città occupata, dove non sono più i giapponesi a comandare e a decidere di loro stessi, Tokyo diviene così il palcoscenico sul quale lo scrittore ricostruisce la rappresentazione dell'abisso nel qual si dibatte l'umanità intera. E' Tokyo, è il Giappone, ma potrebbe essere qualsiasi altro posto del mondo, qualsiasi altra guerra, qualsiasi dopoguerra, l'inumanità è la stessa ovunque.<br />
Tokyo città occupata è il secondo libro di una trilogia (il primo è Tokyo anno zero, l'ultimo, di prossima pubblicazione sempre per Il Saggiaotre è Tokyo redux) incentrata sulla città di Tokyo, una capitale martoriata, uscita a pezzi dalla guerra, nella quale la gente prova a costruirsi una normalità che ancora non può essere tale, e fa (o non fa) i conti col proprio passato recente. Quella città, in quel momento è La città, il microcosmo sul quale Peace punta il proprio microscopio e studia la vita dopo la morte, la vita dopo la guerra, e le nuove guerre che servono per costruire una nuova vita. Nessuno è innocente, la normalità ha radici sporche, la vita si nutre della morte di chi è stato prima, la guerra porta nuova vita, disperata, sbilenca e, dalla distanza di un sipario che divide i vivi dai morti, anche assurda. Chi studiava le armi batteriologiche, oggi si arrabatta a sopravvivere, o ha trovato nuovi lavori, ha famiglie a cui nascondere il proprio passato, la guerra, così vicina, sembra lontana, le proprie colpe, così lontane, sembrano vicine, così vicine da cercare di scrollarsele di dosso, come fossero insetti repellenti.<br />
Il solito, grande, eccellente Peace, dopo il capolavoro assoluto del Red Riding Quartet (anch'esso ripubblicato in toto da Il Saggiatore) trova un'altra pozza oscura e maleodorante nella quale immergere le mani, alla ricerca di cosa significhi essere umani. Non vi piacerà saperlo, vorrete voltarvi dall'altra parte, fingere di non vedere, non sentire, non capire, ma Peace il suo mestiere lo ha fatto. Col suo stile sincopato, ossessivo, preciso fino allo sfinimento, vi ha mostrato l'orrore nel quale siamo immersi. Non potrete più far finta di non sapere, di non aver capito, di non aver guardato nel fondo dell'abisso. Dopo, niente è più come prima.<br />
David Peace, a mio parere, è semplicemente il più grande scrittore di noir vivente, e uno dei migliori scrittori del mondo.<br />
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In attesa della pubblicazione del terzo volume del trilogia di Tokyo, vi consiglio di rileggervi i primi due volumi, o di recuperarli e leggerli per la prima volta, se ancora non lo avete fatto.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-2CLhNd1Q7h4/Xw71g0FKOTI/AAAAAAAACSU/1khWeVF-ZLY5MmVQYoKE_9s0yRV6qE5nACLcBGAsYHQ/s1600/davidpeace.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="244" data-original-width="207" src="https://1.bp.blogspot.com/-2CLhNd1Q7h4/Xw71g0FKOTI/AAAAAAAACSU/1khWeVF-ZLY5MmVQYoKE_9s0yRV6qE5nACLcBGAsYHQ/s1600/davidpeace.jpg" /></a></div>
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<span style="color: orange;">DAVID PEACE</span> nasce nel 1967 a Ossett dove cresce, nel West Yorkshire. Nel 1991 lascia il Manchester Polytechnic per andare a insegnare inglese a Istanbul, dove rimane per due anni, prima di tornare in patria. Dal 1994 si trasferisce a Tokyo, con l'intenzione di trascorrervi un periodo altrettanto breve, invece si ferma a vivervi stabilmente.
<br />
Nel giro di quattro anni, dal 1999 al 2002, pubblica il cosiddetto <i>Red Riding Quartet</i>, una quadrilogia di romanzi noir ambientati nello Yorkshire di fine anni settanta e primi ottanta,
segnati degli efferati delitti dello Squartatore dello Yorkshire. Per
questi romanzi, che mescolano cronaca nera e finzione, con uno stile
molto impegnativo per il lettore, Peace viene paragonato al James Ellroy di <i>American Tabloid</i> e <i>Sei pezzi da mille</i>.
<br />
Nel 2009 il primo, il secondo e il quarto romanzo sono stati adattati in tre film per la televisione, conosciuti collettivamente come <i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Red_Riding" title="Red Riding">Red Riding</a></i> e trasmessi da Channel 4.
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Nel 2003 l'autorevole rivista letteraria <i><a class="new" href="https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Granta&action=edit&redlink=1" title="Granta (la pagina non esiste)">Granta</a></i>
inserisce Peace nella sua lista dei venti migliori giovani (under 40)
romanzieri britannici (Best Young British Novelists), pubblicata a
cadenza decennale.
<br />
La sua opera successiva, <i><a class="new" href="https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=GB84&action=edit&redlink=1" title="GB84 (la pagina non esiste)">GB84</a></i> (<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/2005" title="2005">2005</a>), è incentrata su un episodio cruciale della storia britannica, lo sciopero dei minatori del 1984-1985, terminato con la vittoria di Margaret Thatcher e del Partito Conservatore e la completa sconfitta dei sindacati. Il romanzo vince il prestigioso premio letterario nazionale James Tait Black Memorial Prize.
<br />
In <i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Il_maledetto_United" title="Il maledetto United">Il maledetto United</a></i> (<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/2006" title="2006">2006</a>) Peace racconta, a modo suo, il breve periodo (soli 44 giorni) durante il quale Brian Clough allenò il Leeds United. Nel 2009 il romanzo è stato adattato per il cinema dallo sceneggiatore Peter Morgan, nel <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Il_maledetto_United_(film)" title="Il maledetto United (film)">film omonimo</a>, diretto da Tom Hooper, con Michael Sheen nel ruolo del protagonista e Timothy Spall come coprotagonista.
<br />
Con <i><a class="new" href="https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Tokyo_anno_zero&action=edit&redlink=1" title="Tokyo anno zero (la pagina non esiste)">Tokyo anno zero</a></i> (<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/2007" title="2007">2007</a>) dà inizio ad una trilogia ambientata nel Giappone devastato dopo la Seconda guerra mondiale, durante l'occupazione americana, ispirata ad autentici episodi di cronaca nera. Tokyo città occupata (2009) è il secondo libro della trilogia che verrà completato dalla pubblicazione del terzo volume Tokyo redux (in Italia per <a href="https://www.ilsaggiatore.com/autori/peace/" target="_blank">Il Saggiatore</a>).<br />
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(nota biografica tratta da Wikipedia) Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-34062588061528729262020-07-12T13:56:00.000+02:002020-07-12T13:56:41.853+02:00Terra Alta, di Javier Cercas, Guanda editore in Parma, trad. Bruno Arpaia<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-oN068flJu70/Xwri40Cw2uI/AAAAAAAACRw/WOquk3HbijQUGfjWd7nWsPopGbr_KaBKwCLcBGAsYHQ/s1600/terraalta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-oN068flJu70/Xwri40Cw2uI/AAAAAAAACRw/WOquk3HbijQUGfjWd7nWsPopGbr_KaBKwCLcBGAsYHQ/s1600/terraalta.jpg" /></a></div>
Javier Cercas abbandona la sua comfort zone (spero temporaneamente), lascia la strada che aveva tracciato e che correva sul limitare tra fiction/non-fiction e autofiction e si dedica a fare due passi ristoratori nel giallo tradizionale.<br />
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Nella Terra Alta, regione sud della Catalunya, vengono scoperti nella propria casa i cadaveri di un'anziana coppia e della loro domestica. I due anziani, al piano di sotto, (al contrario della domestica rumena, freddata con un colpo di pistola) sono stati torturati a lungo e in modi atroci, la volontà, chiara, è stata quella di farli soffrire. L'uomo è il proprietario delle Graficas Adell, l'azienda più florida della zona, ormai divenuta multinazionale con sedi in diverse parti del mondo e che dà lavoro a buona parte dei residenti nella Terra Alta. In realtà Le Graficas Adell o, per meglio dire, il suo proprietario e fondatore, sono proprietarie di quasi tutta la Terra Alta. Ad indagare sul crimine che sconvolge l'intera regione, c'è, tra gli altri, Melchor Marìn, un poliziotto giovane, ossessionato dal libro <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/I_miserabili" target="_blank">I miserabili</a>, dal passato travagliato diviso tra luci ed ombre (più ombre che luci, a ben vedere). E' stato inviato in Terra Alta per allontanarlo dai pericoli della vendetta da parte del terrorismo islamico dopo che, durante gli attacchi del 2017 a Barcellona, ha freddato, da solo, quattro terroristi. Figlio di una prostituta il cui omicidio è rimasto irrisolto e di padre ignoto, in seguito ad una gioventù scapestrata è stato in carcere, ed è qui dove, leggendo il capolavoro di Hugo e identificandosi nel personaggio di Javert, decide di entrare in polizia. Nella Terra Alta ha trovato il proprio equilibrio, un comunità che lo ha accolto, e una compagna con la quale ha creato la propria famiglia: la sua vita ora scorre su binari tranquilli, ma il brutale omicidio dell'anziana coppia (e della domestica) lo porta a contatto con una realtà che, ancora una volta, lo fa precipitare nell'ossessione. Ossessione per la giustizia assoluta, per la ricerca della verità e del trionfo del bene. Ma cos'è davvero il bene? L'indagine, che gli toglierà ogni certezza, materiale e non, pare arenarsi di fronte alla mancanza di prove che portino ad imboccare una linea investigativa, l'impressione è che i colpevoli e le motivazioni del delitto debbano a tutti i costi rimanere occulti, che interessi troppo grandi e persone troppo in vista vogliano che il caso rimanga irrisolto. Ma perchè sono stati uccisi i due anziani? Chi li odiava o, per meglio dire, chi odiava il vecchio Adell, proprietario e fondatore di un impero? Tutti lo amano o lo odiano tutti? Si è trattato di una rapina, o di una vendetta? A compiere il delitto sono stati dei professionisti o dei ladri drogati? I colpevoli (forse, a questo punto, si può parlare anche di mandanti) sono da cercarsi all'interno dell'organigramma aziendale, o all'interno della famiglia?<br />
La detection si intreccia ai flashback sulla storia personale di Melchor, e funziona come un meccanismo perfetto. La tensione è sempre alta e le svolte narrative sono preparate e dosate con sapienza. Melchor è un personaggio memorabile, complesso e tormentato ma non irredimibile, capace di trovare una sua via alla felicità e di tenersela stretta ma, anche, di metterla in gioco pur di arrivare fino in fondo alla verità. Fino a questo punto parliamo di un ottimo thriller, godibilissimo, capace di tenere avvinto il lettore già dalla prima pagina. Però qui l'autore è un signore che nella sua carriera ha scritto capolavori come <a href="https://www.guanda.it/libri/javier-cercas-soldati-di-salamina-9788882464196/" target="_blank">Soldati di Salamina</a>, <a href="https://www.guanda.it/libri/javier-cercas-anatomia-di-un-istante-9788823517868/" target="_blank">Anatomia di un istante</a> e <a href="http://2666blogspotcom.blogspot.com/2015/09/limpostore-di-javier-cercas-guanda.html" target="_blank">L'impostore</a> (e cito qui anche il pregevole saggio <a href="http://2666blogspotcom.blogspot.com/2016/03/il-punto-cieco-di-javier-cercas-guanda.html" target="_blank">Il punto cieco</a>), e dunque non si accontenta di seguire le regole del genere, di scrivere bene e di dosare al punto giusto tutti gli ingredienti di un buon thriller: se l'ossessione di Melchor sono i personaggi de I miserabili (l'unica concessione alla "metaletteratura" e allo specchiarsi tra narrativa e vita), quella di Cercas è il passato, e anche in questo caso la soluzione del caso giungerà da un passato che nessuno poteva sospettare. Il passato dunque è, come in tutti i libri di Cercas, il vero protagonista: la sua natura fallace, scivolosa, bifronte, e l'incapacità dell'essere umano di rapportarvisi in maniera sensata. E' il passato che nasconde la verità, ma col passare del tempo, la verità perde i suoi contorni, si arricchisce di nuove prospettive, la storia la illumina secondo modalità nuove e ciò che ad un dato momento sembrava essere una figura bidimensionale, priva di chiaroscuri, col tempo diviene un caleidoscopio di ipotesi. Fare i conti col passato vuol dire fare i conti con sè stessi o, piuttosto, scegliere scientemente di rinunciare al proprio io costruito negli anni, alla propria identità sociale e privata, in favore di un nuovo equilibrio sbilenco? Il passato, sembra dirci l'autore, è foriero di cambi di prospettiva bruschi, spesso violenti, mette in discussione ogni certezza, le sgretola, distrugge un mondo e non garantisce di porre le basi per un mondo nuovo. Eppure è dal passato che veniamo, siamo quello che siamo perchè abbiamo vissuto quello che abbiamo vissuto. Ma quello che abbiamo vissuto, rivisitato da una prospettiva futura, è ancora ciò che abbiamo vissuto, e solo quello?<br />
Terra alta ha diversi livelli di lettura, può essere un ottimo giallo, e può essere letto come una riflessione sul valore del passato, della vendetta e sul senso del tempo. I capolavori di Cercas sono altri, chiaro, ma gialli solidi, maturi, profondi e disturbanti come Terra Alta non sono molti in circolazione.<br />
<br />
Melchor Marìn è un protagonista (quasi) indimenticabile (chissà che non torni in qualche libro futuro, magari più anziano, alle prese con la figlia adolescente). Cercas è sempre Cercas, anche fuori dalla sua comfort zone, basta che abbia una penna in mano (o le mani su una tastiera).<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-_sj7EFnM6bg/XwrvGv46znI/AAAAAAAACR8/mMLKasgcXIIYc-_WCv1DTJImSPil3J6sACLcBGAsYHQ/s1600/javiercercas.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="276" src="https://1.bp.blogspot.com/-_sj7EFnM6bg/XwrvGv46znI/AAAAAAAACR8/mMLKasgcXIIYc-_WCv1DTJImSPil3J6sACLcBGAsYHQ/s1600/javiercercas.jpg" /></a></div>
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<div class="author-bio ps-container">
<span style="color: orange;">Javier Cercas</span> è nato nel 1962 a
Ibahernando, Cáceres. La sua opera, tradotta in più di trenta lingue, è
pubblicata in Italia da Guanda: Soldati di Salamina (Premio Grinzane
Cavour 2003), Il movente, La velocità della luce, La donna del ritratto,
Anatomia di un istante, Il nuovo inquilino, La verità di Agamennone, Le
leggi della frontiera, L’avventura di scrivere romanzi (con Bruno
Arpaia), L’impostore, Il punto cieco e Il sovrano delle ombre. Anatomia
di un istante ha vinto nel 2010 il Premio Nacional de Narrativa e nel
2011 il Premio Salone Internazionale del Libro di Torino e il Premio
Letterario Internazionale Mondello. L’impostore è stato finalista al Man
Booker International Prize 2018.<br />
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-63324294712179907292019-12-20T10:55:00.001+01:002019-12-20T10:55:38.825+01:00L'agghiacciante caso del gatto nella minestra & L'oscuro caso delle luci di Roccaverde, di Claudio Vastano, Dunwich edizioni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-RSThmgouuf4/Xftu8Qd1Z7I/AAAAAAAACPI/qNlY1dqJ4XoysnItZ40lwpKhq5wSmthPwCLcBGAsYHQ/s1600/gattominestra.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="375" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-RSThmgouuf4/Xftu8Qd1Z7I/AAAAAAAACPI/qNlY1dqJ4XoysnItZ40lwpKhq5wSmthPwCLcBGAsYHQ/s320/gattominestra.jpg" width="240" /></a></div>
Cominciamo col dire che il personaggio Casper Pestalozzi è quanto di meglio abbia sfornato uno scrittore di crime novel dai tempi del Lazzaro Santandrea del compianto Andrea G. Pinketts. Pestalozzi è un investigatore privato dissacrante, che ricalca i luoghi comuni del genere per smontarli, scientificamente, uno dopo l'altro. Laureato in geologia, indossa orgogliosamente un impermeabile lercio come quello del <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Colombo_(serie_televisiva)" target="_blank"><i>tenente Colombo</i></a>, vive da spiantato nella periferia di Lucca, per sbarcare il lunario coltiva marjuana in garage, divide l'affitto con uno psicologo psicotico (il Cacini), detto Trapasso, attirato irresistibilmente dalla morte (sua, in particolar modo, e di quanti gli stanno accanto in generale). Al posto della famosa e sgangherata <a href="http://blog.peugeot.it/curiosita/la-403-del-tenente-colombo/" target="_blank"><i>Peugeot cabriolet 403</i></a> del tenente Colombo o del <a href="https://www.comicsblog.it/post/181971/dylan-dog-e-il-suo-maggiolino-protagonisti-di-fumetti-con-le-ruote-su-rai-isoradio" target="_blank"><i>Maggiolino</i></a> di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Dylan_Dog" target="_blank"><i>Dylan Dog</i></a>, Pestalozzi si sposta su una scalcagnata utilitaria dai connotati non meglio specificati, detta la "nipponica". Il "suo ispettore Bloch" è tale commissario Spaccalano (nomen omen), una sorta di urside per dimensioni, sembianze e timbro vocale. Per completare il paesaggio umano nel quale Pestalozzi si muove, bisogna presentare la fidanzata, Lauretta, una moretta, piccolina e ben fatta che, per amor proprio e profondo senso di vergogna, nasconde la sua relazione alla amiche e in generale a tutto il genere umano. Anche Lauretta ha funzione di antitopos narrativo del genere: non è una dark lady e nemmeno la classica "grande donna dietro un grande uomo": il suo cruccio è quello di avere avuto in sorte un fidanzato fallito, socialmente impresentabile, economicamente spiantato, incapace di ambizione, odiatore dei ricchi e di quel mondo dal quale, invece, Lauretta è attirata (anche se moderatamente, a dirla tutta). La madre di Lauretta (mamma Pezzotta), che giocoforza è a conoscenza della relazione della figlia con il malridotto Casper, è la nemesi di Pestalozzi, la sua <i>hater</i> personale, descritta immancabilmente come una sorta di mostro biblico, o "boiler con le ciabatte" (Lauretta deve difenderla in continuazione dalle offese del Pestalozzi, spiegando come la mancata forma fisica, che rasentà l'obesità, della madre sia causata da una disfunzione tiroidea), si esprime con urla e insulti verso il findazato della figlia, colpevole di essere ciò che è: vale a dire, il fallito di cui sopra. Nel primo libro, <span style="color: orange;"><i>L'agghiacciante caso del gatto nella minestra</i></span>, Pestalozzi viene chiamato dall'ispettore Spaccalano ad investigare su un caso apparentemente impossibile. Un ricco avvocato (tale Nardi) viene ucciso nello studio della propria villa, una magione immensa conosciuta come villa Tooms (una chicca, in omaggio a <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Eugene_Tooms" target="_blank">Eugene Victor Tooms</a>, personaggio che appare in due episodi di <i>X-files</i>: "<a href="http://www.beyondthesea.it/episodio.asp?cod=3" target="_blank"><i>Omicidi del terzo tipo</i></a>" e "<a href="http://www.beyondthesea.it/episodio.asp?cod=21" target="_blank"><i>Creatura diabolica</i></a>"), proprio mentre al piano di sotto, nel salone principale, gli invitati stanno attendendo che questi scenda per dare inizio alla festa. Il meccanismo è quello classico dell'omicidio nella stanza chiusa, c'è, oltretutto, anche il sospettabilissimo maggiordomo. Ma, così come per i propri personaggi, anche per la trama Vastano usa uno stereotipo narrativo e lo stravolge. L'investigazione procede attraverso una detection dal passo strettamente scientifico (anche se portato avanti un po' alla bell'e meglio, non certo attraverso le tecniche sopraffine e i test di laboratorio di serie quali C.S.I), non vi è spazio per l'intuizione e il colpo di genio, vi è un avanzamento che poggia su piccoli passi razionalmente costruiti. Poi, però, il fulcro dell'indagine grazie al quale si giunge a dipanare il mistero, è "<i>un mistero buffo</i>", un gatto, Sisma, che quando si spaventa corre in cucina e si butta nelle pentole piene di cibo: la sera della morte dell'avvocato Nardi, nello specifico, si getta nella minestra. Chi tra gl'invitati ha ucciso l'anziano avvocato? La bionda svampita, il nipote con problemi di droga e gioco d'azzardo? Eugene Tooms? I figli desiderosi dell'eredità? Qualcuno mosso da invidia, cupidigia, vendetta? O forse è qualcuno della servitù? Chi o cosa ha spaventato il gatto Sisma? Di chi sono le impronte nella stanza dell'avvocato, perchè scompaiono appena fuori dalla porta?<br />
Il disprezzo di classe che Pestalozzi riserva per i ricchi troverà una conferma nell'indagine?<br />
Lascio inevase le interrogative e non vado oltre per non guastare il gusto della lettura.<br />
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<div style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">Da est calano come unni i liceali, con i loro zaini stranieri e i motorini truccati. da nord, invece, provengono gli studenti degli istituti professionali. Hanno usanze selvagge, non possiedono il senso dello Stato, della legge e della proprietà. La loro attività preferita, quando non giocano a pallone, è la ricerca delle femmine</span>.</i></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;">pag. 9-10 </span><i><br /></i></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Sei un fan di Dylan Dog?>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Diciamo che le mie conoscenze investigative vengono tutte dai fumetti dell'investigatore dell'incubo e dagli articoli di Donna Moderna. E' lì che uno si fa la vera cultura, altro che Università. >></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Se lo dici tu che sei del ramo. >></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Del ramo e della radice. >></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Sono tutte balle naturalmente. Ho una laurea in geologia e una specializzazione in geochimica, ma per esperienza so che se alla gente ti presenti sventolando i tuoi meriti accademici va a finire che rimani simpatico come Vittorio Sgarbi.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;">pag.29-30 </span> </div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-X4jibcSHYVQ/XfuAXdU7i0I/AAAAAAAACPU/eYtn5YXELhQMtKXPBrAXk0KxnlAYpgK_QCLcBGAsYHQ/s1600/luciroccaverde.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="500" data-original-width="333" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-X4jibcSHYVQ/XfuAXdU7i0I/AAAAAAAACPU/eYtn5YXELhQMtKXPBrAXk0KxnlAYpgK_QCLcBGAsYHQ/s320/luciroccaverde.jpg" width="213" /></a></div>
La seconda indagine di Pestalozzi è raccontata ne <i>L'oscuro caso delle luci di Roccaverde</i>. Il dottor Michael Colmer, che lavora all'istituto di ricerca di Roccaverde, viene trovato morto in maniera, anche questa volta, inspiegabile. Apparentemente è stato ucciso da un fenomeno misterioso che caratterizza l'abitato di Roccaverde, delle luci (verdi appunto) che si muovono nell'aria e che ricordano i globi misteriosi che appaiono spesso collegati ai famosi "<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Cerchi_nel_grano" target="_blank"><i>cerchi nel grano</i></a>". Il corpo dello scienziato sembra essere stato divorato da queste luci che, la sera della sua morte, sono state viste da più persone del paese. Pestalozzi, che ormai si è fatto una certa fama come esperto di casi "strani", al limite del paranormale, viene chiamato ad investigare. Alla morte del dottor Colmer fa presto seguito la morte di un'altro scienziato, anche in questo caso legata all'appazione delle misteriose luci verdi. Pestalozzi, coadiuvato da un tasso petomane (Gustavo) e dagli inseparabili Trapasso (che in questo caso si ritaglia un ruolo di maggior respiro) e Lauretta. Tra acque nauseabonde e luci globulari, tra scienza e paranormale, tra alberghi rassicuranti e grotte uterine e oscure (e high tech), il mistero, ovviamente, verrà svelato. Pestalozzi rischierà la vita, Lauretta arriverrà addirittura a preoccuparsi per lui e Trapasso si gusterà beatamente la vicinanza quasi definitiva con la Grande Consolatrice. Anche in questo caso gli studi in geologia del Pestalozzi e la sua razionalità scientifica avranno un ruolo determinante nel dipanarsi dell'investigazione e nella risoluzione degli omicidi. In questo libro non è più il giallo classico a fare da modello primigenio sul quale Vastano scatena la propria fantasia, quanto il racconto "dello scienziato pazzo" condito con un pizzico di atmosfera paranormale (alla Dylan Dog, per intenderci). Anche per <i>L'oscuro caso delle luci di Roccaverde</i> i modelli vengono rivoltati come calzini e utilizzati per mettere in scena una commedia umana tutta particolare. La trama in questo caso è più articolata e sfocia in scene di stampo hard boiled nelle quali la violenza prende la scena lasciando, a tratti, in secondo piano il gioco intellettuale della ricerca della verità.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< O' Cacini, ma vieni via così?>>, domando. <<Con la maglietta a mezze macniche e i sandali?>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<C'è qualche problema?>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Siamo a fine Novembre, cialtrone! Ti sei accorto che fuori è ghiaccio marmato? In montagna pare d'essere in Siberia.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Meglio, così stianto assiderato.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Mettiti almeno i calzini.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Niente calzini. Voglio che la morte di ghiaccio mi prenda dalle gambe.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<E' più facile che la morte ti guardi e si ritragga>>, gli rispondo. <<Ha buon gusto, lei. Che anch'io forse non scherzo, ma te... guardati gli stinchi. Con quei pelacci neri e scimmieschi, sembri un oltraggio alle leggi dell'evoluzione darwiniana.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>... Il Cacini però non la prende bene. <<Sai che hai ragione? Ho una fisionomia da scimmia bonobo>> constata con amarezza. <<Faccio schifo al maiale.>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Cacio, questa è una di quelle rare occasioni in cui l'uomo saggio sceglie di dimostrare giudizio.>> </i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;">pag.12</span><i> </i> </div>
<br />
Casper Pestalozzi è un prodotto (narrativamente felice) di due fattori specifici: i tempi nei quali si trova a vivere, il nostro presente, e la cultura regionale della quale è impregnato (ma, importante, non soltanto lui), vale a dire la toscanità. E' giovane, laureato, ma si trova in un mondo nel quale queste due caratteristiche non fanno una virtù, è costretto a vivacchiare, e considera la realtà nella quale vive talmente scontata da non prendere in considerazione altre opportunità. Sopravvive senza per questo farne una tragedia (al più, una commedia). Il suo titolo di studio non gli permette uno sbocco lavorativo, pertanto ricicla le proprie competenze mettendo in piedi un piccolo traffico di marjuana e come strumento per risolvere i casi che deve affrontare. E' lo spirito di adattamento che lo tiene in piedi, e l'ironia. E su questo aspetto la toscanità diventa un elemento fondamentale: Pestalozzi è greve, dissacrante, anche volgare, cinico e astuto. Non esiste argomento che non possa essere dissacrato con una battuta, e l'ironia è comunque al contempo un punto di vista "altro" rispetto alla normale visione della realtà. Ogni cosa ha il suo giusto peso, anche la morte, anche l'amore e l'amicizia, nulla ha la grandiosità epica dell'ideale assoluto a cui sacrificare sè stessi (amori, carriera, famiglia, ecc.) tipico del noir classico. Pestalozzi non è uno spiantato perchè ha rifiutato l'ipocrisia della società in cui vive, al contrario è stato rifiutato da quella società ipocrita ma, al contempo, il modello sociale del vincente o del benestante non lo attirano (come invece avviene per Lauretta).<br />
La società del benessere la si percepisce come un'eco di fondo, ed è rappresentata da quella <i>Lucca vecchia</i>, raggomitolata all'interno delle antiche mura come un presepio che si specchia su sè stesso e nelle sue vie dello shopping, in una nobiltà che ormai è solo il ricordo di un ricordo. Tutt'attorno a quel circolo di mura che racchiude il centro storico, il mondo di Pestalozzi si muove in cerca di un'entrata per arrivare a fine mese. Un senso a tutto questo non lo si cerca più, Pestalozzi non è roso da nessun tarlo, non anela ad un'infinito, non cerca un significato alla propria esistenza, nè draghi da combattere che giustifichino il proprio passaggio su questa Terra.<br />
Se Lazzaro Santandrea, di Pinketts, poteva dedicarsi alle sue investigazioni, oltre che ai suoi passatempi alcolici, grazie ad una corposa eredità che lo salvaguardava dalle incombenze giornaliere e dalle preoccupazioni finanziarie, Pestalozzi con queste deve farci i conti. Così come, d'altronde, anche il suo coinquilino, anch'egli laureato (in psicologia nel suo caso) eppure incapace di ricavarsi una nicchia soleggiata nella società del benessere. Trapasso, dal canto suo, risponde ai controsensi della realtà in maniera malata, vagheggiando una fuga definitiva nella morte, quella fuga dissacrata sinistramente alla perfezione dal modo di dire toscano "levarsi da patire". Tutti e due sono dei falliti, losers come nella più classica tradizione letteraria americana, ma con un tocco da commedia tipicamente italiano. Lauretta è l'unica che ancora spera di trovare la sua strada nella vita, una strada compatibile con le aspirazioni di mamma che, per il momento, sono anche le sue. E' per questo suo vitalismo che fa da contraltare all'apparente passività del findanzato, che le sue critiche ed i suoi insulti sono più che sproni, per Pestalozzi, quanto delle vere e proprie sferzate, schiaffi a mano aperta in pieno volto, scosse elettriche.<br />
Forse l'aspetto più importante dei libri di Vastano, che fanno passare in secondo piano alcuni difetti che paiono derivare più che altro da una certa mancanza di editing, è l'uso sapiente dell'ironia, innanzitutto nei dialoghi brillanti. Se potessimo cancellare del tutto la presenza dell'ironia, i due libri di Pestalozzi rimarrebbero comunque in piedi, forti di trame salde e ben sviluppate, ma risulterebbero privati della loro forza vitale e, azzerderei, della loro ragion d'essere. Ma è proprio l'ironia, lo scambio salace, la battuta improvvisa, spiazzante, che riporta ad un maestro del genere come Malvaldi, anch'egli toscano. Rispetto al più volte citato Lazzaro Santandrea, sia in Malvaldi che in Vastano, l'ironia ha un'arma in più, o più affilata: non è solo il protagonista (il barrista Massimo o Casper Pestalozzi) a farne uso sapiente ed abbondante: ogni personaggio ne è dotato ed è capacissimo ad utilizzarla secondo le più svariate. e colorite, modalità. Non c'è una battuta al vetriolo del Pestalozzi che non riceva in risposta un missile terraria altrettanto devastante. Tutti, Lauretta, Trapasso, mamma Pezzotta, Spaccalano e pressochè tutti i personaggi minori sono perfettamente in grado di rispondere colpo su colpo. Se il genere giallo è da sempre considerato come quello più adatto a fungere da specchio critico della realtà, i libri della serie di Pestalozzi non fanno eccezione. Vastano ha uno stile piano e ottimamente adattato alle esigenze narrative che ben si presta all'inserto di dialoghi taglienti estremamente efficaci, talvolta però cade in clichè e frasi fatte che un buon editing potrebbe tranquillamente evitare. Gl'inserti di taglio scientifico, nel corso della trama, subiscono, soprattutto nel secondo libro, a mio parere quello meno riuscito, uno stacco dal resto del tessuto narrativo troppo forte, rimarcando così la propria natura di corpi estranei. Certe caratterizzazioni potrebbero essere smorzate, senza per questo che perdano mordente, al contrario, facendole risaltare oltremodo senza scadere in bozzetti dalla natura un tantino troppo grottesca. Questi e altri piccoli difetti non tolgono però nulla alla freschezza di questi libri che vivificano un genere che spesso si chiude in sè stesso e sui propri stereotipi: il detective disperato, la bella e impossibile, la violenza ostentata, l'alcolismo, la depravazione, il paesaggio metropolitano, l'ideale morale da raggiungere in un mondo eticamente devastato, la famiglia distrutta o perduta, il complotto più o meno esoterico, il serial killer. In Vastano tutto questo non lo troverete. Vivrete invece una realtà che conoscete bene, in una provincia un tempo ricca e attualmente in fase di sfaldamento, lontana dai clangori e dai fumi metropolitani, vivrete la spiazzante inadeguatezza che si prova di fronte ad una vita precaria, la gioia malvagia nel prendere in giro la futura suocera, la fidanzata, gli amici, sè stessi, i gatti, i tassi, i becchini, gli scienziati, i ricchi, le forze dell'ordine. Infine, i libri di Vastano sono libri che fondamentalmente prendono in giro sè stessi, prima ancora del genere che ricalcano. E' di per sè un dono piuttosto raro.<br />
Non è ben chiaro come avvenga che nessuna casa editrice di prima fascia (ad eccezione della collana Urania di Mondadori) si sia ancora resa conto del potenziale di questo autore. <br />
<br />
Vastano, dotato di una capacità narrativa estremamente naturale, ha scritto anche libri di fantascienza (ha vinto il premio Urania con Simbionti, pubblicata da Mondadori), horror, libri per bambini oltre ad una produzione di saggistica realtiva al suo campo di studi, la geologia. <br />
<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-pmHeubRFynI/Xfujy8dXbCI/AAAAAAAACPg/_lsE4uzKKJUlUUmAAPgqk3lSLrd1ztSswCLcBGAsYHQ/s1600/ClaudioVastano.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="219" data-original-width="216" src="https://1.bp.blogspot.com/-pmHeubRFynI/Xfujy8dXbCI/AAAAAAAACPg/_lsE4uzKKJUlUUmAAPgqk3lSLrd1ztSswCLcBGAsYHQ/s1600/ClaudioVastano.jpg" /></a></div>
<br />
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<div style="text-align: justify;">
<span class="fs16"><span class="ff1"><span style="color: orange;"><b>Claudio
Vastano </b></span>è nato e vive a Lucca. Laureato in Scienze Naturali e in Scienze
Geologiche all’Università di Firenze,</span><span class="ff1"> ha pubblicato due romanzi di fantascienza (</span><a href="https://www.amazon.it/Ragni-Aracnia-1-Claudio-Vastano/dp/8898361025" target="_blank"><i><span class="ff1">Ragni</span></i></a><span class="ff1"> e <a href="https://www.amazon.it/Pozzo-delle-Tenebre-Ciclo-Aracnia-ebook/dp/B07DD52N99/ref=asap_bc?ie=UTF8" target="_blank">Il </a></span><a href="https://www.amazon.it/Pozzo-delle-Tenebre-Ciclo-Aracnia-ebook/dp/B07DD52N99/ref=asap_bc?ie=UTF8" target="_blank"><i><span class="ff1">Pozzo delle Tenebre</span></i></a><span class="ff1">, con Dunwich Editore), <a href="https://www.amazon.it/Micelio-Claudio-Vastano/dp/8889647531/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&keywords=micelio+vastano&qid=1576835693&s=books&sr=1-1" target="_blank"><i>Micelio</i></a> (con Effequ edizioni), un romanzo per bambini (</span><i><span class="ff1">La compagnia dei topi d’ospedale, </span></i><span class="ff1">Carmignani
editore),</span><span class="ff1"> un
libro horror (</span><i><span class="ff1">Sentieri Infernali</span></i><span class="ff1">,
Nero Press), due gialli (</span><i><span class="ff1">L’agghiacciante
caso del gatto nella minestra</span></i><span class="ff1"> e </span><i><span class="ff1">L’oscuro
caso delle luci di Roccaverde</span></i><span class="ff1">, sempre per Dunwich Editore) </span><span class="ff1">e il saggio
scientifico </span><i><span class="ff1">Garfagnana, la valle dei
terremoti</span></i><span class="ff1"> (Garfagnana editrice, 2014). Nel 2018 ha vinto il Premio Urania
con il romanzo di fantascienza </span><a href="https://www.amazon.it/Simbionti-Urania-Claudio-Vastano-ebook/dp/B07K2NNQJQ/ref=la_B07L59BYMJ_1_3?s=books&ie=UTF8&qid=1576835601&sr=1-3" target="_blank"><i><span class="ff1">Simbionti</span></i></a><span class="ff1">,
pubblicato da Mondadori</span></span></div>
</div>
</div>
</div>
</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-24208134564131910952019-08-17T16:39:00.001+02:002019-08-17T16:39:23.506+02:00Tor, la montaña maldita, Carles Porta, Editorial Anagrama<!--[if !mso]>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-7KwWbPLcSXg/XVgQgA3I4II/AAAAAAAACME/qTxnodC_NX8RsB2loThXTMD7Wft8e8MXQCLcBGAs/s1600/tor.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1004" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-7KwWbPLcSXg/XVgQgA3I4II/AAAAAAAACME/qTxnodC_NX8RsB2loThXTMD7Wft8e8MXQCLcBGAs/s320/tor.jpg" width="200" /></a></div>
<span class="MsoHyperlink"><a href="https://ca.wikipedia.org/wiki/Tor_(Alins)" target="_blank">Tor </a></span>è un piccolo "pueblo" che confina con <span class="MsoHyperlink"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Andorra" target="_blank">Andorra</a></span>, frazione del comune di <span style="background: yellow;">Alyns</span>,
nella regione del <span style="background: yellow;">Pallars</span> <span style="background: yellow;">Sobirà</span>, nei Pirenei Catalani, e si
trova a 1646 metri di altitudine. Ovviamente in Spagna. Nel 2010 contava 19
residenti. Conta 13 case.<br />
Nel Luglio del 1995 viene ritrovato nella sua baita il cadavere di <span style="background: yellow;">Josep</span> <span style="background: yellow;">Montané</span>
(Sansa), uno dei leader della comunità (l'altro è Palanca e, in un ruolo di
secondo piano, <span style="background: yellow;">Cerdà</span>).
