I quattro scesero, entrarono nel bar e ordinarono birra.
- Salute, - disse il primo.
- Salute, - rispose il secondo.
- Che domani sia un giorno fortunato, - disse il terzo.
- Che possiamo tornare a casa, - aggiunse il quarto.
- In che senso?
- Ciascuno a casa sua.
- Dicono che la propria casa stia esattamente dove nasce l'arcobaleno.
- Allora non dev'essere un posto facile da raggiungere.
- Certo che no.
Pagarono, uscirono e ripresero la strada.
L'albergo, i preparativi, la serata, due passi per il paese con la tensione da tenere sotto controllo, con l'imperativo di distrarsi ma non troppo. Quasi turisti, quasi lavoratori in trasferta, e quasi per nulla rapinatori: non ancora. S'imbattono in una scena che dovrebbe essere divertente, invece è inquietante: un matrimonio che non è un matrimonio: lo scemo del paese a cui viene fatto credere di sposarsi con una ragazza fatta arrivare apposta per lui, la ragazza vestita da sposa che in realtà è una prostituta pagata dai compaesani per farsi gioco dello scemo. Tutti ridono, si stringono attorno alla burla come avvoltoi attorno ad una carcassa. Quando la ragazza sparisce e lo scemo rimane da solo senza capire cosa sia successo è l'apoteosi. Per i quattro rapinatori la scena è straniante, ma la vivono come pesci dall'interno di un'acquario, è la realtà, è ributtante, è quella stessa realtà che li ha feriti e lasciati in ginocchio, quella stessa gente che si accanisce sul più debole, ma vanno avanti, non sono giustizieri: quattro passi per il paese, una bevuta, si guardano attorno, poi tornano in albergo. Intanto, uno di loro, Jorge, a ballare conosce Adriana, e non rientra, va a casa di lei, ci va a letto. Adriana è giovane, sta per sposarsi: forse, se l'avesse incontrata prima la sua vita, quella di Jorge, avrebbe potuto essere diversa, o forse no, non sarebbe cambiato nulla. Ma il momento importante sarebbe stato il giorno dopo, lì sta il fuoco, lì sta il futuro: la rapina. Alla banca di Bosque.
Bosque è una cittadina, ed è tutte le cittadine, non solo argentine o latinoamericane, ma del mondo. I suoi abitanti sono l'umanità stessa, sempre sull'orlo dell'abisso che li separa da una caduta nel selvaggio primitivismo. Gli istinti che li guidano sono quelli che guidano un branco di lupi: solo le regole del branco permettono un'apparente ordine e tranquillità, ma oltre le regole c'è l'istinto di sopraffazione. Stop, solo quello. Dalla rapina in poi è una caduta continua, un crollo verticale, e uno scatenarsi del branco di lupi contro gli intrusi. Jorge, Cucurucho, Dante e Ramiro si vedono costretti a darsi alla fuga, ma senza riuscire ad uscire dal paese. Il branco li accerchia, li divide, e li segue. Ne segue le tracce, li stana, poco per volta, uno per uno, senza fretta, col pulsare del sangue che martella le vene con l'aumentare del tempo che passa. L'unica speranza per i quattro è il sopraggiungere della notte, che è ancora lontana e si staglia nelle speranze dei rapinatori come l'unica possibile via di fuga. Intanto però devono trovare un riparo, ognuno per conto proprio. Le strade del paese sono ormai pattugliate da bravi cittadini in assetto di caccia, i sensi tesi alla ricerca degli animali da stanare. Ovviamente, mentre le regole del vivere civile vengono sovvertite per trovare i rapinatori, gli istinti bestiali prevalgono, e vecchi conti in sospeso interni al branco di stimati cittadini tornano a galla e vengono regolati. E' il momento ideale per uccidere la propria moglie ad esempio, e per poi far ricadere la colpa sui rapinatori in fuga. L'azione messa in scena da Dal Masetto è un perfetto saggio di psicologia delle masse in forma di romanzo, caduta l'apparenza di civiltà, sospese temporaneamente le regole, quello che emerge è l'istinto bruto e primordiale della folla che si autoalimenta e cresce. Cresce fino a divenire furia incotrollabile. I rapinatori, va detto, non vengono (per fortuna) dipinti dall'autore quali "cattivi dal cuore tenero", cattivi ma non troppo, e non per colpa loro: sono quattro sbandati che, forse, in altre circostanze sarebbero stati anche dei buoni cristi (ma non è detto), ma che comunque la realtà nella quale sono sprofondati se la sono costruita con le proprie mani, per incapacità, distrazione, sfortuna, per mille motivi, ma non sono solo vittime. Non è detto che, ad averne la possibilità, non avrebbero ripetuto gli stessi errori che li hanno portati ad essere quel che sono. Di più, il sospetto è che se fossero dalla parte dei bravi cittadini, a questo punto si comporterebbero essi stessi da lupi. Non ci sono buoni in questa storia. C'è qualche perdente così perdente da essere talmente ai margini di qualsiasi branco da risultare un tantino più umano degli altri suoi simili, ma anche in questo caso la maggior umanità non è una scelta consapevole, bensì una condanna.
