"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 17 ottobre 2011

Dannazione, di Chuck Palahniuk, Mondadori

Chuck Palahniuk è uno dei pochi autori veramente imprenscindibili della letteratura contemporanea nordamericana e, se a volte, soprattutto ultimamente, la sua sovrapproduzione non giova alla qualità finale dell'opera, non si può dire lo stesso di questo libro. E' un libro che, come nella miglior tradizione del bardo psichedelico di Portland, spiazza chi legge e questo è - sempre - segno di rispetto verso il lettore. Ci spiazza perchè è una sorta di oggetto letterario non identificato, che strizza l'occhio più a Swift (non per niente citato nell'opera) che a Dante, e che riesce a mettere insieme richiami cinematografici e assolutamente pop ad una scrittura totalmente letteraria. Non so, forse sta proprio in questo la grandezza di Palahniuk, nel mettere insieme piani, livelli e riferimenti diversi all'interno di prodotti (alti) del tutto narrativi. La storia, è presto detto, è quella di una ragazzina tredicenne, figlia di genitori ricchi, famosi e democratici (ex hippye, ex anarchici, ex punk, ex tutto) che si ritrova ad essere morta, semplicemente, e oltre a questo stato non propriamente invidiabile, ad affrontare la prospettiva di trascorrere l'eternità all'inferno. L'inferno quello sotto il comando tirannico ed assoluto di Satana, esattamente quello che i suoi genitori ex sessantottini le avevano insegnato che non esisteva. Così Madison scopre che c'è vita dopo la morte, che la sua personalità rimane invariata e che, a conti fatti, l'inferno non è quello schifo di cui si dice in giro, nel mondo dei vivi. Ha tredici anni, è vergine (e destinata quindi a rimanerlo in eterno), intelligente (o crede di esserlo), grassa, impacciata e poco sicura di sè. E'  morta per un overdose di marjiuana, per questo crede di essere stata condannata alla dannazione eterna: tra l'altro scopre che ci si danna per molto meno, per aver detto cazzo più di un tot di volte nella vita, per aver suonato troppe volte il clacson in vita o per aver sputata in terra. Cose così. L'inferno, come ci viene raccontato da Madison, è un luogo terribilmente burocratico. Oltre che essere afflitto da un'incuria che dura probabilmente dalla sua fondazione, quantomeno a vedere le condizioni in cui versa. Madison, però, non è una ragazzina come tutte le altre, non fa la schizzinosa rispetto alla poca igiene con la quale deve imparare a convivere, non si abbatte, non si piange addosso per qualche millennio e, soprattutto, si sforza di avere un approccio positivo rispetto alla sua nuova condizione. Conosce e fa amicizia con un adolescente punk dalla cresta azzurra, con un giovane giocatore di footbal, con una ex cheerleader con seni e fianchi da fare invidia ad un'attrice e con un secchione che sa tutto di demoni e cosmologie infere. Troverà un lavoro, laggiù, nell'ade, e avrà modo di raggiungere una certa notorietà. Scoprirà cose su sè stessa che in vita non era riuscita neppure a sospettare, e avrà una visione più chiara della sua morte. Del come e del perchè. Un romanzo di formazione infera, o un esercizio di fantasia sballata e selvaggia, o un esperimento post-post moderno, o una riflessione sul nostro mondo contemporaneo e sul senso della vita, o forse qualche cos'altro ancora che comprende tutte queste letture e ne aggiunge altre. Cosa sia, onestamente, non lo so. Non lo si mai, o quasi mai, coi buoni libri, e questo è un buon libro. Parte in un modo, e vira innumerevoli volte verso lidi ai quali non approda mai. Però non lascia in bocca la sensazione di qualcosa di incocluso. La critica ufficiale pretende che Palahniuk sia il cantore dei nostri tempi malati, della cultura di massa, dei sogni e degli incubi terrificanti che si innestano sulla nostra realtà, ormai troppo espansa per avere limiti e confini ben chiari, e forse è vero. Forse è così. Se questa è la lettura corretta da dare all'opera di Palahniuk, bisogna ammettere che riesce nel suo intento con notevole maestria, con una capacità rara di sondare non tanto le storie quanto i livelli di nevrosi e commistioni culturali e amensie sociali che sottendono le storie stesse. Voglio dire che alla fine dei suoi libri spesso ci si chiede se davvero ci ha raccontato qualcosa o se, piuttosto, non abbia trovato delle scuse per sballottarci in qua e in là su piani sottili della realtà e dell'inconscio collettivo contemporaneo che altrimenti ci sarebbero stati preclusi.




  Il libro si conclude con la parola: CONTINUA, seguita da puntini. Tre puntini...
  Così: Continua...
  Chissà che non ritroveremo Madison in purgatorio e/o in paradiso a parlarci più di noi e della follia che ci circonda che non di sè stessa...

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