"<span style="color: orange;"><i>No <span style="background: yellow;">estaba</span>
<span style="background: yellow;">muerto</span>,
<span style="background: yellow;">estaba</span>
<span style="background: yellow;">podrido</span></i></span>"
(non era morto, era marcio, decomposto), queste parole lasciano intendere
perché non sia possibile riportare ancora oggi una data certa di morte e si sia
costretti ad indicare un generico "luglio 1995". A trovarlo sono due hippies che si sono introdotti in casa di
Sansa, confidando nella sua assenza (pensavano fosse da giorni a Barcellona),
per cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Sugli hippies ci torneremo. Pochi mesi prima Sansa
era stato indicato dal tribunale a cui si era rivolto per risolvere una disputa
che andava avanti da molti anni come l'unico proprietario della montagna. La
sentenza aveva provocato molti malcontenti, in particolar modo aveva mandato su
tutte le furie (cosa relativamente facile da ottenere) il principale
contendente della proprietà: Palanca. Due anni dopo i fatti, nel 1997, il
giornalista di <span class="MsoHyperlink"><a href="https://www.ccma.cat/tv3/" target="_blank">Tv3Catalunya</a></span>, <span style="background: yellow;">Carles</span> Porta, si reca a Tor, accompagnato
da due collaboratori, <span style="background: yellow;">Pol</span> e Pepe, e vi rimane per diversi mesi portando avanti
l'inchiesta raccontata in questo libro.<br />
E' un'inchiesta, ed è un'investigazione, una detection: fino all'ultimo Porta non si
toglie dalla testa la possibilità di riuscire a trovare la soluzione del caso e
ad individuare il colpevole. Ma quel mondo, quello della gente di Tor, della
montagna, del confine con Andorra, è un mondo chiuso, violento, verticale, dove
ognuno è un anfratto a parte, dove i rapporti interpersonali sono basati su
logiche selvatiche e primitive e dove la legge non arriva, e quando infine
riesce ad arrivarci è un riflesso deformato di ciò che dovrebbe essere. Tutto
nasce nel 1896, quando i vecchi del paese siglano un contratto tra loro nel
quale si <span style="background: yellow;">autoeleggono</span>
proprietari di Tor e della montagna; ma c'è una clausola. La clausola prevede
che mantengano il diritto di proprietà soltanto coloro che "non faranno
spegnere il fuoco" delle loro case, vale a dire, coloro che continueranno
a risiedere in paese tutto l'anno. Stiamo parlando di un frazione le cui
abitazioni (tredici, vale la pena ricordarlo) ancora pochi anni fa non avevano
a disposizione né l'elettricità né
l'acqua corrente, un gruppo di case che durante il rigido inverno di quelle
zone rimaneva totalmente isolato a causa della neve e del ghiaccio che
ricoprivano l'unico sentiero che unisce Tor al primo paese più vicino (che in
questo caso è da considerarsi il primo avamposto di civiltà).<br />
Nel 1997, quando Porta comincia la sua inchiesta, le condizioni di
vita erano quelle appena descritte.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-aSx9ppDoMsQ/XVgP8JOXpWI/AAAAAAAACL0/5tr9tGDYlCwt0AEm5_owj79DG9VPZC63QCLcBGAs/s1600/Tor_al_municipi_d%2527Alins.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="900" data-original-width="1301" height="221" src="https://1.bp.blogspot.com/-aSx9ppDoMsQ/XVgP8JOXpWI/AAAAAAAACL0/5tr9tGDYlCwt0AEm5_owj79DG9VPZC63QCLcBGAs/s320/Tor_al_municipi_d%2527Alins.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="center" class="separator" style="text-align: center;">
<span style="mso-no-proof: yes; text-decoration: none; text-underline: none;"><span style="mso-ignore: vglayout;"></span></span></div>
<br />
Nel 1976 Sansa, <span style="background: yellow;">Cerdà</span> e Generosa (sorella di <span style="background: yellow;">Cerdà</span>)
si autoproclamano unici proprietari della montagna ed entrano in contatto con
un promotore immobiliare, tale <span style="background: yellow;">Ruben</span> <span style="background: yellow;">Castaner</span> <span style="background: yellow;">Ejarque</span>,
personaggio equivoco, come quasi tutti quelli che entrano ed escono da questa
storia; <span style="background: yellow;">Ruben</span>
è intenzionato a costruire in loco una stazione sciistica, e con questo intento
con lui <span style="background: yellow;">Cerdà</span>,
Sansa e Generosa mettono in piedi una società. Palanca, in risposta alla mossa
del suo storico nemico Sansa, convoca la vecchia società e con i restanti soci
si dichiara a sua volta legittimo proprietario della montagna. Nel 1980 vengono
uccisi in una sorta di rissa degenerata in agguato mortale due lavoratori,
Pedro <span style="background: yellow;">Linan</span>
e <span style="background: yellow;">Josè</span>
<span style="background: yellow;">Aguilar</span>,
alle dipendenze di Palanca. Nello stesso episodio anche <span style="background: yellow;">Ruben</span> <span style="background: yellow;">Castaner</span>
rimane ferito. Questi sono i primi due morti che si possono collegare con
evidenza alla questione del 1896, vale a dire alla prima società fondata tra i
residenti in Tor.<br />
Porta, giunto sul posto, scopre da subito un ambiente schiacciato
dalle presenze (spesso presenze-assenze, sospese come l'alito del maligno a
vibrare nell'aria) di personaggi che incutono timore e vivono in un alone di
leggenda, per quanto bruta e primitiva. Primo tra tutti Palanca, che non si
farà problemi a minacciarlo in maniera piuttosto esplicita. Ma se quelli fin
qui elencati sono i personaggi principali, la corte di comparse che li
accompagna non è meno incredibile ed inquietante. Gli hippies dicevamo: sono in molti che vivono
accampati nella frazione di Tor, come cani selvatici si accucciano fuori dalla
casa di Sansa e ne divengono delle sorta di guardaspalle tuttofare, in cambio
delle briciole che Sansa concede loro o, più spesso che si limita a promettere
loro. Lo stesso vale per Palanca. I lavoratori, gli hippies, i guardaspalle quasi sempre sono
figure sovrapponibili, spesso sbandati, fuggiti da guai più grossi di loro che
li aspettano in agguato nel mondo "civilizzato", da qualche città che
li ha feriti e che si rifugiano in montagna nella speranza di farsi dimenticare
dal mondo e, a loro volta, di dimenticarlo. Per sopravvivere e ritagliarsi il
loro spazio vitale - quasi sempre composto, quando gli va bene, da un paio di
pasti scarsi al giorno (spesso non hanno nemmeno un tetto sulla testa) - si
schierano ora con un contendente ora con l'altro, divenendone gli sgherri,
lasciandosi tirare dentro ad un gioco che diviene sempre più violento e folle e
che sempre di più ha a che fare con la morte. Poi ci sono i contrabbandieri.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-ksPg7yA4Zxg/XVgQKY9FayI/AAAAAAAACL4/7ZmVIXFL7BMp2XV8TQIdC2NzGOKhhHqlgCLcBGAs/s1600/Cattura1.PNG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="524" data-original-width="444" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-ksPg7yA4Zxg/XVgQKY9FayI/AAAAAAAACL4/7ZmVIXFL7BMp2XV8TQIdC2NzGOKhhHqlgCLcBGAs/s320/Cattura1.PNG" width="271" /></a></div>
<div align="center" class="separator" style="text-align: center;">
<span style="mso-no-proof: yes; text-decoration: none; text-underline: none;"><span style="mso-ignore: vglayout;"></span></span></div>
La zona che da Tor porta ad Andorra è, da tempi immemorabili, una via
sicura per i contrabbandieri. Contrabbando di sigarette, ma non solo, anche di
armi e, in tempi di guerra, zona che veniva usata per far fuggire gli ebrei
che, pare, spesso venivano derubati dei loro averi e poi venduti ai nazisti o
direttamente eliminati nei boschi. Molti in quelle zone, si mormora, si sono
arricchiti sulla pelle degli ebrei. Ci sono poi le istituzioni che, come pugili
suonati, non riescono ad imporre la legge dello stato, vengono incolpati di
ogni cosa e rimangono come una figura istupidita sullo sfondo. A Tor la legge,
se c'è, quando c'è, non funziona. Come ha da rimarcare uno dei tanti avvocati
che girano attorno a questa storia:<br />
<br />
<div align="center" style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">la
giustizia è lenta, e Tor è lontano.</span></i></div>
<div align="center" style="text-align: center;">
<br /></div>
<i> </i>Non ha logica andare oltre a spiegare la trama, è un libro di
non fiction <span style="background: yellow;">novel</span>
e pertanto la trama è tutto, non fosse altro perché è la realtà sporzionata e servita su un piatto
direttamente al lettore. L'indagine andrà avanti, le sentenze si susseguiranno,
Porta riuscirà a confezionare il servizio per il programma <span class="MsoHyperlink"><a href="https://www.ccma.cat/tv3/30-minuts/" target="_blank">30minutos</a></span>
che avrà una certa risonanza presso l'opinione pubblica, soprattutto quella catalana.
Ma quello che rimane di questa inchiesta e del modo che Porta sceglie per
raccontarcela è l'incursione in un mondo ancestrale e violento che ci vive
accanto ma del quale ignoriamo (o preferiamo ignorare) l'esistenza. Tor è un
microcosmo senza acqua né elettricità nel quale chi è più forte comanda, una
porzione di realtà presa in ostaggio dalla lotta tra due capibranco che si
scontrano fino ad ammazzarsi, senza che questo ne scalfisca il mal inteso senso
dell'onore e della sopraffazione. I codici comportamentali che s'intravedono in
controluce sono quelli ancestrali della sopravvivenza, della legge della
giungla che prevede che solo il più forte comandi e che il debole deperisca. Un
mondo nel quale non sono previsti sentimenti che non siano paura o vendetta.
L'ansia di dominio a Tor viene certificata e giustificata dall'accordo del 1896
che, nell'ansia di garantire al paese una vita il più lunga possibile (per
questo la clausola del fuoco che non si deve spegnere) ne decreta invece una
lotta intestina delle più sanguinose immaginabili. Su Tor e sui suoi abitanti
regna un povertà assoluta, che riporta a quelle zone della cosiddetta <span class="MsoHyperlink"><a href="https://sellerio.it/it/catalogo/Spagna-Vuota/Molino/11824" target="_blank">"Spagna
vuota"</a></span> (secondo la definizione di Sergio Dal Molino *) che è
ben rappresentata da <u><span style="background: yellow; color: blue;"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Las_Hurdes" target="_blank">Las Hurdes</a></span></u>
(a questo proposito lascio il link al documentario di <span class="MsoHyperlink"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Luis_Bu%C3%B1uel" target="_blank">Luis
Buñuel</a></span> che ne tratta: <u><span style="background: yellow; color: blue;"><a href="https://www.youtube.com/watch?v=Gy9gts8_DeA" target="_blank">Las Hurdes, tierra
sin pan</a></span></u>), ma la sua strategica posizione al confine con
Andorra fa sì che Tor stessa rimanga in una zona altrettanto di confine tra povertà
endemica e una ricchezza improvvisa che potrebbe essere portata dall'arrivo
della civiltà e della stazione sciistica (e che tarda ad arrivare).<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-wK5IaFvRF70/XVgQXoSgjxI/AAAAAAAACL8/eH2SWAxb5eEM-aaft0CcaR1ikGwagrwLwCLcBGAs/s1600/tor1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-wK5IaFvRF70/XVgQXoSgjxI/AAAAAAAACL8/eH2SWAxb5eEM-aaft0CcaR1ikGwagrwLwCLcBGAs/s320/tor1.jpg" width="320" /></a></div>
<div align="center" class="separator" style="text-align: center;">
<span style="mso-no-proof: yes; text-decoration: none; text-underline: none;"><span style="mso-ignore: vglayout;"></span></span></div>
<br />
Intanto però chi ci vive si arrangia come può, mostra i denti, fa affari coi
contrabbandieri, combatte una guerra di trincea in cui ogni metro di
avanzamento è una vittoria, una guerra portata avanti con ogni mezzo, bruciando
case, usando a proprio piacimento morti di fame in cerca di una scodella calda,
affidando ad avvocati la contesa presso i tribunali (avvocati che vengono
sostituiti uno dopo l'altro, che spesso non vengono pagati, avvocati a loro
volta strani, inquietanti, nostalgici franchisti), fino all'omicidio ("<span style="color: orange;"><i>morir
matando!</i></span>"). Poi ci sono ossa nascoste sotto il pavimento della baita
di Sansa, gli hippies scomparsi, i
suicidi tentati e i suicidi riusciti, i nazisti, i pastori dalla vita talmente
disgraziata da non riuscire a contenerla tutta nella propria razionalità
(struggente la vita di Antono Gil Josè, testimone considerato inattendindibile,
borderline e disadattato).<br />
<br />
Tutto questo è a un passo da noi, poco più, dalle nostre città,
proprio come le morti di <span class="MsoHyperlink"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Alleghe" target="_blank">Alleghe</a></span>
svelavano un paesaggio umano non dissimile da questo di Tor in una località di
vacanza, già abituata al turismo (anche se ancora non di massa): cartoline
sotto cui si cela l'incubo. Quello che rimane è un libro perfetto che racconta
un'indagine giornalistica su un fatto delittuoso, ma che s'innerva in
un'esistenza che pensavamo ormai dissipata da tempo, cancellata dalla vita
frenetica delle città. La voce di Porta è però capace di grande umanità e
riesce nell'impresa di non giudicare (o non farlo più di tanto) le persone
"selvatiche" che incontra nel corso della sua inchiesta, in certi
casi pare arrivare a compatirle se non a capirle del tutto. Tor come Alleghe:
seppur inscritti entro paesaggi idilliaci, a tanti metri di altitudine, alla
fin fine si rivelano quartieri degradati come tanti altri, si trovano ad essere
in mano al delinquente più forte, al più minaccioso. Sono zone in cui la legge
non arriva, dove avvengono i fatti più turpi, dove, forse, si intrecciano anche
interessi più grandi, incombono personalità innominabili che vivono altre
esistenze, a chilometri dai luoghi del delitto, che tirano fili che nessuno
vede, ma qualcuno indovina esserci. Tor è (o forse era, speriamo) uno di quei
posti dove i nomi non si fanno e, a volte, nemmeno si sussurrano.<br />
<br />
Se volete leggetelo come un noir, è comunque godibilissimo. Ma è pura
e semplice non-fiction <span style="background: yellow;">novel</span>, delle migliori. Proprio come <span class="MsoHyperlink"><i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/I_misteri_di_Alleghe#cite_note-:0-1" target="_blank">I misteri di Alleghe</a></i></span>, di <span class="MsoHyperlink"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Saviane" target="_blank">Sergio <span style="background: yellow;">Saviane</span></a></span> (libro del 1964 che precede di due
anni quello che è universalmente riconosciuto come il primo libro di non-<span style="background: yellow;">fiction</span>
<span style="background: yellow;">novel</span>,
quel capolavoro che ancora è <span class="MsoHyperlink"><i><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/A_sangue_freddo_(Truman_Capote)" target="_blank">A sangue freddo</a></i></span>, di <span class="MsoHyperlink"><a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Truman_Capote" target="_blank">Truman
Capote</a></span>)<br />
<i> </i><br />
<i> </i>Potrebbe avere un unico difetto: si trova solo in spagnolo,
per ora. Ma se conoscete la lingua, consiglio di leggerlo.<br />
<br />
* Il libro di porta qui recensito è citato in La Spagna vuota, di Sergio dal
Molino, Sellerio editore, 2019. Oltre il caso di Tor, nel libro di Del Molino,
si accenna anche ad un altro delitto, quello avvenuto nella località di Fago,
anche su questo caso esiste un libro scritto da Carles Porta: ne parlano <span class="MsoHyperlink"><a href="https://www.elperiodico.com/es/ocio-y-cultura/20120310/carles-porta-remueve-el-crimen-de-fago-1523073" target="_blank">qui</a></span>.<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-NBf8m3Hliug/XVgQz2b1ibI/AAAAAAAACMQ/f5_MWiPEe40l3DbRMtgGKE7wV00ZVoRdQCLcBGAs/s1600/porta.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="246" data-original-width="170" src="https://1.bp.blogspot.com/-NBf8m3Hliug/XVgQz2b1ibI/AAAAAAAACMQ/f5_MWiPEe40l3DbRMtgGKE7wV00ZVoRdQCLcBGAs/s1600/porta.jpg" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
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<br />
<span style="color: orange;"><span style="background: yellow;">Carles</span>
Porta</span> (<span style="background: yellow;">Vila</span>
Sana 1963)<br />
<br />
giornalista, scrittore, produttore, ha lavorato 14 anni per il programma
30minutos, del canale Tv3, componendo reportage di investigazione. E' stato
inoltre inviato in zone di guerra, in Bosnia, in Ruanda, in Kosovo e in Medio
Oriente.<br />
<div class="MsoNormal">
<br /></div>
<br />
<br />
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-51538725110710569952019-05-31T22:45:00.003+02:002019-05-31T22:45:22.925+02:00La lavoratrice, di Elvira Navarro, Liberaria editore, trad. di Sara Papini<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-NIh8Iq4iRwc/XPEG5mfTCLI/AAAAAAAACH8/66J3au4tqZsEtImwlE8jdzpV6GO-zpPkwCLcBGAs/s1600/IMG_20190509_173205.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="787" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-NIh8Iq4iRwc/XPEG5mfTCLI/AAAAAAAACH8/66J3au4tqZsEtImwlE8jdzpV6GO-zpPkwCLcBGAs/s320/IMG_20190509_173205.jpg" width="157" /></a></div>
Siamo a Madrid e ci troviamo improvvisamente immersi nella vita di due donne che ai giorni nostri possiamo tranquillamente permetterci di definire giovani, precisamente due donne in bilico su un precipizio. Questo libro, il primo di Elvira Navarro tradotto in Italia, è la cronaca del loro camminare sull'orlo di questo precipizio. Elisa lavora per una casa editrice come collaboratrice, mal pagata e vessata, precaria suo malgrado. Susana, sulla quarantina, è donna misteriosa, sbilenca, perennemente fuori posto nel mondo e nella sua stessa esistenza. Poi c'è Madrid, che è anch'essa una protagonista del romanzo, è anch'essa è misteriosa, oscura, fuori quadro, malconcia e, a suo modo, precaria. Se non fosse stata Madrid ma Parigi, o Roma o qualsiasi altra grande città non sarebbe cambiato molto, o forse nulla. Madrid è il palcoscenico sul quale si muovono Elisa e Susana, ma è anche, e soprattutto, un'immagine riflessa della vita interiore delle due donne: Elisa, in qualche modo irrazionale e forse istintivo, lo capisce, e ci s'immerge. Esce in avanscoperta per le periferie, nei parchi semi abbandonati, nei quartieri abusivi come potrebbe farlo una esploratrice lungo le vie delle Ande o sui sentieri non tracciati della giungla amazzonica, e ciò che scopre potrebbe (o forse dovrebbe) illuminarla e chiarirle qualcosa di sé stessa che, in realtà, non arriva mai a comprendere fino in fondo. Camminare per la città (per quella parte della città che ha in sé qualcosa di post apocalittico, senza che un'apocalisse ci sia stata) per Elisa significa andarsene a spasso per il suo inconscio, guardinga, col fiato sospeso eppure affascinata dal pericolo sotteso al suo investigare. Susana, al contrario, scivola sulla città senza darsene cura e senza rendersi conto di quanto quella città (e forse tutte le città, e forse la folle intera realtà) le assomigli, il suo rapporto con la metropoli si manifesterà in maniera singolare, ricomponendosta su strane mappe di sua creazione che, però, rimangono soltanto una forma mediata ed astratta (e, si vedrà, anche artistica) di aereo contatto con la città. Il libro è strutturato in un prima e un dopo, coerentemente divisi in una prima parte e una seconda parte (c'è ovviamente anche una terza parte, secondo la classica tripartizione della narrazione filmica, ma il cuore del libro è diviso in due, non in tre). Nella prima parte del libro Elisa (lo capiamo dopo un po') ci narra il passato di Susana, fatto di inquietudini e incontri al buio con amanti occasionali raccattati negli annunci dei giornali, di perversioni più o meno sane e più o meno malate, e della relazione di Susana con Andrea un nano dal tocco delle mani miracoloso e dal temperamento malinconico e geloso. E' una vita di promiscuità (non mancano gli incontri di Susana con esponenti del suo stesso sesso) prima dell'avvento dei cellulari, dei social network e dei siti di appuntamenti, quando ancora bisognava mandare l'annuncio al giornale, pagare per vederlo stampato, e dotarsi di una segreteria telefonica per registrare le chiamate. E proprio le voci impresse sul nastro delle segreteria diverranno importanti per Susana, una sorta di ossessione che le inferirà dipendenza, trascinandola sempre più in quel gorgo equivoco ed eccitante, anaffettivo, degli appuntamenti al buio. La seconda parte è il presente, e la voce di Elisa è finalmente libera da orpelli e finzioni, è una voce schietta, pacata, eppure immersa in balbettio di fondo (non stilistico, ma esistenziale) che è il suo modo di avanzare nell'esistenza, a tentoni, priva della sicurezza che la vita adulta non le sa assicurare. E' durante il suo trasferirsi da una casa all'altra, cambiando quartiere, che conoscerà Susana, alla quale subaffitterà una stanza per potersi pagare l'affitto dell'intero alloggio. Il romanzo è privo di un centro gravitazionale vero e proprio, e questo lo rende affascinante: al principio sembra che parli di Susana, ma poi si incentra su Elisa, ma alla fine pare parlare di tutt'e due, ma in realtà parla di altro che non è così chiaro cosa sia. Alla fine quello che emerge è l'atmosfera, un paesaggio interiore che cerca disperatamente degli appigli per rendersi saldo, e invece muta. Certo, ad una prima lettura è un libro che parla di giovani donne e del loro rapporto col mondo precario del lavoro, ma in fondo non è questo il fuoco reale del romanzo, o comunque non è l'unico e forse è solo quello più superficiale. Susana ed Elisa, o Elisa e Susana, sono due atomi, i loro rapporti con le famiglie appaiono inesistenti, o talmente flebili da risultare impalpabili, è come se il loro passato non esistesse e fossero apparse a Madrid già adulte, già complessate (e complesse) senza essere state create da nessuno, aliene atterrate in periferia. Entrambe cercano nella cultura e nell'arte un chiodo a cui appendere il proprio cappello emozionale, ma entrambe si ritrovano ad aggrapparsi anche in questo caso alla periferia di quel mondo che agognano. Si annusano, non si capiscono, si avvicinano, mai troppo, e si respingono, non trovano modo di fidarsi fino in fondo l'una dell'altra: e in questo senso il libro ricorda una storia di fantascienza nella quale, in seguito a qualche calamità non meglio specificata, il genere umano è quasi scomparso, e chi rimane si aggira per le rovine cercando cibo e una logica nuova in una realtà disastrata che, però, ormai ha perso le stigmate grandiose del disastro, ormai vive nel grigiume di una normalità diaria che è impossibile evitare. E' quel mondo postqualcosa che pone le protagoniste di fronte ai dilemmi della vita quotidiana o è qualcosa di più profondo ancora? E' la vita moderna, atomizzata, che le rende monadi in perenne movimento privo di una meta o non è forse un'incapacità a trovare la chiave di lettura di sé stesse? E' il dentro o il fuori? Sono Elisa e Susana o è Madrid? E' il prima o è il dopo? E' il presente incerto e privo di punti di riferimento o è una ferita non rimarginata che si è appropriata del passato? Elisa, la voce narrante, è perfetta nel rimanere in bilico su quel baratro di cui sopra, è la voce chirurgica di una lama che tenta di tagliare la nebbia, una nebbia farmacologizzata che prende il sopravvento (o tenta di farlo) sulla razionalità, una nebbia che è esistenziale, ma densa, vischiosa, e che si posa sui rapporti interpersonali, sulle relazioni, sull'affettività, sulle ferite non rimarginate, sulle ferite vecchie e nuove, sulle famiglie assenti, sulle strade di una Madrid periferica e allucinata, vuota, sul presente che non si manifesta, si marginalizza. Eppure, in questo paesaggio interiore da "terra desolata", l'importante è muoversi, cambiare qualcosa, muovere il proprio pedone sulla scacchiera, anche di poco, anche se è inutile, bisogna interiorizzare le ferite, procurarsene di nuove, cercare di capire, uscire, la notte, ad esplorare la città e sé stesse. In un certo senso, essendo questo romanzo tante cose e nessuna in particolare, può essere letta come un'autopsia su un corpo vivo, infinito, informe.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-_2CogHpfeJU/XPEUN8QrQvI/AAAAAAAACII/qsjLoCfHKEg6yiJeenIiUzsRa4ThjEi4QCLcBGAs/s1600/IMG_20190510_164718.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1200" height="320" src="https://1.bp.blogspot.com/-_2CogHpfeJU/XPEUN8QrQvI/AAAAAAAACII/qsjLoCfHKEg6yiJeenIiUzsRa4ThjEi4QCLcBGAs/s320/IMG_20190510_164718.jpg" width="240" /></a></div>
<br />
<span style="color: orange;"><b>Elvira Navarro</b></span> tradotta in Italia per la prima volta da <a href="https://www.liberaria.it/" target="_blank">LiberAria</a>, ha pubblicato i romanzi <em>La ciudad en invierno, La ciudad feliz, La trabajadora, Los últimos días de Adelaida García Morales</em> e la raccolta di racconti<em> La isla de los conejos</em>.