Il prete si rimise a parlare:
- Perchè fa questo?
- A cosa si riferisce?
- Figliolo, ci sono altre maniere di fare soldi.
Ramiro lo bloccò con la mano, senza alterarsi:
- Precisiamo le cose. Prima di tutto, non mi chiami figliolo, non sono suo figlio. In secondo luogo, se davvero ci tiene a saperlo, il denaro non m'interessa.
- Non capisco.
- Non importa.
- Se non le interessano i soldi, perchè li ruba?
- Non mi ci metto neanche a spiegarglielo.
- Con me può parlare.
- No, non posso.
- Se oppone resistenza la uccideranno.
- Si.
- E anche lei ucciderà.
- Si.
... - La violenza non serve, non serve mai.
Questa volta Ramiro tentò di sorridere e non ci riuscì. Alzò l'arma:
- Lei la chiama violenza. Questa è una violenza minore. C'è un altro tipo di violenza, quella vera, quella che ci condanna tutti per sempre. E anche quella che voi esercitate dal pulpito.
La penna di Dal Masetto scava negli spazi silenziosi che vibrano nelle teste dei protagonisti e, spesso, nelle incomprensioni mute tra i personaggi. Le parole, quando vengono pronunciate pesano come macigni, non perchè siano portatrici di una qualche verità ma, al contrario, proprio perchè non lo sono. Le parole, i silenzi, le scelte, anche quegli scampoli, rari, di umanità sono tutti personaggi del romanzo che, come gli altri, esistono solo sotto una cappa asfissiante che è il destino, un moloch senza nome, senza volto, immobile, al cospetto del quale, bene o male, tutti soccombono. Il destino è uno specchio muto che vince sull'uomo proprio perchè lo costringe a specchiarsi. Per questo l'uomo - i quattro rapinatori in questo caso, Jorge, Ramiro, Cucurucho, Dante - fugge. Il sesso, la violenza, l'omicidio, l'istinto di caccia, la logica del branco, il tradimento: ogni cosa viene mostrata con la spietata freddezza di chi, scappando, già sa di non avere scampo. La fine è nota (da qui l'ironia sottile ma feroce del titolo), ma ciò non toglie il piacere quest'ottimo libro che ha il passo claustrofobico dei grandi noir (pur non essendolo), la lentezza di un afoso pomeriggio d'estate, implacabile come il sole di mezzogiorno.
Questo libro ha un suo seguito naturale in Bosque (edito da Le Lettere editore, come già Strani tipi sotto casa, recensito Qui ) che sarà sicuramente recensito su questo blog.
Antonio Dal Masetto. Nacque a Intra (Verbania) nel 1938 da genitori contadini. La sua famiglia emigrò in Argentina nel 1950 e si stabilì nella città di Salto. Qui imparò lo spagnolo leggendo libri della biblioteca del paese. Uno dei temi principali delle sue opere è quello dell'immigrazione, come in Oscuramente fuerte es la vida o La tierra incomparable (premio Biblioteca del Sur 1994). Da giovane lavorò come imbianchino, gelataio, impiegato pubblico, venditore ambulante, e giornalista. Il suo primo libro di racconti, Lacre, venne menzionato dal Premio Casa de las Americas. In italia sono stati tradotti E' sempre difficile tornare a casa (Einaudi 2004), El bosque (Le lettere 2004) e Il sacrificio di Giuseppe (La nuova Frontiera, 2009).
Fino alla morte, avvenuta il 2 novembre 2015 all'età di 77 anni, ha collaborato con la rivista Página/12 di Buenos Aires.
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