"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 18 luglio 2015

I miei documenti, di Alejandro Zambra, Sellerio editore, trad. di Maria Nicola

  Undici racconti (divisi in tre sezioni) che delineano in maniera lancinante il mondo di Alejandro Zambra: dopo Bonsai (Neri Pozza, 2007) e Modi di tornare a casa (Mondadori, 2013) viene tradotto in Italia da Sellerio (traduzione di Maria Nicola) I miei documenti. La qualità letteraria della scrittura di Zambra è fuori discussione, anche se nel precedente libro mi aveva lasciato il dubbio che venisse utilizzata con indubbia maestria ma con l'intento di coprire alcuni vuoti strutturali che, forse, in realtà non c'erano. O forse si. In questa racccolta però, forse perchè la distanza del racconto sembra ritagliata su misura sulle caretteristiche dell'autore cileno, il dubbio di cui sopra viene spazzato via. In realtà gli undici racconti sono come i pezzi di un unico puzzle, sono conclusi in sè stessi e non hanno altri agganci con i racconti che li seguono o li precedono, se non - appunto - la scrittura e il punto di vista che è invariabilmente quello di Zambra scrittore, o di un protagonista che potrebbe tranquillamente essere lo stesso Zambra e che rende il libro un unicum perfettamente omogeneo. I personaggi sono tutti ammantati di un'aura sartriana: è come se ognuno di loro avesse sempre ammorsata, in qualche punto non meglio precisato (ma presumibilmente dietro al collo, tra le scapole, e in qualche ganglio del cervello, a qualche crocicchio neuronale), la consapevolezza di essere costantemente sull'orlo di qualcosa di troppo grande, troppo assurdo e troppo silenzioso per non venirne irrimediabilmente schiacciati. Chi non è stato travolto e sconfitto è in procinto di esserlo, o comunque sà che gli ingranaggi di un destino implacabile sono in movimento e possono piombargli tra capo e collo da un momento all'altro. I protagonisti (tutti di mezza età, come l'autore) se non sono proprio tutti scrittori o comunque amanti dei libri, condividono comunque il medesimo modo di vedere il mondo. Complicato. Rassegnato, anche se solo fino ad un certo punto. La felicità non è prevista e se è stata presente nelle vite dei personaggi ha avuto un ruolo episodico, accidentale, s'è presentata e poi, irrimediabilmente, è passata oltre. Non esistono ampli orizzonti (uno dei motivi che mi portò a criticare Modi di tornare a casa messo al confronto con Lo spirito dei miei padri si innalza nella pioggia, di Patricio Pron), nè ideali (al di fuori, in certi casi, della letteratura stessa), è la vita stessa che viene ritratta per quel che è: dimessa, precaria, incompleta ed onnivora. Nei racconti di Zambra, così come già in Modi di tornare a casa, non guardiamo il mostro dritto negli occhi (come Roberto Bolano definisce il compito della buona letteratura) ma ne registriamo le conseguenze in chi la costante e minacciosa presenza del mostro deve subire giorno dopo giorno. La vita come un'abitudine tetra, una fatica immotivata, inconclusa, si parte ma non si arriva e, se si arriva, ci si rende conto che forse sarebbe stato meglio andare da un'altra parte, o magari in nessun posto. Ci si muove, si vive, perchè è il destino dell'essere umano, e ce lo facciamo piacere, non perchè abbia realmente un senso farlo.

E che sono vigliacco e ambizioso. Sono così vigliacco che voglio vivere di più. Come se fossi, ad esempio, felice.

Dovrei dire, copiando Pessoa: << Sono arrivato a Santiago, ma non a una conclusione. >>

<< Non ha mai temuto che la sigaretta la uccidesse? >> 
<< A me non importa, sa? Perchè non trovo così positivo il fatto che noi esseri umani, nella media, viviamo tanto a lungo >>


L'unico collante che dà un senso alle cose, o si forza di farlo, è la letteratura. Raccontare la mancanza di senso restituisce già un senso, o una forma embrionale di esso. Quindi poco importa che ci si trovi davanti a tabagisti in crisi d'astinenza, a scrittori che saccheggiano i loro ricordi d'infanzia per vendere un racconto nero latinoamericano, che si parli di bugiardi indefessi, a chierichetti in incongnito, o a padri alle prese con figli e gatti ed ex mogli, ad ex fidanzati disposti ad attraversare l'oceano per riconquistare la propria metà (ma più per senso estetico del gesto che per disperazione o per amore) o a coppie in balia dei propri notebook, il mondo è sempre quello di Zambra, mesto, folle senza per questo sfumare nell'allegria, un mondo dove i personaggi sembrano sempre ineluttabilmente soli anche quando in realtà non lo sono. Sono sconfitti dall'esistenza, ma non del tutto, la loro rivincita è rimanere in piedi, comunque, senza stilemi eroici da indossare, non sono eroi romantici, sono piccoli burocrati grigi della vita che resistono, giorno dopo giorno, affrontano piccoli e grandi guai, non immaginano orizzonti diversi da quelli che gli tocca masticarsi tutte la mattine, alzandosi con l'alba, ma sono comunque quelli che la commedia, pur consapevoli della sua insensatezza, la portano avanti. E poi, sono coloro che la loro storia se la raccontano e, rendendola degna di essere raccontata, la rendono degna di essere vissuta. (Tant'è che noi, i lettori intendo, quelle storie senza senso le viviamo, leggendole)
 Un libro fantastico, che ha come collante una scrittura sopraffina, una delle migliori attualmente in circolazione e, in questo caso, perfettamente al servizio della narrazione.

          Non so se apro o chiudo parentesi.

   Alejandro Zambra è nato nel 1975 a Santiago del Cile, dove vive. Poeta, narratore e critico letterario, insegna letteratura all'università Diego Portales e scrive per il supplemento "Babelia" di "El País" e per la rivista messicana "Letras Libres". Il suo primo romanzo, Bonsai (Neri Pozza 2007), ha vinto il premio cileno della critica. Nel 2010, Zambra è stato segnalato dalla rivista "Granta" come uno dei migliori giovani narratori di lingua spagnola.

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