"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 26 aprile 2015

Le scimmie, di Josè Revueltas, Sur editore

Tutto il respiro del racconto è cinto tra le sbarre di una prigione e quelle di una manciata di minuti, pochi, spesi in attesa della Meche, della Chata, della Madre e della droga che quest'ultima nasconde all'interno della sua vecchia ed immonda vagina. Sono Polonio, Albino e il Coglione che si struggono in attesa di quella manciata di polvere bianca che è, per loro, l'unica via di fuga dal carcere e, soprattutto, da sè stessi. Prima Polonio, poi Albino e infine il Coglione infileranno la testa nello spazio stretto e umiliante dello spioncino per controllare, con l'unico occhio che riesce ad averne la visuale, il cortile sottostante, in attesa dell'entrata dei parenti dei detenuti. Poi i parenti entreranno, e con loro le tre donne, e infine succederà quello che succederà. Stop, fine. Tutto qui. Eppure questo Le scimmie è un viaggio in un'altra dimensione, non tanto fisica (il carcere, o cubo, come viene definito nel racconto), quanto spirituale. La descrizione del Coglione è quanto di più straziante e realistico si possa immaginare, e lo stesso vale per la Madre (del medesimo): il loro legame, fatto di ripugnanza, sensi di colpa, inadeguatezze, finanche di tenerezza, e poi ancora rabbia, codardia, rimpianto e sconfitta, è il riassunto della condizione umana secondo la concezione di José Revueltas. Il fatto stesso di aver partorito quell'obbrobrio che risponde al soprannome di "Coglione" richiama immediatamente nell'autore l'immagine di un coito bestiale della madre, consumato con chissà chi, in chissà quali sordide circostanze. Non c'è spazio per l'amore, solo per il brutale desiderio, non c'è speranza e, soprattutto, non c'è redenzione. Siamo nel braccio più patetico dell'intero carcere, quello dei tossicodopendenti, degli sfigati, di esseri totalmente in preda ai propri istinti primari, incapaci di elevarsi dal proprio livello (para)bestiale: Polonio e Albino dividono la cella con il Coglione, uno sciancato, zoppo e orbo, che ogni tot tempo si apre le vene in attesa che le guardie - le scimmie del titolo - corrano a salvarlo. In fondo vorrebbe morire, così come pure sua madre prega che la morte abbia pietà di lui e se lo porti via (da notare, nel testo, che si tratta sempre di supposizioni della voce narrante, vale a dire dello stesso Revueltas, disgustato dall'umanità che descrive ma al contempo incapace di condannarla), ma in fondo legato inconsapevolmente a quella sua ridicola e abietta parvenza di vita, vita da vittima, da reietto, da disgustoso purulento. I tre detenuti e le tre donne che vanno a trovarli (compagne e madri), e le scimmie, che camminano da un lato all'altro del corridoio, che passano la vita all'interno del carcere esattamente come coloro ai quali devono limitare la libertà, carcerati essi stessi, ma per scelta: questa è l'umanità che si muove sul palcoscenico di Revueltas, il cubo, di cui noi per buona parte del racconto non possiamo che scorgere un semplice rettangolo che la testa di Polonio riesce, a fatica, a sbirciare. L'autore non giudica, nè assolve, si limita a descrivere, ma non tanto la realtà che il suo occhio di compagno di sventure (l'autore scrive questo racconto durante la sua ultima detenzione, nel 1968) può registrare, quanto l'universo valoriale che sta dietro a quell'umanità. Se nella narrazione non è presente la condanna è però imperante un senso di consapevolezza che diventa il grimaldello principale per scardinare da una banale cornice realista quello che avrebbe potuto essere un semplice racconto (quasi un articolo di cronaca) ed elevarlo a letteratura universale: quei minuti, quei pochi personaggi, quello spazio ermeticamente chiuso, sono l'esistenza, lo stato del transito umano in questa realtà. Il Particolare (tra l'altro, così... "particolare") che racchiude in sè l'Universale. La consapevolezza dell'autore di avere di fronte agli occhi non solo, e non tanto, una pessima (messa in)scena di una squallida porzione di umanità, bensì il succo stesso dell'essere umano, lo porta ad abbandonare la descrizione realista e a giungere ad un turbine stilistico che non di rado scivola piacevolmente nella filosofia (del suo autore) e nella (anti)psicologia dei suoi personaggi. Loro, le scimmie, Polonio, Albino, il Coglione e le loro donne non si rendono conto di niente, a malapena di sè stessi, ma senza comunque arrivare mai a comprendersi, sono burattini schiavi delle proprie pulsioni: la droga, il sesso, il disgusto, la vendetta, la sopravvivenza. Non c'è altro. A ben vedere non c'è, non dico la speranza, ma neppure il sogno sedativo di una fuga, di un futuro fuori dal carcere. L'unica fuga è la morte, in fondo agognata, per gli altri e, a volte, per sè stessi, ma in fondo scansata (non temuta, scansata, quasi con noncuranza). Oltre le mura del carcere le menti dei protagonisti non riescono più a figurarsi nulla: qualche brandello di ricordo, di passato, ma il futuro è un oceano scuro, privo di dimensioni che non vale neppure la pena di essere preso in considerazione. Di tutto questo, della vita che scorre nelle loro vene, nè tantomeno di concetti più elevati, nei tre non esiste traccia di consapevolezza alcuna. Esistono, senza saperlo. Uccidono (o vorrebbero farlo) senza indagarne il motivo. Scopano senza altro trsporto che non sia un desiderio animale, equivoco, malato. Solo la droga permette loro dei temporanei perimetri di requie ai propri demoni.

Era tutto un non rendersi conto di niente. Della vita. Senza rendersi conto se stavano lì, dentro il cubo, marito e moglie, marito e marito, moglie e figli, padre e padre, figlie e genitori, scimmie atterrite e universali.
  (pag.20)

  La scrittura di Revueltas è un vortice, uno sguardo furioso, disgustato e attonito che, mentre descrive, ragiona, entra nelle psicologie dei personaggi e le trova (spazi, stanze) vuote, povere, maleodoranti, malconce, disperate, è una cavalcata che mescola punti di vista e sensazioni, pensieri, riflessioni, senza mai un attimo di tregua, lunghi periodi che evitano (per un pelo) la prolissità del narrare barocco grazie ad un poeticità che pur nella bassezza del materiale riesce a trovare un punto di equilibrio musicale (avete presente la nona sinfonia di Beethoven che accompagna le gesta dei drughi di Arancia meccanica?). Sono solo 51 pagine, ma di letteratura a tutto tondo.    


  José Revueltas (1914-1976), scrittore, sceneggiatore e attivista politico, è considerato in Messico un autore di culto. Ha scritto più di trenta libri tra romanzi, racconti e saggi politici.Qui potete trovare articoli ed approfondimenti sull'autore, nelle pagine del blog di Sur Edizioni.

2 commenti:

  1. Uno degli ultimi libri letti... Molto duro, nonostante la semplicità della narrazione.

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  2. Sicuramente duro, ma anche molto bello. Non conoscevo Revueltas, ma ora spero di aver la possibilità di leggere altro di suo.

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