"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 23 ottobre 2012

Cargo, di Matteo Galiazzo, Einaudi editore

Questo libro è stato pubblicato nel 1999, lo scorso millennio, dalla casa editrice di Via Biancamano. Cosa sia questo libro, non lo so. Questo libro, Cargo, è stato scritto da Matteo Galiazzo. Un amico dell'autore l'ha definito "una onesta truffa affabulatoria", e penso che avesse ragione, ma rimane il fatto che è una definizione perfettamente centrata che però non ci permette di avanzare sulla strada del chiarimento nemmeno di un passo. Cioè, cos'è questo libro, Cargo? Questo libro Cargo di Matteo Galiazzo. Potremmo dire che una definizione vera e propria non esiste ma che ci possiamo avvicinare poco alla volta, e sempre di più, alla natura del libro, ma che ogni volta che ci avviciniamo ad una descrizione il più completa e corretta possibile, l'oggetto stesso della nostra ricerca diviene impercettibilmente più lontano. Ci avviciniamo ma non possiamo raggiungerlo: lo spazio che intercorre tra la definizione dell'oggetto e l'oggetto stesso, poco alla volta che lo percorriamo, si divide in un numero infinito di spazi minori che, in quanto infiniti, non ci permetteranno mai di raggiungere il termine del percorso. Ecco, le parole comprese tra "Potremmo" e "percorso", quelle in corsivo per intenderci, sono quanto di più vicino può esserci ad una descrizione del libro Cargo, di Matteo Galiazzo. Nel 1996 Galiazzo esordisce con un racconto (uno dei migliori, se non il migliore) nell'antologia Gioventù cannibale (immagino sia inutile spiegare cosa sia stata e, soprattutto, cos'abbia significato per lo svecchiamento della letteratura italiana questa raccolta), nel 1997 pubblica per Einaudi la raccolta di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte, poi viene Cargo nel 1999, poi Il mondo è posteggiato in discesa nel 2002, poi più niente. E mica non è morto, Galiazzo. Si è laureato, ha trovato lavoro, dice ha altro da fare. Vabbè. Torniamo a Cargo: Cargo di Matteo Galiazzo è un paradosso, anzi, è una serie infnita ed intrecciata di paradossi e sproloqui scientifici o pseudo tali, è un insieme di pensieri, di ragionamenti posti sotto forma di storie abbozzate che non appena vengono accennate si perdono in mille rivoli lontani. E' un calice di intelligenza viva che trabocca, che non si prende sul serio, che quando finge di raccontarci una storia già mette in chiaro (o comunque lascia intendere) che si tratta di una scusa, anche mal posta all'interlocutore (cioè al lettore), per fare quattro chiacchiere in totale relax, come si può fare tra amici. Tra amici che si stimano, che amano ascoltarsi ragionare per tirare a far serata. Ci sono diverse linee narrative, ma spesso non ci si accorge neppure che lo siano: paiono correre si binari paralleli ma lontani, poi si intrecciano, quasi loro malgrado, di malavoglia, e solo per strizzare l'occhio al lettore e dargli un contentino. Volevi un finale? Eccotelo servito. ma non è un finale, non ci sono finali perchè in un certo senso non c'è un inizio, non ci sono incipit: è come se aprendo il libro entrassimo in una stanza a discorso già iniziato e alla fine venissimo gentilmente messi alla porta quando ancora non s'è terminato di ragionare. Che dire? C'è Alfio, che è un investigatore privato, che pedina una ragazza per conto di un amico che ne è il fidanzato, o che sostiene di essere il fidanzato, ma la ragazza pedinata (la presunta fidanzata) non lo conosce. C'è un miliardario che ha fatto fortuna con delle idee assurde sugli imballaggi, la cui moglie viene rapita per evitare che lui possa portare a termine una scalata d'acquisizione ad una società in mano alla mafia. La moglie del miliardario diventa, da rapita, una scrittrice famosa di best seller (due, best seller: "Dalla grotta" e "Dalla grotta2"). In un universo parallelo i libri si tengono in tubetti e due carcerati confrontano le loro vite in cella. Uno di loro ha il sistema simpatico in panne e deve gestire tutti i movimenti involontari del corpo (battito cardiaco respirazione, ecc) in maniera consapevole. Si parla delle Terre della bassa natalità dove è così raro riuscire a concepire che non approfittare di qualsiasi occasione per congiungersi carnalmente con chiccessia è un reato. Letteralmente. Si parla della legge dell'acceleratore, che tutto regola, nel mondo, e nell'universo, in un modo o nell'altro, in una sua declinazione o in un altra. Si parla dell'economia che alla fine si può riassumere nell'espressione "spremere sangue dalle rape". Cargo di Matteo Galiazzo è come sentire parlare Margherita Hack sotto acido, che spiega l'universo e tutto il resto, in maniera sbilenca, confusa e terribilmente divertente; come seguire i ragionamenti di un ubriaco che sa di essere ubriaco. Cargo è tutto questo e anche altro ma, come spiegato qualche riga più sopra, è un paradosso perchè c'è, esiste, ma non è raggiungibile, Cargo è una terra dell'utopia che possiamo solo scorgere all'orizzonte. Non è facile da spiegare, non è mai facile, ma in questo caso è meno facile del solito. A mio avviso questo libro è un capolavoro. I testi di Galiazzo, che siano romanzi (due, se consideriamo questo, Cargo, un romanzo) o racconti, hanno la caratteristica delle cose di qualità: il tempo non li invecchia. Al contrario, leggendoli, è come se fosse il tempo a riavvolgersi su sè stesso e tornare a quegli anni di fine millennio. Galiazzo è scomparso, letterariamente parlando, dieci anni fa, ed è diventato una sorta di Saliger italiano (scusate la banalità), ma per certi versi è meglio di Salinger, è più visionario: è più Vonnegut ad esempio. Lo sarebbe se volesse esserlo, o se gli interessasse esserlo. Il problema è che da dieci anni a questa parte pare non avere neppure interesse ad essere Matteo Galiazzo, letterariamente parlando. Il problema non è suo, immagino che abbia di meglio da fare; il problema è nostro che siamo costretti a rileggere i suoi pochi libri pubblicati e a sentirci orfani dei suoi paradossi, delle sue follie, della sua mostruosa capacità affabulatoria, e a rimanere in attesa. In verità quest'anno la casa editrice Indiana ha dato alle stampe una raccolta di racconti titolata Sinapsi ("opere postume di un autore ancora in vita"), che riunisce testi già pubblicati in rete o su riviste letterarie (menzione speciale a Il maltese narrazioni), tranne, mi pare, un inedito. E' incredibile pensare che una casa editrice minore sia riuscita in questa operazione e che Einaudi, che all'epoca dimostrò fiuto e coraggio nello scoprire e pubblicare Galiazzo, non si sia neppure posta il problema di riportarlo nelle librerie. Cargo attualmente è difficilmente reperibile (chissà che Einaudi non si decida a ripubblicarlo), ma se vi capita di incapparvi in qualche bancarella o remainder non lasciatevelo sfuggire.

