"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 2 agosto 2015

Il Pozzo, di Juan Carlos Onetti, EdizioniSur, trad. di Ilide Carmignani

  Eladio Linacero, giunto ai suoi quarant'anni, decide di scrivere le sue memorie perchè, non ricorda dove, ma ha letto che a quarant'anni un uomo deve comporre la sua biografia. Ecco, più o meno è tutto qui, in 57 pagine di letteratura al suo stadio più puro.
  Cos'ha da raccontarci Eladio Linacero? Perchè lui è certo di aver vissuto moltissime esperienze degne di essere raccontate (o, più che altro, dal suo punto di vista, ascoltate), anche se in effetti non andrà proprio così, per certi versi, ma in realtà invece sarà proprio quello che accadrà (poi mi spiego). lo ossessiona il ricordo di una ragazza, Ana Marìa, ricordo che chiama "della capanna dei tronchi", un ricordo che gli ritorna spesso addosso come fantasia, forse addirittura come alluncinazione: Ana Marìa che torna da lui nuda, e si stende su un letto di paglia. Ma ricordo e fantasia, pur non confondendosi, si sovrappongono, vengono a traslare di significato. Il ricordo non porta traccia di senso di colpa nè di drammaticità, è distaccato, come rivissuto da un io totalmente amorale. La fantasia invece soffre della frustazione propria di ogni fantasia, vale a dire la sua distanza dalla realtà. In un certo senso, si potrebbe riassumere: quello che è stato fatto non è importante, non lascia ferite nell'abito morale del senor Linacero, diventa rilevante quando si trasforma in fantasia e qui il segno lo incide nell'animo, perchè altro non resta se non il fantasticare. "Ho fatto, ma è come se non fosse mai successo", e poi, "vorrei ma non posso", ma con un passaggio ulteriore, mostruoso soprattutto per la naturalezza con la quale il narratore ce lo propone: il passaggio da reale a fantastico è sotteso da un desiderio sessuale totalmente amorale, se non propriamente immorale. E' contorto, capisco, ma in realtà, a leggerlo, risulta assolutamente chiaro, a tal punto da passare quasi inosservato. El senor Linacero però è convinto che questo ricordo (e la fantasia ad esso collegata) sia degno di essere raccontato e, soprattutto, ascoltato. Fa mostra di umiltà ma lascia intendere che ormai lui è uno che si occupa di scrittura (Niente di più lontano da me dell'idea di mostrare a Cordes che anch'io sapevo scrivere). Così scende nel pozzo dei suoi ricordi, nel nero umido che è stata la sua vita, e ne estrae altri, smozzicati, appena accennati: descrive un paesaggio che lascia per massima parte incompiuto e si perde nel valutare le reazioni di quelle poche persone a cui ha raccontato, in parte, le sue memorie in via di composizione: una puttana (Ester) e un poeta (Cordes). Sono fili che cominciano ad intrecciarsi e poi, ad un dato momento, si sfilacciano. E' una discesa nel pozzo di un uomo grigio, privo di obiettivi, sconfitto, amareggiato, disgustato da tutto fuorchè da sè stesso. Si sente superiore al mondo, ne vede le bassezze, le storture, le patisce sulla propria pelle, le rimira incise nella propria esistenza ma rimane però incapace di riconoscersi parte di quel mondo, pure lui basso e storto (moralmente parlando). Ora torno al (poi mi spiego) di cui sopra. La puttana ed il poeta non reagiscono, all'ascoltare le sue memorie, come Linacero si era aspettato, e quindi, il suo desiderio (vissuto fino a quel momento quasi come una certezza) ne risulta frustrato (una desillusiòn màs). E se rimaniamo a quanto racconta il narratore nel suo libricino di memorie, è vero: nessuno è interessato ad ascoltare la sua vita (quel puzzle smozzicato che Linacero ci presenta: il caos strutturale nel raccontare è specchio del disordine morale del narratore/protagonista). Ma a questo punto ci rendiamo conto di un altro piano, metanarrativo: ossia ci sono i lettori, quelli veri, non quelli fittizi interni al racconto, cioè ci siamo noi, e noi lo stiamo leggendo, e vorremmo anzi che continuasse con quel suo magmatico e parziale racconto di eventi ora immorali ora amorali, quel suo registrare il calore del giorno, i rumori della strada, le ciccione che lavano i panni, gli sfaccendati che fumano (come lui d'altronde: "io sono un uomo solitario che fuma in un punto qualsiasi della città"), il coro dei cani, il gallo che canta di tanto in tanto, a nord, a sud, in qualche posto sconosciuto, i fischi delle guardie che si ripetono sinuosi e muoiono.
  Eladio Linacero è un antieroe, come antieroi sono i protagonisti di tutti i libri di Onetti: è pessimista e cinico (nichilista, per certi versi simile all'Erdosain de I sette pazzi, di Arlt, ma privo dello slancio folle che questi proietta sul reale), vede l'essere umano per quello che è, una pozza maleodorante senza il benchè minimo senso, ma il suo stesso raccontarsi, il suo stesso elevarsi rispetto alla melma che lo disgusta, a sua volta disgusta i suoi lettori che non lo riconoscono migliore degli oggetti del suo disprezzo. Ma Onetti è Onetti, un gigante, e questi abissi (pozzi appunto) di pessimismo cosmico li rende con tratti stilistici inarrivabili: la poesia del vuoto la si potrebbe definire.

<< Un rumore breve, come uno stridio, mi fa guardare verso l'alto. Sono sicuro di scoprire una crepa nel punto esatto dove ha gridato la rondine. Inspiro la prima aria che annuncia l'alba fino a riempirmi i polmoni; c'è un'umidità fredda che mi sfiora la fronte alla finestra. Ma tutta quanta la notte, inafferrabile, tesa, sta allungando la sua anima fine e misteriosa nel filo d'acqua del rubinetto chiuso male, nel lavatoio di cemento del cortile.>>

  Aggiungo: in questa splendida e coraggiosa veste delle EdizioniSur, spicca la traduzione di Ilide Carmignani, nonchè l'introduzione di Juan José Saer.
  Una curiosità: Il pozzo è stato scritto da Onetti in un fine settimana, sotto l'influsso della mancanza di nicotina (aveva smesso di fumare).

 

Juan Carlos Onetti (1909-1994) uruguayano, ha ricevuto nel 1980 il Premio Cervantes, massimo riconoscimento della cultura ispanica, per la sua carriera letteraria. Fra le sue opere: Per questa notte (1943), La vita breve (1950), Il cantiere (1961), Lasciamo che parli il vento (1979).

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