Ha ricevuto il Premio Jaén de Novela e il Premio Tormenta come miglior
nuovo autore, ed è stata finalista per il Premio Dulce Chacón per la
narrativa spagnola.<br />
<br />Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-18664817587557514662019-03-10T11:16:00.002+01:002019-03-10T11:16:51.463+01:00La gamba sinistra, di Theodore F. Powys, Adelphi editore, trad. di Adriana Motti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-ZTNaPRwPOnA/XIQGdfaYtCI/AAAAAAAACG0/gq0dJ6be-6EEeXudX06jidHvppJTGn6tACLcBGAs/s1600/lagambasinistra.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="291" data-original-width="173" src="https://2.bp.blogspot.com/-ZTNaPRwPOnA/XIQGdfaYtCI/AAAAAAAACG0/gq0dJ6be-6EEeXudX06jidHvppJTGn6tACLcBGAs/s1600/lagambasinistra.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">A</span> <span style="color: orange;">Madder si pensava che se un giorno il signor Jar fosse tornato nel villaggio sarebbe successo qualcosa.</span></i></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i>L'autore fin dalle prime due righe (qui sopra l'incipit) colloca l'azione in un villaggio, Madder (sarà specificato più in là che viene chiamato Madder di Dio, per distinguerlo da altri omonimi centri abitati: questo per sottintendere che ogni consesso umano è uguale all'altro, finanche nel nome). Madder sarà l'orizzonte entro il quale si svolgerà ogni azione, il microcosmo scelto da Powys per raccontare la sua storia. Inoltre, sempre nell'incipit, troviamo un altro un accenno che ha in sè una forza evocativa molto forte: il signor Jar, di cui non sappiamo nulla (e del quale assai poco sapremo nel corso del racconto) che potrebbe, un giorno, tornare al villaggio. Dunque Jar era un abitante di Madder che però in un imprecisato momento del passato se n'è andato. Quando e, soprattutto, il perchè del suo allontamento sono due domande implicite che il lettore da subito è obbligato a porsi. Ma c'è di più: se e quando il signor Jar tornerà, succederà qualcosa, questo è quanto si pensa a Madder. ma, perchè mai dovrebbe accadere qualcosa nel caso tornasse, e in un'eventualità positiva, cosa accadrebbe? Non lo sappiamo, ma il quesito (anzi, i quesiti) rimane ad aleggiare come una sorta di minaccia non espressa. Certo è che, di solito, quando ci si aspetta che accada qualcosa, qualcosa di indefinito come in questo caso, il primo pensiero corre a qualcosa di negativo, a qualche stravolgimento epocale, o a qualche disgrazia. E' un inizio folgorante che ha in sè molta dell'oralità dei racconti scambiati attorno al fuoco: si cinge un territorio e si lascia che una minaccia priva di forma e di volto volteggi in agguata, pronta a verifcarsi al primo momento utile. I pericoli sconosciuti, come le paure, sono quelli più terribili, perchè permettono alla fantasia di lavorare a briglia sciolta. A questo punto, in appena due righe, l'attenzione del lettore è già catturata. Ma, ottenuto questo primo risultato, Powys sembra dimenticarsi del laccio che ha legato attorno al collo del suo lettore e apparentemente senza rendersene conto lo strattona di qua e di là per le strade e i campi di Madder. Entrano in scena una miriade di personaggi (tanti, difficile stargli dietro), che si muovono nel villaggio come su di un palcoscenico (la tecnica di Powys ha indubbiamente dei debiti con la sensibilità teatrale), e l'autore li segue quasi fosse un telecamera a spalla che ognuno dei personaggi, spostando il proprio obiettivo poco alla volta che questi si incontrano gli uni con gli altri. La storia praticamente è tutta qui (non lo è ma è come se lo fosse). Ci sono degli intrecci che si sussegguono e che portano avanti la narrazione ma sono un espediente per permettere all'autore di fotografare non tanto Madder e i suoi abitanti, quanto il mondo e gli esseri umani tutti. Intanto, seguiamo bambini ruzzolare (i bambini a Madder sono come cuccioli di animali selvatici, ruzzolano tutto il giorno, o corrono, o corrono e ruzzolano), e uomini sbavare dietro alla bella del paese che, da parte sua, non vede l'ora di far del bene agli uomini, donne perennemente avvinghiate ai fornelli o piegate nell'orto, pecore nei campi, tori irrequieti, sacerdoti intenti a vedere solo quanto di paradisiaco li circonda, lasciando da parte tutto il resto, il matto del paese, Tom, che attraverso le stelle parla col signor Jar, e che, come un topo, s'infila in tutti gli intrerstizi della vita pubblica e privata del villaggio. E' Tom che vede tutto e anche se non è lui il narratore della storia nella realtà fittizia del libro, in assenza di un narratore onniscente, sarebbe l'unico a poter narrare la cronaca dei fatti dato che, nel suo perenne vagabondare, viene a sapere tutto ciò che accade in paese e nelle case dei suoi concittadini. E' lui che conosce tutti i segreti di Madder. E poi ci sono i due maggiori fattori di Madder, James Gillet, che perderà tutto a causa della sua infatuazione per Dio, e soprattutto Mew il fattore, l'incarnazione della cupidigia, colui che arriverà a possedere tutto il paese, abitanti compresi (Mew è un personaggio disgraziatamente shakespeariano), costretto a inseguire la sua brama di possesso fino all'autodistruzione. Ma cosa accade a Madder, sotto il velo del villaggio idilliaco e bucolico? Più o meno tutto o, quantomeno, tutto ciò che ha a che vedere con il sesso, il cibo e il possesso. I veri motori di ogni azione degli abitanti (e quindi, ci dice Powys, dell'umanità) sono questi tre elementi, le rare volte in cui i personaggi si ritrovano a parlare di altro (tempo, raccolto, pettegolezzi) lo fanno chiaramente in maniera svogliata, come riempitivo o per mascherare i loro reali pensieri (che appunto vertono sempre attorno a sesso, cibo e possesso). Le donne, e soprattutto le giovani donne, le ragazzine, apparentemente poco più che bambine, sono delle prede che girano per le strade e i campi di Madder con un bersaglio cucito addosso, consapevoli dei rischi che corrono. Tom il matto le rincorre e, a volte, le acchiappa, ma non è il solo. Chi non è impegnato in fantasie sessuali (che di tanto in tanto si realizzano in veri e propri stupri, anche se di stupri non si parla mai perchè la donna è una preda, consapevole di esserlo e, dunque, non c'è male alcuno a cacciarla; l'unico eventuale problema può derivare da una gravidanza susseguente alla violenza) è perso nei propri deliri, o religiosi o di onnipotenza; le donne, che sono più pratiche, sono dedite alla casa, al lavoro, all'orto, alle galline, alla cucina. Il ritmo del racconto ricalca lo scandire dei giorni, nei quali bene o male i rituali si ripetono, le persone si ritrovano a compiere gli stessi gesti, a sfuggire le stesse paure, a evitare (o a cercare, come nel caso dell'avvenente Minnie Caddy) gli stessi incontri, fino a che, non succede qualcosa, come ad esempio venir uccisi da un toro infuriato (la povera signora Patch, odiatrice seriale e grande schiacciatrice di scarafaggi), ma, nel ritmo perenne e monotono di Madder anche la morte, pur se violenta (così come d'altronde pure la sopraffazione, o la pazzia) viene accettata come qualcosa di naturale, incolore, da dimenticare per poterla far rinascere nel grande chiacchiericcio di paese. il narratore, terzo e onnisciente, è una sorta di catalizzatore di tutte le voci di Madder, è come se attraverso la sua voce fosse la cittadina stessa a raccontare le gesta epiche e banali al medesimo tempo, dei suoi disgraziati abitanti. L'intento (riuscitissimo peraltro) di Powys è chiaramente quello di mettere in scena l'umanità così come lui la vede. E in effetti il libro che ne scaturisce è un miracolo sospeso tra l'essere una parabola (ma la religione non è soluzione, è parte del problema, in quanto non permette all'uomo di vedere la propria condizione, come nel caso di James Gillet), un racconto noir, una novella realistica, una feroce piece teatrale, un racconto di zombie, un'epica comica, ed è infine un po' di tutto ciò, e quindi è qualcos'altro. Il quadro complessivo ne fa un trattato nichilista di sociologia, ma l'andamento lento della narrazione ha i ritmi dell'oralità di quei luoghi, e il tipico understatement inglese nelle mani di Powys diviene una sordina che smorza ogni afflato cerebrale o sentimentale: dietro la struttura villaggio, gli esseri umani che la abitano sono ancora in gran parte esseri neanderthaliani, semideficenti mossii da esigenze primarie, da visioni allucinatorie (come nel caso di Tom il matto e del signor Summerbee) o da ossessioni compulsive, solo le regole sociali contengono in un'apparenza accettabile il sostrato primitivo. Lo stesso Tom il matto, è tale perchè ci viene da subito indicato come tale, ma, a ben vedere, non è così diverso dai suoi concittadini cosidetti normali: anch'egli si muove spinto dai tre elementi vitali già indicati, e non in maniera più inconsapevole degli altri. Vale a dire: non è che Tom non sia matto, piuttosto se lo è (e lo è) allora anche gli altri abitanti non sono così diversi da lui.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Tom rispettava la madre e rispettava il signor Jar; era persuaso che fossero tutt'e due molto saggi. Ma ora che la madre si era messa a parlargli di lavoro, lui cominciò a dubitare della sua saggezza. </i></span> </div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
E su ogni aspetto della vita di Madder, si muove come un presagio o una minaccia, la figura assente di Jar (il vecchio Jar, Padre Jar, zio Jar), colui sul quale sono fiorite molte voci in paese, forse anche leggende: uomo capace di prendere in mano le stelle, caldarrostaio violento in fuga per il mondo, uomo buono e saggio e spirito vendicativo (quasi incarnazione di quella natura che assurge a coprotagonista del romanzo). Ne La gamba sinistra, il confine preciso tra esseri umani, animali e paesaggio inanimato, spesso vacilla, e sono per primi gli abitanti ad apparire confusi su queste divisioni: le donne sono cosiderate alla stregua di animali da preda, così le ragazzine, i bambini si comportano come cuccioli selvatici, e la natura viene spesso antropormofizzata e resa capace di sentimenti, antipatie e simpatie.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"> <i>Tutte le volte che Anne Patch andava in chiesa o nella bottega del signor Billy, si girava a guardare con diffidenza la montagnola, come se la sospettasse d'essere troppo amica dei bambini.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<i><b> </b></i>In certi casi, come nel passaggio esemplare qui sotto, sembra che gli abitanti di Madder siano preda di fenomeni allucinatori che sfumano le differenze tra animato e inanimato fino a rendere i due mondi perfettamente sovrapponibili.<i> </i></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>(Il signor Billy)... ebbe una visione. Alzò gli occhi a guardare: Minnie Cuddy era diventata una delle collinette di Madder, verde e cosparsa di timo. Stava lì distesa morbida e gentile, con le ampie membra coperte d'erba e i seni fioriti di boccioli gialli. Era così vasta che un gregge di pecore poteva starle in grembo. Il suo corpo disseminato di margherite era là per essere abbracciato da tutti gli uomini.</i></span></div>
<br />
Il perchè del titolo, La gamba sinistra, lo si scoprirà soltanto nelle ultime pagine di questo romanzo breve (85 pagine) che è una gemma, e un meccanismo perfetto.</div>
<div style="text-align: left;">
Un autore eccellente, capace di houmor nero sottilissimo, e dotato di una capacità di analisi sociologica come pochi, Powys entra nel novero dei grandi scrittori inglesi che hanno saputo fare della vita di un microcosmo (in questo caso Madder) lo specchio universale ed impietoso della condizione umana, uno specchio che ci restituisce l'immagine di un essere umano imbarazzante nelle sue (poche) capacità razionali e quasi incapace di alcun sentimento che non sconfini negli istinti primordiali: sesso, sopraffazione e sopravvivenza.</div>
<div style="text-align: left;">
Il tutto, c'è da aggiungere, e non è un particolare di secondo piano, Powys lo condisce con uno houmor che rende questo quadro così cupo e sconcertante anche assai divertente (e, a tratti, lirico) <i> </i></div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i>Un plauso alla Adelphi che ha scovato questo geniale cantore della pochezza umana.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Mary gettò un grido soffocato quando Padre Jar la tirò fuori dall'acqua. Era riuscita soltanto ad agitare le erbe sotto le quali dormiva un rospo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i> Il rospo sognò i seprenti. </i></span><br />
<br />
<i> </i> </div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ToCKy1_nyRk/XIQUsVCdT-I/AAAAAAAACHA/RG97mmx8Hk8JY6V75eRx0YY7Qw9ZPxacgCLcBGAs/s1600/Powys.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="228" data-original-width="180" src="https://4.bp.blogspot.com/-ToCKy1_nyRk/XIQUsVCdT-I/AAAAAAAACHA/RG97mmx8Hk8JY6V75eRx0YY7Qw9ZPxacgCLcBGAs/s1600/Powys.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i>Scrittore inglese (Shirley, Derbyshire, 1875-Sturminster Newton, Dorset, 1953). Fratello di <a href="http://www.sapere.it/enciclopedia/Powys%2C+Llewelyn.html">Llewelyn</a> e <a href="http://www.sapere.it/enciclopedia/Powys%2C+John+Cowper.html">John Cowper</a>, è considerato il più dotato dei fratelli Powys per la singolare qualità della sua opera, ispirata a una forma di panteismo
cristiano, dove strettissimi sono i rapporti tra la vita e la morte,
tra il concreto e l'invisibile. I suoi romanzi e racconti sono
ambientati nel Dorset, dove aveva una fattoria, e sono calati in una
circoscritta realtà contadina, nonostante l'uso continuo dell'allegorico
e del grottesco che giustifica il paragone con <a href="http://www.sapere.it/enciclopedia/Bunyan%2C+John.html">Bunyan</a>. Tra i più noti si ricordano: <i>Mr. Tasker's Gods</i> (1924; Gli dei del signor Tasker); <i>Mr. Weston's Good Wine</i> (1928; Il buon vino del signor Weston), considerato il suo capolavoro; <i>Unclay</i> (1931; trad. it. Il mietitore di Dodder).</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Dal risvolto de La gamba sinistra:</div>
<div style="text-align: left;">
<i> <span style="color: orange;"> Fra i cantori del Male, di ogni epoca e lingua, un posto spetterebbe di
diritto a T.F. Powys. Nessuno scrittore del Novecento è infatti riuscito
a mostrare con la stessa infernale precisione dove il Male si annidi,
per quali vie insospettabili agisca e quale effetto possa avere sugli
uomini, così spesso ignari di porlo in atto. Come sempre Powys non ha
bisogno di nominare il diavolo per farci avvertire la sua presenza: gli
basta un dialogo smozzicato, un boccale di birra, l'odore del fieno. Ma
forse mai come in questo breve romanzo la sua arte di narratore ha
sfiorato la perfezione – con le sue accelerazioni improvvise, con i suoi
giganteschi understatement e il suo humour di pece; con la sua capacità
di muovere implacabilmente, e senza mai cedere al pathos, una ragnatela
di personaggi nello spazio chiuso di un piccolo villaggio fuori dal
tempo. E ancora oggi nella terribile concretezza di queste storie
riconosciamo uno dei rari scrittori metafisici del Novecento.</span></i></div>
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-47816438700752937922019-02-03T17:56:00.002+01:002019-02-03T17:56:42.255+01:00Il silenzio della collina, di Alessandro Perissinotto, Mondadori editore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-OLWrq8j9qjM/XFNVPW3PlXI/AAAAAAAACGE/tKGgC34ynMM_m_NfefaHdtSO67SGG-1SQCLcBGAs/s1600/silenziodellacollina.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="177" data-original-width="123" src="https://4.bp.blogspot.com/-OLWrq8j9qjM/XFNVPW3PlXI/AAAAAAAACGE/tKGgC34ynMM_m_NfefaHdtSO67SGG-1SQCLcBGAs/s1600/silenziodellacollina.jpg" /></a></div>
<br />
Domenico Boschis, attore televisivo di (una certa fama) nazional popolare quale interprete di un medico in una soap opera (o qualche cosa del genere), torna nelle Langhe, sua terra natale, per assistere il padre morente.<br />
Il padre, allettato, ha un tumore che gli corrode il cervello e che non gli permette di parlare chiaramente, se non a sprazzi e a costo di una fatica per lui quasi proibitiva. Il ritorno al paese d'origine, oltre che ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio, è innanzitutto l'occasione di seppellire le proverbiali asce di guerra e fare pace col proprio padre e, così facendo, col proprio passato e, non ultimo, con sé stesso. Il rapporto di Domenico col genitore, ci rendiamo conto da subito, non è mai stato buono e, anzi, non è mai stato nemmeno un rapporto. Non un rapporto padre e figlio. Deciso a stare lontano dal lavoro fino a quando suo padre sarà vivo, si trasferisce nell'unico posto nel quale era deciso a non entrare, la casa paterna, la casa della sua infanzia. E sarà proprio la casa che lo aiuterà a trovare la soluzione, o almeno una possibile risposta, ai misteri dai quali si troverà presto invischiato. Incontrerà quelli che erano stati i suoi amici fraterni quando erano bambini (quei due bambini che suo padre non voleva assolutamente che lui frequentasse), misurerà lo spazio che il tempo ha interposto tra loro per separarli e troverà il modo per annullarlo, e scoprirà Fenoglio, lo scrittore che come nessuno aveva saputo descrivere quella terra così aspra e dal quale si era sempre tenuto sdegonasamente (prudenzialmente) lontano.<br />
Ma capita qualcosa, apparentemente di poco conto, qualcosa che è la crepa invisibile che sarà destinata a far crollare la diga: il padre, smozzicando parole come può, comincia a far riferimento a una ragazza. Ma di che ragazza parla? Chi è questa ragazza? Domenico stuzzica la crepa e, ovviamente, sarà lui a causare il crollo della diga, e sarà così che alla fine salverà sé stesso e, forse, anche il padre, o quantomeno la sua anima immortale, o qualcosa del genere. Questa, a grandi linee, la trama: un classico intreccio che il lettore ben riconosce e immediatamente sa incasellare in una grata interpretativa neppure troppo audace: il ritorno alla terra d'origine del protagonista che, così facendo si troverà di fronte il proprio passato e non potrà suggire all'esigenza, finalmente, di farvi i conti. Un particolare (di gusto postmoderno), pur non essendo una novità assoluta, permette a Perissinotto di alzare il tiro ed elevare la posta in gioco: Domenico è un personaggio di fantasia, non esiste (anche se potrebbe), né i suoi amici e nemmeno suo padre, e via discorrendo, ma la ragazza sì. O, per meglio dire, è esistita. Ad un certo punto vengono fatti il suo nome e cognome, e basta una veloce ricerca su google per verificare che la ragazza, un tempo, è esistita, è nata, ha vissuto, ed è morta. Il centro del maelstrom sta proprio nel modo in cui è morta, e per mano di chi. Domenico, attraverso suo padre, è il bisturi che và ad incidere il tessuto di cronaca della vicenda e v'incista la trama di fantasia. Ma, a ben vedere, l'innesto della fiction su un fatto reale di cronaca nera (che primeggia con l'affaire Dutroux) è a sua volta la chiave di lettura che porta ad un messaggio. Perissonotto in questo è molto esplicito, vuole che il messaggio arrivi forte e chiaro: la violenza sulle donne, i femminicidi, il senso del possesso dell'uomo nei confronti del sesso femminile, possesso e disprezzo. In un certo senso, è così che Domenico è venuto al mondo, attraverso un atto di prepotenza, l'arrogarsi il diritto al possesso di un uomo (che sarebbe diventato suo padre) incapace di elevarsi di un solo dito rispetto al rango animale. E questo messaggio, encomiabile e più che condivisibile, anzi, importante, a ben vedere, è solo una delle anime del libro, quella appunto più evidente. Ma l'anima più profonda del racconto viene condivisa con lo scrittore per tanto tempo tenuto lontano da Domenico, <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Beppe_Fenoglio" target="_blank">Fenoglio</a>, l'uomo delle Langhe, colui che ci ha raccontato il partigiano Johnny, lo scrittore della Malora. E buona parte del centro gravitazionale del libro ruota attorno alla Malora, ed è un continuo rimbalzo tra il mondo del libro di Fenoglio e quello attuale. L'anima nera della Langa e quella turistica odierna. Ed è il presente che, fatto sconvolgente per Domenico, ha relegato il fatto di cronaca che vede protagonista "la ragazza" in quel territorio nebbioso nel quale la memoria comune sfuma nell'oblio. Nessuno in paese vuole ricordare quei fatti e, quindi, semplicemente, non li ricorda. E' la nuova Langa che non fa i conti col proprio passato, che si pasce in un presente cool, ricco, inserito nella rete infinita del mondo. E' la Langa che ha imposto i propri ritmi e i propri valori al mondo che abita (o quantomeno si illude di averlo fatto, e finge di crederci). Ma non c'è, nel libro, un presente vergognoso nascosto sotto la patina di perbenismo, non è lo scavo impietoso dietro la maschera della provincia ricca (o povera, fa lo stesso) e perbenista. O, per meglio dire, ci sarà pure, in fondo Perissinotto alla fine lo lascia intendere, ma non è quello che interessa. Lo scontro è tra passato e presente e, se il presente è affrescato con tratti lievi, accennati, dati dall'agire di Domenico nella terra della sua infanzia, e dai racconti e spiegazioni di chi quella terra ancora (e da sempre) la vive e da essa non si è mai allontanato, il passato è il vero centro del quadro. Pur non essendoci (è passato, non può ovviamente essere presente, scusate il gioco di parole) è il passato che cattura l'interesse e l'immaginazione del lettore, ed è su quell'obiettivo che Perissinotto si pone a duellare con Fenoglio. E' l'anima nera delle Langhe l'oggetto che viene sezionato, quella vita contadina che, lontana da ogni mitizzazione contemporanea, era fatica inumana, e brutalità animale, era senso del possesso estremo al punto da portare a reificare il proprio prossimo. E' tutto uno spaccarsi la schiena per possedere qualcosa, di solito un pezzo di terra, una casa, un campo, degli alberi. Ed è il possesso la parola chiave di tutto il romanzo. Ammazzarsi di fatica per possedere qualcosa di giorno e poi giocarsi tutto alle carte la sera. I campi, il gioco, il vino, le botte, non c'è altro, nessuna pietà, questo era il mondo dei vecchi. E nel confronto il presente non ne esce poi neppure tanto male. I personaggi sembrano essere perennemente posseduti da qualcosa che incombe su di loro e al contempo li abita, lo spirito del luogo, la cultura contadina, un moto di sopraffazione, quasi una necessità di brutalità e, al contempo, di fatalità, si è vivi o morti per un caso, è la terra che lo decide, sono i campi che ti permettono di mangiare o, se sono capricciosi, ti condannano alla fame, l'uomo è una comparsa in quel mondo, un attore passivo che ha continuamente presente la propria infinitesimale irrilevanza nei confronti del paesaggio. Fatalità e possesso, brutalità subita (dalla natura, dai campi, dall'esistenza) e restituita (sugli esseri più deboli), e il gioco a ricordare che tutta quella commedia volgare e violenta è, in fondo, appunto, un gioco: o comunque è retta dalle regole dell'azzardo. E da qui, il bisogno di rischiare tutto a carte. Più desidero qualcosa, più cerco di perderlo. Se la possibilità di possedere qualcosa è remota e la si paga con enormi fatiche, quella di perdere tutto è altissima, ed è stretta in un mazzo di carte, in una mano al tavolo da gioco (ma non immaginatevi casinò e croupier, bastano le cucine fumose delle cascine o le "crote" del paese). Rendere oggetto ogni aspetto della realtà, ogni essere vivente, che sia un pollo, il cane, o la propria moglie, questa pare essere l'unica ossessione che ha abitato Le Langhe da tempi immenori. Ed è da quella cultura che nasce la tragedia che è lo sfondo (e al contempo il protagonista silenzioso) del racconto dell'autore piemontese. Fenoglio dunque, e Perissinotto, che si scrutano, si annusano, e entrambi compongono un ritratto verista (quasi "nudista) di quel mondo che pare essersi dissolto all'orizzonte, quel mondo che è importante ricordare proprio perchè tutti lo vogliono dimenticare. In fondo, non siamo mai stati innocenti. <br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-V7OlODjHPVA/XFNjUHEO7zI/AAAAAAAACGQ/OpKQ_Ih_UTkMqTa9ZbcDs24mBcJEdLD0wCLcBGAs/s1600/perissinotto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="299" src="https://1.bp.blogspot.com/-V7OlODjHPVA/XFNjUHEO7zI/AAAAAAAACGQ/OpKQ_Ih_UTkMqTa9ZbcDs24mBcJEdLD0wCLcBGAs/s1600/perissinotto.jpg" /></a></div>
<b><span style="color: orange;">Alessandro Perissinotto</span></b> (Torino, 1964) è uno scrittore, un traduttore e
un insegnante. Laureatosi in Lettere, nel 1997 esordisce con il suo
primo poliziesco "L’anno che uccisero Rosetta" (Sellerio) ambientato in
uno sperduto paese piemontese negli anni ’60. Seguono "La canzone di
Colombano" e "Treno 801" sempre editi da Sellerio. Nel 2004 pubblica
con Rizzoli "Al mio giudice" con cui vince il Premio Grinzane Cavour
2005 per la Narrativa Italiana, il Premio via Po 2005 e il Premio
Chianti 2005-2006. Tra le sue opere successive ricordiamo " Una piccola
storia ignobile" (Rizzoli), "La società dell’indagine" (Bompiani) e "
Semina il vento" (Piemme).
