Pagina 4: << ... non dico che devi inventare chissà che, ma concedi almeno al lettore un piccolo appiglio narrativo, ..., cioè o sei un autore con i coglioni, davanti al quale uno alza le mani e dice: fai di me quello che vuoi, oppure non ci rompere le palle e scrivi una trama.. >>
Pagina 12: << Poi un giorno incontro una mia amica francese,Veronique, che mi dice: - Fai otoficsiòn - Autofiction -... In Francia è un genere conclamato. Non c'è nulla di strano... ora tutto è pubblico. Chi ti accusa di essere ombelicale lo fa, in genere da un blog, nel quale racconta la sua giornata. Il gioco è proprio questo, dare intensità a fatti minimi... >>. Ammettiamolo, non si può dire che Pascale non ami giocare a carte scoperte, questo gli va riconosciuto. Nel senso: una trama, manco a parlarne - solo la scusa di un documentario sui sentimenti che gli salta in testa, e attorno a cui gira quella fragilissima non-costruzione che l'autore mette in piedi - e con questo il lettore s'è bell'e che scordato il suo sacrosanto appiglio narrativo di cui sopra; "essere un autore coi coglioni che ti prende e ti porta ad arrenderti", onestamente, neppure, quantomeno non in questo libro. E allora ecco che arriva l'otoficsiòn a far quadrare il cerchio. Dare intensità ai fatti minimi, parlare di sè, guardarsi l'ombelico ma, per non risultare eccessivi, prendere un minimo di distanza da sè stessi attraverso un uso salvifico dell'ironia. Dunque, Pascale è il protagonista del racconto, Pascale che sono sei anni che non gli riesce di scrivere un libro e così si lascia vivere, analizzando questo suo lasciarsi vivere, che poi è vita a sua volta, la sua vita - sua di lui Pascale personaggio e probabilmente sua di lui Pascale scrittore (almeno così siamo portati a credere) - e che immagina di vincere l'empasse del blocco dello scrittore con questa benedetta storia del documentario sui sentimenti. Ma noi, da pagina 12, sappiamo già che ci troviamo in piena otoficsiòn, e quindi siamo pienamente coscienti di che gioco (ci) sta giocando: vale a dire, metanarrativa pura e semplice. Spiegato questo, bisogna ammettere che non è affatto male questo Le attenuanti sentimentali: un po' Woody Allen (le nevrosi), un po' Paolo Nori (certi modi di dire colloquiali, l'uso dell'ironia, pur se di stampo diverso: Nori, ironia emiliana, Pascale romanesco-partenopea), in certi casi quasi un po' Vonnegut o Galiazzo (nelle tirate di stampo scientifico: il solare, i cibi biologici, i termovalorizzatori, ecc.). Tutti i miei "un po'" sono da intendersi come complimenti, anche se personalmente continuo a preferire Woody Allen, o Nori, o Vonnegut o Galiazzo. Quindi, dicevamo, siamo dalle parti della metanarrativa e dell'autofiction e, giocoforza, non possiamo che trovarci di fronte ad un racconto ombelicale (appunto, come anticipato da Pascale stesso, a mettere le mani avanti), autoreferenziale, biografico, documentaristico e, forse, mocumentaristico. Può piacere o non piacere, ma comunque è dichiarato subito, chiaro e tondo. E spiega anche perchè non può far altrimenti, perchè non ha più senso scrivere libri in tre atti, con una trama, dei personaggi inventati e via discorrendo, ma questo lo lascio dire a Pascale, nel libro, che sa argomentarlo meglio di me. Detto questo, possiamo riassumere dicendo che è un libro che parla di un uomo sposato, con due figli, un intellettuale, insonne, nevrotico, forse in crisi con sè stesso o forse con la società ma sicuramente (almeno in parte, e a mio parere in larga parte) compiaciuto di questa sua crisi, che gira per Roma, incontra gente, di solito intellettuali o qualcosa di molto simile o, per dirla alla Oscar Wilde, gente che si atteggia come se lo fosse (il libro, la vita che viene narrata, è molto radical chic, tipico
di quella sinistra un filo snob che è sempre convinta di essere dalla
parte giusta delle cose e Pascale, essendone cosciente, a volte ne
