"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 13 luglio 2015

Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia, di Giuseppe Rizzo, Fetrinelli editore

  Leggendo la quarta di copertina si pensa subito a uno di quei libri generazionali (mutuo la definizione dall'ambito cinematografico), leggeri, sbadati, che raccontano storie di trentenni che ancora non si sentono adulti (ma sanno che dovrebbero ormai esserlo) e che dubitano di riuscire a raggiungere la maturità in un qualsiasi futuro, fosse anche lontano. Amici che vengono sballotati dall'esistenza rimanendo intimamente ancorati alle serate con gli amici, alle notti ventenni, le indianate, le cavolate, le fidanzate che andavano e venivano, il disimpegno obbligato di una certa età che non ti permette - per statuto verrebbe da dire - di prendere troppo sul serio nè te stesso nè, soprattutto, il mondo. E la prima parte del libro suo malgrado conferma questo clichè. Tre amici, siciliani, ormai sparsi per il continente se non proprio per il mondo, si ritrovano al paesello natìo, Lortica, per fare scaricare una camionata di sterco davanti a casa del sindaco del paese. Scaricano la camionata di merda di cui sopra e, soddisfatti, si prendono qualche giorno per fare i conti con le proprie famiglie e coi pregiudizi e i legami ottusi dai quali sono fuggiti. Pensano sia facile, una vacanza: Andrea che è la voce narrante, vive a Roma, e lavora come giornalista in una radio di sinistra che lo sottopaga, Pupetta (vero nome Martina) che vive a Berlino, femmina al mille per mille, dotata di cervello, curve e di forti stati d'ansia, che ha lavorato per un ministero ma, caduto uno dei tanti governi del paese, ha dovuto arrangiarsi con un impiego in una ong, e  Gaga (vero nome Marco) che vive a Praga, dove è finito per seguire uno dei suoi tanti amori eterni di pochi mesi, un parrucchiere che ad un bel momento l'ha piantato, in un rigurgito di eteresessualità. Fin qui, dicevo, nulla che non ci si aspetti: serate, ricordi, alcolici, adrenalina, il punto di vista di chi ha lasciato la terra natale e ora vi torna, scettico, critico, lontano, corrosivo. E poi: amori passati, traumi infantili, fratelli in carcere, e dinamiche ormai lasciate a marcire nel dimenticatoio che tornano a galla. E i pidocchi. Soprattutto i pidocchi, che sono alla base della piccola guerra lampo del titolo. Non è chiarissimo da subito chi siano, ma lo si intuisce agevolmente. Dallo scarico fecale davanti casa del primo cittadino si passa ad una seconda bravata. Dalla seconda bravata si precipita nel thriller. Chiamiamolo thriller. Non è proprio un thriller, non secondo i canoni comuni che definiscono il genere, ma comunque la tensione va alle stelle. Tutti rischiano qualcosa, forse tutto, forse pure la vita. Ed è in questa seconda parte che il romanzo esce quasi involontariamente dagli stilemi fin qui seguiti e diventa - felicemente - altro. Il lettore quasi non se ne accorge, ma dai toni da commedia generazionale (appunto), elegante e simpatica ma pure manierata e un filino scontata, la storia prende il sopravvento e finalmente se ne fotte delle frasi ad effetto e degli arzigogoli su cosa sia la Sicilia, la sicilianità e i siciliani, e semplicemente procede per conto suo, con una forza e una profondità naturale, priva di ritrosie. Qualche meccanismo della narrazione si è innescato e ora è lui che comanda, l'autore non può fare altro che corrergli dietro a perdifiato, tentando di mantenere un minimo di undestatement. Corre, ne percepisci il battito accelerato, ma non si ferma mai piegato in due a riprendere fiato. Della tripartizione classica, questo secondo movimento è in assoluto il migliore, non solo perchè vi si dipana la storia, e l'azione che ne consegue, ma anche perchè finalmente lo stile ricade totalmente al servizio della trama, si libera di orpelli, di ironie a volte troppo ricercate e di tic narrativi che rendono lo stile di Rizzo troppo simile a quello di Paolo Nori. La scuola emiliana ha delle caratteristiche ben precise, Nori ne è uno dei maestri, e sicuramente uno dei più conosciuti, e Rizzo pare essersi cimentato nell'esperimento di trasferire la scuola emiliana in Sicilia, e ci riesce, è bene sottolinearlo, ma il troppo stroppia e in diversi momenti (troppi, appunto) si riceve l'impressione di leggere un libro di Nori che si finge siciliano. Questo, soprattutto nella prima e nella terza parte. Nella seconda, come detto, la forza della trama trascina tutto con sè e distoglie l'autore da quei manierismi che, seppure sono nelle sue corde (e gli riescono pure bene), appesantiscono il romanzo rischiando di relegarlo in un ambito un tantino soffocante e scontato. Ora, torniamo a noi, a cosa succede nella seconda parte. Senza svelare troppo, Lortica è un paesello ma è pur sempre un paesello siciliano, il potere reale è un potere non lecito, mafioso, e gli altri poteri ufficiali (politica, chiesa, forze dell'ordine) a questo primo potere oscuro ineluttabilmente si piegano. Se qualcuno arriva da fuori a rompere le uova nel paniere, qualcosa deve succedere, per forza. Non vado oltre. L'amicizia, gli amori, passati e presenti, il futuro che non esiste, e se c'è comunque non è visibile a nessuno, i rapporti con le famiglie, la corruzione, lo status quo, i pidocchi (i mafiosi, a questo punto è chiaro), la sicilianità e la Sicilia, la violenza e l'ineluttabilità di ciò che accade e la normalità di chi si è scassato la minchia della violenza e della ineluttabilità, della corruzione, dei pidocchi, e di Lortica, della lorticanità, e della Sicilia e della sicialianità. Questo Piccola guerra lampo (etc) è un compendio di diversi aspetti, un romanzo ben riuscito, ma ancora non perfetto, non di grandissimo respiro, ma comunque di una profondità tanto più intensa quanto inaspettata, di uno stile che a tratti pare essere davvero lo stile di Rizzo, ma che in certi casi paga un debito troppo altro a modelli che l'autore sembra voler ancora seguire pedissequamente, e inutilmente, dal momento che, nella seconda parte, la migliore, l'ho già detto, finalmente si ha la sensazione di leggere lo stile di Rizzo, quello suo proprio, il risultato di quell'esperimento che vuole la scuola emiliana alle prove con la terra (e la lingua, e la cultura) siciliana. Un bel romanzo, leggero e intenso, a volte un po' troppo di maniera, a volte forse banale, ma in fondo totalmente vero e, a tratti, inaspettato. La lettura è piacevole, veloce, ironica, i personaggi un po' troppo bidimensionali. Alla fine, si ha l'impressione di aver visto un film, o che stiano per trarne un film, e questo rapporto un po' troppo stretto tra narrazione letteraria e immaginario filmico tende a stendere come una patina opaca sul libro, quasi a snaturare il "romanzo" nella sua natura intima di narrazione rivoluzionaria, lontana dalle mode, capace di scavare nel corpo stesso della società. Un po' meno commedia (di commedie in Italia ne abbiamo già viste di tutti i tipi) e un po' più coraggioso nell'essere sè stesso, qualsiasi cosa sia: se c'è una critica da fare a questo romanzo (che di difetti è pieno, ma pure di splendidi pregi), è questa.



Giuseppe Rizzo è nato in Sicilia nel 1983. Ha pubblicato i romanzi L’invenzione di Palermo (Giulio Perrone Editore, 2010) e Piccola guerra lampo per radere al suolo la Sicilia (Feltrinelli, 2013).
 

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