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-55646072738943985392019-01-21T22:05:00.000+01:002019-01-22T08:20:28.791+01:00Mondo noir, di Wilmer Urrelo Zàrate, Edizioni Estemporanee, trad. di Grazia Testa<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-eYHDCHPCGao/XEYGL2-pUOI/AAAAAAAACFk/BNePnHrh6fcVS_lcmQJu8MSypdhu9Fd8wCLcBGAs/s1600/mondonoir1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="305" data-original-width="174" src="https://2.bp.blogspot.com/-eYHDCHPCGao/XEYGL2-pUOI/AAAAAAAACFk/BNePnHrh6fcVS_lcmQJu8MSypdhu9Fd8wCLcBGAs/s1600/mondonoir1.jpg" /></a></div>
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Il noir è di questo mondo, un mondo globalizzato dove la caratterizzazione locale sfuma in un universo narrativo che è assolutamente neutro e dove le uniche indicazioni alle quali ci si può aggrappare per individuare una localizzazione sono i nomi dei protagonisti, nomi equamente divisi tra lo spagnoleggiante, il britannico/americano e l'asiatico. Dove si svolgano i fatti, dunque, non si sa. E' il nuovo romanzo latinoamericano che si allontana non solo dai propri stereotipi ma anche dalle proprie radici etniche. Il paesaggio, il linguaggio, la società non sono più utilizzati come espediente narrativo caratterizzante. E' pura e semplice narrazione. I fatti, immaginateli ambientati dove più vi aggrada. Ma c'è di più, la trama, dunque i fatti di cui sopra, non è poi così importante: è un tipico plot noir, tanto basta. Non serve altro. Neppure le atmosfere, al contrario che nei film di David Lynch, sono davvero essenziali (cito Lynch perché i richiami filmici in questo libro sono importanti, ed evidenti). Quello che davvero è il nucleo di questo libro è la struttura, e il <i>pastiche</i> che da essa ne deriva. La struttura <i>é</i> il pastiche, e viceversa. La narrazione si sviluppa su due piani differenti, apparentemente intangibili tra di loro, in un montaggio alternato anche questo molto cinematografico. Da un lato, la detection con l'ispettore Hermogenes Santos che, accompagnato dal suo improvvisato braccio destro Jim, indaga su una morte misteriosa, la morte di un bambino avvenuta nella sua stessa casa; dall'altro la storia di Max, scrittore maturo e non certo di successo, che si vede derubato di un suo romanzo portato poi al successo da un giovane scrittore privo di scrupoli, tale Wilmer (proprio come l'autore di questo Mondo noir). Alla morte del bambino si aggiunge quella del padre, e su questa linea narrativa è la violenza che diventa il vero marchio dell'indagine, la violenza che più che altro si manifesta tra i due investigatori e Chico, il mastodontico guardaspalle della famiglia del bambino morto. Di indagine vera e propria c'è poco, pochi snodi, pochi personaggi che entrano ed escono dalla scena (più che altro, chi ci entra, pochi, poi tendono a rimanerci, in scena). Scazzottate, sparatorie, botte, tutte narrate senza uno slancio particolare: è la piatta brutalità che vige in un mondo noir, nessuno se ne lamenta, perché è la regola. Non c'è nulla di strano in questo. E l'acume investigativo non sonda nessun mondo (città, provincia, famiglia) fino a svelarne i più torbidi segreti, non c'è accenno di critica sociale nel testo. Qualcuno ha ucciso il bambino, poi il padre, bisogna capire chi è stato e poi sbatterlo in prigione, e per capire chi è stato, vanno presi i personaggi che in qualche modo aleggiano attorno ai fatti e torchiati a suon di botte, fino a farsi dire la verità, o una verità, o almeno un pezzo di essa: qualcosa che possa portare i due poliziotti alla pagina successiva. Per quanto riguarda Max, è lo sconcerto a stravolgergli il grigiore dell'esistenza. Non riesce a credere che Wilmer, quel giovane scrittore che si era affidato a lui per avere un giudizio sui suoi scritti, lo abbia truffato in quella maniera. Senza pudore. Ed effettivamente è la mancanza di remora alcuna e di qualsiasi pudore che caratterizza Wilmer; il suo ruolo narrativo è quello di essere un figlio di puttana senza scrupoli, e questo - narrativamente -fa. A questo punto, preso atto della freddezza del giovane scrittore, Max si rivolge al suo editore, lo stesso che ha pubblicato il libro a lui rubato, e gli denuncia il furto, gli chiede di fare qualcosa, di restituirgli il suo romanzo. Ed è qui che compare un altro personaggio classico del noir (del mondo del noir), Linda, la cosa più simile ad una dark lady che si possa trovare nel libro. Ma è una dark lady molto sui generis: è la moglie dell'editore (ma era stata la fiamma di Max, e questo è uno dei pochissimi, veloci, accenni alla biografia di qualcuno dei personaggi, assieme all'episodio del passato di Hermogenes Santos in apertura del libro e a qualche vago ricordo di Jim), ma non è una bellona da film, la sua connotazione sessuale è abbastanza spenta. E' femmina, lo sa, ne approfitta quel poco che la scarsa sete sessuale dei maschi che la circondano glielo permette, stop. Non è indimenticabile, e la dimenticherete presto. E' messa lì per ingannare, e Linda inganna, in maniera piuttosto anonima, senza sforzarsi più di tanto e apparentemente senza trarre un particolare piacere dalla sua capacità di ingannare. Come dicevamo, non c'è nulla che caratterizzi questo noir quanto avere in sé il minimo comun denominatore dell'essere noir, e null'altro. E' la struttura - lo scheletro di una struttura - che importa, le introduzioni ai brevi capitoli che si susseguono con una certa fretta, un certo gusto per la metanarrazione, le figure bidimensionali che si muovono su un palcoscenico vuoto e replicano all'infinito gli stilemi di un genere che in sé racchiude, appunto, un mondo. E Zarate pare aver creato un requiem per il genere noir, sembra volerci dire, dalla dimensione provinciale della sua Bolivia: ok, sappiamo anche noi che cos'è il noir, lo sappiamo bene ormai, abbiamo capito come funziona, quali sono gli ingredienti per metterne in piedi uno di successo, perfetto, ora basta però (e a questo proposito vale l'indicazione nel testo dell'importanza data alla nuova narrativa dal carattere internazionale, priva di connotazioni regionalistiche).</div>
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<span style="color: orange;"><i>C'è un forte desiderio di cambiamento. Cioè, si abbordano temi nuovi e, curiosamente, non da un punto di vista strettamente nazionale o localista come si era soliti fare solo una decina di anni fa. A cosa mi riferisco? Se vai a riguardarti gli ultimi romanzi pubblicati, scopri che quasi nessuno menziona località tipiche o cose del genere. C'è, in questa nuova generazione, la volontà di assumere movenze narrative straniere. E attenzione: a me questo non sembra affatto negativo " </i></span></div>
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(parole di Francis Golden, l'editore di Max e di Wilmer)<i> </i></div>
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E' lo scheletro di una qualsiasi narrazione noir, la decolorazione del "nero" se così si vuol dire, è un cadavere letterario portato a galleggiare da un certo gusto narrativo postmoderno che mescola metanarrazione a pastiche con la leggerezza di chi vuole mettere una pietra tombale su tutto un immaginario, e poi voltare pagina, ma con una certa leggerezza, con l'ironia di fondo di chi sta scimmiottando un amico, ma lo fa senza scordarsi di mettersi in gioco e farsi beffe anche della propria immagine riflessa nello specchio. Infatti Wilmer muore.</div>
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Uno squarcio, questo Mondo noir, in una letteratura, quella boliviana, da noi ancora poco frequentata, un libro ricco di seduzioni cinematografiche, che mi ha ricordato per la forza post moderna certi passaggi di <a href="http://2666blogspotcom.blogspot.com/2014/03/hawthorn-child-di-keith-ridgway.html" target="_blank">Hawtorn&Child</a>, anche se il libro di Keith Ridgway, per atmosfere, freddezza narrativa e azzardo ai limiti della follia, rimane inarrivabile. Ma, se questo libro voglia essere una pietra tombale posta su un genere o una rivendicazione della capacità narrativa della terra dell'autore o, all'opposto, una critica verso una nuova <i>ola </i>letteraria che<i> </i>rivendica il diritto a globalizzare la propria arte (fondendola nel mcmondo letterario), questa, forse, è la reale detection di Mondo noir.</div>
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-rgfq0Bdzs9M/XEYU1jFtx5I/AAAAAAAACFw/bYrsEQl7LKUVpSe_VLZj0Iw7_5hlxcQSgCLcBGAs/s1600/zarate.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="260" data-original-width="194" height="200" src="https://3.bp.blogspot.com/-rgfq0Bdzs9M/XEYU1jFtx5I/AAAAAAAACFw/bYrsEQl7LKUVpSe_VLZj0Iw7_5hlxcQSgCLcBGAs/s200/zarate.jpg" width="149" /></a></div>
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<span style="color: orange;"><b>Wilmer Urrelo Zarate</b></span> (La Paz, 1975) ha vinto, a soli 25 anni e proprio con Mundo negro, il Premio Nazionale per il romanzo d'esordio. La creatività del giovane boliviano e la forza della sua scrittura, immediata, ironica, seduttrice, lo hanno portato al successo anche col suo secondo lavoro. Fantasmas asesinos. vincitore del 2006 del Premio Nazionale per il romanzo.</div>
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-14784570892872042018-11-30T20:38:00.001+01:002018-11-30T20:50:30.746+01:00Mostri che ridono, di Denis Johnson, Einaudi editore, trad. Silvia Pareschi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-CPyh03w9pIA/XAF0eGflO9I/AAAAAAAACE0/7AYnAqgUtKsSYJ2jiEcu5wff523krYNRgCLcBGAs/s1600/mostricheridono1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="217" data-original-width="144" src="https://3.bp.blogspot.com/-CPyh03w9pIA/XAF0eGflO9I/AAAAAAAACE0/7AYnAqgUtKsSYJ2jiEcu5wff523krYNRgCLcBGAs/s1600/mostricheridono1.jpg" /></a></div>
Il libro si apre a Freetown, in Sierra Leone, dove Roland Nair e Michael Adriko si ritrovano, su invito, peraltro piuttosto misterioso, di quest'ultimo. Da questo momento in poi comincia una corsa folle, selvaggia e un tantino demente nel cuore nero dell'Africa e dell'uomo. Il narratore è Roland Nair, capitano di un'agenzia d'intelligence della Nato, danese ma di passaporto statunitense, bianco. Con l'avanzare delle pagine capiamo che ha una missione, probabilmente legata a Michael Adriko, soldato, avventuriero, nero, suo amico e compagno di ventura in Afghanistan e in altre guerre sparse per il globo. Trama qualcosa Nair, incontra personaggi sinistri, si guarda le spalle da personaggi altrettanto sinistri, beve, paga prostitute e lascia che la follia africana torni a fluirgli nelle vene, come ai vecchi tempi: un afflusso di follia che gli mancava, che gli dona ossigeno. Vecchie conoscenze lo mettono in guardia e in diversi gli sussurrano che Michael è tornato, e che Michael ha disertato. Si muove in hotel "di guerra", sgangherati, portatori di una presunta opulenza forse mai appartenuta nemmeno ad un passato lontano, privi per gran parte del tempo non solo del wifi ma anche della corrente elettrica, abitati da personaggi obliqui, figure bidimensionali che, anche qualora non lo fossero, appaiono essere pedine di un gioco più grande di loro, spie, giornalisti, affaristi, avventurieri, truffatori, tutti vaganti tra le hall, le piscine e le stanze di alberghi che ricordano cattedrali nel deserto perennemente a rischio di crollare su sé stesse. Ogni personaggio, che è impossibile sapere se sia un'agente al soldo di qualche potenza straniera o un semplice fallito in cerca di una fine misericordiosa e in fuga da sé stesso, e che probabilmente è entrambe le cose al contempo, è un'ombra ritagliata dalla realtà che lo circonda; sono esseri slegati, slogati dalla società - da qualsiasi società - lontani da qualsiasi legame famigliare o amicale, sono anime in preda ad una costante rotazione che li costringe all'immobilità, nella perenne attesa dell'attimo in cui scatenare l'inferno, nel quale cambiare direzione alla propria vita e fottere il destino, un istante che pare rimanere un punto lontano sull'orizzonte ottico impossibile da raggiungere. Nair, dicevamo, ha una missione, e sta tramando qualcosa. Si muove circospetto, come una spia, entra in negozi/bazar da quattro soldi e attraversa porte che non dovrebbero esserci per trovarsi in piccoli centri informatici dove poter inviare e ricevere messaggi non intercettabili. Scrive ad una donna, Tina, che si trova da qualche parte nel mondo civilizzato, che in qualche maniera gli sostiene il gioco, ancora non sappiamo quale. Nella narrazione si avanza per allusioni, le carte si scoprono poco alla volta, l'andamento è circospetto, la realtà una costante minaccia che, però, non si manifesta mai. Poi, sulla scena irrompe Michael Adriko, e d'un tratto il ritmo cambia (si innalzano ritmi ossessivi, tamburi tribali, la realtà diviene presto allucinata ed allucinante), e così anche il narratore, in prospettiva, si svela, almeno in parte. La missione, innanzitutto, di Nair: deve recuperare notizie su Adriko, su dove si trovi e su cosa abbia in testa, perché in effetti è come gli era stato suggerito da quando è giunto a Freetown: Adriko ha disertato. Ma se Nair è ancora per molti versi indecifrabile, ma guardingo, Adriko è l'incarnazione stessa della disperata follia africana, un turbine perenne, instabile, veloce, spavaldo, incapace di intercettare in sé stesso e nel mondo un qualche centro di gravità (fosse anche temporaneo e approssimato). Michael non è solo. Lo accompagna una donna bellissima, quantomeno agli occhi di Nair: Davidia, la fidanzata numero 5, la sua futura sposa. E' per questo che Michael ha chiamato a sé l'amico, perché vuole tornare al suo villaggio natale, dalla sua gente, a presentare la sua sposa, avere la loro benedizione e sposarla. Vuole fermarsi a cinque, dopo Davidia stop, nessun altra donna. Ma c'è dell'altro. Cosa sia questo "altro" Adriko non è però disposto a rivelarlo, non subito ("<i>seguiranno altre rivleazioni</i>"). Da qui comincia un altro viaggio, verso il villaggio della famiglia di Michael Adriko, verso il centro della sua pazzia (apparente o reale che sia, fa poca differenza), verso lo svelamento del suo piano demenziale e pericoloso, verso il centro nevralgico della loro amicizia (ma è realmente amicizia? o è altro? o, semplicemente, non è?), verso il cuore nero del Continente Nero, un cuore cieco e violento per il quale la vita conta come uno sbuffo di sabbia sollevato dal vento secco e feroce. Mostri che ridono, è un libro oscuro e disperato che però, a tratti, come le lame di luce della jeep impazzita nella notte guidata da Adriko, è illuminata da un'ironia che pare arrivare direttamente dalla fine del mondo, o dalla fine dei tempi o, per essere più precisi, da quell'attimo prima che la fine si manifesti, quell'attimo che ha già perso ogni speranza di salvezza e vanta come unica risorsa quella di dilatarsi, a ritardare la fine. La violenza, l'infanzia tragica di Adriko, la sete di denaro, l'uranio, il Mossad, la mancanza di scrupoli, le truffe, i commerci illegali, la morte, la natura cangiante, vivace e oscura, la fame e la ricchezza divise a volte solo da un fendente tra le costole o da una bugia ben riuscita, ogni aspetto di questo libro si contorce nella parte oscura dell'essere umano. Nulla è sacro, non esistono valori, e quelli che vengono intesi come tali sono solamente brandelli di follia gettati in pasto all'ignoranza della gente. L'Africa narrata da Johnson (da leggere anche <span style="color: orange;"><i>La guerra civile all'inferno</i></span>, in <i><span style="color: orange;">Cronanche anarchiche</span></i>, sempre di Johnson, per Alet ed.) è una terra dove l'illuminismo non è mai arrivato, dove il pensiero razionale occidentale non solo non ha alcun valore ma rappresenta oltretutto un impaccio di cui è bene liberarsi in tutta fretta. Nemmeno i valori cristiani vi hanno attecchito e, apparentemente, almeno agli occhi di un occidentale, non esiste alcun sistema di valori decifrabile: è il caos, l'anarchia primordiale, terra devastata da guerre senza senso e senza quartiere, corpo da depredare prima che si secchi definitivamente, e Adriko è esattamente la raffigurazione sotto sembianze umane della sua terra. E' una figura difficile da inquadrare e altrettanto impossibile da dimenticare: anche fisicamente, una forza della natura, una macchina per uccidere, un corpo enorme e muscolato che ciondola da un posto all'altro, che scatta all'improvviso, che uccide e viene ucciso (simbolicamente più volte, anzi, continuamente: forse viene ucciso ogni giorno fin dall'infanzia), è così eccessivo da rasentare il divino, ma un divino folle, capriccioso, infantile, coraggioso e stupido, capace di credere all'oscuro mondo spiritico africano e ingenuo al punto da mettere in piedi un piano al limite del demenziale, impossibilitato dalla sua stessa natura ad immaginare (e tantomeno a pianificare) un futuro (infatti quando ci prova scatena una sorta di apocalisse). Johnson, scrittore morto nel 2017, di talento cristallino, riesce con uno stile essenziale e diretto (il suo maestro è <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Carver" target="_blank"><i>Raymond Carver</i></a>) a mettere in mostra un continente (e quindi un mondo e quindi un universo narrativo) in preda ad un'anarchia primordiale, allucinata, nel quale l'unica legge possibile è la pura e semplice forza vitale, amorale, immorale, dannata, quella spinta che porta comunque a rialzarsi, a correre, ad uccidere, a soffrire per poter immagazzinare un ultimo respiro, a tradire e a sopportare il tradimento, ad amare, o ad illudersi di farlo, solo per assaporarne l'impossibilità, a scopare chiunque, a viaggiare, a scappare, a bere, a fottere e, soprattutto, a fottersi. Il resto, la realtà, quella che conosciamo, il mondo civilizzato, almeno all'apparenza, qui, in questo libro, non esiste, è chiuso fuori, è un'eco lontana che racconta di qualcosa di luminoso e pulito e sferico, qualcosa che, per gli abitanti di questa narrazione, non può che apparire come una fantasia. Johnson, che attualizza <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Cuore_di_tenebra" target="_blank"><i>Cuore di tenebra</i></a>, di<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Conrad" target="_blank"> <i>Conrad</i></a>, con questo libro punta al centro dell'anima malata del mondo e, ancora più a fondo, all'assurdità del reale, alla mancanza dimensionale dell'esistenza, è una cavalcata violenta, di due antireoi che si scagliano attraverso la notte più scura senza nemmeno avere la speranza di uscirne a vedere l'alba, tra la paura e l'arroganza, il ghigno di fronte all'abisso, l'unico desiderio che si possono permettere è quello di continuare a correre nella notte. Cadere, rialzarsi e ricominciare a correre. Perché fuori da lì, da quella bolla di buio, in realtà non c'è niente. O rischia di non esserci nulla, come Tina, che rimane un nome scritto sulle intestazioni delle mail e delle lettere. Il buio, poche lame di luce, lame assassine di morti senza colpe, e la corsa, i muscoli che servono per la corsa, i polmoni che si chiudono a libro in cerca di ossigeno per correre, fino alla fine, fino all'ultimo. <i>Seguiranno altre rivelazioni</i>.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-8EORtffE-w0/XAGCi9TGZUI/AAAAAAAACFA/Ug94mBqSxc8ZYerpncbKPQFirP-BE54JQCLcBGAs/s1600/denisjohnson.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" src="https://4.bp.blogspot.com/-8EORtffE-w0/XAGCi9TGZUI/AAAAAAAACFA/Ug94mBqSxc8ZYerpncbKPQFirP-BE54JQCLcBGAs/s1600/denisjohnson.jpg" /></a></div>
<span style="color: orange;">Denis Johnson</span> è nato nel 1949 a Monaco di Baviera e cresciuto tra le Filippine, il Giappone e Washington, al seguito del padre, un impiegato del Dipartimento di Stato che teneva i rapporti tra la diplomazia e la Cia. Ha studiato scrittura all'Università dell'Iowa, seguendo le lezioni di Raymond Carver. Molti anni dopo anche Johnson vi insegnerà. Pubblica il suo primo libro di poesie a diciannove anni, ma Angels, il suo primo romanzo, uscirà solo quattordici anni più tardi: la sua giovinezza è segnata dall'abuso di di droghe e alcol. Solo dopo essere tornato a casa dai suoi e essersi disintossicato riprende il suo percorso di scrittura che raggiunge la sua piena maturazione con la raccolta Jesus' sondel 1992 (nel 2006 la New York Times Book Review la indica tra le opere più importanti degli ultimi 25 anni). Con Albero di fumo (2007) vince il National Book Award ed è finalista al Pulitzer, così come con la novella Train Dreams. E' unanimemente considerato uno dei grandi della letteratura americana.<br />
In italiano sono tradotti:<br />
Angeli (Feltrinelli, 1987), Fiskadoro, (Feltrinelli, 1988), Albero di fumo (Mondadori, 2009), Nessuno si muova (Mondadori, 2010), Train dreams (Mondadori, 2013), Mostri che ridono (Einaudi 2016), Jesus' son (Einaudi, 2000 e 2018), e la raccolta di reportage Cronache anarchiche: dall'America e dal mondo (Alet, 2004)Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-10207435034828111012018-10-28T22:18:00.001+01:002018-10-28T22:18:29.826+01:00Ufo: Operazione cavallo di Troia, John A. Keel, Meb Edizioni, Trad. Franco Ossola (1975)<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-BML8fQyMqZE/W9XxZdCh1VI/AAAAAAAACD0/u_wKwevkTj80ed5_Tz7uYKqwo--iNBxlwCLcBGAs/s1600/IMG_20181028_174552.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1600" data-original-width="1160" height="320" src="https://4.bp.blogspot.com/-BML8fQyMqZE/W9XxZdCh1VI/AAAAAAAACD0/u_wKwevkTj80ed5_Tz7uYKqwo--iNBxlwCLcBGAs/s320/IMG_20181028_174552.jpg" width="231" /></a></div>
John Alva Keel (New York, 25/3/1930 - New York 3/7/2009) è stato un giornalista appassionato di mistero, influenzato dal genere fortiano (vedi <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Fort" target="_blank">Charles Fort</a>) si è dedicato dapprima a vari fenomeni inspiegabili (Jadoo, 1957) e in seguito si è dedicato all'ufologia. Dapprima sostenitore dell'ipotesi extraterrestre, in seguito alle sue indagini coniò (in maniera più o meno contemporanea ad altri autori tra i quali è imprescindibile citare lo scienziato <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_Vall%C3%A9e" target="_blank">Jacques Vallée</a>) quella che oggi è conosciuta come "<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ipotesi_parafisica_sugli_UFO" target="_blank">ipotesi parafisica</a>". Cosa sia questa ipotesi lo spiega già questo suo primo libro di ufologia (chiamiamolo così per comodità anche se lui non amava definirsi "ufologo", bensì "ricercatore di fenomeni paranormali" o "demonologo"). L'autore, interessatosi al fenomeno ufologico in seguito ai cosiddetti "flap" (ondata di avvistamenti) che periodicamente attraversavano gli Usa, per quattro anni studia approfonditamente il fenomeno, verifica dati, elabora schemi, confronta orari e coordinate geografiche, disegna vettori (l'ipotesi che gli ufo si muovessero lungo linee definite fu anche dello studioso <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Aim%C3%A9_Michel" target="_blank">Aimé Michel</a>, ma venne in seguito smentita da nuovi dati) e, soprattutto, verifica quanti più casi possibili intervistando personalmente i testimoni. Seguendo questa ricerca e attenendosi rigidamente alle regole deontologiche che si era autoimposto, Keel si trova di fronte un quadro di eventi assai diverso e molto più complesso di quello che normalmente viene esposto e studiato dagli ufologi della cosiddetta corrente "extraterrestre". Si rende conto che molti dati che non collimano con tale ipotesi, dati ed eventi che sono apparentemente assurdi e non di rado comici, vengono abitualmente scartati dagli ufologi tradizionali. In poche parole tutto ciò che non si riesce ad inserire nell'ipotesi di visitatori che giungono dallo spazio, viene sovranamente ignorato dall'ufologia classica in voga fino a quel momento. Keel, al contrario, annota tutto, e lo valuta. Nascono così i Men in black. Vale a dire che Keel si rende conto che nei resoconti di molti testimoni compaiono personaggi sinistri, dalla pelle grigiastra, dai tratti orientaleggianti, spesso vestiti in completo nero (alla Blues Brothers, per intenderci) che parlano un inglese robotico, pongono domande banali e apparentemente prive di senso, che si presentano nelle case dei testimoni come appartenenti a qualche misteriosa agenzia governativa, muovendosi in maniera a volte meccanica, comunque goffa, ponendo domande a tal punto bislacche da, più o meno involontariamente, incutere timore ai testimoni. Questi personaggi ci sono sempre stati, ma il loro comportamento assurdo non permetteva di renderli credibili, pertanto venivano epurati dalle testimonianze. Keel dà loro lo spazio che meritano e li battezza in maniera imperitura (i film della serie <i>Men in black</i> ne sono un omaggio): soprattutto li inserisce come un tassello in un disegno più grande e complesso. Ugualmente recupera ed analizza, con metodo e passione tipicamente fortiana, episodi da giornali e da cronache del tempo passato, e in essi, sia episodi antichi che a lui contemporanei, riscontra spesso un alone assurdo non differente da quello che avvolge le apparizioni dei MIB. Alieni fermi ai lati della strada a riparare aeronavi apparentemente in panne, omini grigi perduti nella brughiera o nei boschi che, venuti a contatto con umani, pongono domande banali: chiedono l'ora, cercano spiegazioni su cosa sia il tempo, promettono informazioni essenziali per il mondo e il suo futuro per poi immancabilmente non farsi più vedere, richiamano l'umanità ad un atteggiamento più attento, soprattutto rispetto ai rischi ecologici, per poi svanire nel nulla, o su mezzi di trasporto dalle forme più improbabili. Un altro aspetto sul quale si concentra è quello degli addotti e dei testimoni e delle conseguenze fisiche e psicologiche che questi vengono a patire in seguito ai loro contatti col mondo dei misteriosi ufo. Per inciso, Keel non li chiama extraterrestri, bensì "ultraterrestri" in quanto li ritiene manifestazioni di una o più dimensioni parallele alla nostra, dimensioni nelle quali la variabile temporale non esiste (o comunque, se esiste, esiste in maniera differente dalla nostra). Ultraterrestri, esseri normalmente privi di un corpo materiale come il nostro, ma composti di energia e microonde, capaci di assumere per qualche tempo le sembianze da loro desiderate (per questo sono anche detti "mutaforma") e di adattare le loro apparizioni all'ambito culturale nelle quali decidono di intervenire. Secondo Keel infatti le incursioni nel nostro mondo da parte di questi esseri sarebbero sempre avvenute, solo che in altri periodi storici si manifestavano secondo crismi differenti, che venivano interpretati di volta in volta come apparizioni di angeli, di demoni, di folletti, di draghi, di dei, di fantasmi, di anime dei defunti e via discorrendo. Anche le cosiddette apparizioni mariane, se studiate con occhi neutri, hanno molti punti in comune con le apparizioni ufologiche, al punto da far ritenere Keel che in realtà si tratti dello stesso identico fenomeno che si manifesta sotto spoglie religiose. Quindi, il nostro sarebbe un pianeta (o, per meglio dire, una dimensione) che da sempre è stata visitata da entità ultraterrestri, capaci di influenzare la storia dell'uomo e il suo comportamento, probabilmente secondo le stesse modalità che usiamo noi umani quando monitoriamo (con microchip e telecamere) i branchi di animali selvatici. E' questo che fanno queste entità? Ci monitorano? Cercano di indirizzarci verso un futuro piuttosto che verso un altro? E perché? Quale disegno seguono? Quello che emerge dalla lettura di questo libro ormai introvabile (dall'alone mitico, così come il suo autore) è che l'essere umano, qualsiasi cosa sia, è ben lontano dall'essere il centro della creazione, forse, anche gli esseri che ci visitano sono a loro volta semplici parti poco importanti di un disegno assai più complesso ed infinitamente più vasto (e, non so perché, ma l'idea della mia - in quanto essere umano - irrilevanza assoluta nella storia del mondo e dell'universo, mi tranquillizza terribilmente). Quindi: gli dei, gli angeli, i demoni, i folletti, gli elementali sono una maschera dietro la quale si nascondono gli ufo, o gli ufo sono una maschera dietro cui si celano le varie divinità che hanno deciso la storia dell'umanità, o dietro tutto ci sono le creature del folklore, o i mostri cari alla criptozoologia? O dietro c'è altro ancora? Nei libri successivi Keel giungerà a modellare un'ipotesi sempre più chiara che prevede una forma di superspettro energetico creatore di tutte le forme che hanno in qualche maniera invaso la nostra dimensione, un superspettro in grado di connettersi ai campi energetici dei quali facciamo parte e che contengono tutte le informazioni che riguardano ogni singolo individuo (<a href="http://www.venexia.it/libri/collane/i-ponti/lottava-torre/" target="_blank">L'ottava torre, Venexia, 2017</a>). Un'ipotesi a ben vedere non così lontana dall'idea, a noi famigliare, di un Dio onnisciente.<br />
Questo libro, ormai assai raro, pubblicato nel 1975 dalla torinese Meb e mai più ristampato, è un classico del mistero e dell'ufologia. Il suo autore, morto nel 2009 a quel che si dice in povertà, e conosciuto dal grande pubblico in seguito al film The Mothman prophecies, del 2002, (con contemporanea edizione in Italia del <a href="http://www.horrormagazine.it/887/il-caso-mothman" target="_blank">libro edito da Sonzogno</a>) è anch'egli una figura mitica nel panorama misteriologico internazionale, anche grazie ad uno stile spiccatamente narrativo e non privo di una certa ironia che rendono i suoi libri piacevoli alla lettura ed estremamente affascinanti. Pur trattandosi di saggistica (anche se particolare), l'impressione che se ne ricava è quella della lettura di un romanzo o, per meglio dire, di infiniti romanzi e racconti del mistero. Il miracolo di Keel è che questi innumerevoli racconti di suspence (ognuno dei quali merita un libro dedicato, come in certi casi è avvenuto realmentee , come ad esempio per il caso di Khatie Davies cui è dedicato il libro <a href="http://www.anobii.com/books/Intrusi/9788834403075/013f8f54d3f9b1db9b" target="_blank">Intrusi</a>, di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Budd_Hopkins" target="_blank">Budd Hopkins</a>) si vadano a saldare in un disegno più ampio e ragionato, capace di esprimersi in una teoria chiara che pretende di spiegare "<i>la vita, l'universo e tutto quanto</i>".<br />
<br />
P.s.: Non è raro che nei suoi libri Keel racconti episodi inquietanti e misteriosi capitati direttamente a lui, anche questo particolare renderebbe la stesura di una sua biografia un evento da non perdere, per gli appassionati del genere, ma non solo. C'è, nei libri di Keel, e più in generale in certi libri di ufologia, una riserva di capacità narrativa incredibile che soltanto un pregiudizio generalizzato nei confronti dell'argomento trattato impedisce di venire a galla in tutto il proprio potenziale.<br />
Nel caso di Keel, come mi è capitato di fare per altri autori, mi nasce una preghiera: traducete il resto dei suoi libri: <i><span style="background-color: white;"><span style="color: orange;"><span>Jadoo</span></span></span></i>, <span style="color: orange;">Our haunted planet</span>, <span style="color: orange;"><i>The flying saucer subculture</i></span>, <span style="color: orange;"><i>The cosmic question</i></span>, <span style="color: orange;">Disneyland of the gods</span>, <br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-FstffhooITQ/W9YEC0F2j2I/AAAAAAAACEA/N6Pq8nU80W8Vs2fomnt_Aax1GRTyYQR8QCLcBGAs/s1600/johnkeel.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="239" data-original-width="211" src="https://1.bp.blogspot.com/-FstffhooITQ/W9YEC0F2j2I/AAAAAAAACEA/N6Pq8nU80W8Vs2fomnt_Aax1GRTyYQR8QCLcBGAs/s1600/johnkeel.jpg" /></a></div>
Keel (New York, 1930-2009) ha manifestato precocemente la sua inclinazione verso la
scrittura ed ha pubblicato il suo primo racconto all'età di 12 anni. In
seguito ha lavorato come giornalista indipendente, pubblicando articoli
su vari quotidiani, e come soggettista per stazioni radio locali.
<br />
Durante la guerra di Corea ha prestato servizio militare nell'U.S. Army entrando a far parte dell'<i>American Forces Network</i> a Francoforte. Dopo la guerra ha lavorato come corrispondente radio a Parigi, Berlino, Roma e in Egitto.