 Matteo Galiazzo è nato a Padova nel 1970 e vive a Genova. È autore della raccolta di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte (Einaudi 1997) e dei romanzi Cargo (Einaudi 1999) e Il mondo è posteggiato in discesa (Einaudi 2002). Suoi racconti sono usciti nelle antologie Gioventù cannibale e Anticorpi (Einaudi 1996 e 1997) e nella rivista «Maltese narrazioni», di cui è tra gli animatori. Quest'anno è tornato in libreria con la raccolta Sinapsi, opere postume di un autore ancora in vita, per Indiana editore.



  Non ho mai letto Tolstoj, né Pasolini, né Salinger, né Hesse, non ho mai letto Pirandello, non ho mai letto Hemingway, Kerouac, Proust, Hugo, non ho mai letto Fenoglio, né Primo Levi, né Carver, né Conrad. Pensate a un autore che ritenete imprescindibile: molto probabilmente io non ne ho letto nemmeno una riga. Attualmente il libro piú bello che ho letto in vita mià è Gödel, Escher, Bach, un'eterna ghirlanda brillante di Douglas Hofstadter. Non è una cosa solo mia: ho scoperto che molti lo considerano il libro piú bello che abbiano letto in vita loro. A volte quando sono in libreria mi metto vicino allo scaffale dove c'è Hofstadter, e spesso passa qualcuno che dice a qualcun altro: « Vedi? Quello è il libro piú bello che abbia mai letto».
Nella mia personale classifica dei libri piú belli, anche nelle posizioni successive non ci sono testi di letteratura:
Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond, La realtà inventata a cura di Paul Watzlawick, Dio e la nuova fisica di Paul Davies, e altre robe cosí.
Nella letteratura ho sempre cercato piú o meno le stesse cose, romanzi in cui storia e ambientazione fossero un pretesto per pagine manualistiche che illustrassero tecniche, tecnologie, mestieri, o visioni extraumane. Ecco, mi piacciono i libri che spostano il genere umano dal centro del pensiero.
Insomma, sono stato un lettore di letteratura soprattutto a causa della mia pigrizia, perché i romanzi fino a una certa età erano piú invitanti dei manuali e dei saggi, tutto andava giú piú facilmente. Perché leggere un noioso manuale di procedure di volo quando invece puoi prendere una copia di
Staccando l'ombra da terra di Daniele Del Giudice?
La cosa strana a questo punto è che io mi sia messo a scrivere narrativa, dato che della narrativa mi interessano questi aspetti piuttosto marginali. Perché, mi potrebbe chiedere uno, perché ti sei messo a scrivere racconti e romanzi e non manuali di questo e di quello? Perché a pochi è consentito scrivere un manuale. A chiunque, invece, è consentito scrivere un romanzo, non ci sono controlli cosí severi. Allora eccomi qua.

Matteo Galiazzo

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