"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco." Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Andrés Caicedo muore suicida nel 1977, subito dopo aver ricevuto la prima copia del suo primo ed unico romanzo, Que viva la musica!; Maria del Carmen Huerta, al contrario, la protagonista del libro, continua imperterrita la sua vita irregolare ed esagerata. Di più, la ricomincia da capo ogni qual volta un nuovo lettore apre la prima pagina di Viva la Musica! In questo senso, mi viene in mente, è perfetta la frase di Bolano che le edizioni Sur hanno scelto di far campeggiare in cima al loro sito: Todos los libros del mundo estan esperando a que los lea; quindi immagino che questo libro mi stesse aspettando. Io no, neppure sapevo che fosse esistito dall'altra parte del mondo, in Colombia, un ragazzo - uno scrittore, critico musicale e cinematografico - di nome Andres Caicedo. Quando è morto avevo due anni, quindi non posso aver conservato ricordi dell'epoca, ma dubito che in questa parte del mondo qualcuno allora si sia reso conto della sua scomparsa. Adesso, qui in Italia almeno, in seguito alla traduzione e pubblicazione di questo libro, qualcuno ci sarà che si domanderà se davvero questo ragazzo sia stato "un Cesare Pavese tropicale" o "il Kurt Cobain della letteratura colombiana" (secondo Fuguet, l'autore dello splendido Missing, Nuova frontiera editore) e, se davvero lo è stato, cosa questo possa significare perchè, in tutta onestà, continuo a vedere una certa distanza tra Pavese e il cantante dei Nirvana. La prima idea che ti salta in mente è che sono tre artisti, giovani (Pavese un po' meno), che devono aver trovato qualche difficoltà di troppo ad accettare la realtà così come ci è data, e l'hanno rifiutata. Tre artisti, tre suicidi. Eppure la sua eroina (che, detto tra parentesi, non ha nulla a che vedere con Huckleberry Finn nè tantomeno con Holden Caulfield: lo specifico per chi avesse letto il retro del libro) è l'esatto contrario del rifiuto (ma si tratta poi di rifiuto o di resa?) che sta inscritto a chiare lettere in ogni suicidio. Maria del Carmen Huerta si tuffa nella vita, molla gli ormeggi e non si preoccupa minimamente dei rischi a cui va incontro. Inanella un errore dietro l'altro - via uno avanti l'altro - e ogni errore alla lunga è sempre una sconfitta, ma non si ferma, lei balla, cerca la musica (rock prima, salsa poi) in ogni angolo della sua città, Cali, che non è capace di lasciare come non si può lasciare il proprio destino. Quindi, Maria balla, sempre e comunque. E vive di notte, o vive la notte, vedete voi. Scivola da una festa all'altra, da un ragazzo ad un altro, da una droga alla successiva e si sposta, di eccesso in eccesso, rimanendo sempre sull'onda. L'onda di quegli anni che erano, per il mondo intero, quelli della rivoluzione culturale giovanile, della musica rock, dell'amore e delle droghe libere. E' una figlia dei fiori, ma non è una figlia dei fiori nel senso cui siamo abituati noi occidentali, cioè non è una figlia dei fiori all'americana come siamo abituati a vedere nei film, e non solo non è una figlia dei fiori americana, ma non è neppure una figlia dei fiori occidentale. E', innanzitutto, una latina, e poi lei si definirebbe più un fiore che una figlia dello stesso. E' bionda, e questo semplice dato di fatto ha per lei il valore di una predestinazione. Dove passa, la gioia spunta, all'improvviso, le feste prendono vita, la musica s'innalza di tono, ritmo e significato, quando lei se ne va, ogni cosa appassisce. C'è stata un'altra ragazza, prima di lei, ad avere i suoi stessi "poteri", e in qualche maniera aveva tracciato una strada che l'avrebbe potuta mettere in guardia, ma Maria non è interessata a guardarsi da niente e da nessuno. Ha un semplice sussulto, ma veloce e superficiale, quando si sparge la voce che le droghe bruciano le cellule cerebrali, cellule che non riproducono sè stesse, e questa vaga presa di coscienza la porta all'unica conclusione per lei possibile, vale a dire che le cellule cerebreali sono schifosamente pigre, e dunque, in certo senso meritano di morire. Maria è un unico flusso di coscienza, dall'inizio alla fine, e ci tiene (a volte lo dice) a renderci in presa diretta i passaggi fondamentali della sua vita, del suo punto di vista, interpretati con la sua testa e i suoi metri (o centimetri, verrebbe da dire) di giudizio e Maria - Maria e il flusso di coscienza che incarna - è un viaggio in un epoca, in una parte del mondo, in una città che non prevede la possibilità nè di una fermata nè del biglietto di ritorno, è un viaggio che è una caduta, una stella che brucia e cade e si guarda bruciare e cadere e ci racconta, con la sua propria voce, cosa significhi bruciare, che sensazioni dà, e cosa prevede il cadere, se fa paura o meno, se si viva o meno in attesa dello schianto. Maria è un flusso, è un viaggio, è un cadere ed un bruciare ma è anche, se non soprattutto, la musica, non è una camminata nella musica, o in una musica, Maria è la musica, la salsa, Ricardo Ray e Bobby Cruz, è le sensazioni che la musica trasmette, è l'importanza che la musica ha avuto nel corso di quella rivoluzione culturale, il ruolo essenziale che ha ricoperto, è le ginocchia che si piegano, le caviglie che si tendono, i capelli che si perdono nell'aria, il sudore che ricopre il corpo, il ritmo che ti guida e sul quale regoli il tuo respiro. Maria, non sarà una sorpresa per nessuno, non fà una bella fine, ma poi, leggendo il libro, ci si domanda se importa davvero fare una bella fine, e cosa sia una fine degna e, soprattutto, se avesse fin dall'inizio la possibilità di scegliere un copione differente o se, magari, non fosse predestinata a bruciare, a cadere ed a ballare tutto il tempo della sua caduta. La risposta, o semplicemente una risposta possibile, credo che il suo autore, il 4 Marzo 1977, l'avesse ben chiara in testa.
Il
4 marzo 1977, subito dopo aver ricevuto la prima copia del suo unico
romanzo Viva la musica!, Andrés Caicedo, venticinque anni, si suicida,
entrando nel mito e lasciando la letteratura latinoamericana orfana di
un grande autore. La critica lo ha definito «un precursore di Bolaño» e
«un Cesare Pavese tropicale».
Allengo il link alla pagina delle edizioni Sur dedicata ad Andres Caicedo, riporta materiali ed interviste per chi volesse approfondire la figura dell'autore: qui.
Nessun commento:
Posta un commento