<br />
Nel 1957 ha pubblicato il libro <i>Jadoo</i>, in cui descrive le sue investigazioni effettuate in Egitto e in India su trucchi magici e fenomeni strani, come il trucco della corda indiana e il leggendario yeti. Nel 1966 scrisse il suo secondo libro, <i>The Fickle Finger of Fate</i>, una storia di spie e supereroi.
<br />
Influenzato dagli scritti di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Charles_Fort" title="Charles Fort">Charles Fort</a>, cominciò a interessarsi di ufologia e fenomeni paranormali; prese parte a varie investigazioni su tali fenomeni e cominciò a scrivere articoli sulla rivista <i>Flying Saucer Review</i>.
<br />
Nel 1967, Keel coniò il termine <i><a class="mw-redirect" href="https://it.wikipedia.org/wiki/Men_in_black_(ufologia)" title="Men in black (ufologia)">Men in black</a></i> in un articolo scritto per la rivista <i>Saga Magazine</i> e intitolato "UFO Agents of Terror" (UFO agenti del terrore).
<br />
Nel 1970 scrisse il suo terzo libro, il primo di argomento ufologico, intitolato <i>UFOs: Operation Trojan Horse</i>. Nello stesso anno pubblicò anche il volume <i>Strange Creatures From Time e Space</i>, mentre nel 1971 scrisse il libro <i>Our Haunted Planet</i>.
<br />
Nel 1975 pubblicò il libro <i>The Mothman Profecies</i>, basato sulla sua investigazione relativa ai presunti avvistamenti di una strana creatura chiamata <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Uomo_falena" title="Uomo falena">uomo falena</a>. Dal libro venne tratto un film con lo stesso titolo, uscito nel 2002.<br />
In Italia sono stati editi:<br />
- Ufo: operazione cavallo di Troia, Meb, 1975<br />
- Creature dall'ignoto, Fanucci, 1978<br />
- The mothman prophecies (Il caso mothman), Sonzogno, 2002<br />
- L'ottava torre, Venexia, 2017 Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-21776068944643104012018-07-09T22:03:00.000+02:002018-07-09T22:03:08.609+02:00Lascia fare a me, di Mario Levrero, La Nuova Frontiera, trad. di Elisa Tramontin<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-RcVYW9bu7bI/W0IBseDWyLI/AAAAAAAACCM/-zAwsNT5-zQyvPssX8y11TsiIBb97JX2wCLcBGAs/s1600/lasciafareame.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="278" data-original-width="181" src="https://2.bp.blogspot.com/-RcVYW9bu7bI/W0IBseDWyLI/AAAAAAAACCM/-zAwsNT5-zQyvPssX8y11TsiIBb97JX2wCLcBGAs/s1600/lasciafareame.jpg" /></a></div>
Ci sono autori che vorresti immortali, e sempre al lavoro: Mario Levrero, uruguayano, eccentrico, classe 1940, per quel che mi riguarda, è uno di questi. Il perché non è ben chiaro neppure a me. Perché, con gli scrittori come Levrero non sai che pesci pigliare o, per meglio dire, rischi di rimanere a mani vuote perché ci sono troppi pesci che ti saltano attorno scivolando fuori dall'acqua, ma sono entità scivolose, veloci, guizzanti, a volte hai il dubbio che siano invisibili: vorresti agguantarli tutti ma rischi di non acciuffarne nemmeno uno. Perché Levrero è semplice ed evidente e al contempo complesso e sfaccettato; perché riesce a catturarti l'anima ma non capisci come diavolo abbia fatto, perché racconta storie minimali, quando non minime, eppure ti rendi conto che lo fa descrivendo un mondo che, diamine, sembra davvero il tuo. Quando parlo di "mondo descritto" intendo "mondo interiore". Eppure non ha l'aria di voler essere introspettivo, non è pesante, al contrario, sa essere parecchio divertente ma, questa sua apparente svagatezza, nasconde dei contrappesi nascosti che è complesso identificare: la sua scrittura va a toccare certe corde che pochi riescono anche solo a sfiorare e a costo di mettere in piedi complicate strutture narrative, miriadi di personaggi, psicologismi cadenzati ed eventi tragici. Levrero no, Levrero passeggia. Passeggia e descrive, passeggia e descrive senza porre distinzione tra il paesaggio esterno e quello interiore. Non ha pudore a mettere in piazza paure, debolezze e villanie.<br />
Provo a citarlo. Qui parla un vecchio incontrato per strada dal protagonista, herr Jrrsch, un tipo strampalato che fotografa le ragnatele e parla più o meno come Vujadin Boskov:<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Vede? Gente dice: ragno tesse tela. Io dico: tela tesse ragno. Gente crede tessere vita, ma vita tesse gente. Tutto collegato. Lei scrive racconto, ma racconto scrive lei; cerchiamo causa in tempo passato, ma molte volte causa in tempo futuro. Confondono causa effetto.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i>C'è una produzione di Levrero che è strettamente legata alla fantasia, al debordare da qualsiasi forma di cliché, e che in Italia, per ora, ha visto come unica traduzione quella del volume <span style="color: orange;"><i>Nick Carter si diverte mentre il lettore viene assassinato e io agonizzo</i></span> (per Calabuig)<i>, </i>mentre <i><span style="color: orange;">Il romanzo luminoso</span></i> (sempre per Calabuig) e questo<span style="color: orange;"><i> Lascia fare a me</i></span> (titolo originale: <i>Dejen todo en mis manos</i>) si possono iscrivere in un filone più personale e, se mi è concesso, ombelicale. </div>
<div style="text-align: left;">
Quello che racconta questo libro è presto detto: uno scrittore (l'autore o un suo alter ego) viene incaricato, dalla casa editrice che gli ha appena rifiutato la pubblicazione del suo ultimo romanzo, di scoprire l'identità di uno scrittore sconosciuto che deve essere pubblicato ma che, ammantato dal mistero, non si riesce a trovare. Si chiama Juan Pérez, o dice di chiamarsi Juan Perez, e si sa che il suo manoscritto è stato spedito da un paesino della provincia, l'immaginario Penuria, ma manca l'indirizzo ed eventualmente, se Juan Perez fosse un <i>nome de plume</i>, il nome reale. L'alter ego dell'autore, considerate le ristrettezze economiche nelle quali si trova, accetta il lavoro, sale sul primo autobus per Penuria e comincia la sua indagine. Immagina si tratterà di un lavoro facile. Penuria è un piccolo centro abitato, basterà chiedere in giro, fare qualche domanda nei bar, affacciarsi nella redazione del giornale locale, girare un po' qui un po' là; i soldi promessi per la missione, considera, sono soldi facili. Ma il protagonista si lascia presto distrarre da un mondo che non conosce, piccolo, sconclusionato, marginale, a volte sinistro, provinciale, dove pare essere l'unico ospite dell'unico hotel del paese. La scuola, la posta, i bar, il giornale, il protagonista si muove, si perde (ama perdersi), perde tempo (ama perdere tempo) e, in men che non si dica, finisce tra le braccia della prostituta locale, Juana, le cui arti amatorie nascondono misteriosi poteri taumaturgici. Si sente meglio, si sente rinascere, scopre la pochezza della psicoanalisi di fronte alla potenza consolatoria e salvifica del sesso (quantomeno del sesso con Juana). Rilegge il manoscritto di Juan Perez, si addormenta, si sveglia in ritardo, corre per vie che non conosce per rimediare ai ritardi accumulati col sonno, parla con persone che potrebbero essere il misterioso Perez, ma che non lo sono e, puntualmente, torna da Juana (fino a che non è Juana ad andare da lui). Nel breve volgere di pochi giorni (se non addirittura di un pugno di ore) l'indagine passa in secondo piano, svapora, perde consistenza in favore delle carni lubriche della bella Juana. Si troverà, il protagonista, ad innamorarsi, o a crederlo, a volersene andare il prima possibile da Penuria e a voler restare, a tornare ad impegnarsi nella ricerca dello scrittore misterioso e a dimenticarlo quasi completamente, ed è questo ondeggiare continuo tra stati d'animo opposti (ma mai descritti come estremi) che poco alla volta diviene il ritmo stesso della narrazione, ed è un ritmo che riconosciamo incredibilmente vicino al ritmo stesso dell'esistenza (in questo senso, magistrale e misterioso è Il romanzo luminoso, che consiglio vivamente), quel ritmo che ci carezza quando ancora siamo nelle viscere di nostra madre e che invariabilmente cercheremo per il resto della vita come un anfratto consolatorio nel quale rifugiarci. Levrero è tutto questo (ma è anche cultura pop, ironia sorniona, cartoni animati, gusto per il paradosso, gialli da edicola) ed è anche, in fondo, la malinconia del tempo che passa, delle pagine che scorrono e si avvicinano pericolosamente alla fine. La magia della scrittura del grande uruguayano è nascosta da qualche parte, invisibile ai più, ma si fa sentire, ipnotica, gentile, morbida, eppure sfrontata e priva di infingimenti. E', la scrittura di Levrero, quel pulsare cardiaco che inquieta e rassicura, che calma ma che già porta in sé l'angoscia della sua fine, quell'attimo in cui smette d'un tratto di battere il suo percorso, quell'ultima pagina oltre la quale il suo vagabondare finisce, termina il suo ozioso ragionare ragionamenti oziosi, e d'un tratto ti senti solo. Senza più Mario Levrero accanto.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><< Che orrore! >>, urlò quando mi vide, e schizzò dentro casa, mentre io aspettavo, sgocciolando sulle piastrelle di un minuscolo ingresso. Ho avuto accoglienze peggiori, ma non me le ricordo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Non mi vergogno a dirlo: ho pregato che questo libro, peraltro piuttosto breve, non terminasse mai, ho prolungato il piacere della lettura centellinandolo e intervallandolo con innumerevoli e dolorose interruzioni.<i> </i>Mi capita di rado ormai. L'ultima volta mi successe con Il romanzo luminoso, sempre di Levrero, che ho recensito <a href="http://2666blogspotcom.blogspot.com/2016/06/il-romanzo-luminoso-di-mario-levrero.html" target="_blank">Qui</a>.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Segnalo, in chiusura, l'interessante introduzione di Luciano Funetta, uno che di eccentrici latinamoericani se ne intende. </div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-w-UG_boXfeQ/W0O-m4b33qI/AAAAAAAACCY/-Qw_OSsVCfkYxKwdiMR7spoe5xu1SXsEwCLcBGAs/s1600/MarioLevrero%2B%25282%2529.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="796" data-original-width="720" height="320" src="https://3.bp.blogspot.com/-w-UG_boXfeQ/W0O-m4b33qI/AAAAAAAACCY/-Qw_OSsVCfkYxKwdiMR7spoe5xu1SXsEwCLcBGAs/s320/MarioLevrero%2B%25282%2529.jpg" width="289" /></a></div>
<span style="color: orange;">Mario Levrero</span> (Montevideo 1940 – 2004) ha pubblicato una decina di romanzi che lo
hanno reso uno scrittore di culto, un punto di riferimento per molti
autori latinoamericani. Appassionato di ipnosi, fenomeni telepatici,
computer e libri gialli, ha esercitato molti mestieri, tra i quali il
fotografo, il libraio, il direttore di riviste di enigmistica e l’autore
di videogiochi. La rivista “Granta” lo ha recentemente proposto all’attenzione dei lettori europei nella rubrica <i>Best Untranslated Writers.</i> <a href="http://www.calabuig.it/il-romanzo-luminoso/" title="Il romanzo luminoso">Il romanzo luminoso </a>è il suo primo libro tradotto in italiano.<br />
<br />
<a href="http://www.edizionisur.it/sotto-il-vulcano/25-06-2012/un-escritor-raro-mario-levrero/">QUI</a>
potete trovare un articolo dal blog di EdizioniSur di Raul Schenardi e
una traduzione di Loris Tassi per farvi un'idea di chi sia stato Mario
Levrero.
</div>
Unknownnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-51984058667597033572018-06-10T10:19:00.000+02:002018-06-10T10:19:14.727+02:00La troga, di Giampaolo Rugarli, Adelphi edizioni<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-CcyqNkkzxZw/WxuX4cTQNEI/AAAAAAAACBw/lZNg-48YICgWBbc7UplqfOt0LMtaHOKDACLcBGAs/s1600/LaTroga.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="180" src="https://2.bp.blogspot.com/-CcyqNkkzxZw/WxuX4cTQNEI/AAAAAAAACBw/lZNg-48YICgWBbc7UplqfOt0LMtaHOKDACLcBGAs/s1600/LaTroga.jpg" /></a></div>
Cosa sia la Troga nessuno lo sa, almeno fino ad un certo punto. Tra la domanda che in pratica apre il libro e la risposta, un fiume di morti ammazzati, tradimenti, doppi e tripli giochi, macchinazioni e colpi di scena. Giampaolo Rugarli, napoletano, classe 1932, scrittore prolifico in tarda età e gemma particolarissima (e, temo, troppo poco conosciuta) della letteratura italiana, intesse una storia che sarebbe un perfetto pulp alla Tarantino, comprensivo di decollamento, suore mascoline, ratti invasori e quant'altro, ma al contempo potrebbe essere un perfetto thriller del complotto: entità sconosciute che si muovono dietro scenari istituzionali, giochi di potere, figli illegittimi, segreti inconfessabili. In realtà, è altro ancora. E' tutto questo ma è soprattutto altro: è la storia dell'Italia recente o, per meglio dire, una parodia della storia d'Italia. E' anche e soprattutto un ritratto dell'Italia e degli italiani, un ritratto amaro e senza veli, che non fornisce consolazione a chi si rimira allo specchio: c'è, nell'immagine che ne riceviamo, tutta la stanchezza e lo sconforto di chi l'innocenza l'ha persa irrimediabilmente, da un pezzo e, ormai, non riesce più a richiamarne alla memoria neppure i tratti essenziali, un'immagine oscena e stanca (e satanica, abitata da quei demoni immaginati da Flaiano, coi quali ci si può sempre mettere d'accordo) deformata dalla fatica di stare al mondo e di scendere a compromessi, è l'immagine della capitale nella quale si concretano tutti i vizi nazionali, tutto il marciume che comporta portare avanti una nazione. Roma è una malattia che ammorba tutto e tutti, la febbre Lassa, ha cieli gonfi come ascessi, grondanti pioggia fredda e incolore, cieli solcati da misteriosi passaggi di dirigibili neri che sembrano voler significare qualcosa, qualcosa di incombente e minaccioso, il cui significato però sfugge. Ne<i> La troga</i>, il mistero non è elemento vibrante che spinge ad avanzare la narrazione e a scuotere l'albero della curiosità, al contrario è un pantano di melma dal quale si vorrebbe evadere, invano. Il commissario Carlo Pantieri, vedovo disamorato della defunta moglie, spossato dall'esistenza e dalle sue convenzioni, in quell'età nella quale la sensazione di essersi lasciati sfuggire tra le mani l'essenza della vita diviene lancinante, ascolta i deliri (apparenti?) di una vecchina, la quale nel suo sproloquio confusionario, probabilmente attivato dall'alzehimer fa riferimento alla "troga". Tutti sono invischiati con la troga, tutti, non si può fermarla, ma va fermata. Pantieri l'ascolta sconsolato, fino a quando la vecchia non chiama in causa la defunta consorte di Pantieri, anch'essa implicata nella troga. Nella troga, sua moglie, quella specie di mummia incolore, priva di slanci, sessuali in particolar modo? Si, prossima addirittura a diventarne una sacerdotessa. <br />
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<span style="color: orange;"> <i><< Lei cosa vuole da me? Vuole presentare una denuncia? Una querela? Un esposto? >></i></span></div>
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<span style="color: orange;"><i><< E come potrei? >>, rispose la vecchia signora. << I fatti sono troppo numerosi: piraterie, sequestri di persona, rapine, grassazioni, plagi, oscenità, stupri, eresie, sacrilegi, corruzioni... Ma questi sono i sintomi del male. Il vero male è più profondo. Io temo si voglia provocare una mutazione del genere umano. >></i></span></div>
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Poco dopo la vecchia signora viene trovata morta. E così anche il figlio della donna, un rinomato medico. Ma poco alla volta che i morti si affastellano, che gli scenari cambiano, sempre la stessa parola compare, spesso come lapsus, come illusione/allusione: la troga. Pantieri indaga, ma, come aveva avuto a predirgli la vecchina: <i> </i></div>
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<span style="color: orange;"><i><< Commissario, lei sarà distrutto dalla troga. >></i></span></div>
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E l'intrigo che si andrà componendo da questo meraviglioso incipit in avanti sarà un budello maleolente avvinghiato su sè stesso, a tratti talmente inverosimile da ricalcare una somiglianza inquietante con la storia recente d'Italia: la Dc, il rapimento Moro, la P2, il ruolo obliquo della Chiesa, le BR, delitti insoluti, violenza insensata, massoneria, sette oscure, terrorismo, servizi segreti perennemente deviati, morti ammazzati, banche, giudici, processi senza fine (in quanto non finiti, non terminati, senza colpevoli a scriverne una conclusione), ministri con segreti inconfessabili. Praticamente ogni aspetto romanzato potrebbe trovare un suo omologo punto di riferimento nella storia reale, tanto da far sospettare il lettore che Rugarli, nel 1988, anno di pubblicazione del libro, avesse svelato in forma narrativa verità che si sarebbero fatte più esplicite solo in seguito e che, all'epoca, potevano essere sospetti sussurrati nelle segrete stanze. Ma la grandezza del romanzo non sta nell'essere una copia più o meno fedele della Storia, bensì nel divenirne un ritratto a tal punto grottesco da ricalcarne i caratteri più veri, utilizzando una lingua tanto ricca e strabordante da piegare la realtà a suo piacimento, trasformandola, frastornandola, modificandone i connotati per poterne reperire la natura più intima e vera. La Roma capitale di Rugarli, microcosmo dantesco entro i confini del quale si svolge in sostanza tutta la vicenda, è inquietantemente simile a quella odierna, pur calata nei colori, nei caffè, nelle cravatte, nei completi, nei riti di quella anni 70/80: in questo senso, una Roma eterna, sempre uguale a sé stessa, portatrice di una mostruosità onnivora e autocannibalica, una Roma che<i> più se magna da sé</i>, più rinasce uguale a sé stessa. </div>
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<span style="color: orange;"> <i>la Roma dei cesari e dei papi era più che un'astrazione, una favola ad uso dei turisti ignari; una grigia macchia di case spariva nel cielo che si velava di turchino in lontananza, foglie gialle turbinavano giù dai rari alberi e, in margine alla via, si ammucchiavano le consuete immondizie. Più lontano, nei prati già pronti per nuove lottizzazioni, brucavano le pecore; era tutto ciò che sopravviveva dell'epoca in cui la campagna non conosceva le ruspe.</i></span></div>
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Una Roma malarica, zozza, malata di ratti, di febbri misteriose, una capitale sempre in procinto di partorire qualche nuova mostruosità con la leggerezza di chi ha visto e provato tutto, di chi sa che un omicidio è solo un omicidio, un'ammazzattina, e in fondo abbastanza saggia da sapere che tutto serve, l'ammazzattina, l'orgietta, il colpevole da trovare, ma quello giusto però, quello che faccia tornare tutti i pezzi al loro posto, perché anche trovare i colpevoli è un'arte, anche sistemare la giustizia è un'arte, e sopraffina per giunta, non la puoi lasciare al caso. Non basta essere colpevoli per essere colpevoli, ci sono tutta una serie infinita di conseguenze da tenere in considerazione per far si che l'ingranaggio non s'inceppi, tanto che, alla fine della fiera, il colpevole è meglio fabbricarselo su misura, alla bisogna. In casa. Anche l'ansia di rivoluzione nel romanzo di Rugarli è sottratta al fanatismo ideologico per divenire una posa, una ricerca di novità artefatta che, almeno, riesca a vincere la noia, giusto per qualche tempo. </div>
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<span style="color: orange;"><i>Non si può vivere in un mondo senza idee, ma tutte le idee sono sbagliate. Dobbiamo accontentarci di idee sbagliate?</i></span></div>
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Questa è la Roma di Rugarli. E la lingua che la descrive è l'altro vero miracolo narrativo che compone un libro sopraffino e popolare al contempo: la sua è una lingua manganelliana, duttile, colta e popolana, ricca di diallettismi, di dialetti, scavata in maniera ossessiva e sovrabbondante, una lingua scavata che a sua volta scava la realtà in cerca di quelle zone d'ombra che non possono essere descritte ma solo accennate. </div>
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Leggetelo, sarete distrutti dalla troga.</div>
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<span style="color: orange;"><i>... Non capirono. se ne andarono placati, mangiando pane e salame, sognando boschi faide e coltellate.</i></span> </div>
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<a href="https://3.bp.blogspot.com/-60l3aQgRFXQ/WxuuOV4mDbI/AAAAAAAACB8/nFll8uccFGMjIA8OO_nSHY3ECZqLS9uWACLcBGAs/s1600/rugarli.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="225" data-original-width="225" src="https://3.bp.blogspot.com/-60l3aQgRFXQ/WxuuOV4mDbI/AAAAAAAACB8/nFll8uccFGMjIA8OO_nSHY3ECZqLS9uWACLcBGAs/s1600/rugarli.jpg" /></a></div>
<i> </i><span itemprop="Description"><span style="color: orange;">Giampaolo Rugarli</span> </span>nasce a Napoli il 5 dicembre 1932 da padre emiliano e madre della Basilicata, trasferendosi con la famiglia allo scoppio della Seconda guerra mondiale a Milano. Laureato in giurisprudenza, lavora in una grande banca del nord dal 1955, venendo trasferito a Roma per la sua attività nel 1967, e divenendo poi Direttore della Sede romana dell'Istituto Cariplo nel 1972. <br />
Rientrato a Milano (dopo un breve periodo a Brescia e uno più lungo a Londra),
viene messo a capo della Esattoria Civica. L'esperienza si conclude
quando ravvisa gravi irregolarità che segnala alla Autorità competente.
