"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 14 febbraio 2014

Condominio r39, di Fabio Deotto, Einaudi editore

Via, cominciamo. " La mattina di venerdì 22 marzo è una mattina qualsiasi, alle 22.47 (ma, è mattina o notte??) da una palazzina della semimperiferia milanese vengono estratte cinque persone in coma e un ragazzo di ventisei anni in stato confusionale.". Messa così, ci si aspetterebbe (quantomeno) una discreta figata. Il classico giallo ambientato in un condominio, che poi non è altro (oltre che essere un vero e proprio sottogenere) che un amplimento del (iper)classico giallo "della stanza chiusa". In quarta di copertina però si fa riferimento a Ballard e a Polansky (chissà poi perchè non a Roland Topor che è l'autore del libro, magnifico, da cui Polansky ha tratto il film L'inquilino del terzo piano) e a questo punto si ha il dubbio (quasi una lieve vertigine) piacevole, di trovarsi di fronte ad uno di quei rari libri che hanno il coraggio di prendere un genere e portarlo a sfondare i propri limiti naturali, sfociando in quel territorio che è proprio degli incubi, dei deliri e delle paranoie. Un condominio, una costruzione salda, imponente, un fuori, una facciata, e un dentro, scuro e labirintico. Vite serrate in cubi di cemento che confinano senza mai sfiorarsi se non superficialmente, calma apparente sotto la quale cova altro, qualcosa di malato, di folle, sinistro. La notte, sogni che s'incrociano, intrappolati tra le mura degli appartmenti, che vagano per i corridoi, che si muovono su e giù per i cavi dell'ascensore. Ripostigli umidi, sottoscala dimenticati e vecchi delitti che aspettano di venire a galla. La follia che serpeggia all'interno delle mura esattamente come alberga nel chiuso di una scatola cranica. Bene, tutto questo, scordatevelo. Se L'inquilino del terzo piano, il capolavoro di Topor, è un meccanismo perfetto racchiuso in sole 159 pagine di prosa allucinata e disturbante, un viaggio kafkiano nell'incubo grigio di un mondo al suo epilogo, e se Il condomino (192 pagine) o Un gioco da bambini (92 pagine), entrambi di Ballard, sono dei bisturi che scorrono nel ventre malato della società moderna, quasi dei saggi sociologici, dove, sotto una patina di normalità e di modernità, affiorano mostri atavici che emergono dal nostro passato bestiale, questo Condominio r39 è un guazzabuglio di ben 442 pagine (che paiono non finire mai), ridondante, privo di ritmo, che non sà decidersi se essere un giallo, un mistery, o un thriller ellroyano con tanto di poliziotti brutti, sporchi, cattivi e tossici, un gioco ad incastro alla Black dog (titolo originale, molto più appropriato: Tesseract) di Alex Garland, o una sorta di Quer pasticciaccio brutto di via Merulana, di Gadda. Vuole essere tutto, troppo, senza riuscirvi. La psicologia dei personaggi è unidimensionale, qualcosa di molto simile a quella dei personaggi dei cartoni animati: sono delle figurine ritagliate grossolanamente da mille altri romanzi, film o fumetti: il poliziotto (Pallino??) dalla coscienza sporca, dalla vita famigliare a pezzi, in perenne contrasto con sè stesso, grigio, triste e distaccato dal mondo. La mamma single troppo apprensiva. La ballerina da nightclub dalla vita marginale (anche se è difficile dirlo con certezza, dal momento che Sara è davvero un personaggio solamente appena abbozzato). I giovani tossici e vampiristi, fuori di testa, sballati fino all'inverosimile, sciroccati che più sciroccati non si può. Il vecchio professore, solo, burbero, immerso nelle sue peronali elucubrazioni-ossessioni che, solamente, sa condividere con un bambino il quale, ovviamente, non lo può capire. L ex 'attrice sinistrorsa di talento ormai fuori dal giro, dipinta come pazza dai giornali di gossip e in preda a despressioni e manie persecutorie. L'imprenditore arricchito, volgare, violento, abbronzato, grasso, porcino e sgraziato che crede di poter comprare tutto e tutti con la sola forza del denaro sonante. E via discorrendo. I bambini parlano, si muovono e seguono logiche assolutamente adulte, solo sono più bassi e non guidano la macchina. L'ispettore, come più o meno tutti i personaggi, fa cose assolutamente assurde, vaga nel vuoto e nei suoi mal di stomaco fino a che, finalmente a cena fuori con la moglie in crisi, non ha un'illuminazione, l'unica parvenza di una sua capacità investigativa in cui incappiamo in tutto il libro, e quando finalmente ha più o meno chiaro in testa cosa diavolo è successo in quella casa (perchè alla fine le storie di questo genere, che partono dal finale e si sviluppano in "montaggio alternato", sono sostanzialmente questo: ricostruire cosa diavolo è successo), permette tranquillamente che il cattivo di turno rapisca un bambino innocente sotto i suoi occhi (a dir la verità sarebbe