prende le distanze, con ironia e apprezzabile senso autocritico), parla con loro, gli amici intellettuali, coi figli, a volte, abbastanza di rado, con la moglie Daniela, e cerca distrattamente e anche abbastanza svogliatamente di mettere insieme il materiale per il famoso documentario, sui sentimenti appunto, come già si è detto, e oltre il materiale, che forse nella sua testa abbonda, ricerca un metodo per metterlo in ordine, dargli delle priorità e degli incasellamenti ben precisi (intento che, si capisce fin dall'inizio, rimane sulla carta, del libro, e nella testa, del protagonista). Pascale (personaggio) è un flaneur che seguiamo nelle sue elucubrazioni cervellotiche, nelle sue notti insonni, nei suoi tentativi di spiegare agli altri e a sè stesso ciò che gli passa per la testa, e che lì, nella sua testa, finisce per dare una struttura al mondo, una struttura che però, forse, alla fin fine, non riesce a convincerlo fino in fondo. Forse non convince fino in fondo neppure noi, ma non credo sia questo il punto, convincere, quanto piuttosto porsi le domande, lasciare da parte (quantomeno provarci) l'ossessione della felicità e mettere in primo piano il pensiero, l'intelligenza, l'analisi. In tutto questo, con una scrittura piacevolmente affabulatoria, Pascale riesce nell'intento (sempre che lo abbia avuto, ma penso di sì) di procedere lieve, magari un po' troppo ombelicale, vero (tra l'altro, giusto per concludere il cerchio metanarrativo di cui sopra, notate l'ironia: lo dice uno che scrive queste cose su un blog, come predetto a pagina 12 del libro), ma per fortuna senza mai prendersi troppo sul serio, e comunque mai fino in fondo. Come avrete capito è un libro etereo, forse addirittura nebuloso se capite cosa intendo, basato su fondamenta fragili, quasi inesistenti, è una passeggiata in compagnia di un amico un tantino logorroico (e nevrotico, e fissato) che racconta, e racconta, e racconta, e a volte fa un po' un mescolone, mette insieme fatti e ragionamenti, e sprazzi di sincerità assoluta (o è solo presunta e in realtà si tratta di fiction?...), e ci porta in giro, ci racconta dei suoi amici, della sua famiglia, del suo essere padre, della figlia che dice troppe parolacce, del figlio che pare vivere solo ed esclusivamente per la maggica Roma e, a volte, ci scodella delle riflessioni che ci lasciano lì, perplessi, perchè sono questioni sulle quali avevamo ragionato anche noi, ma che pensate da noi non sembravano avere lo stesso peso, nè la stessa profondità. E se a volte i dialoghi e le riflessioni sui sentimenti (al contrario delle parti sul biologico e sull'agroalimentare che ho trovato notevoli) scadono un po' nel banaluccio (d'altronde, cosa si può dire sui sentimenti che non sia già stato detto? Il sentimento è, per sua natura, oscenamente banale) nelle ultime pagine si aprono degli scorci di riflessioni più profonde che sfiorano il filosofico quando non il poetico.
E' il primo libro che leggo di Pascale, non credo sarà l'ultimo.
E concludo con una riflessione personale: l'autore ripete più volte quanto spesso gli venga riconosciuta la capacità di indovinare degli splendidi titoli per i suoi libri. Sarà che io ho gusti strani, ma a me i suoi titoli (La città distratta, La manutenzione degli affetti, Passa la bellezza (bleah!)) non piacciono per nulla, neppure questo, troppo stucchevoli, versioni elevate di Và dove ti porta il cuore. Se mi fossi fermato al titolo avrei immaginato un libro completamente diverso e non lo avrei mai comprato. Le attenuanti sentimentali: mi sarei aspettato uno di quei romanzi su coppie trenta-quarantenni, benestanti, in crisi: tradimenti, ripensamenti, grandi pippe sul significato dell'amore, dei sentimenti, del sesso, del matrimonio, della famiglia, del libero amore e cose così. Poteva anche esserlo, ma per fortuna è solo otoficsiòn, dà risalto ai fatti minimi, ci porta in giro per Roma, con sè, nella sua vita, punto.
Segnalo, è molto interessante sentire lo stesso Pascale che spiega questo libro dialogando con la sua editor, Angela Rastelli, anticipandolo a Anteprime 2013 a Pietrasanta. Lo potete trovare qui.
Antonio Pascale, nato a Napoli nel 1966, ha pubblicato La città distratta
(Edizioni l'Ancora, 1999 ed Einaudi, 2001), ripubblicato, con
l'aggiunta di nuovi capitoli, nel 2009 da Einaudi Stile libero con il
titolo Ritorno alla città distratta; La manutenzione degli affetti («L'Arcipelago Einaudi», 2003 e, accresciuto di tre racconti, «ET Scrittori», 2006); Passa la bellezza (Einaudi, 2005); Scienza e sentimento (Vele 2008); Tre terzi, con Diego De Silva e Valeria Parrella (Einaudi, 2009); Le attenuanti sentimentali (Einaudi, 2013). È fra gli autori di Scena padre (Einaudi
2013). Alcuni suoi racconti sono stati pubblicati in «Lo Straniero» e
«Nuovi Argomenti». Un suo racconto compare nell'antologia Disertori
(«Stile Libero»). Collabora con «Il Mattino», «Il Messaggero», il
«Corriere della Sera» e «il Post». È stato l'«intellettuale di servizio»
delle Invasioni barbariche di Daria Bignardi.
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
martedì 18 febbraio 2014
Le attenuanti sentimentali, di Antonio Pascale, Einaudi editore
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