Dopo un periodo di punizione in una specie di reclusorio della banca
(queste vicende sono state raccontate da R. nella <i>Introduzione</i> del libro <i>Diario di un Uomo a Disagio</i>), viene nominato capo dell'Ufficio Studi. In questa veste fonda con l'Editore Laterza, e dirige, la <i>Rivista Milanese di Economia</i>, che accoglie contributi di Claudio Magris, Pietro Citati, Claudio Cesa, Mario Monti e altri importanti intellettuali ed economisti. <br />
Alla fine del 1985,
raggiunti 31 anni di servizio, e anche "perché si moltiplicano episodi
di censura e di intolleranza da parte dell'amministrazione" lascia la
banca. Da quell'anno si dedica unicamente alla attività di scrittore
(che aveva condotto privatamente nei lustri precedenti), pubblicando
oltre 20 opere, tradotte in più lingue. <br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<span itemprop="Description">
Racconti e interventi di Rugarli sono stati letti alla radio. Ha scritto
i versi di un'opera lirica, musicata da Riccardo Malipiero: alcuni
brani, con i versi di Rugarli, sono stati cantati in concerto alla Scala
e al Conservatorio G. Verdi di Milano. </span></div>
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-12748295319082949852018-05-06T23:11:00.002+02:002018-05-06T23:11:58.280+02:00Diablo, di F.C. Haghenbeck, Newton&Compton editore, Andrea Russo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-FBKXTCYXEc8/Wu8Aj2B1FhI/AAAAAAAACBM/zPZ3ScvlO54UVNhSCWgG1zi5XDEoC-F-ACLcBGAs/s1600/Diablo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="276" data-original-width="183" src="https://1.bp.blogspot.com/-FBKXTCYXEc8/Wu8Aj2B1FhI/AAAAAAAACBM/zPZ3ScvlO54UVNhSCWgG1zi5XDEoC-F-ACLcBGAs/s1600/Diablo.jpg" /></a></div>
Elvis Infante è un <i>diablero</i>: cattura creature soprannaturali (angeli o demoni, come vedrete, non fa poi tanta differenza) e le rivende al mercato nero, dove vengono usate per incontri di "lotta" ovviamente clandestini. Qui sta il primo punto essenziale: li cattura, non li caccia come si limiterebbe a fare un semplice esorcista. Praticamente li inscatola. Una volta che il demone (o angelo) è stato conservato in un adeguato contenitore scatena l'interesse di chi, a conoscenza della sua esistenza, per i più segreta, ha una disponibilità di denaro sufficientemente elevata per potersi permettere di comprarlo.<br />
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<i><span style="color: orange;">A ogni strofa l'oscurità avanzava sempre di più. Ogni verso faceva alzare la temperatura. Curlys gemette, rivoltandosi eccitata. Elvis rimaneva all'interno del cerchio. Ad appena pochi passi da lui, Tecate aspettava con la Bibbia, come un pompiere che tiene d'occhio i fuochi d'artificio. Quando arrivarono furono spettacolari. Meglio che a Disneyland. Il letto si agitò. Le lampadine dell'abat jour scoppiarono. Le lenzuola cominciarono a spargere sangue, e i gemiti di Curleys si trasformarono in voci in aramaico. Cupe e distanti. </span> </i></div>
<br />
Il diablero evoca il demone e, quando si presenta per occupare il corpo di un'ospite (nel caso di cui sopra, che apre il lbro, l'ospite è Curleys), gli tende un agguato e lo intrappola. A quel punto è bell'e pronto per essere venduto. Detto questo, non so cosa sia esattamente questo libro: qualcosa di estremamente veloce, e divertente. Lo si potrebbe definire come il punto in cui Fight Club incontra L'esorcista, e non ci si andrebbe poi lontani, ma stiamo parlando di un prodotto diverso da entrambi, di un'altra generazione: letteratura da consumare in fretta, calata in un immaginario pop già creato e testato non solo da altri autori ma anche con altri media: fumetti e cinema appunto. Violenza a piene mani e ironia come se piovesse. Funziona sempre. L'intreccio c'è e non c'è o, meglio, c'è ma è come se non ci fosse. In realtà non serve a niente una storia, perchè la storia sta da un'altra parte e non nella trama. Anzi, per certi versi la trama tende a confondere le cose: si apre sul presente, torna al passato, diversi piani di passato, e infine torna al presente. Si parte in una periferia degradata di Los Angeles e facciamo subito conoscenza con Infante e con Nice Suit (che, si capirà più in là, è un prete, padre Benjamìn) che ritroveremo nei capitoli successivi, in diversi passati, ma la velocità di lettura che il testo impone e dei collegamenti non proprio rodati tra i vari capitoli e i diversi piani temporali (secondo un editing che avrebbe meritato maggiore cura) non aiutano a ricostruire il puzzle con la dovuta attenzione. Ma, come ho già detto, poco importa: non sta lì il centro del libro (forse è un romanzo, ma non ne sono sicuro, e in fondo chi se ne frega?). Sembrerebbe, e in fondo lo è, un sottoprodotto, letteratura da consumare rapidamente e da gettare via, il risultato di sottoprodotti culturali mixati insieme e vomitati su carta, già belli e pronti per essere trasposti a loro volta sul grande schermo (grande, piccolo, medio): e infatti è prevista l'uscita di una serie per Netflix in questo 2018.<br />
Il passato di Infante, la morte del fratello posseduto da un demone, non basta certo per conferire tridimensionalità al personaggio, e altrettanto dicasi per padre Benjamìn, prete dannato dal suo aspetto sexy e da una fame quasi chimica che lo divora per il corpo femminile (una sorta di padre Ralph aggiornato ai tempi attuali). L'aspetto interessante, e più schiettamente narrativo, è la costruzione del mondo che Haghenbeck offre in questo libro. La velocità aiuta, il fare riferimento a immaginari già ben radicati nel pubblico è essenziale, l'ironia nella scrittura, i personaggi bidimensionali, la violenza, il sesso, tutto quanto serve a rendere appetibile Diablo, ma il suo valore aggiunto sta nell'universo che muove tutti gli altri aspetti. Un universo tutto sommato credibile seppur assolutamente fantastico: se credi ad un paradiso e ad un inferno il passo che porta a credere anche ad Haghenbeck non è poi così lungo. Gli angeli di Haghenbeck sono assai diversi dall'idea che ne abbiamo, e non così diversi dai demoni, e comunque, per l'uomo, ugualmente pericolosi. I demoni sono come dei bambini piccoli e dementi, sono orribili, devastanti, quasi estinti (ma non del tutto) ma sostanzialmente stupidi, e soprattutto esistono (anche) in carne ed ossa. Sono gli ultimi rappresentanti di una razza che una volta popolava la Terra (un po' come i dinosauri), li puoi trovare nelle grotte dell'Afghanistan così come nascosti nel corpo di una ricca signora di Bel Air (o del marito di quest'ultima).<br />
Il terreno di battaglia, letterario in questo caso, è così qualcosa di nuovo ed intrigante: il demone non risveglia paure ancestrali, sensazioni mistiche, non è un mistero esso stesso, privo di corpo, un'entità sì malefica ma in fondo spirituale, è piuttosto un mostro, orribile, che suscita ribrezzo e la paura che si deve ad una creatura che ti può ammazzare con una zampata, ma niente di più. Addirittura, capovolgendo i rapporti di forza, può essere catturato e venduto dagli esseri umani, esattamente come qualsiasi altro animale, e utilizzato per incontri di lotta, per soddisfare la sete di violenza e di sangue insita nell'uomo. Qui, e non altrove, sta il nucleo centrale e realmente narrativo di questo libro (forse non è un romanzo ma un libro sicuramente lo è), nel condurci in un mondo che conosciamo per la prima volta, dove lo stesso essere umano si trova su una scala differente rispetto a quella che eravamo convinti di conoscere. Il nostro posto nel creato non è quello che abbiamo sempre ritenuto competerci, le mosche non stanno solo sugli escrementi ma escono a frotte dagli orifizi di demoni e indemoniati, e la guerra in Afghanistan non è stata solo una guerra convenzionale ma anche una caccia a demoni vecchi come il mondo, o forse più vecchi ancora. <br />
Quindi, non so dirvi di cosa si tratti, nè di che valore abbia: è qualcosa di veloce, molto veloce, divertente, che sembra cinema ma non lo è, che sembra fumetto ma non lo è, che dovrebbe essere narrativa e forse non è nemmeno quella. Quello che sì posso dire, è che, una volta chiuso, il libro lascia la singolare impressione che il mondo nel quale siamo abituati a muoverci non sia esattamente quello che immaginavamo, e che forse siamo noi umani gli esseri che fanno più paura di tutto il creato.<br />
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-YtpMoXS1DZ8/Wu8Qn90l1nI/AAAAAAAACBc/UdQj1JbVLdUw041yHIM4_zlE1CJoLc8GQCLcBGAs/s1600/Haghenbeck%252Cjpg.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="179" data-original-width="282" src="https://4.bp.blogspot.com/-YtpMoXS1DZ8/Wu8Qn90l1nI/AAAAAAAACBc/UdQj1JbVLdUw041yHIM4_zlE1CJoLc8GQCLcBGAs/s1600/Haghenbeck%252Cjpg.jpg" /></a></div>
<span style="color: orange;">F.C. Haghenbeck</span> è nato nel 1965 in Messico. È autore di romanzi, graphic novel e libri
per ragazzi. Le sue opere hanno ricevuto importanti premi in Messico e
in Spagna e sono state tradotte in 14 lingue. <em>Diablo </em>si è
aggiudicato il prestigioso Premio letterario Bram Stoker e i diritti
sono stati acquistati da Netflix che ha prodotto una serie ambientata in
Messico, in uscita nel 2018 in tutto il mondo. <br />
Alla fine del libro, è l'autore che cita i suoi debiti verso il mondo del fumetto (operaciòn Bolivar, di Edgar Clement), del cinema (Robert Rodriguez) e di altri autori letterari di genere (Clive Baker su tutti), e spiega come l'idea sia nata in una sola notte, a Monterrey, un po' come era accaduto per i Byron, Shelley e Polidori per la creazione di Frankenstein. Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-57385732840688584502018-04-05T19:25:00.001+02:002018-04-05T19:25:42.564+02:00I soldi di Dio, di Andreu Martìn, e/o edizioni, trad. di Maria Nicola<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-xm_ionL15sQ/WsZMZc7bW-I/AAAAAAAACAs/hpLi5M6YlVg5ymuRpne9sdH68iw0eYHrwCLcBGAs/s1600/photo5922240094633307601.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="800" height="320" src="https://2.bp.blogspot.com/-xm_ionL15sQ/WsZMZc7bW-I/AAAAAAAACAs/hpLi5M6YlVg5ymuRpne9sdH68iw0eYHrwCLcBGAs/s320/photo5922240094633307601.jpg" width="200" /></a></div>
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Il pavido Ramirez "Sibuana" e il suo sottoposto Lallana, investigatori presso la squadra omicidi di Barcellona, vengono inviati ad indagare su un suicidio avvenuto nella notte. Il suicida è un dirigente della banca Marquès, ma non si è suicidato, o forse si. Nel caso comunque in modo strano, dopo aver ricevuto una telefonata nel bel mezzo della notte ed aver incontrato qualcuno in casa sua pochi minuti dopo. E poi non è il solo, altri dipendenti della banca si sono suicidati quella stessa notte, e altri sono fuggiti all'estero. La casa del direttore Delavall è stata data alle fiamme.<br />
E' la notte in cui gli dei impazziscono.<br />
Le alte sfere vogliono il massimo riserbo sulle indagini, la faccenda, come si dice in gergo, scotta e Ramirez Sibuana non vede l'ora di liberarsene. Lallana, al contrario, vuole capire qualcosa di più prima di passare il caso ai Mossos: il centro del tutto, chiaramente è la banca. E la banca Marquès, viene a scoprire, ha un problema: è stata scalata dal suo interno da una setta religiosa di pazzi squinternati, la Comunità degli scopritori di Dio in sé o Setta Ego. Questo noir del barcellonese Andreu Martin è innanzitutto un'indagine sulla follia umana, su una parte specifica di quell'immensità che è la follia umana, su quella zona oscura che porta l'essere umano a cedere la propria razionalità (oltrechè la propria libertà, la propria esistenza in toto ed anche i propri beni) ad un singolo individuo esaltato ricevendone in cambio soprusi, umiliazioni, regole militari e verità assolute ed assurde (e in quanto verità comunque indimostrabili). E' la folla il centro dell'attenzione di Andreu, quell'insieme di anime che si amalgama in un'unica entità cieca ed idiota, capace all'improvviso di qualsiasi violenza e perversione.<br />
<br />
<span style="color: orange;"><i>... e si convinse che, in quel
momento e in quel luogo, tutto era possibile. Un'aggressione di massa,
un'esplosione, un portento. </i></span><br />
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C'è la lotta di un uomo contro tutti all'interno della banca, Delavall, di un uomo contro la setta di pazzi, Briz (il braccio armato di Delavall), e di un uomo contro la follia che pervade ogni aderente alla setta, ma che infetta anche Delavall e Briz, e ogni altro personaggio del libro, Lallana. <br />
Lallana è l'anima razionale del romanzo, dubbiosa, quasi disillusa se non proprio cinica, che decide di infilarsi nell'abisso di follia allo stato puro che è l'indagine sulla banca Marquès e sulla setta Ego, e sarà l'unico a non svilire sè stesso nella spirale di violenza che possiede tutti i protagonisti, anche quelli che, a rigor di logica, dovrebbero essere dalla parte giusta della barricata (ma sarà presto chiaro che i confini tra bene e male, come in ogni noir che si rispetti, sono estremamente labili, e nessuno può dirsi innocente). L'amibizione professionale di Delavall, l'ambizione folle del guru Otto Moller, la perdizione nella quale si inabissa Mata, la violenza che trova un sua guerra santa e la sua autogiustificazione di Briz, e la cecità idiota della moltitudine di fedeli, i ricatti incrociati, e la violenza che pervade ogni aspetto dell'indagine, ma anche della setta e infine della banca. L'autore intesse un noir sincopato, che non concede nulla allo stile della scrittura, scorrevole e piegata in tutto e per tutto alle logiche della trama, e racconta una storia dove al di sopra di tutto si eleva la folla, che vediamo soltanto nell'ultima scena, un'entità magmatica che non pensa, non ha morale, che vive di slogan e di istinti, che uccide, o delega altri ad uccidere ed a violentare e truffare, in cambio di una verità tanto assurda da risultare demenziale, e quindi, come tale, credibile.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">Quasi tutti i presenti erano giovani, molto giovani, ragazzi perduti nel mondo della droga e salvati per maggior gloria di un dio folle, povera gente bisognosa di direttive, di ordini, di disciplina, per dare un senso alla propria vita...</span></i> </div>
<br />
Chi comanda quella folla senza volto ha il potere, perchè il potere è la folla stessa, che cede sè stessa a chi sa blandirla con le promesse giuste. La lotta, quindi, non è in questo caso tanto tra bene e male, quanto tra ragione e follia. Il libro incatena il lettore in maniera esemplare, fiondandolo nel mezzo della storia nello spazio di poche righe e obbligandolo ad assitere ad un olocausto di follia. La banca quale veicolo ideale utilizzato dal virus-setta Ego per infettare la società è l'idea cardine della trama, ed è geniale: la banca necessità di corsi motivazionali per il personale, la banca ha soldi in abbondanza, agganci con l'economia e con la società reali, ha interconnessioni internazionali, la banca è composta di individui che, come tali, sono soggetti a venir infettati da virus. E Otto Moller, il guru della setta, è il virus perfetto. Dio esiste, e ogni uomo è Dio, e Otto Moller è il Dio degli dei.<br />
Un viaggio adrenalinico nel lato oscuro della società e della mente umana perfettamente narrato da un noirista di saldo mestiere quale è Andreu Martin.<br />
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<a href="https://1.bp.blogspot.com/-lUCuyOXxtxo/WsZU6yn6v0I/AAAAAAAACA8/T3uuXaFmqXoVcA8yXHnZJkkvz35Wqe8nwCLcBGAs/s1600/andreumartin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-lUCuyOXxtxo/WsZU6yn6v0I/AAAAAAAACA8/T3uuXaFmqXoVcA8yXHnZJkkvz35Wqe8nwCLcBGAs/s1600/andreumartin.jpg" /></a><span style="color: orange;">Andreu Martìn</span> è nato a Barcellona nel 1949. Laureato in psicologia, sceneggiatore di fumetti in gioventù, scrive romanzi polizieschi dal 1979. Con la sua estesa opera di narratore ha contribuito a creare il genere del poliziesco alla spagnola. Diversi sui romanzi sono stati adattati per il cinema e tradotti in molte lingue. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui il premio internazionale iberoamericano Dashiell Hammett e il Deutche Krimi Preis. Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-56258347933703835902018-03-03T20:39:00.004+01:002018-03-03T21:21:59.358+01:00Dama cinese, di Mario Bellatin, Bookever (Editori Riuniti) editore, trad. di Maria Nicola<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-pTCVuxnKnO4/WprmjrtPbgI/AAAAAAAACAI/o5DQhwFg6Xs3fANvRjv5BmZAyXzJc1jeQCLcBGAs/s1600/damacinese1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="259" data-original-width="194" src="https://2.bp.blogspot.com/-pTCVuxnKnO4/WprmjrtPbgI/AAAAAAAACAI/o5DQhwFg6Xs3fANvRjv5BmZAyXzJc1jeQCLcBGAs/s1600/damacinese1.jpg" /></a></div>
Mario Bellatin è un autore di difficile catalogazione, e pertanto l'appellativo di sperimentale può essergli applicato con una certa soddisfazione ed un sospiro di sollievo. In Italia è stato fino ad ora poco tradotto, oltre questo libro se ne può reperire soltanto un altro: Salone di bellezza (LaNuovaFrontiera, 2011).<br />
Innanzitutto la voce narrante: un ginecologo. E' il suo punto di vista che giustifica lo sguardo algido su tutta la vicenda e, in un certo senso, ritengo sia il vero protagonista del romanzo (romanzo breve, va detto, 86 pagine appena). Non il ginecologo, ma il suo particolare modo di vedere il mondo o, per meglio dire di stare al mondo, di inserirsi in esso. Il ginecologo, racconta, si divide tra la meticolosità con la quale svolge la sua professione e l'altrettanta meticolosità con la quale si dedica a ripetute e metodiche visite a postriboli e bordelli per consumare sesso a pagamento. La sua esistenza è quindi divisa tra la vita famigliare e la vita lavorativa che, a sua volta, viene costellata dalle visite alle varie prostitute. La moglie è un essere distante, non più perfettibile, vittima di qualcosa che tra loro è sfiorito, o è in via di esserlo, impegnata, con zelo e piglio militare, in attività sociali e nella cura ossessiva della casa e dell'apparenza; poi ci sono i figli, di cui uno è morto, quello maschio, che è quello che realmente interessa la storia. L'altra è una femmina che, nella sua sostanziale normalità, diviene rilevante per la sua passiva rassegnazione di fronte ad matrimonio anch'esso normale e, forse, rispetto alla vita stessa. Nella vita lavorativa del ginecologo un evento incredibile si inserisce nella regolare routine, interrotta solo dalle visite ai bordelli: una sua paziente guarisce miracolosamente da un tumore. Il tumore non regredisce, scompare. La donna si presenta presso lo studio del ginecologo sempre in compagnia del figlio, un bambino dalla testa strana che, in occasione di una di queste visite, sappiamo quasi da subito, racconta al dottore una storia particolare, molto strana. Quando la conosceremo, nella seconda parte del libro, potremo convenire sulla stranezza, e spingerci a definirla assurda. Tant'è. Il figlio del ginecologo intanto precipita in una vita extrafamigliare disastrosa, possiamo intuire che sia finito in brutti giri, forse di droga, ma non possiamo escludere che sia affetto da qualche disturbo della personalità, o forse semplicemente è vittima di una famiglia solo apparentemente normale ma nella realtà disfunzionale e anafettiva. Non lo sappiamo, non possiamo evincerlo da nulla di ciò che viene raccontato dal ginecologo: la domanda è se ci venga volontariamente taciuto qualcosa o se, semplicemente, il racconto del padre sia completo, freddo ed esauriente e quel poco che veniamo a sapere noi sia in realtà tutto ciò che sa il padre. La seconda chiave di lettura, per quanto sia la più disturbante, diviene la più probabile se si considera il resto della narrazione, in particolar modo il racconto del bambino dalla testa strana. Il ginecologo, nella seconda parte del libro, racconta con la solita raggelante imperturbabilità quanto gli era stato confidato dal bambino tempo prima mentre, in sala d'attesa, aspettava che la madre terminasse i trattamenti ai quali si sottoponeva nella sua lotta contro il tumore. E la storia è un insieme di fatti illogici tenuti insieme da una missione apparentemente irrilevante che il bambino dalla testa strana porta avanti contro tutto e contro tutti, in primis contro uno zio che sembra la controfigura del ginecologo (lo zio è il fratello del padre) e poi contro una misteriosa agenzia inespugnabile che vive di logiche burocratiche e kafkiane che di logico non hanno nulla. In questa seconda parte, nettamente più sconnessa e delirante della prima, come se il bambino fosse il ginecologo da piccolo, ricompare il tema della paternità/maternità, anche se questa volta non vissuta, incarnata da una donna ricca e stramba che incontra il bambino in coda all'agenzia e che, a sua volta, gli racconta parte delle sue esperienze e gli confida come, con dolore, non abbia potuto avere figli. Ed è questa maternità mancata che diviene così silenziosamente dirompente da scivolare nel delirio e nel rapimento.<br />
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Forse, se andiamo a rimettere in fila i vari fatti (e il dubbio di averli ricondotti nel loro ordine corretto rimane) il centro della narrazione è la morte del figlio (nella quale ha una responsabilità il padre) l'evento che ammorba il resto della vita di tutti quanti e, in particolare, del ginecologo e che infine toglie il senso delle cose ad ogni aspetto dell'esistenza (e quindi della storia). In questo senso le visite ossessivo-compulsive ai vari bordelli diventano una sorta di sordina che permette al narratore di proseguire a vivere un'esistenza ormai senza senso (e in questo senso va sottolineato come ogni evento raccontato sia privo di qualsiasi connotazione sentimentale: l'intero testo è depurato da qualsivoglia parvenza di sentimento). O, forse, la morte del figlio è semplicemente una conseguenza di una vita che già prima, forse da sempre, era vissuta in maniera algida, priva di reali sentimenti e profondi riferimenti, e che, già da prima e forse da sempre, non aveva in sé un qualsivoglia significato.<br />
Bellatin compone una storia narrata in punta di penna e di delirio (e che attinge a piene mani nell'universo psiconalatico), nella quale i fatti, che vengono lasciati a significare sé stessi, in realtà paiono non significare nulla, almeno apparentemente ma, anche volendo cercarvi, nella loro ricomposizione temporale, una chiave di lettura che ci porti al di là della superficie impenetrabile della narrazione, rimaniamo, noi lettori, nel dubbio di aver mosso la pedina giusta, di aver trovato l'incastro corretto e non aver, invece, frainteso il tutto. Bellatin ci sfida in un rompicapo che si rivela tale solo alla fine della lettura e che continua a mordere al collo il lettore per molto tempo dopo aver chiuso il libro: rimane la sensazione di un universo raggelante, estraneo seppur così intimo, raccontato con uno stile piano che, con richiami a Kafka e a Raymond Carver, pare mettere il fuoco dell'attenzione costantemente su particolari marginali rispetto a quanto viene narrato. Le storie si moltiplicano, come parentesi che si aprono, fino a lasciare il filo conduttore, sempre che ne esista realmente uno, in secondo piano, perso come un'eco in lontananza. Racconta il ginecologo: del lavoro, della guarigione miracolosa, delle prostitute che incontra, della moglie, del figlio, della morte del figlio, del bambino con la testa strana, poi racconta il racconto del bambino, il quale racconta dello zio, della vecchia, e racconta i racconti della vecchia signora. Tutti raccontano, e li immaginiamo con lo sguardo fisso perso nel vuoto, a raccontare, a nessuno, a quel nessuno che è un lettore lontano, nello spazio e nel tempo, e raccontano storie ipnotiche, piane, dove l'illogicità e la follia hanno la stessa dignità della realtà, raccontano particolari che non interessano, mentre saremmo curiosi di sapere altro, il nucleo misterioso del racconto. Questa è la sensazione che lascia il romanzo: abbiamo girato attorno ad un centro che non ci è stato mostrato, per poi venire colti da dubbio che quel perno centrale sia sempre stato invece in bella vista, ma che siamo stati noi, lettori, a non essere stati in grado di individuarlo. Il dubbio rimane.<br />
Un romanzo breve, ipnotico, irritante, apparentemente irrazionale, che va a smuovere le acque scure della parte torbida e sconosciuta dell'essere umano, forse psicanalitico, forse kafkiano. Sperimentale. Forse.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-jZsCHWo40H0/WprzcItgfBI/AAAAAAAACAc/uj2QZer3cvYbD5ZRIAwX2jgBTn8Kcf1MwCLcBGAs/s1600/mariobellatin.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="198" data-original-width="255" src="https://1.bp.blogspot.com/-jZsCHWo40H0/WprzcItgfBI/AAAAAAAACAc/uj2QZer3cvYbD5ZRIAwX2jgBTn8Kcf1MwCLcBGAs/s1600/mariobellatin.jpg" /></a></div>
<span style="color: orange;"><b> Mario Alfredo Bellatin Cavigiolo</b></span> (Città del Messico, 23 luglio 1960) è uno scrittore messicano. <br />
Figlio di peruviani, Bellatin nacque senza il braccio destro; all'età di quattro anni si trasferì con la famiglia in Perù, dove studiò Teologia per due anni nel seminario di Santo Toribio de Mogrovejo e, in seguito, Scienze della Comunicazione all'Università di Lima.
<br />
Fu lì, nel 1986, che pubblicò il suo primo libro -<i>Mujeres de sal</i>-, però scrisse la sua prima opera all'età di 10 anni, ispirandosi al suo affetto per i cani. L'anno seguente si recò a Cuba con una borsa di studio per studiare sceneggiatura cinematografica nella Escuela Internacional de Cine y Televisión di San Antonio de los Baños e al ritorno in Perù, due anni dopo, continuò a pubblicare fino al 1995, quando ritornò in Messico.
<br />
Bellatin è stato direttore del Dipartimento di Lettere Umanistiche dell'Università del Claustro de Sor Juana e membro del Sistema Nacional de Creadores de México dal 1999 al 2005.
<br />
Attualmente è il direttore della Escuela Dinámica de Escritores a Città del Messico, che, creata nel 2001 come "Associazione senza scopo di lucro"
propone un metodo di preparazione letteraria alternativo rispetto agli
spazi accademici e ai corsi tradizionali. Nel 2009 Bellatin ha
annunciato il rinnovamento della Scuola, con programmi televisivi ed un
editoriale a partire dal 2010.<br />
In Italia sono stati pubblicati Dama cinese (BookEver, 2006) e <a href="http://lineadifrontiera.com/il-manifesto-parla-di-mario-bellatin/" target="_blank">Salone di bellezza</a> (LaNuovaFrontiera, 2011) Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-71240912470357135372018-02-27T18:09:00.003+01:002018-02-27T18:09:46.328+01:00Tre avvoltoi, di Henry Trujillo, Atmosphere Libri, trad. Raul Schenardi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-QKKe8ZYHNQU/WpV7oPX5WWI/AAAAAAAAB_k/ZzPAzbXEMqEHMxtG4NRmKovAvIGIVyd6ACLcBGAs/s1600/treavvoltoi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" src="https://3.bp.blogspot.com/-QKKe8ZYHNQU/WpV7oPX5WWI/AAAAAAAAB_k/ZzPAzbXEMqEHMxtG4NRmKovAvIGIVyd6ACLcBGAs/s1600/treavvoltoi.jpg" /></a></div>
Javier, uruguaiano, vuole andarsene in Spagna. Non sa esattamente perchè e, fino ad un certo punto, neppure se lo chiede: per lasciarsi alle spalle tutta questa merda, si risponde. Ma, appunto, per molto tempo non se lo domanderà neppure e, una volta postosi il problema, lo abbandonerà presto tra le domande lasciate inevase della popria, giovane, esistenza. Comunque vuole andare in Spagna, e comunque gli mancano un tot di soldi per poterlo fare. La soluzione, semplice all'apparenza, non priva di rischi ma, ad un primo acchito, tutti accettabili, è quella di portare un macchina rubata in Bolivia, e lì venderla. Per passare la frontiera ha un nome, un uomo che lo aiuterà, Raul. Raul gli darà un altro nome, Cobas, e Cobas un nuovo indirizzo. Intanto la frontiera l'ha attraversata, di notte, a fari spenti, riemergendo dal letto di un fiume in secca, nulla di troppo difficile anche se comunque rischioso. All'ultimo indirizzo incontra una ragazza, Paula, misteriosa come tante eroine letterarie latinoamericane e, come tante di loro, portatrice (non proprio sana) di segreti. Sarà lei a comprargli l'auto, e sarà lei a invischiarlo in una storia nera, ottusa, una sorta di narcocorrido a bassa intensità: in fondo siamo in Bolivia e le figure tragiche dei narcotrafficanti di fama mondiale sono lontane. E poi ci sono i tre avvoltoi che spolpano la carcassa di una pecora, che assurgono a simbolo della storia e, in un certo senso, della stessa natura umana. Avvoltoi, in numero sempre di tre, che di tanto in tanto ricompaiono nel cielo (o forse solo nell'immaginazione del protagonista) a lanciare significati sinistri allo sconclusionato Javier.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"> <i>Una pecora morta e sopra tre uccelli neri come i corvi, ma più grandi, che becchettavano la carne quasi marcia e strappavano via ciuffi di lana. Dovevano essere avvoltoi. Una pecora morta in una pianura verde e, dall'altro lato della strada, una fila confusa di montagne che sprofondavano nella nebbia con gli ultimi raggi di sole. E questo è tutto.</i></span></div>
<br />
Paula vuole comprare il passaporto di Javier che, tra l'altro, a dirla tutta, è falso, dal momento che Javier non si era preoccupato di come avrebbe fatto ad uscire dalla Bolivia una volta venduta l'auto. Attorno a quel passaporto (e che sia originale o falso ad un certo punto non frega più niente a nessuno, tantomeno al lettore) si sviluppa (o, per meglio dire, si avviluppa) una trama classica di segreti, bugie e vendetta che Javier affronterà armato di una certa leggerezza e dabbenaggine più che di coraggio vero e proprio. Javier è un antieroe puro, slavato, privo di connotazioni particolari - nè tantomeno virili - che non siano una certa tendenza alla sottovalutazione delle conseguenze delle proprie azioni. La Spagna, intanto, è sempre più lontana. Il commercio di auto rubate, in loco, è in qualche maniera (che non svelo) connesso ad altri traffici, più redditizi e anche molto più pericolosi. Ci sono un fratello che non si indovina se sia mezzo scemo o ancora sconvolto dall'omicidio del padre. Ci sono due fratelli che, pur se descritti come semplici vettori narrativi, paiono usciti dalla penna di un certo William Shakespeare: uno uccide l'altro poi, non pago, si scopa la cognata (ad onor del vero ormai ex cognata) e, per non farsi mancare nulla, pure la figlia di lei, cioè la nipote. Una tragedia greca calata in sudamerica, ma a bassa intensità dicevo; un pulp depurato dai tratti salienti che lo rendono pulp. In questo groviglio che si dipana poco alla volta Javier è l'anima pura, e un tantino ebete, che scopre d'un tratto che il mondo non è popolato solo di persone per bene, ma che, anche nel momento in cui viene folgorato da tale primordiale verità, non è che ne rimanga poi particolarmente sconvolto, nè cambia di una virgola il suo approccio verso il mondo che lo circonda. Per essere una tragedia, di sangue ce n'è poco, e lo vediamo, come tutto, da lontano: non appartengono a Trujillo le descrizioni gore e i particolari raccapriccianti, ma nemmeno le atmosfere tese e oniriche alla David Lynch, la violenza c'è ma non è mostrata in tutta la sua mostruosità, è piuttosto un dato di fatto: non pensavi ci fosse, ma c'è, e quindi ne prendi atto. La tensione c'è, ma è digerita senza mai essere portata al parossismo. La vendetta che, come sempre, è il motore immobile che muove tutto il resto, c'è, ma viene scoperta alla fine e, a quel punto, cosa vuoi farci? Non è neppure ben chiaro se dietro alla vendetta ci fosse solo il dolore per l'omicidio del padre o anche una questione di interessi. Semplicemente non lo si sa, e a Javier in fondo non frega nulla. Il racconto è intervellato da brevi capitoli in cui Javier, l'antieroe venuto dall'Uruguay, racconta la storia ad uno scrittore, che di quella storia vuole fare un libro. Ed è qui che sta la magia di questo <i>Tre avvolti</i>: in fondo lo scrittore del romanzo potrebbe essere lo stesso Trujillo che intuisce le potenzialità tragiche e narrative del racconto di Javier, ma che deve di volta in volta instradarlo, specificare quali particolari farsi raccontare, sottolineare certi passaggi: Javier vende la sua storia per raccimolare i soldi per andare in Spagna, ma in fondo, nonostante un certo scorrere di sangue nel finale, nonostante i rischi corsi, i sentimenti provati, l'avventura vissuta e via discorrendo, rimane emotivamente distante dal suo stesso racconto. L'unica cosa che, anche qui tiepidamente, gli rimane impresso, è il dubbio di non essere stato del tutto indifferente a Paula.<br />
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<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Mi sta dicendo che quella donna era l'amante di Milo Zavic? (...) E che allo stesso tempo era sua nipote? Interessante. Avidità, incesto. Non male>></i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Javier Michel distoglie lo sguardo dalla finestra e guarda il volto rossastro dell'uomo con gli occhiali, che se li è appena tolti, e ora i suoi occhi hanno assunto l'aspetto bizzarro di quelli di un topo strabico.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i><<Perche avidità?>> </i></span></div>
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Dicevo, a bassa intensità: tutta la narrazione ha questa caratteristica, perchè raccontata in prima persona da Javier, ed è così che la viviamo noi lettori, a bassa intensità. Però, perchè c'è un però: però è una bassa intensità che funziona, la distanza che Javier pone tra sè e il suo vissuto in fondo aiuta a far emergere il meccanismo diabolico che è alla base di ogni noir che si rispetti, e questo è, in fondo un noir (un noir che si fa rispettare), ma un noir suo malgrado, che non pigia mai sull'accelleratore, che pare distogliere lo sguardo da certi topoi del genere per concentrarlo su qualcos'altro che, però, non emerge mai. E' solo una storia, come ce ne sono tante in america latina e nel mondo, una storia che finisce male ma che comunque rimane una parentesi nella vita del protagonista, un ricordo che gli lascia un sapore dolce-amaro sul palato ma che vale la pena di essere raccontata solo perchè c'è qualcuno che lo paga per farlo.<br />
La bravura di Trujillo, scrittore da tenere d'occhio, sta proprio nel dare un tono sommesso ad una storia che altrimenti sarebbe divenuta un noir urlato e sguaiato, tiene bassi i giri della narrazione e permette al lettore di gustarsi la storia, non mette mai alcun personaggio sotto la lente d'ingrandimento, i personaggi vivono la superficie delle cose e, in fondo, è un bene perchè sotto la superficie c'è l'oscurità, la vendetta e, forse, la pazzia. Un noir latino, lontano da ambientazioni metropolitane, vissuto lungo le frontiere e i paesini (forse sarebbe più corretto definirli cumuli di case) della foresta, invischiato su traffici illeciti ma periferici, lontani dal ghota della malavita, un noir distratto che, se Dio vuole, non vuole essere nient'altro che sè stesso. Il racconto è ridotto all'osso, spolpato come la carcassa della pecora da parte dei tre avvoltoi. Per intenditori.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">Accesi la radio: trasmettevano soltanto chamamé. Nello specchietto retrovisore vidi che gli avvoltoi si erano alzati in volo. Il giorno dopo sarebbero sicuramente tornati a fare colazione.</span> </i></div>
