"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 11 marzo 2014

Il nono cerchio, di Ignacio Padilla, Giunti editore

  L'Himalaya, e una grotta che non è solo una grotta ma un abisso. Un abisso che è, o potrebbe essere, l'inferno in terra, in senso letterale, con tanto di gironi (i cerchi appunto) e lo Stige; con Satana e le sue ali come vele nere, enormi, tese, ad attendere, sul fondo (forse il centro stesso della terra), i malaugurati idioti che si scegliessero la sventura di addentrarcisi (inabissarcisi). Ma non è popriamente di questo che parla il libro, anche ma non solo. Racconta delle spedizioni che si sono succedute, una dopo l'altra, sventura dopo sventura, tragedia dopo tragedia, gettandosi alla cieca nella ricerca, assurda, del fondo da raggiungere. Letteralmente, toccare il fondo. La brama, la sete di conoscenza, la volontà sorda di sapere ad ogni costo, per forza, per il piacere di conoscere, per la fama che ne consegue, per il potere che dalla fama direttamente discende. La sete di conoscenza dell'uomo - del singolo - e il folle desiderio di potere dello stato: da queste due diverse e complementari volontà nascono le spedizioni dirette alla Grotta del Toscano (così chiamata in quanto la Grotta dovrebbe essere l'inferno, il Toscano è Dante, il cantore del naturale alloggio di Satana). Tutto comincia in un presente in cui una spedizione di documentaristi decide di utilizzare alcuni giorni inoperosi per intervistare degli sherpa himalayani. Registrano otto ore di filmato con Pasang Nuru, leggendario sherpa ormai vecchio che racconta, dal principio, la storia delle spedizioni alla Grotta del Toscano, spedizioni alle quali lui, scettico e distaccato (di uno scetticismo tutto orientale, che sà di saggezza suo malgrado), ha partecipato e per le quali diviene presto un elemento indispensabile. Scende nell'abisso una prima spedizione ruritana, ed è un disastro, un frate cattolico, e non fa ritorno, una spedizione italiana di fascisti in cerca di gloria per il regime, poi un folle solitario dedito al travestitismo ed in infine la spedizione, apparentemente vittoriosa (l'unica), di cinesi, che torna in patria con in dono l'onore imperituro da deporre ai piedi di Mao (il popolo è il corpo, Mao la testa). Ma ogni spedizione porta in sè il suo mistero, le sue morti non spiegate e date in pasto al mondo come prova dell'eroismo delle proprie genti, le vite inghiottite dall'abisso, le macchine fotografiche trovate dalle spedizioni successive, una scarpa da donna abbandonata sul declivio per l'inferno, un cadavere intravisto in un punto in cui non dovrebbe trovarsi, una grotta che, man mano che s'inabissa, sprofonda nel gelo, un fondo di ghiaccio che pare sciogliersi nel tempo. E poi, una falsa Timbuctù in nord Africa, un rullino per il quale è lecito uccidere, cinesi in fuga dal regime, nani (assassini) e un gigante (assassino), scalatori leggendari, best seller che mentono sui fatti e libri di memorie neppure pubblicati, arti portati via dalla cancrena, e sherpa sventrati. E ancora: Reali Società di Esploratori e confraternite leggendarie (la confraternita di Zenda), stati inesistenti (il regno di Ruritania), opossum che si illuminano al buio, avventurieri che diventano leggende vendendo al mondo le loro menzogne, ed eroici avventurieri morti negli anfratti di quelle stesse menzogne. Il titolo originale del libro di Padilla, uscito nel 2006 in Messico (!), è La gruta del Toscano, ed è un fantastico omaggio alla letteratura fantastica, da Kipling a Conrad ai resoconti delle spedizioni di avventurieri e scopritori come Shackleton e Mallory, scritto magnificamente e magistralmente strutturato come una spy story nella quale, come in ogni spy story che si rispetti, nulla è come sembra, dove ogni certezza viene sapientemente costruita dall'autore con l'unico fine di smontarla pezzo per pezzo nei capitoli successivi. Il lettore viene lasciato a godersi un mondo che non c'è più, quello di inizio secolo scorso, quando le grandi esplorazioni erano ancora possibili, con pochi mezzi, molta fantasia e ancor più coraggio - quando non vera e propria avventatezza -, un mondo nel quale aveva ancora senso porsi il dilemma se davvero potesse esistere un inferno direttamente qui, sul piano della realtà, in Terra, lo stesso mondo d'altronde, in cui esimi studiosi sostenevano (e politici di regime davano loro follemente retta) la natura cava della terra, l'esistenza del Sacro Graal e di terre fantastiche come Shamballa, nonchè la presenza di Superiori Sconosciuti che da qualche immensa caverna sotterranea non meglio situata si divertivano a comandare il mondo intero e ad indirizzarlo verso un certo futuro piuttosto che un altro. Al contrario di quanto si è portati a credere leggendo la quarta di copertina, non esiste un protagonista vero e proprio, perchè non lo è Pasang Nuru, lo sherpa, e tantomento lo è il narratore, nè i protagonisti delle varie spedizioni e neppure il rullino misterioso. Forse, e sottolineo forse, protagonista di questa storia è la storia stessa, quel mondo vissuto da ossessioni ai limiti della follia, la brama assoluta di ricerca, la volontà cieca di sapere o, forse, protagonista è il mistero che fa nascere la voglia insopprimibile di conoscere.

  Una nota: non lasciatevi fuoriviare dal titolo e dai caratteri del titolo e dalla copertina (insomma dalla veste commerciale del libro) che vogliono a tutti i costi proporvi il libro quale prodotto new age o para-new age (come contrubuisce a fare la stessa impostazione della quarta di copertina che vuole vedere nello sherpa il protagonista, e narratore, orientale e saggio): nulla di tutto questo, per fortuna, Ignacio Padilla è un ottimo autore, capace di una scrittura chiara e complessa al contempo, che nulla ha a che vedere con profezie celestiniane varie. Se lo trovate, ve lo consiglio caldamente.

 
  Nato nel 1968 a Città del Messico, Ignacio Padilla si è laureato in Scienze della Comunicazione all’Università Iberoamericana, in Letteratura inglese a Edimburgo e in Letteratura spagnola a Salamanca. Ha trascorso due anni nello Swaziland, dove è stato condannato a morte con l’accusa di essere un terrorista: un’avventura che lo scrittore ha raccontato in Crónicas africanas.
Dal 2001 al 2003 è stato addetto culturale a Londra presso l’Ambasciata messicana. Nel 1996 ha firmato con Jorge Volpi e Eloy Urroz il celebre “manifesto del crack” per un rinnovamento della letteratura messicana.
È autore di saggi, di tre raccolte di racconti, di libri per bambini e di sette romanzi, uno dei quali, Amphitryon, è stato pubblicato in Italia da Fanucci nel 2000. I suoi libri sono stati tradotti in otto lingue e hanno ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, come il Premio Nacional Juan Rulfo para Primera Novela (1994) e il Premio Primavera de Novela (2000).
In italiano sono usciti anche: Ombre senza nome (Fanucci, 2005) e L'ombra dell'eroe (Giunti, 2007)
 

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