Questo libro è la dimostrazione pratica del perchè non andrebbero mai comprati (e prima ancora pubblicati, e ancor prima scritti) i cosiddetti instant book: lasciando trascorrere una decina d'anni dallo svolgersi degli accadimenti e affindando il materiale a uno scrittore di enorme talento quale è Juan Josè Millas, si rischia di ritrovarsi per le mani un ottimo libro. Ed è ciò che ha messo insieme l'autore partendo da un fatto di cronaca avvenuto a Ponferrada, un comune di quasi settantamila abitanti della provincia di Leòn, Spagna (ovviamente). Una giovane assessore del comune, Nevenka Fernandez, dopo essersi eclissata per diverso tempo dal suo lavoro in giunta, e aver così lasciato il campo libero a voci di qualsiasi genere ("è drogata"; "si sta dissintossicando in una clinica a Madrid"; "è entrata in una setta religiosa"; "è uscita di testa"), indìce una conferenza stampa nella quale annuncia le sue dimissioni e ne denuncia ai media la causa: le molestie sessuali subite da parte del sindaco, Ismael Alvarez, esponente locale di spicco del PP (Partido Popular). Il caso esplode a livello nazionale, viene trattato in televisione e sui giornali, tutti ne parlano e Millas, leggendo le cronache giornalistiche, comincia a porsi alcune domande: che razza di nome è Nevenka, per una spagnola purosangue? Da dove arriva, qual'è la storia di quel nome? E perché la Fernadez non rilascia mai un'intervista, non appare mai in televisione, rifiutando ricche offerte in denaro (proprio in un momento in cui di denaro aveva bisogno, e lavoro, causa il risalto del suo caso giudiziario, non le veniva offerto)? Cosa si nasconde dietro i pochi dati che emergono dalle cronache dei giornali? In quel momento la Spagna si divide tra chi sostiene che il sindaco sia colpevole e chi non può far a meno di malignare che se certe cose sono avvenute allora lei (giovane, carina) qualcosa deve pur aver fatto. C'è chi addirittura si autoconvince di aver visto immagini della Fernadez in minigonna alla conferenza stampa (come se fosse un sigillo di colpevolezza!), particolare che si rivela falso ma che, come sottolinea più volte Millas, altro non è che la manifestazione di una necessità della persona che ricorda quella minigonna: ho bisogno di pensare che sia lei quella sbagliata, quella che ha sbagliato, che si è comportata male, la poco di buono, perchè altrimenti dovrei pensare che tutto il sistema è marcio, e questo equivale a veder crollare d'un solo botto tutto un mondo che da quel sistema è sotteso. Di solito la gente ha bisogno di credere in qualcosa, e poi ha la necessità assoluta di non veder crollare le proprie convinzioni. Piaccia o meno è così che funziona. Il libro ripercorre i fatti, ma si spinge più in là, analizza la famiglia della Fernandez, le sue reazioni (preferiranno crederla pazza, o drogata, piuttosto che ammettere la colpa di un intero sistema di valori che la giunta e il partito di appartenenza della giunta rappresentava), e le origini di quella famiglia così sinistramente (non che si tratti di una famiglia sinistra, tutt'altro, ma è proprio quella normalità priva di sfumature ad essere inquietante, come può esserlo un cubetto di porfido o un blocco di marmo) "normale". Ne esce un ritratto in movimento di una giovane donna che in tenera età scopre (da qui il titolo: hay algo que no es como me dicen: c'è qualcosa che non è come mi raccontano) di essere nata fuori dal matrimonio (fatto gravissimo in quel tipo di società che andava fiera di vedere in un capellone un sicuro drogato sociopatico) che trascorre la sua vita impegnandosi a farsi accettare dai suoi stessi genitori, dal padre in particolar modo, tanto da arrivare ad essere sempre, tra i fratelli, quella con la testa sulle spalle, che primeggia in tutto, responsabile, quella che cerca in ogni modo l'approvazione del padre (dirà: "piacevo a tutti gli uomini, tranne a mio padre") al punto da lasciarsi immergere in una realtà e in un sistema di valori che accetta passivamente, senza mai domandarsi se possa davvero essere il suo, quello in cui si rispecchia a fondo. E quando incappa in un uomo, Ismael Alvarez, il sindaco, della stessa età del padre, che incarna, almeno politicamente, gli ideali del padre, non sa rendersi conto che questi è un predatore sessuale che la involve in una rete di ammiccammenti, di doppi sensi, di ricatti, di premi e di punizioni che la fanno scivolare nel ruolo della vittima perfetta, incapace di reazione alcuna di fronte alle pressanti ed esplicite richieste dell'uomo. Quando l'ansia predatoria si incarna in una situazione di vero e proprio mobbing da manuale oltre che di molestie sessuali, la Fernandez ha ormai i nervi a pezzi, è totalmente nelle mani del suo predatore e non può far altro che fuggire. Fin qui, viene da