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-FG_RoLBppXk/WpWJjg6xisI/AAAAAAAAB_0/3CxQcVdY7ZIFeixa5OHDMzeI55LrIeUtgCLcBGAs/s1600/henrytrujillo.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="276" data-original-width="183" src="https://1.bp.blogspot.com/-FG_RoLBppXk/WpWJjg6xisI/AAAAAAAAB_0/3CxQcVdY7ZIFeixa5OHDMzeI55LrIeUtgCLcBGAs/s1600/henrytrujillo.jpg" /></a></div>
<br />
<span style="color: orange;"><span style="font-weight: bold;">Henry Trujillo</span></span> è nato in Uruguay nel 1965. Ha una laurea in Sociologia,
è docente di letteratura e, naturalmente, scrittore. Ha
pubblicato quattro romanzi, <span style="font-style: italic;">Torquator</span>, <span style="font-style: italic;">La persecución</span>,
<span style="font-style: italic;">El vigilante e l'eccellente</span> <span style="font-style: italic;">Ojos de caballo</span>, tutti con successo
editoriale. Se tutta la letteratura riflette letture intelligenti,
Trujillo ha raggiunto uno stile inconfondibile. Nel
2007 ha pubblicato <span style="font-style: italic;">Tres Buitres </span>(Tre avvoltoi). Nel 2012 è
stata pubblicata la versione francese <span style="font-style: italic;">Trois vautours</span>.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-72684524851221993232018-02-18T21:12:00.000+01:002018-02-18T21:12:26.727+01:00Preghiere notturne, di Santiago Gamboa, E/O edizioni, trad. Raul Schenardi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-k3Zp-2YHg4M/WoldPgvghgI/AAAAAAAAB_E/SW5d8eL_JaUVIkudPIkI5A-LiKFkOXy1ACLcBGAs/s1600/preghierenotturne.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="280" data-original-width="180" src="https://1.bp.blogspot.com/-k3Zp-2YHg4M/WoldPgvghgI/AAAAAAAAB_E/SW5d8eL_JaUVIkudPIkI5A-LiKFkOXy1ACLcBGAs/s1600/preghierenotturne.jpg" /></a></div>
In occasione dell'uscita del suo nuovo libro <i>Ritorno alla buia valle </i>decido di rompere gli indugi e di leggere il mio primo libro del colombiano Santiago Gamboa. <i>Preghiere notturne</i> è la prima parte di una storia più ampia che, se ho ben capito, ha la sua continuazione proprio in <i>Ritorno alla buia valle</i>, quantomeno alcuni personaggi sono gli stessi, nello specifico il Console (che è anche il narratore, una sorta di alter ego di Gamboa) e Juana. Detto questo, la storia: il Console, colombiano ovviamente, che svolge la sua attività diplomatica a Nuova Delhi, viene contattato dalla Thailandia per seguire il caso di un giovane colombiano, Manuel, arrestato per droga. In Thailandia la Colombia non ha un consolato, dunque il Console parte da Nuova Delhi e giunge a Bangkok. Ma chi è il ragazzo? Prima sorpresa, non è uno dei soliti sbandati, uno sfattone in giro per il mondo, né un narcotrafficante e, apparentemente, neppure un (semplice) corriere (nel gergo: un mulo). Si tratta di un emaciato laureato in filosofia che pare essere rimasto invischiato in un gioco più grande di lui. Quale sia il gioco non è dato saperlo, ma poco importa perchè in certi paesi c'è sempre un gioco più grande nel quale essere presi nel mezzo e finire a ricoprire il ruolo della vittima sacrificale. Il romanzo, polifonico, oltre la voce narrante del Console, che cuce insieme lo sviluppo del plot, ci permette di ascoltare, tra le altre, anche la viva voce di Manuel (le altre saranno quelle di un/a misterioso/a <i>Inter-neta</i> e di Juana) e sarà questa che traccerà una parabola esistenziale, la sua, deprimente oltre ogni possibile immaginazione. Manuel è un bambino ipersensibile, nato in una famiglia della piccola borghesia, con un padre dipendente pubblico e senza spina dorsale che vive di rancori repressi e giornalieri capi chinati, e una madre un tantino troppo acida e consapevole della grigia situazione nella quale è rimasta intrappolata la sua vita; ha una sorella più grande, Juana, ma né lei né i genitori sembrano provare la benché minima empatia (amore o affetto nemmeno per idea) per Manuel. La famiglia è anafettiva, livorosa, ansiosa di poter muovere qualche passo verso un minimo di ascesa sociale, ma immobilizzata dalla paura di perdere quel poco che ha messo insieme. Quando nella storia politica della Colombia si affaccia all'orizzonte la figura di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/%C3%81lvaro_Uribe_V%C3%A9lez" target="_blank">Uribe</a>, candidato alla presidenza, liberista, nazionalista e filostatunitense, la famiglia di Manuel si schiera silenziosamente (nel senso che le idee vengono sbandierate pervicacemente solo all'interno delle rassicuranti quattro mura di casa) al fianco di quello che diverrà il nuovo presidente. Juana, la sorella maggiore che pare non essersi neppure accorta di avere un fratello minore (o comunque finge di non saperlo), in seguito ad un periodo di malattia di Manuel lo guarda negli occhi e decide all'improvviso che la sua vita sarà da quel momento in poi vissuta solo ed esclusivamente in funzione del fratello. Parallelamente, sul piano del presente il console incontra Manuel, magrissimo, enigmatico e dolente, in carcere:<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<i>Questo non sarà un noir. Vuole stupirsi? Sarà un romanzo d'amore. Poi le spiegherò perché.</i></div>
<div style="text-align: right;">
<i>(Manuel al Console) </i></div>
<div style="text-align: right;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
Sul piano del passato, condotti per mano dal racconto di Manuel, ripercorriamo l'incarognimento della sua famiglia, sempre più chiusa nel livore e nel risentimento verso tutto ciò che li spaventa e li costringe a vivere come topi in gabbia, e allo sbocciare in Manuel di una sensibilità artistica che lo porta a divenire uno street artist, o comunque a dipingere su muri pubblici. Juana s'iscrive in una università statale in odore di <i>sinistrorsità</i> e questo basta a farla divenire agli occhi dei genitori una sorta di terrorista fiancheggiatrice delle <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Forze_Armate_Rivoluzionarie_della_Colombia_-_Esercito_del_Popolo" target="_blank">Farc</a>. Poi, lo snodo di tutta la vicenda, il perno, il motore immobile attorno al quale tutto prende vita e e si sfalda in frantumi: Juana, l'ormai amatissima sorella, scompare. La sua vita, dal momento dell'iscrizione all'università, era stata (sempre più) vissuta fuori dalle mura di casa, e la famiglia aveva finito col rappresentare niente più di una semplice parentesi nella sua vita reale. Le continue liti in casa, soprattutto per motivi politici, avevano spinto Juana a vivere soprattutto fuori, in un mondo di cui, all'interno della sua famiglia, non giungeva che un'eco distorta (un'eco mediatica in un paese in cui i media erano la voce del potere), e forse neppure quella. Se il tratteggio della tipica famiglia piccolo borghese è onestamente un tantino troppo stilizzato, e la conversione sulla via di Damasco da parte di Juana nel suo rapporto verso il fratello risulta totalmente inverosimile, la costruzione del rapporto tra il mondo/tempo della storia e quello all'interno della famiglia di Juana e Manuel è sviluppato con molta attenzione. Ne risalta l'immagine di un luogo chiuso, oscuro, una cucina, un tavolo, un lampadario che scava le silouhette dei membri della famiglia strappandole ad un'oscurità che però non scivola mai via del tutto, un buio che rimane impigliato tra le dita, nelle ciocche dei capelli, un sentore di rancido che non sai associare a nulla e allora lo lasci a vibrare nel vuoto, legandolo all'esistenza stessa di quel nucleo sociale uguale a tanti altri. E, fuori, il rombo idiota della storia che si fa ora per ora, le parole/propagnada della storia che, al momento, è ancora cronaca. Gli slogan: <i>se mi taglio le vene esce Colombia</i>! La nazione che diviene urla e strepito nazionalista e, inevitabile, il ribaltamento della realtà: la violenza è indispensabile per portare la pace sociale, pertanto la violenza, se gestita dal potere, è cosa buona e giusta, la cultura è male, perché insegna il dubbio e non si può dubitare del valore salvifico della violenza, il male si sposta tutto nella stessa zona d'ombra, quella del terrorismo (cioè di chi usa la violenza senza esserne legittimato dal potere), ma da lì poi esonda, e ricopre tutto ciò che può essergli contiguo, o anche no, che non ha nulla a che vedere col terrorismo, ma che comunque in qualche maniera paradossale i media riescono ad accomunare<i> </i>ad esso. Lo sottolineo, perché in fondo questo è il vero argomento del libro: <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Conflitto_armato_colombiano" target="_blank">il Conflitto armato colombiano</a> e i meccanismi che lo sostengono, il vivere durante il Conflitto armato colombiano, il respirare Conflitto armato colombiano. </div>
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Dunque: Juana scompare, Manuel decide di cercarla. E' questo il motivo per cui è a Bangkok. E qui il secondo <i>nucleo misterioso</i> che sostituisce il primo (vale a dire: chi è realmente Manuel) che intanto è stato abilmente svelato: chi è realmente Juana?</div>
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<br /></div>
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La parte del libro che dà la voce direttamente a Juana, per lungo tempo tra l'altro, e che quindi svela chi sia davvero Juana, e cosa abbia fatto, è quella che dovrebbe più concentrare l'attenzione del lettore ma in fondo si rivela essere quella più debole. Mi spiego: Juana racconta e racconta, è un fiume in piena, inanella periodi, nomi, date, sviscera misteri, illumina zone buie, racconta la sua storia che poco alla volta chiarifica il perché sia scomparsa dalla Colombia e sia riapparsa in Giappone ma, soprattutto, nell'intento dell'autore, racconta il marciume del suo paese, e lo fa dall'interno. La guerra sporca del <a href="https://en.wikipedia.org/wiki/Administrative_Department_of_Security" target="_blank">DAS</a>, le fosse comuni, i civili scomparsi, l'uso sistematico della violenza brutale da parte dell'esercito, la violenza e la cocaina che la sostiene, che pervade l'intero paese come un vento silenzioso che porta con sé la follia generalizzata, e quindi il narcotraffico, l'ombra di Escobar, i collegamenti con la politica, i giochi sporchi, doppi, tripli. In questo senso, è questo il momento nel quale, mentre si legge, ci si rende conto (troppo) che la storia di Manuel è un semplice espediente per raccontare altro, e che anche la storia di Juana ha in sè soltanto il valore che le conferisce il marciume nel quale è sprofondata la Colombia. Ciò che non dovrebbe mai avvenire, se non alla fine, a libro chiuso, qui lo senti come uno schiaffo che ti arriva in faccia: <i>pensavo fosse amore invece era un calesse</i>. Per parlarmi della sua Colombia l'autore mi ha raccontato una storia più o meno inverosimile che non c'incastra nulla, che alla fine, non interessa più di tanto neppure a lui. Ti senti tradito, anche se questo è il tradimento proprio della letteratura, ma il problema è che l'autore se ne è fatto accorgere. Poi, però, succede qualcosa che non ti aspetti (o, almeno, io non mi aspettavo): il plot più strettamente narrativo riprende improvvisamente vigore, la figura di Juana (finalmente) esplode silenziosamente in una tridimensionalità che fino a quel momento le era mancata e misteriosamente assurge a personaggio vero e proprio e non a semplice stampella di una tesi da esporre. Dico misteriosamente non a caso, perché è la sensazione di mistero che aleggia attorno alla sua figura che finalmente prende forma, e che lascia il lettore nel dubbio di chi sia realmente Juana, di chi sia stata e soprattutto di quale sarà il suo futuro. D'un tratto, dopo troppe pagine dedicate al reportage sulla storia recente colombiana, l'intreccio della detection riprende vigore prepotentemente e lascia il lettore stordito, con sul palato la voglia di assaggiarne ancora, di saperne di più, come se realmente fosse in quel momento, in chiusura di romanzo, che la storia prendesse realmente avvio. </div>
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Un romanzo a tema, dunque, assemblato come un mistery da best seller (citazioni e scrittura ne fanno eventualmente un best seller di livello comunque superiore alla media), il fascino dell'esotico, le descrizioni di Nuova Delhi e Bangkok che emergono su tutte, con punti deboli evidenti (snodi narrativi improbabili, personaggi un tantino troppo bidimensionali) e, al contrario, passaggi esemplari: si resta con la sensazione (che non so se sia piacevole o meno o, almeno, lo è, ma solo in parte) di un ondivago scivolare dal best seller al romanzo impegnato che, al momento, a mio parere, è un'arte che in Colombia riesce alla perfezione solo a Juan Gabriel Vasquez (citato tra i numerosi altri autori all'interno del libro). </div>
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Piacevole alla lettura, lascia in bocca sia il sapore amaro di un prodotto non perfettamente riuscito che la voglia di leggerne il seguito, e anche stilisticamente passa da immagini e scene stereotipate che non ti aspetteresti da un autore della fama di Gamboa, a descrizioni riuscitissime che, in poche frasi, fotografano non solo un luogo, ma anche l'aria che in quel luogo si respira e la storia che quell'aria sostiene. </div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-pJwejGtefiI/Wolya6a-kUI/AAAAAAAAB_U/-CrAkuSugIgNiQd9qq_UiQsFjoIYEHZaACLcBGAs/s1600/santiagogamboa.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="165" data-original-width="305" src="https://4.bp.blogspot.com/-pJwejGtefiI/Wolya6a-kUI/AAAAAAAAB_U/-CrAkuSugIgNiQd9qq_UiQsFjoIYEHZaACLcBGAs/s1600/santiagogamboa.jpg" /></a></div>
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<b><i><span style="color: orange;">Santiago Gamboa </span></i></b>è nato a Bogotá nel 1965. Tra i suoi romanzi ricordiamo <em>Gli impostori</em>, <em>Ottobre a Pechino</em>, <em>Perdere è una questione di metodo</em> e <em>Vita felice del giovane Esteban</em>. Dello stesso autore le Edizioni E/O hanno pubblicato <em>Morte di un biografo</em>, <em>Preghiere notturne</em>, <em>Una casa a Bogotá</em> e <em>Ritorno alla buia valle</em>. </div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-89554231076578387602018-01-10T15:36:00.002+01:002018-01-10T15:46:12.762+01:00Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires, di Roque Larraquy (disegni di Diego Ontivero), Gallucci editore, traduzioni di Ilide Carmignani e Edoardo Balletta<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://4.bp.blogspot.com/-gtjTbAPpwvg/WlYIAegN4oI/AAAAAAAAB-U/-sj2Bu6lgpMkoiURZpUsXWWl0mc510TPACLcBGAs/s1600/rapportosugliectoplasmi.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="249" data-original-width="202" src="https://4.bp.blogspot.com/-gtjTbAPpwvg/WlYIAegN4oI/AAAAAAAAB-U/-sj2Bu6lgpMkoiURZpUsXWWl0mc510TPACLcBGAs/s1600/rapportosugliectoplasmi.jpg" /></a></div>
La fotografia ectoplasmatica (o ectografia animale) nasce per mano di un fotografo della buona società argentina che, nel 1911, <i>"su richiesta di un senatore che vuole impressionare delle signorine"</i>, scatta delle foto ad una scimmia sedata appesa al soffitto di una sala operatoria abbandonata. Il fotografo si chiama Severo Solpe, e le sue foto ottengono un tale successo che replica la sua truffa <i>"appendendo in aria conigli, cani, rane, capre e altre scimmie, in interni o in esterni"</i>. Curiosamente solo in un secondo momento e in maniera casuale e fortuita Solpe giunge a scattare la prima vera ectografia: un'oca o un'anatra al Parque Centenario (fatto strano dal momento che oche e anatre verranno poste nei laghetti del Parque soltanto nel 1915). Da quel momento Solpe fonda la Società Ectografica Argentina e farà della fotografia di ectoplasmi animali la sua personale ossessione che assorbirà totalmente la sua esistenza, a tal punto da renderlo sordo a quanto (rumorosamente) gli accade attorno. Sviluppato come un vero e proprio Rapporto (<i>Informe</i>) pseudo-scientifico, il libro si divide in quattro parti e si compone di 23 brevi capitoli caratterizzati da un titolo e da una data di riferimento. Le date non sono di secondaria importanza nella comprensione del libro, al contrario ne forniscono la chiave occulta di lettura che Larraquy impone ironicamente come la reale chiave di comprensione del testo. Tale chiave di lettura viene suggerita più chiaramente nell'ultima parte del libro, la quarta, nella quale vengono riunite le quattro lettere che Solpe spedirà al senatore Dubarry per richiamarne l'attenzione sulle condizioni nelle quali si trova l'Istituto (e così facendo dimostrando la propria sordità verso le condizioni nelle quali versa l'Argentina tutta). Il Settembre 1930 è il mese nel quale il generale José <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Jos%C3%A9_F%C3%A9lix_Uriburu" target="_blank"><i>Felix Uriburu</i></a> rovescia il governo costituzionale e inaugura il decennio ricordato come <i>"<a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_dell%27Argentina#La_D%C3%A9cada_Infame" target="_blank">La decada infame</a>"</i> (lascio al lettore il piacere di scovare gli altri riferimenti disseminati nel testo sulla recente storia patria argentina). L'intuizione che, così come per il corpo umano, anche quello animale dovrebbe lasciare dietro di sé una traccia eterea è tanto apparentemente bislacca quanto semplicemente la razionale conclusione di una premessa (per quanto pseudo-scientifica possa essere). Inoltre è un'idea letterariamente assai poco frequentata, e l'averla posta alla base di questo libro permette all'autore di sviluppare una fantasiosa parabola sulla storia recente del proprio paese: con uno stile freddo e uno humor nero tagliente e glaciale, Larraquy descrive un'argentina popolata di spettri animali che, silenziosamente, la abitano incapaci di reclamare attenzione per la propria morte, un esercito di animali deceduti per essere cucinati, per essere parti di un esperimento, per semplice sorte o idiozia dei propri proprietari, animali il cui corpo viene costretto e privato delle proprie caratteristiche in nome di una pseudo scienza da un manipolo di personaggi (Solpe e i giovani discepoli Heiss e Rubens) che, s'intuisce, riversano nel loro presente ossessivo i propri traumi infantili. Nel caso di Solpe il fatto viene esplicitato nel brano estrapolato dal diario che il padre gli aveva lasciato come utile guida per educare i nipoti:<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Tra i tipi di punizioni raccomando quella che consiste nel mettere il bambino in un angolo della sala, con la faccia al muro. Col tempo e la pratica si impara a regolare la durata della punizione a seconda della marachella combinata dal bambino e dalla sua resistenza fisica.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Lo scopo è condurre il bambino a un'utile riflessione, per cui è importante non rivolgergli la parola per tutto il tempo della punizione. </i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Prima o poi si dovrà torcergli un orecchio.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>La distanza tra gli occhi del bambino e la parete dovrà essere minima, in modo da avere una perdita della messa a fuoco e conseguente riduzione delle funzioni cognitive. Il bambino si sentirà intorpidito, separato dal mondo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Nello spazio vuoto del suo sguardo si conteranno le immagini della buona condotta.</i></span></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Tale punizione riporta sinistre similitudini con le modalità con le quali Solpe ottiene gli spettri artificiali (data la richiesta crescente di immagini e l'alto costo del cesio indispensabile per ottenerle, la Società ad un certo punto decide di creare da sé le immagini eteree degli animali, non, come all'inizio attraverso una truffa, ma mettendo in piedi un metodo per fabbricare ectoplasmi molto simile alla logica che sottostà ad un campo di concentramento):</div>
<div style="text-align: left;">
<i> </i></div>
<div style="text-align: center;">
<i><span style="color: orange;">Per ottenerli</span> </i>(gli spettri artificiali)<span style="color: orange;"><i>, Senatore, manteniamo un numero ridotto di gatti, cani, rettili e uccelli in gabbie metalliche molto strette finché non muoiono per la sete o per effetto dell'immobilità. Essendo le abitudini e la sofferenza fisica le condizioni che originano l'inscrizione, i risultati sono di norma positivi.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
Infatti:</div>
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<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Abitudine e dolore sono la punta del grammofono che incide nel disco la traccia del suono per la sua riproduzione</i></span><br />
</div>
<div style="text-align: center;">
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<div style="text-align: left;">
Lo squinternato e patetico Solpe (gli accenni alla moglie Leticia ed alla propria scarna vita famigliare nelle lettere al senatore Dubarry ne sono una evidente ed ironica esplitazione) replica nella sua Società Ectografica i traumi del suo passato e al contempo presagisce quelli del<i> </i>futuro prossimo del suo paese (non è difficile intuire un parallelismo abbastanza chiaro tra le condizioni degli animali e quelle dei desaparecidos, né comprendere come la visione di un'Argentina attraversata dai cupi fantasmi animali sia un'immagine estremamente vicina a quella dell'Argentina che sarà abitata dai terrificati fantasmi umani degli eliminati dalla dittatura). Se questa è la chiave di lettura più profonda ed illuminante del libro, non mancano però le scene disarmanti nella propria intrinseca assurdità, né quelle intimamente commoventi. Ne risulta un quadro composito che mette insieme una certa ossessione latinoamericana per la letteratura incentrata sugli animali (vedi, ad esempio, tra i tanti i <a href="https://www.adelphi.it/libro/9788845920981" target="_blank">bestiari borgesiani</a> e alcuni racconti cortazariani - e in certo qual modo anche <a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/julio-cort-zar/storie-di-cronopios-e-di-famas/978880622119" target="_blank">i cronopias e famas </a>sempre di Cortazar - e i racconti di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Horacio_Quiroga" target="_blank">Quiroga</a>) e un'attenzione anche questa molto sudamericana per la morte, un quadro che sotto le mentite spoglie del Rapporto (e qui, pur essendo di natura molto diversa, non può non tornare in mente il <a href="https://www.lindiceonline.com/letture/lernesto-sabato-e-alberto-breccia-rapporto-sui-ciechi/" target="_blank">Rapporto sui ciechi</a> di <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Ernesto_Sabato" target="_blank">Ernesto Sabato</a> in <a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/ernesto-s-bato/sopra-eroi-e-tombe/978880617835" target="_blank">Sopra Eroi e tombe</a>) compone una fotografia (forse anch'essa ectoplasmatica) di un paese perennemente sull'orlo dell'assurdo quando non dell'abisso, incapace di ascoltare il proprio buon senso e, anzi, in grado di dimenticare addirittura di averlo, un buon senso, al punto da non saper più distinguere tra bene e male, tra assurdo e scientifico. Una sorta di <i>danse macabre</i> animale che percorre le strade di una Buenos Aires la cui muta freddezza viene ben illustrata dai disegni geometrici, astratti e desaturati di Diego Ontivero. In fondo, in questo libro splendido e perfetto di Larraquy, la storia patria non è altro che un'astrazione folle nella quale di selvaggio c'è solo l'idiozia umana.</div>
<div style="text-align: left;">
Un libro breve e magnifico, caustico e chirurgico, che lascia emergere una voce autoriale assolutamente eccentrica e perfettamente dosata. </div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>In ogni ectoplasma lasciamo un po' di noi stessi, paghiamo queste immagini con un possibile calo di pressione, con l'indebolimento delle gambe e la paralisi momentanea del nervo ottico, che ci fa vedere doppio.</i></span></div>
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<span style="color: orange;"><i> </i></span> </div>
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E ancora:</div>
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<br /></div>
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<span style="color: orange;"><i>In vita si verificano esperienze assolutamente intime come il sogno o la paura. Sono intime perché nessuno le vede dentro di noi. Il fatto di sentirsi individuo nasce dalla tenace opacità del suo corpo. L'individuo si forma in segreto. </i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Non avere segreti equivale ad essere morti.</i></span> </div>
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<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Sarebbe, ora, da veder tradotto l'altro di libro di Larraquy, <a href="http://www.editorialentropia.com.ar/comemadre.htm" target="_blank">La comemadre</a>. </div>
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<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://1.bp.blogspot.com/-MehKxga7aEc/WlYXjv-boEI/AAAAAAAAB-k/ZiHhbo6UVmk_eRftI3kCNQvFibRy5UwQwCLcBGAs/s1600/RoqueLarraquy.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="168" data-original-width="300" src="https://1.bp.blogspot.com/-MehKxga7aEc/WlYXjv-boEI/AAAAAAAAB-k/ZiHhbo6UVmk_eRftI3kCNQvFibRy5UwQwCLcBGAs/s1600/RoqueLarraquy.jpg" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
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<span style="color: orange;">Roque Larraquy</span> è nato nel 1975 a Buenos Aires. Sceneggiatore e docente universitario, ha esordito nella narrativa con <i>La comemadre</i> (2010) ed è oggi considerato uno degli scrittori più originali della scena letteraria argentina. <i>Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires</i> è attualmente il suo primo romanzo pubblicato in Italia (da <a href="http://www.galluccihd.com/index.php?c=home" target="_blank">Gallucci editore)</a>.</div>
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<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-BhU4EjBqtBM/WlYexa0O9VI/AAAAAAAAB-0/R56EMqFDWDksLMhMG08sO0vJSsGnKj1wwCLcBGAs/s1600/diegoontinvero.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="200" src="https://3.bp.blogspot.com/-BhU4EjBqtBM/WlYexa0O9VI/AAAAAAAAB-0/R56EMqFDWDksLMhMG08sO0vJSsGnKj1wwCLcBGAs/s1600/diegoontinvero.jpg" /></a></div>
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<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="color: orange;">Diego Ontivero</span>, graphic designer e illustratore, è nato nel 1979 a
Buenos Aires. Nei suoi lavori predominano i colori desaturati, insieme
con le figure geometriche o astratte che si ispirano al disegno
vettoriale.</div>
Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-2646492968765019172018-01-05T11:59:00.000+01:002018-01-05T11:59:25.830+01:00Le cose che abbiamo perso nel fuoco, di Mariana Enriquez, Marsilio editore, trad. di Fabio Cremonesi<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-vYk3keOnv5s/Wk4WM7Z0cbI/AAAAAAAAB90/u43ZCgutw-s68JsLhinFmKsUVLV_OsmAACLcBGAs/s1600/lecosecheabbiamopersonelfuoco.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="274" data-original-width="184" src="https://2.bp.blogspot.com/-vYk3keOnv5s/Wk4WM7Z0cbI/AAAAAAAAB90/u43ZCgutw-s68JsLhinFmKsUVLV_OsmAACLcBGAs/s1600/lecosecheabbiamopersonelfuoco.jpg" /></a></div>
Dopo essere stata portata in Italia da <a href="http://www.caravanedizioni.it/" target="_blank">Caravan Edizioni</a> (<i>Quando parlavamo con i morti</i> e <a href="http://www.caravanedizioni.it/catablog-items/qualcuno-cammina-sulla-tua-tomba/" target="_blank"><i>Qualcuno cammina sulla tua tomba</i></a>) Mariana Enriquez approda ad una major e giunge alle librerie italiane con questo gioiello pubblicato da Marsilio. Il racconto che dà il titolo alla raccolta era già stato pubblicato da Caravan in <i>Quando parlavamo con i morti</i>, all'epoca con la traduzione di Simona Cossentino e Serena Magi, mentre in questo libro tutte le traduzioni sono di Fabio Cremonesi. Gli altri racconti sono tutti inediti in Italia.<br />
Dicevamo, un gioiello. Il territorio nel quale si muove la Enriquez, com'è facile intuire dai titoli dei libri sopracitati, è quello della paura, una landa che oscilla tra orrore e terrore senza sostanzialmente mai sconfinare totalmente in nessuno dei due campi. E qui, nel suo essersi ricavata una spazio riconoscibile e assolutamente personale, sia nelle tematiche che nello stile, troviamo il valore assoluto di questa raccolta. Buenos Aires, i suoi sobborghi (come nella borgata dello splendido <i>Sotto l'acqua nera</i>), i suoi ex quartieri "bene" inglobati nella periferia che avanza (come ne <i>Il bambino sporco</i>, <i>La casa di Adela</i>) o quelli fintamente perfetti e lindi (<i>Il cortile del vicino</i>), sono il microcosmo che, di malavoglia, verrebbe da dire suo malgrado, trattiene l'orrore celandolo sotto una sottile coltre grigia di normalità, fino a quando la penna della Enriquez non comincia a scavare, anch'essa quasi suo malgrado, con l'apparente sciattezza con la quale si potrebbe raccontare una giornata al centro commerciale, e a portare a galla la piatta normalità di un orrore che non si comprende mai bene da dove arrivi. Lo sguardo è quello di chi cerca altro, sta pensando ad altro quando s'imbatte in una parentesi incomprensibile, in una porzione di realtà che, pur sotto gli occhi di tutti, nessuno voleva fermarsi a contemplare. Un bambino sporco, una ragazzina senza un braccio, un ragazzino che si seppellisce nella sua camera, la ragazza ustionata nella metropolitana, sono porte verso una porzione di realtà che si trova appena poco più in là dell'orizzonte ottico dell'uomo comune: basta poco, una distrazione rispetto alle rigide regole autoimposte della routine quotidiana e la realtà muta forma o, per meglio dire, si deforma, diviene inquietante, scivolosa, insicura, i parametri normali perdono valore, ciò che prima (apparentemente) era certo ora non lo è più. La vita narrata dall'autrice bonaerense è vista attraverso uno specchio deformante, ma è esattamente quella che conosciamo, piatta, insensibile: la realtà è un volto sfregiato che evita di guardarsi allo specchio e dimentica sè stesso. Buenos Aires dicevamo, è una città sorda, divisa in quartieri che sono universi a sè stanti, è come un animale enorme e sonnacchioso che non si occupa dei propri abitanti, eppure, in questi racconti, li connota allo spasimo. Prendiamo <i>Sotto l'acqua nera</i>: il racconto comincia agganciato alla cronaca, la polizia che sfrutta e uccide i bambini poveri delle borgate: questo è, apparentemente, l'orrore che ci verrà somministrato più o meno lentamente con l'avanzare della lettura. Non è così. Poco alla volta, senza quasi permettere al lettore di rendersene conto (e qui sta gran parte della grandezza della Enriquez, nella lievità dello sguardo, nella gradualità dei salti narrativi e dello stile) è la <i>borgata</i> a divenire la protagonista assoluta della narrazione, e dall'ufficio di un procuratore la scena si sposta in una periferia che ricorda da vicino le borgatacce pasoliniane, ma che in qualche maniera diviene un territorio a sè stante, una sorta di mondo a parte, una colonia selvaggia dove l'unico rappresentante del mondo civilizzato è un giovane prete che tenta di prendersi cura degli abitanti. La borgata, a questo punto, è già uno scenario lontano nello spazio e nel tempo, ha in sè le stigmate di una bolla di realtà chiusa in sè stessa, vicina alla grande città, ma da essa lontanissima. Gli echi del mondo arrivano distorti, veicolati dalle effigi del consumismo che, solo, riesce a far breccia in quell'avamposto del medioevo abbondanto a sè stesso ed ai propri istinti. Ma la borgata del racconto, è qualcosa di diverso, e di peggio, della borgata conosciuta dalla procuratrice, qualcosa è cambiato (lo accenna il poliziotto interrogato:<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Magari bruciasse tutta quanta, quella borgata. O affogassero tutti. Le non ha idea di quello che succede là dentro. Non ha idea</i></span> ), </div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
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non c'è più solo povertà, violenza, inquinamento (le acque nere del Riachuelo del titolo), c'è dell'altro: una mancanza, una presenza pestilenziale, un odore che annuncia qualcosa che si è insinuato nella borgata e l'ha divelta dal suo interno. A questo punto, l'orrore iniziale, si è diluito in un orrore più grande, la morte del ragazzo affogato sotto le acque nere non è più la cronaca di un misfatto ma è il sintomo di qualcosa di più grande, di peggiore. La stessa leggenda che il ragazzo morto affogato sia tornato dal fiume e "viva" nella borgata confonde il baratro che distingue la realtà dalla fantasia. E in questo vero e proprio gioiello, ad un tratto ci rendiamo conto che l'autrice ci ha presi per mano e ci ha condotti pari pari in un racconto di Lovecraft. Ma, come sempre nella Enriquez, la citazione non è mai un plagio. Non basta una casa stregata per renderla un'imitatrice di Shirley Jackson, nè di nessun altro maestro del genere. Mariana Enriquez ha saputo trovare la propria voce per raccontare delle storie di paura che, pur nella contemporaneità, hanno la consistenza del classico, che sanno scavare nella nostra quotidianità, in quella parte di realtà che rimane sempre appena più in là del nostro sguardo, e ci accompagna (volevo scrivere "ci costringe", ma sarebbe stato un errore, il suo è più un prendere per mano) di fronte allo specchio, senza strilli, senza sensazionalismi. Senza giudicare.</div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-mRSEeeb5J_I/Wk4kKZx5whI/AAAAAAAAB-E/4ACeePPMC6oIDJLiiL6QC7JkQwegsXF-gCLcBGAs/s1600/Marianaenriquez.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" height="212" src="https://4.bp.blogspot.com/-mRSEeeb5J_I/Wk4kKZx5whI/AAAAAAAAB-E/4ACeePPMC6oIDJLiiL6QC7JkQwegsXF-gCLcBGAs/s320/Marianaenriquez.jpg" width="320" /></a></div>
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<strong><span style="font-weight: 400;"><span style="color: orange;"><strong>Mariana Enríquez</strong></span> (Buenos Aires, 1973) è </span></strong>una giornalista e scrittrice argentina<strong><span style="font-weight: 400;">. Fa parte del gruppo di scrittori “</span><b>nuova narrativa argentina</b><span style="font-weight: 400;">“.
