Teju Cole, dopo la morte del padre, ha abbandonato il proprio paese per
andare a studiare medicina negli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle
l'unico mondo da lui conosciuto fino a quel momento. Forse non lo si nota, non subito quantomeno, ma il libro parla di codici. Codici acquisiti, codici atavici, codici dimenticati, codici ritrovati e di nuovo abbandonati. E soprattutto parla dell'identità di un uomo quando perde i suoi codici originari, e di quando li ritrova. In questo senso diventa interessante seguire il viaggio di un nigeriano in Nigeria. Con quali occhi rivede il proprio paese natale? Attraverso quali codici lo interpreta? Teju Cole scrive un personale diario del ritorno che in qualche maniera, tra le righe, diviene un diario universale di chi si è allontanato da qualcosa e decide, coscientemente, di farvi ritorno.
La Nigeria è un paese perennemente sull'orlo del caos, forse anche oltre quella bordatura che separa il primo dal terzo mondo, l'ordine e la logica dalla magia e dalla follia urbana. Non solo follia, ma pure dal sopruso, dalla violenza, dalla superstizione, dalla corruzione. Eppure, si ripete spesso il protagonista, guardandosi attorno, un po' sconcertato e un po' sconsolato, eppure la Nigeria, a sentire le classifiche che qualcuno stila (a ragion veduta s'immagina), è il paese al mondo dove la gente è più felice. Non il paese più felice del mondo: il paese al mondo dove la gente è più felice: c'è differenza. Ma come si può essere felici in posto dove un ragazzino che tenta uno scippo al mercato viene linciato e bruciato vivo dalla gente accorsa sul posto? L'occhio di Cole pencola tra la sconforto nel registrare l'apatia e la brutalità nelle quali è invischiato il paese, e Lagos in particolare, e la ricerca insopprimibile di particolari nei quali riporre una speranza di rinascita. Il futuro. La corruzione è un preciso dato di fatto, accettato e, entro certi limiti, anche compreso: si può rubare, sempre se non si esagera. Ognuno ha il diritto di pretendere dal prossimo una (sorta di) tassa di ridistribuzione della ricchezza, o quantomeno così è come se la raccontano laggiù. Laggiù, nell'Africa, a Lagos, in Nigeria, in quel paese che Cole non riconosce fino in fondo forse perchè, a scapito dell'attuale sviluppo economico legato alle attività delle multinazionali del petrolio, rimane uguale a sè stesso, troppo identico ai propri difetti nei quali continua a specchiarsi. Il passo narrativo è lento, ponderato, ma in fondo lieve. L'attenzione è per i particolari, per quei particolari che provocano nel protagonista uno smottamento interno. Le fotografie in bianco e nero (dell'autore) che puntellano il testo testimoniano la distanza tra Cole e il paese nel quale è tornato. Testimoniano la necessità di fissare l'attimo, il particolare, il non detto o il non compreso. Fotografare per tornarci sopra, in un secondo momento, a studiarne i codici da decifrare. Torniamo ai codici. Quelli originali (etnici, quasi tribali; forse senza quasi) su cui la cultura nordamericana ha sovrascritto i propri, ora tornano a galla o, per meglio dire, studiano sè stessi in attesa di capire se davvero tornino a galla. Il perenne ritorno di chi se n'è andato quasi all'improvviso, quasi di soppiatto, prendendo tutti alla sprovvista, il ritorno di chi già sa che ancora una volta se ne andrà e che, alle domande che gli vengono rivolte, se pensa un giorno di tornare, se pensa di ripercorrere i suoi passi e aiutare il paese nella sua perenne, infinita corsa verso la modernità, non sa cosa rispondere. La famiglia, il caldo, le credenze magiche ed assurde, la mancanza di ciò che da altre parti nel mondo viene dato per scontato, la capacità di ridere anche delle tragedie (soprattutto delle tragedie), l'accettazione della realtà così com'è, perchè un'altra realtà è possibile solo in un altro posto. Le librerie sfornite, la scarsa se non nulla attenzione a qualsiasi forma di pratica culturale, l'abitudine alla violenza, al taglieggio, la costante sensazione di trovarsi a rischio, sul limitare di un baratro, senza peraltro farci caso. Tutto contribuisce a formare un puzzle che si compone nel medesimo istante tra le mani dell'autore e sotto gli occhi del lettore. Ogni giorno è per il ladro (ma uno è per il padrone) è un libro di passaggio, un meccanismo che s'inceppa e riflette su sè stesso e sul proprio incepparsi. L'esule o, in questo caso, l'espatriato può mantenere nei confronti del paese abbandonato due diversi atteggiamenti: rimpiangerlo ed idealizzarlo, o screditarlo e dimenticarlo. Cole riesce a non sposare nessuna delle due opzioni ma si dibatte tra esse mettendo a nudo la propria impotenza. E' Lagos che lo comanda, è la Nigeria che comanda in Nigeria e Cole è un burattino nelle sue mani: non può far altro che guardarsi attorno, e dentro, e raccontarci cosa voglia dire essere un uomo senza più codici. O con troppi codici.
Teju Cole, scrittore, storico dell'arte e
fotografo, è cresciuto in Nigeria e vive
a Brooklyn. Città aperta, il suo primo
romanzo, pubblicato da Einaudi nel 2013, ha vinto il PEN/Hemingway
Award, il New York City Book Award
for Fiction e il Rosenthal Award, ed è risultato
finalista al National Book Critics
Circle Award, il New York Public Library
Young Lions Award, e l'Ondaatje
Prize della Royal Society of Literature. Inoltre, è stato giudicato uno dei migliori libri
dell'anno da più di venti testate, fra le quali «The New Yorker»,
«The Atlantic», «The Economist», «The Daily Beast», «The
New Republic», «Los Angeles Times», «Salon», «Slate», «New
York magazine» e «Kirkus Reviews». Nel 2014, sempre per Einaudi, è uscito Ogni giorno è per il ladro.
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
lunedì 26 ottobre 2015
Ogni giorno è per il ladro, di Teju Cole, Einaudi editore, trad.di Gioia Guerzoni
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