dire, purtroppo, nulla di nuovo nè di particolarmente stimolante, al più ci ritroviamo disgustati, ma la parte realmente interessante (e che chiaramente ha interessato e affascinato Millas) del libro comincia con la presa di coscienza che il mondo solidarizza con il carnefice e non con la vittima, in primis la famiglia stessa della Fernandez. La risposta al perchè di tale reazione apparentemente illogica sta già nella risposta che Millas fornisce per spiegare come qualcuno abbia potuto vedere una minigonna dove una minigonna non c'era: è più facile (e meno pericoloso, meno doloroso) immaginare una colpa nella vittima che riconoscerla in un intero sistema valoriale, senza contare le ovvie ripercussioni che in casi del genere hanno gli aspetti più marcatamente (e storicamente) machisti di una cultura che perpetua sè stessa continuando a identificare la donna come semplice oggetto sessuale. Da qui parte una terza parte del libro nella quale la protagonista (protagonista suo malgrado, viene da dire) affonda, tocca il fondo e infine rinasce: i vari passaggi che la portano a decidere di denunciare il sindaco e, prima ancora, a comprendere di non essere pazza, di essere lei medesima un caso esposto nei manuali che si occupano di molestie sessuali (tanto che, leggendone uno per la prima volta, le pare che sia stato scritto ispiradosi alla sua storia personale), a capire come le sensazioni, spesso terrificanti, cui non riusciva a dare un nome, un nome in realtà l'avevano, erano già state codificate da qualcuno perchè erano già state innumerevoli volte vissute da qualcun altro, e questa possibilità che le si para di fronte, di ridare un nome alle cose, come se si trovasse all'inizio della creazione, la spinge verso orizzonti che la vita che si era ritagliata per compiacere suo padre neppure prevedevano. Scopre che, nell'ambito politico, l'unica persona che si interessa a lei, che si comporta correttamente e che la aiuta è proprio la leader locale del PSOE, vale a dire il partito d'opposizione in comune e il principale avversario a livello nazionale, che mai proverà a trarre vantaggio (politico appunto) dallo scandalo scoppiato nel partito avverso e che, anzi, come detto, cercherà di aiutarla, verrebbe da dire "da essere umano ad essere umano" prima ancora che " da donna a donna ". Scoprirà che fumarsi un porro, una canna, non è l'anticamera della tossicodipendenza, e anche tra i fumatori di marjuana amici del suo fidanzato Lucas, incontrerà solidarietà e aiuto. Si troverà costretta a lavorare come operaia sfruttata, come non avrebbe mai pensato di dover fare (certo la sua famiglia non aveva previsto che entrasse a far parte delle sue esperienze formative). Rimarrà legata al fidanzato Lucas, che la sosterrà sempre, in un modo tutto suo, silenzioso ma fermo, risoluto e al contempo dolcemente virile. Infine oltrepasserà i confini della Spagna e se ne andrà a vivere in un paese non meglio specificato del Nord Europa, col suo Lucas, a ricrearsi una vita, a dare il nome alle cose un'altra volta, in un'altra lingua. Rimane, alla fine del libro (tra parentesi, il processo vedrà il sindaco condannato), lo sconcerto dell'autore nel dover prendere atto che nella moderna Spagna di oggigiorno la normalità è vedere la vittima dover emigrare mentre il colpevole se ne resta a curare i suoi affari nella città in cui ha compiuto i suoi misfatti circondato dall'affetto e dalla benevolenza dei suoi concittadini.
Il libro, scritto con lo stile e l'acume di cui è capace Millas, è uno scoperchiare la pentola, guardarci dentro, studiare il contenuto, e poi richiuderla chiedendosi come sia possibile che i commensali avvelenati ne vogliano ancora. Acutezza, perplessità, sconcerto. Non tanto verso la società spagnola quanto verso la natura umana.
Purtroppo per chi non conosce lo spagnolo, il libro non è tradotto in italiano, ed essendo uscito nel 2004 in Spagna, temo che ormai continuerà a rimanere tale.
Juan José Millás è nato a Valencia nel 1946. Dopo aver studiato
lettere e filosofia all'Università Complutense, si è poi interamente
dedicato al giornalismo e alla scrittura. Tra i suoi numerosi volumi di
romanzi e di racconti, in Italia sono usciti Il disordine del tuo nome (Cronopio), L'ordine alfabetico, Non guardare sotto il letto (Il Saggiatore) Il mondo, Carta straccia (Passigli editore). Einaudi ha pubblicato Racconti di adulteri disorientati («L'Arcipelago Einaudi», 2004), La solitudine di Elena («L'Arcipelago Einaudi», 2006) e Laura e Julio («L'Arcipelago Einaudi», 2007).
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
lunedì 11 novembre 2013
Hay algo que no es como me dicen (el caso de Nevenka Fernandez contra la realidad), di Juan Josè Millas, editorial Seix Barral
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