Laureata in Comunicación Social alla Universidad Nacional de La Plata,
collabora con «Radar», supplemento del quotidiano Página/12 (di cui è
coeditrice) e le riviste «TXT», «La Mano», «La Mujer de mi Vida» e «El
Guardián». Collabora anche con Radio Nacional. Ha pubblicato i romanzi </span><b><i>Bajar es lo peor</i></b><span style="font-weight: 400;"> (1994) e</span> <b><i>Cómo desaparecer completamente</i></b><span style="font-weight: 400;"> (2004). Ha pubblicato inoltre le raccolte di </span><b><i>Los peligros de fumar en la cama</i></b><span style="font-weight: 400;"> (2009) e </span><b><i>Cuando hablábamos con los muertos</i></b><span style="font-weight: 400;">
(2013), tradotto in italiano nel 2015 per Caravan edizioni. Predilige le
atmosfere dark, ma se altrove ha sperimentato il genere horror (come in <em>No entren al 14GB, </em>antologia dedicata a Stephen King), nei tre racconti di <em>Quando parlavamo con i morti </em>la paura ha sempre connotati metafisici e metaforici, con richiami alla storia dell’Argentina e alla condizione della donna. Nel 2017 sempre Caravan ha pubblicato <i>Qualcuno sulla tua tomba. Le cose che abbiamo perso nel fuoco</i> è il suo primo libro pubblicato da Marsilio.</span></strong></div>
<br />
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Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-56892427628864732622017-12-28T10:47:00.000+01:002017-12-28T11:12:02.161+01:00Le forze misteriose, di Leopoldo Lugones, Lindau editore, trad. di Francesco Verde<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-6TT1namqi2A/WkPKBeTt0WI/AAAAAAAAB8k/RTW8Erb-Z-g5vXvvd8pSxHo3M_Tp4fj-gCLcBGAs/s1600/leforzemisteriose.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" src="https://3.bp.blogspot.com/-6TT1namqi2A/WkPKBeTt0WI/AAAAAAAAB8k/RTW8Erb-Z-g5vXvvd8pSxHo3M_Tp4fj-gCLcBGAs/s1600/leforzemisteriose.jpg" /></a></div>
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<span style="color: orange;"><i>Operano qui, sulla superficie della Terra (...), molte forze tremende, ormai vicine ad essere scoperte.. Forze intereteree destinate a modificare i più saldi concetti della scienza e che sempre più chiaramente, a riprova di quanto afferma il sapere occulto, dipendono dall'intelletto umano.</i> </span></div>
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L'estratto qui sopra riportato, citato dal primo racconto della raccolta (primo di dodici), <i>La forza Omega</i>, è in un certo senso un chiara chiave di lettura per orientarsi nel mondo costruito da Leopoldo Lugones in questa raccolta, ora riproposta da Lindau nella nuova traduzione di Francesco Verde (mi risulta una precedente pubblicazione del 1989 per l'editore Lucarini, dal titolo Le forze strane). Il libro infatti ci restituisce la visione di un mondo in balìa di potenze oscure, ma spesso sul punto di essere spiegate, di leggi naturali nell'atto della loro scoperta, di cataclismi biblici che prefigurano certa filmografia di fantascienza (quando non di fantastoria) che esplodono, travolgono, divelgono società intere con la freddezza dell'equazione che sottostà al dispiegarsi delle forze stesse. L'essere umano, quando è presente, è un narratore terzo, testimone sopravissuto dello scatenarsi delle forze misteriose, un fedele rendicontatore dell'instancabile e nozionistica cronaca di esperimenti perennemente in bilico tra la follia di credenze esoteriche e la scienza colta un attimo prima di divenire tale. Lugones, autore pilastro del modernismo latinoamericano, e nume tutelare delle lettere argentine, fu anche studioso e appassionato di teosofia e scienze occulte, e proprio questo campo parallelo al sapere ufficiale è la chiave di volta, nonchè l'impasto, usata da Lugones per costruire il mondo che si configura in questi dodici racconti. Ma, al contrario di maestri riconosciuti del genere quali Poe, Lovecraft e Hodgson (su tutti), l'attenzione posta da Lugones non è sull'orrore metafisico e deforme che si cela dietro il muro di una dimora in disfacimento, o al di sotto delle onde marine, nè, tantomeno, nella psiche mostruosa dell'essere umano: l'orrore è un fatto incidentale sul cammino della scienza, è la conseguenza dell'<i>hubris</i> dell'uomo che non riesce a controllare le forze da lui stesso (non evocate ma) sperimentate. Quella che chiamo <i>hubris</i> non è in senso classico "arroganza", non ha molto da spartire con la sovrumana volontà di raggiungere, e superare, il divino, di prenderne il posto, ma è piuttosto la causa involontaria dell'isolamento nel quale il protagonista si trova ad agire. Non siamo mai in presenza di un'equipe di scienziati in un laboratorio, la teoria sta tutta nell'erudizione dello sperimentatore, nel suo genio, nel suo incaponirsi per arrivare prima di altri ad una conclusione alla quale, pare, per forza si dovrà giungere. Di questo primo filone, che definirei <i>(para)scientifico</i>, fanno parte i racconti <i>La forza Omega</i>, <i>Un fenomeno inesplicabile</i>, <i>La metamusica</i>, <i>Lo Psychon</i>, nei quali il narratore racconta con dovizia enciclopedica di particolari tecnici e riferimenti sceintifici un episodio nel quale un amico, o conoscente, gli confida di aver fatto una scoperta (o di essere vicino a fare una scoperta) facendo seguire la cronaca di come la scoperta, in un certo senso, finisca con l'esplodere tra le mani dell'amico/conoscente. La tecnica dell'oralità, il sussurro tra due individui i cui segreti li isolano dal mondo, e il colpo di scena finale, sono un'imbastitura strutturale abbastanza primitiva che, solleticando la curiosità del lettore verso temi oscuri e recanti in sè lo stigma del terrore, in realtà racconta con dovizia quasi tediosa, una realtà (para)sceintifica, che l'autore, nel ruolo di "vate modernista del proprio popolo", somministra al suo pubblico. L'arte altissima e finissima dello stile di Lugones permette di far sì che questi racconti non scadano nel mero enciclopedismo (per certi versi il nozionismo portato all'estremo di questi racconti può essere paragonato al ruolo che hanno i dialoghi nei film di Tarantino, tipo "quiete prima della tempesta", che innalzano la tensione fino a renderla insopportabile, e a farla esplodere all'improvviso), ma rendano comunque un'atmosfera sospesa che finisce col risolversi nel breve volgere di poche righe, quasi controvoglia. La struttura è quella tipica della letteratura del terrore: due amici, uno ha un segreto, il segreto è il muro invalicabile che li isola dal mondo e li porta, poco alla volta, alla pazzia, la pazzia li spinge a mettere in pratica il segreto, fino a quel punto teorico, la pratica apre mondi scellerati, universi demoniaci, abissi di perversioni. In Lugones invece scatena un semplice meccanismo narrativo che non apre a nulla che non sia il colpo di scena finale. Le forze misteriose sfuggono di mano, all'improvviso l'uomo che credeva di maneggiarle, se le vede esplodere tra le mani. Non sta in questo l'orrore. L'orrore, parte di esso, lo si trova nelle lunghe spiegazioni (para)scientifiche che rendono credibile agli occhi del lettore l'esistenza stessa di queste forze sconosciute "<i>destinate a modificare i più saldi concetti della scienza</i>".</div>
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Un secondo filone di racconti (<i>Il rospo</i>, <i>I cavalli di Abdera</i>, <i>Viola Acherontia</i>, <i>Yzur</i>), il filone cosidetto <i>animale</i>, mostra le forze misteriose del titolo nell'atto di manifestarsi a contatto col mondo animale (in Viola Acheronthia sono le piante il soggetto del racconto). Ne <i>Il rospo</i>, ad esempio, è la malìa dei racconti di credenze popolari che rende il mistero di forze conosciute (conosciute, tant'è che la madre del protagonista lo mette in guardia) ma non controllate. Ne <i>I cavalli di Abdera</i> troviamo invece un'ambientazione che sarà la vera protagonista del terzo filone di racconti, quello mitico e parastorico, che quasi prefigura il moderno cinema catastrofistico: una rivolta di evolutissimi cavalli contro gli esseri umani. Ma all'interno di questo filone animalesco (ma anche anomalesco), che pesca dalla tradizione latinoamericana dei racconti di animali (un'autore tra tutti: Quiroga), quello più sconvolgente è <i>Yzur</i>: vi si racconta dell'ossessione di un imprenditore convinto di poter portare la sua scimmia a parlare.</div>
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<span style="color: orange;"> </span><i><span style="color: orange;">... lessi, non ricordo dove, che i nativi di Giava attribuiscono l'assenza del linguaggio articolato nelle scimmie non a un difetto, ma a una deliberata astensione. <<Non parlano - dicono -per evitare che le si metta al lavoro. </span></i></div>
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La foga dell'uomo lo porta ad umanizzare la scimmia, fino a renderla tristemente vittima delle caratteristiche umane che le si vogliono attribuire: pensosa, chiusa, si trasforma nell'oggetto dell'odio del suo padrone e, con l'umanizzazione di Yzur, lo stesso rapporto padrone/animale viene a evocare tinte fosche: il rapporto trasla nei binomi tragici padrone/servo e vittima/carnefice. E la parola, o per meglio dire la sua negazione, il mantenerla segreta, il tenerla per sè, rappresenta per la scimmia l'ultimo baluardo per non cedere alla resa definitiva; per rimanere animale e, come tale, più umana dell'uomo.</div>
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<i> </i>Il terzo filone (<i>La pioggia di fuoco</i>, <i>Il miracolo di San Wilfredo</i>, <i>L'origine del diluvio</i>, <i>La statua di sale</i>) è a mio avviso quello nel quale la caratura letteraria di Lugones si esprime al meglio delle sue potenzialità o, per meglio dire, si esprime nella maniera apparentemente più naturale, in senso quasi opposto ai racconti del filone <i>(para)scientifico</i>. La narrazione che si dipana nel territorio mitico/biblico/(fanta)storico de <i>La pioggia di fuoco</i> (che immagino sia il racconto che ha ispirato la splendida copertina del libro), è un capolavoro assoluto di virtuosisismo letterario. La capacità di evocare un mondo (evocato da un disincarnato di Gomorra) affossato a tal punto nei meandri del tempo da risultare, appunto, mitico, la descrizione magniloquente di una società organizzata e funzionale che viene inaspettatamente e incomprensibilmente inghiottita da un fenomeno misterioso è, in Lugones, un esercizio di tecnica sopraffina che, da sola, vale la lettura del libro. La stessa epica di Gomorra fa da riferimento interno al racconto <i>La statua di sale</i>, nel quale l'orrore ha il volto informe del non detto: viene infatti sussurrato dalla moglie di Lot all'orecchio di Sosistrato, ma non al lettore, che rimane privo di riferimenti, perso, appunto, nell'orrore, un orrore che viene dalle viscere del tempo, e che in queste si perde. In questo filone le forze misteriose a volte sconfinano nel classico esoterico: vi appare addirittura Satana, anche se con la semplice funzione di agente agitatore della narrazione, o una mano che prende vita sulla croce, ma ne <i>L'origine del diluvio</i>, l'argomentare, eccelso nel dipingere una visione del mondo prima del mondo, riesce nella pretesa di spiegare razionalmente il mito dietro il quale si nasconderebbe la verità non detta dell'universo e del suo diluvio.</div>
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La grandezza di questa raccolta, una vera perla, va trovata nell'insieme dei racconti che la compongono e va goduta per quello che è, cioè il prodotto di un'epoca e di un autore che fanno del "meccanismo dell'annessione perennemente spinto da un'ansia di innovazione congiunta ad un'estrema esigenza tecnica" (<i>Yurkievich</i>) il centro vitale di una narrativa pulsante e viva, capace di inglobare conoscenze scientifiche, storiche, esoteriche, mitiche, folcloriche in un "innalzamento della forma a chiave armonica dell'enigmatico universo (<i>ancora Yurkievich</i>). Il gusto modernista dell'esotico qui trova il suo soddisfacimento nella lontananza di tempo, di luogo, di sguardo. In Lugones non solo la verità, ma anche la realtà è esoterica, ed oscilla tra un passato mitico nel quale storia e leggenda si confondono, e godono di questo loro confondersi, e fondersi, e un presente nel quale singoli illuminati (in Lugones non sono alchimisti, ma nemmeno scienziati pazzi, più che altro funzioni narrative pressochè bidimensionali) cercano di manipolare quelle forze ancora occulte che governano il mondo. In Lugones l'orrore è relativo, un effetto indesiderato ed accidentale del manifestarsi incontrollato di forze di per sè stesse scevre dalla connotazione di bene o male. L'uomo scopre queste forze, o v'incappa casualmente (come ne <i>Il rospo</i>), e non le sa controllare, divenendone vittima. Il punto estremo della vittimizzazione dei protagonisti la si trova esplicitata nella figura dell'imprenditore che, convinto di poter dare la parola alla sua scimmia, la rende umana e sofferente ma, soprattutto, finisce col divenire egli stesso qualcosa di peggio di un animale,</div>
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<span style="color: orange;"><i>Mi svegliai di soprassalto. La scimmia, con gli occhi sbarrati, era prossima alla fine; la sua espressione, così umana, mi fece paura(...) E allora, col suo ultimo respiro, un respiro che premiava e insieme dissolveva tutte le mie speranze, sgorgarono (...) le seguenti parole, la cui umanità riconciliava con la specie: << Padrone, acqua. Padrone, padrone mio... >> </i></span></div>
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e nel grido muto di Sosistrato, al quale viene sussurrato il segreto estremo dell'orrore, </div>
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<span style="color: orange;"><i>E Sosistrato, folgorato, annientato, senza emettere un grido, cadde morto. </i></span></div>
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Non importa che si tratti della natura ondivaga dell'acustica o dello spettro del colore della musica, piuttosto che di piogge misteriose, o di materializzazione dell'anima, ogni racconto è un tassello di un disegno più ampio dal quale l'uomo esce sconfitto dall'incommensurabilità dell'ignoto che lo circonda, lo stesso uomo che, con scarsa psicologia e cieca ostinazione (un'ostinazione quasi venata di cretinismo) persiste nella sua scalata a quelle forze misteriose che, immancabilmente, gli esplodono tra le mani.</div>
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<i> </i>Aspetto rilevante dello stile di Lugones, è l'imperturbabilità con la quale percorre le sue storie, come se non avessero una morale, nè una chiave di lettura capace di decifrarle. Avrebbero potuto tranquillamente essere inserite in un libro di Wilcock, e risultare assurde e disperatamente comiche, o essere lo spunto per i racconti di uno Stephen King, e risultare spaventevoli. Ma Lugones lascia che i suoi personaggi si muovano come figure bidimensionali, sostanzialmente privi di una psicologia vera e propria, e di una storia personale, e in questo senso è significativo che lo psicologismo più spinto (e riuscito, anche se ottenuto per semplici accenni) sia quello riferito ad una scimmia. La distanza, fredda ed elegante che Lugones pone tra sè e la materia narrata, rende i racconti quasi cronache che, come tali, non contengono in sè l'orrore che ci si può aspettare in un racconto; in questo senso, se l'orrore c'è, non è quello disegnato da Edgar Allan Poe, ad esempio. C'è, insita nell'imperturbabilità algida di Lugones, la stessa distante imperturbabilità del manifestarsi della natura e delle sue forze misteriose, ed è in questa imperturbabilità che si manifesta il perturbante della raccolta, sfrontata, fredda e agghiacciante.</div>
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<a href="https://4.bp.blogspot.com/-ecA051AKV_Y/WkPokJTB10I/AAAAAAAAB80/9AWb47Ln6ho5vCBzfCvqd-xSHKQz3VhGACLcBGAs/s1600/Lugones.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="275" data-original-width="183" src="https://4.bp.blogspot.com/-ecA051AKV_Y/WkPokJTB10I/AAAAAAAAB80/9AWb47Ln6ho5vCBzfCvqd-xSHKQz3VhGACLcBGAs/s1600/Lugones.jpg" /></a></div>
<div class="bio-autore">
</div>
<span style="color: orange;"><b>Leopoldo Lugones</b></span> (1874-1938) nacque nella provincia di
Córdoba, in Argentina, ricevendo dalla madre una severa
educazione cattolica e un’iniziale formazione letteraria. Dopo aver
mosso i primi passi nell’ambito del giornalismo e della poesia (firmando
i propri componimenti con lo pseudonimo di <b>Gil Paz</b>), intraprese
un lungo viaggio in Europa, esperienza all’epoca considerata
imprescindibile per far parte dell’élite letteraria di Buenos Aires.<br />
Nel
corso della sua vita fu giornalista, poeta – influenzato inizialmente
dal simbolismo francese e poi dal modernismo europeo (in
particolare nelle opere <i>Los crepúsculos del jardín</i>, 1905, e <i>Lunario sentimental</i>, 1909) –, ma anche prolifico autore di racconti (<i>La guerra gaucha</i>, 1905, <i>Las fuerzas extrañas</i>, 1906, <i>Cuentos fatales</i>,
1924), nonché studioso di occultismo e teosofia. Dopo aver aderito alla
massoneria nel 1889, fu protagonista di successive giravolte
ideologiche, passando dal socialismo al liberismo fino ad approdare al
nazionalismo autoritario (con la fondazione, nel 1929, del partito
parafascista Liga Repúblicana).<br />
Il 18 febbraio 1938, in preda a
una pesante crisi depressiva dovuta a delusioni amorose e politiche,
Lugones si tolse la vita in un hotel di Tigre, ingerendo un mix letale
di cianuro e whisky.Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-9154159457467074816.post-7299489244866908572017-11-05T19:29:00.003+01:002017-11-05T19:29:45.673+01:00E' sempre difficile tornare a casa, Antonio Dal Masetto, Einaudi, trad. di Laura Pariani<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://3.bp.blogspot.com/-EWuIss-MJaY/Wf8_rhaj3LI/AAAAAAAAB8E/bGfwQFsNu6gvNDzW10EBFiRAL4ZlHF0AwCLcBGAs/s1600/%25C3%25A8sempredifficile.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="226" data-original-width="140" src="https://3.bp.blogspot.com/-EWuIss-MJaY/Wf8_rhaj3LI/AAAAAAAAB8E/bGfwQFsNu6gvNDzW10EBFiRAL4ZlHF0AwCLcBGAs/s1600/%25C3%25A8sempredifficile.jpg" /></a></div>
Jorge, Ramiro, Cucurucho e Dante. Quattro sconfitti, quattro <i>losers</i> in salsa argentina, ma in quanto tali, in quanto perdenti, uguali a mille altri in qualsiasi angolo del mondo. Gente che le occasioni, quando le ha avute, le ha giocate male, che ha gettato al vento tutto quello che aveva costruito, uomini soli e allo sbando, forse in grado di rimettersi in piedi, ma in fondo troppo storditi dai rovesci patiti per riuscirci e, quando ci provano, perchè in fondo provarci ci provano sempre, ci provano cumque, lo fanno nel modo sbagliato. Rapinano una banca. Le logiche sono sempre lo stesse: una cittadina dove nessuno ti conosca, gli impiegati di banca che non avranno voglia di rischiare la pelle per soldi che non sono loro, una violenza minacciata ma non messa in pratica, una banca che comunque è assicurata. Un colpo facile facile, per prendere fiato, rialzare la testa e tornare ad affrontare la realtà con qualche carta da giocarsi. La lotta, vecchia come il mondo, tra l'uomo e il suo destino: seguiamo in presa diretta i quattro arrivare a <a href="http://www.lelettere.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=&TS02_ID=1009" target="_blank"><span style="color: orange;"><i>Bosque</i></span></a>, un paese fittizio che darà il titolo ad un altro libro di Dal Masetto che sarà in qualche modo la continuazione di questo <i>E' sempre difficile tornare a casa</i>.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>I quattro scesero, entrarono nel bar e ordinarono birra.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Salute, - disse il primo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Salute, - rispose il secondo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Che domani sia un giorno fortunato, - disse il terzo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Che possiamo tornare a casa, - aggiunse il quarto.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- In che senso?</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Ciascuno a casa sua.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Dicono che la propria casa stia esattamente dove nasce l'arcobaleno.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Allora non dev'essere un posto facile da raggiungere.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Certo che no.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Pagarono, uscirono e ripresero la strada. </i></span></div>
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L'albergo, i preparativi, la serata, due passi per il paese con la tensione da tenere sotto controllo, con l'imperativo di distrarsi ma non troppo. Quasi turisti, quasi lavoratori in trasferta, e quasi per nulla rapinatori: non ancora. S'imbattono in una scena che dovrebbe essere divertente, invece è inquietante: un matrimonio che non è un matrimonio: lo scemo del paese a cui viene fatto credere di sposarsi con una ragazza fatta arrivare apposta per lui, la ragazza vestita da sposa che in realtà è una prostituta pagata dai compaesani per farsi gioco dello scemo. Tutti ridono, si stringono attorno alla burla come avvoltoi attorno ad una carcassa. Quando la ragazza sparisce e lo scemo rimane da solo senza capire cosa sia successo è l'apoteosi. Per i quattro rapinatori la scena è straniante, ma la vivono come pesci dall'interno di un'acquario, è la realtà, è ributtante, è quella stessa realtà che li ha feriti e lasciati in ginocchio, quella stessa gente che si accanisce sul più debole, ma vanno avanti, non sono giustizieri: quattro passi per il paese, una bevuta, si guardano attorno, poi tornano in albergo. Intanto, uno di loro, Jorge, a ballare conosce Adriana, e non rientra, va a casa di lei, ci va a letto. Adriana è giovane, sta per sposarsi: forse, se l'avesse incontrata prima la sua vita, quella di Jorge, avrebbe potuto essere diversa, o forse no, non sarebbe cambiato nulla. Ma il momento importante sarebbe stato il giorno dopo, lì sta il fuoco, lì sta il futuro: la rapina. Alla banca di Bosque.<br />
Bosque è una cittadina, ed è tutte le cittadine, non solo argentine o latinoamericane, ma del mondo. I suoi abitanti sono l'umanità stessa, sempre sull'orlo dell'abisso che li separa da una caduta nel selvaggio primitivismo. Gli istinti che li guidano sono quelli che guidano un branco di lupi: solo le regole del branco permettono un'apparente ordine e tranquillità, ma oltre le regole c'è l'istinto di sopraffazione. Stop, solo quello. Dalla rapina in poi è una caduta continua, un crollo verticale, e uno scatenarsi del branco di lupi contro gli intrusi. Jorge, Cucurucho, Dante e Ramiro si vedono costretti a darsi alla fuga, ma senza riuscire ad uscire dal paese. Il branco li accerchia, li divide, e li segue. Ne segue le tracce, li stana, poco per volta, uno per uno, senza fretta, col pulsare del sangue che martella le vene con l'aumentare del tempo che passa. L'unica speranza per i quattro è il sopraggiungere della notte, che è ancora lontana e si staglia nelle speranze dei rapinatori come l'unica possibile via di fuga. Intanto però devono trovare un riparo, ognuno per conto proprio. Le strade del paese sono ormai pattugliate da bravi cittadini in assetto di caccia, i sensi tesi alla ricerca degli animali da stanare. Ovviamente, mentre le regole del vivere civile vengono sovvertite per trovare i rapinatori, gli istinti bestiali prevalgono, e vecchi conti in sospeso interni al branco di stimati cittadini tornano a galla e vengono regolati. E' il momento ideale per uccidere la propria moglie ad esempio, e per poi far ricadere la colpa sui rapinatori in fuga. L'azione messa in scena da Dal Masetto è un perfetto saggio di psicologia delle masse in forma di romanzo, caduta l'apparenza di civiltà, sospese temporaneamente le regole, quello che emerge è l'istinto bruto e primordiale della folla che si autoalimenta e cresce. Cresce fino a divenire furia incotrollabile. I rapinatori, va detto, non vengono (per fortuna) dipinti dall'autore quali "cattivi dal cuore tenero", cattivi ma non troppo, e non per colpa loro: sono quattro sbandati che, forse, in altre circostanze sarebbero stati anche dei buoni cristi (ma non è detto), ma che comunque la realtà nella quale sono sprofondati se la sono costruita con le proprie mani, per incapacità, distrazione, sfortuna, per mille motivi, ma non sono solo vittime. Non è detto che, ad averne la possibilità, non avrebbero ripetuto gli stessi errori che li hanno portati ad essere quel che sono. Di più, il sospetto è che se fossero dalla parte dei bravi cittadini, a questo punto si comporterebbero essi stessi da lupi. Non ci sono buoni in questa storia. C'è qualche perdente così perdente da essere talmente ai margini di qualsiasi branco da risultare un tantino più umano degli altri suoi simili, ma anche in questo caso la maggior umanità non è una scelta consapevole, bensì una condanna.<br />
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<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Il prete si rimise a parlare:</i></span></div>
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<span style="color: orange;"><i>- Perchè fa questo?</i></span></div>
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<span style="color: orange;"><i>- A cosa si riferisce?</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Figliolo, ci sono altre maniere di fare soldi.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Ramiro lo bloccò con la mano, senza alterarsi:</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Precisiamo le cose. Prima di tutto, non mi chiami figliolo, non sono suo figlio. In secondo luogo, se davvero ci tiene a saperlo, il denaro non m'interessa.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Non capisco.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Non importa.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Se non le interessano i soldi, perchè li ruba?</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Non mi ci metto neanche a spiegarglielo.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Con me può parlare.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- No, non posso.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Se oppone resistenza la uccideranno.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Si.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- E anche lei ucciderà.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Si.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>... - La violenza non serve, non serve mai.</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>Questa volta Ramiro tentò di sorridere e non ci riuscì. Alzò l'arma:</i></span></div>
<div style="text-align: center;">
<span style="color: orange;"><i>- Lei la chiama violenza. Questa è una violenza minore. C'è un altro tipo di violenza, quella vera, quella che ci condanna tutti per sempre. E anche quella che voi esercitate dal pulpito. </i></span></div>
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La penna di Dal Masetto scava negli spazi silenziosi che vibrano nelle teste dei protagonisti e, spesso, nelle incomprensioni mute tra i personaggi. Le parole, quando vengono pronunciate pesano come macigni, non perchè siano portatrici di una qualche verità ma, al contrario, proprio perchè non lo sono. Le parole, i silenzi, le scelte, anche quegli scampoli, rari, di umanità sono tutti personaggi del romanzo che, come gli altri, esistono solo sotto una cappa asfissiante che è il destino, un moloch senza nome, senza volto, immobile, al cospetto del quale, bene o male, tutti soccombono. Il destino è uno specchio muto che vince sull'uomo proprio perchè lo costringe a specchiarsi. Per questo l'uomo - i quattro rapinatori in questo caso, Jorge, Ramiro, Cucurucho, Dante - fugge. Il sesso, la violenza, l'omicidio, l'istinto di caccia, la logica del branco, il tradimento: ogni cosa viene mostrata con la spietata freddezza di chi, scappando, già sa di non avere scampo. La fine è nota (da qui l'ironia sottile ma feroce del titolo), ma ciò non toglie il piacere quest'ottimo libro che ha il passo claustrofobico dei grandi noir (pur non essendolo), la lentezza di un afoso pomeriggio d'estate, implacabile come il sole di mezzogiorno.<br />
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Questo libro ha un suo seguito naturale in <a href="http://www.lelettere.it/site/e_Product.asp?IdCategoria=&TS02_ID=1009" target="_blank"><span style="color: orange;"><i>Bosque</i></span></a> (edito da Le Lettere editore, come già <span style="color: orange;"><i>Strani tipi sotto casa</i></span>, recensito <a href="http://2666blogspotcom.blogspot.it/2017/09/strani-tipi-sotto-casa-di-antonio-dal.html" target="_blank">Qui</a> ) che sarà sicuramente recensito su questo blog.<br />
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<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://2.bp.blogspot.com/-8HZacX2iS-g/Wf9L7PaNWWI/AAAAAAAAB8U/dmXXbJoDLXshgEcuApMtOTRssVn7VlcngCLcBGAs/s1600/dalamasetto.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="183" data-original-width="275" src="https://2.bp.blogspot.com/-8HZacX2iS-g/Wf9L7PaNWWI/AAAAAAAAB8U/dmXXbJoDLXshgEcuApMtOTRssVn7VlcngCLcBGAs/s1600/dalamasetto.jpg" /></a></div>
<span style="color: orange;">Antonio Dal Masetto</span>. Nacque a Intra
(Verbania) nel 1938 da genitori contadini. La sua famiglia emigrò in
Argentina nel 1950 e si stabilì nella città di Salto. Qui imparò lo
spagnolo leggendo libri della biblioteca del paese. Uno dei temi
principali delle sue opere è quello dell'immigrazione, come in <i>Oscuramente fuerte es la vida o La tierra incomparable</i> (premio <i>Biblioteca del Sur</i>
1994). Da giovane lavorò come imbianchino, gelataio, impiegato
pubblico, venditore ambulante, e giornalista. Il suo primo libro di
racconti, <i>Lacre</i>, venne menzionato dal <i>Premio Casa de las Americas</i>. In italia sono stati tradotti <a href="http://www.einaudi.it/libri/libro/antonio-dal-masetto/-sempre-difficile-tornare-a-casa/978880616986" target="_blank"><i>E' sempre difficile tornare a casa</i></a> (Einaudi 2004), <a href="https://www.ibs.it/bosque-libro-antonio-dal-masetto/e/9788871667218" target="_blank"><i>El bosque</i></a> (Le lettere 2004) e<a href="http://www.mangialibri.com/libri/il-sacrificio-di-giuseppe" target="_blank"><i> Il sacrificio di Giuseppe</i></a> (La nuova Frontiera, 2009).<br />
Fino alla morte, avvenuta il 2 novembre 2015 all'età di 77 anni, ha collaborato con la rivista <a class="new" href="https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=P%C3%A1gina/12&action=edit&redlink=1" title="Página/12 (la pagina non esiste)">Página/12</a> di Buenos Aires.
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