più corretto dire che guarda il rapimento del bambino, che avrebbe potuto sventare senza troppa difficoltà, senza muovere un dito) senza alcuna motivazione logica se non il fatto che lui è fatto così, lascia che le cose avvengano e poi ci piange sopra. I giovani vampiristi più che cattivi sono degli emeriti idioti in preda ad una perenne nebbia di droghe che offusca loro qualsiasi tipo di pensiero anche solo lontamente razionale. I personaggi - tutti i personaggi - all'incirca si equivalgono, sono amorfi - a parte un paio un po' più sinistri degli altri e che paiono in un perenne stato euforico da piccole pesti che si sono spinte un po' troppo oltre - si muovono come fumetti su uno sfondo di cartone, non hanno una propria anima, scimmiottano degli stereotipi e hanno l'unica funzione di far muovere il meccanismo narrativo, meccanismo non eccelso a dir la verità. Nonostante la loro natura di semplici componenti meccaniscinstiche della narrazione, ai personaggi l'autore si incaponisce a voler dare, se non un minimo di profondità psicologica (forse ci prova, non saprei, ma sicuramente non ci riesce) almeno un passato alle spalle, aprendo di tanto in tanto squarci chirurgici sulla loro storia che nel migliore dei casi suonano inutili (e quindi ulteriori dilungamenti) e quando va male sono talmente fuori luogo da risultare assurdi. In questo senso, mi viene da pensare: se la psicologia non è necessaria ad un certo tipo di narrazione, perchè mettercela a tutti i costi? Barry Gifford dimostra brillantemente che si può raccontare una storia lasciando che i protagonisti non siano altro che esseri semplici sospesi ai propri istinti ed ai propri deliri senza bisogno di sondarne le anime (forse, nei libri di Gifford, i personaggi neppure ce l'hanno un'anima). Poi, continuiamo: in certi casi pare che manchi una pura e semplice logica dei fatti (ad esempio come quando i due bambini chiusi in una cella frigorifera cercano delle armi per difendersi dall'ultimo intruso e, invece di armarsi del coltello che sappiamo essere in quella stanza, usano dei salami congelati!) e in altri le scelte stilistiche sono come minimo opinabili come certe frasette poste a fine capitolo che sembrano voler a tutti i costi esplicitare una morale ben chiara o un certo senso poetico del momento appena descritto (i cosiddetti ghirigori). Capita spesso che i personaggi (troppi, a mio giudizio, e non tutti necessari, a volte si tende a confonderli) siano raccontati in certi loro gesti o atteggiamenti che forse potrebbero anche trovare una loro logica ma che non vengono per nulla preparati nella narrazione precedente, lasciando così nel lettore una sensazione di assurda estemporaneità. A pensarci bene, sono tutti difetti che trovano una loro spiegazione se consideriamo che l'autore è alla sua prima prova narrativa, ma che la perdono subito quando soppesiamo l'oggetto Condominio r39 e prendiamo atto che non è il faldone di un dattiloscritto che un giovane scrittore si porta appresso per farlo leggere ad amici e conoscenti ma che è un libro in brossura pubblicato da una major editoriale, gloriosa e conosciuta per essere un marchio di qualità, quale la Einaudi. La domanda che non ci si può esimere dal porsi leggendo il libro é se le case editrici utilizzino ancora gli editor, perchè l'impressione è quella di un dattiloscritto portato in casa editrice, stampato e mandato direttamente in libreria, esponendo così un giovane autore ad ogni tipo di rovescio critico (quale è, me ne rendo conto, il post che state leggendo). In realtà il libro, che potrebbe tranquillamente essere sfrondato di qualche centinaio di pagine guadagnandone in leggibilità e snellezza, verso la fine trova una sua seppur abboracciata ricomposizione, e nelle pagine in cui il professor Eugemini spiega alla figlia la sua visione della meccanica della vita, la spirale evolutiva e quella controevolutiva (questo è il vero centro del romanzo, troppo isolato in un'unico dialogo, ma comunque il vero motivo per cui l'intera storia viene raccontata) finalmente si toccano pagine di qualità (e il nucleo dei concetti espressi avrebbe meritato un diverso spazio e un approfondimento sicuramente più intenso, diluito sapientemente nel corso della narrazione), in cui la Weltanschauung del personaggio sposa (con tutta probabilità) quella dell'autore in una spiegazione logica, motivata e profonda, a prescindere da quanto possa suonare poco piacevole e politically uncorrect.


Fabio Deotto è nato a Vimercate (MB) nel 1982. Laureato in Biotecnologie, scrive articoli, interviste e approfondimenti a sfondo scientifico e musicale per numerose riviste nazionali. Condominio R39 , pubblicato da Einaudi Stile Libero nel 2014, è il suo primo romanzo.

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