"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 7 ottobre 2011

Chi non muore, di Gianluca Morozzi, Guanda editore in Parma

Angie, mamma mia! Il romanzo qui recensito sta tutto in una parola, che poi è pure la protagonista assoluta del romanzo: Angie, vale a dire Angela detta Angie. Così somigliante ad Angelina Jolie, tette a parte, con le sue labbra carnose e il suo essere un po' rocker e un po' snob, e la sua follia dei vent'anni o giù di lì, quella stessa follia che tutti abbiamo avuto a quell'età o, più che altro, tutti abbiamo sognato di avere e che ora, passata abbondantemente la trentina, tutti ci illudiamo di aver avuto. La storia pretenderebbe di essere un giallo, un giallo che poi finirà col tingersi di sfumature paranormali, così come Cicatrici, ma la pretesa è una finzione. Non è un giallo. Nel senso che usa la struttura (seppur in modo molto elastico) del giallo per parlare di altro, non so esattamente di cosa. Non so dire di cosa tratti perchè non so se ci sia un messaggio o un argomento particolare - se c'è non me ne sono accorto o me ne sono scordato - quello che so è che è la storia di Angie, è una sorta di telecamera che entra nella sua vita, dietro i suoi occhi, all'interno del suo cristallino e delle sue sinapsi cerebrali per mostrarci il mondo confuso, sconclusionato, forse pure terribile, ma ancora totalmente aperto ad ogni sviluppo, di una ventenne che vive da sola in una città universitaria, una ventenne che dovrebbe trascorrere le sue giornate all'università ad apprendere e a studiare e che invece pensa alla musica e a diventare una rocker. La musica, non tutta la musica e non una musica in particolare, bensì tutta quella musica che la fa sentire viva e, soprattutto, diversa. Diversa da tutto e da tutti. L'italia banale, massificata, bigotta e videodipendente, sostanzialmente lobotomizzata di questi anni non è neppure sullo sfondo, ma si limita a venir ben rappresentata dalle odiate coinquiline di Angie. Delle idiote, maniacali, bigotte, paranoiche e quant'altro, ma che non servono a nulla se non a ridicolizzare sè stesse. Il centro del romanzo non è neppure il mistero della morte di tre elementi di una band avvenuta anni prima del presente in cui Angie racconta, e non risiede neppure nella storia d'amore tra Angie e Mizar: il centro del racconto è la furia devastante della protagonista che ci racconta in presa diretta cosa fa e cosa pensa, e anche quando"fa" senza pensare, il suo essere a volte perfida e altre superficiale ed altre ancora lievemente romantica. E' la voce della gioventù cosciente di essere tale e che si concede la licenza di guardarsi da fuori e di viversi contemporanemante. Il finale, a mio avviso, lascerà un po' l'amaro in bocca, perchè se era una finzione il giallo ovviamente non può che essere una finzione pure la soluzione del giallo, ma non è questo il punto, perchè il romanzo non lascerà l'amaro in bocca, per nulla. Quello che rimane è la sensazione di essere incappati raramente, o forse mai, in un personaggio così fresco e assoluto, femminile e forte al contempo, nella letteratura italiana contemporanea. E su questo bisogna riconoscere a Morozzi un ulteriore balzo nella sua caratura di scrittore: è riuscito a creare un personaggio nuovo (senza peraltro esserlo realmente) e fornendolo di una voce - questa sì - assolutamente unica e perfettamente azzeccata.
La voce di Angie. Angie. Il sesso di Angie. La sua musica. Il suo mondo scapestrato e futilmente anarchico.
La copertina invece fa schifo.

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