"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

domenica 22 ottobre 2017

Le venti giornate di Torino, di Giorgio De Maria, Frassinelli editore

    1977-2017: questo è l'arco temporale entro il quale si inscrive la parabola di uno dei casi editoriali più singolari della letteratura fantastica nostrana. Le venti giornate di Torino, di Giorgio De Maria, viene pubblicato nel 1977 (il primo Gennaio) dalle Edizioni Il Formichiere. Quarant'anni dopo, quando ormai quasi nessuno, se non pochi estimatori, conservavano il ricordo del passaggio editoriale del libro, la casa editrice americana Norton, lo ripubblica, riportandolo alla luce dopo un oblio lungo abbastanza da averlo fatto dimenticare ai più. Ora, preso atto del luogo comune che certe opere fanno giri immensi e poi ritornano, il libro torna a disposizione del suo paese d'origine e del suo primo pubblico naturale grazie all'editore Frassinelli. Per quelle strane circostanze che non esiteremmo a definire casualità, il libro racconta la storia di un anonimo ricercatore/investigatore che, dieci anni dopo i fatti, torna ad indagare sulle venti giornate che (appunto dieci anni prima) avevano sconvolto la città di Torino con un susseguirsi di eventi assurdi ed inspiegabili, nonché feroci e grotteschi, tutti apparentemente legati alla nascita di una misteriosa biblioteca cittadina, per poi essere rapidamente cancellati quasi del tutto dalla memoria collettiva.
Tutto poteva avere accesso alla Biblioteca: prodotti gracili o innaturalmente 
rigonfi... Capolavori capitati per caso... Manoscritti le cui prime 
cento pagine non rivelavano alcuna anomalia, e poi a poco a poco 
franavano verso abissi di follia senza fondo... Altri invece concepiti
 con puro spirito di cattiveria... La casistica era infinita...Il frequentatore
 tipico della Biblioteca era un individuo timido, desideroso
 di approfondire la propria solitudine e di farla pesare al massimo sugli altri.

La Biblioteca, creata e propugnata da un esercito silenzioso di giovani azzimati e fin troppo ordinati per non risultare oltremodo inquietanti (un po' troppo simili a quelle falangi di ragazzi neofascisti che in quegli anni si scontrava a Palazzo Nuovo coi coetanei di sinistra), è un social network ante litteram: uno spazio dove viene raccolto qualsiasi scritto il comune cittadino voglia depositarvi, rendendolo accessibile alla lettura di chiunque sia interessato a leggerlo e, insieme allo scritto, consegnando alla pubblica consultazione i dati anagrafici dell'autore (identità, residenza). Manoscritti che, a poco a poco, franavano verso abissi di follia senza fondo, concepiti con puro spirito di cattiveria. Questo, viene lasciato intendere, è il centro focale del maelstrom nel quale la città, dieci anni prima, è stata risucchiata, in abissi di follia, appunto, senza fondo. Ma, come spesso avviene nel corso del romanzo, come regola tecnica, più di ciò che si dice abbonda quanto rimane non espresso. Il non detto è quell'alito del maligno lasciato a vibrare a mezz'aria che infesta la città e che spaventa oltremodo in quanto lascia le cause, e i mandanti, nell'ombra, un'ombra tanto fitta da lasciare nel dubbio che cause e mandanti esistano davvero e non siano altro che un riverbero del buio nel buio. Non verremo a sapere chi siano i giovani eleganti e per bene, agghindati, che hanno creato la Biblioteca, né da dove arrivino e in quale oscuro piano si collochi l'esistenza inquietante della Biblioteca: sappiamo solo che c'erano, e che sono stati loro. Come sia collegata la Biblioteca all'epidemia di insonnia che, in quelle terribili venti giornate (in quelle sulfuree e deliranti venti notti), aveva portato decine di cittadini in giro per le strade notturne in stato catatonico come squadre di zombie idioti scollegati tra loro, anche questo rimane avvolto da una nebbia che, pur non facendo parte del panorama cittadino torinese, è parte integrante del racconto. Ogni cosa, la narrazione stessa, stilisticamente sobria e controllata, è intrisa di nebbia che più che nascondere, confonde. Lo sforzo del narratore e protagonista di riportare ordine nella memoria sbiadita degli eventi di dieci anni prima viene reso vano dalla nebbia nella quale lo avviluppano le testimonianze che di poco alla volta raccoglie. Urla inumane che squarciano la notte, esseri enormi, statuari, che usano gli esseri umani come clave in un gioco violento apparentemente senza senso, gruppi di insonni che vagano per la città che, sovranamente, rimane spettatrice della follia nella quale è scivolata, quasi che quella follia, pur latente, fosse parte integrante dell'urbe e del suo tessuto sociale, una zona atavica e primitiva attentamente occultata allo sguardo dall'immagine di città industriale, città laboratorio, città operaia. Ma quell'ondata improvvisa di "Male" - ondata che si sviluppa, s'inalbera in un picco violento e poi repentinamente scema - è qualcosa di incomprensibile, forse di parallelo alla realtà stessa, ed è per questo che la razionalità con la quale il protagonista cerca di indagare si incaglia ben presto in quella nebbia di cui sopra, che è un sostanziale sonno della mente. Sono forze "altre" che si sono svegliate, hanno fatto il diavolo a quattro, e poi sono tornate da dove sono venute. Ma: da dove sono venute? Chi o cosa le risvegliate? Qual'era la logica della loro azione?
  A ben vedere, non sappiamo niente. Il non detto, appunto, che la fa da padrone, che lascia senza punti di riferimento, interdetti, spaesati e spaventati. Non ci sono risposte. Ci sono fatti, eventi, tanto surreali quanto brutali, che si scatenano, che svaniscono, che tutti cercano di dimenticare e che il protagonista cercherà di comprendere per poi, infine, come tutti, rifuggirne, in cerca di salvezza, di razionalità, di sanità mentale. 

  La parabola editoriale del libro e quella umana del suo autore (un genio a suo modo capace di una notevole dote di anticipazione sui tempi ma spesso preda di stati psicotici alimentati dall’alcol e dal ricorso smodato all’Halcion) è illustrata dall'ebook di Giovanni Arduino, Il diavolo è nei dettagli, che potete scaricare Qui. Vi si racconta la storia delle ricerche svolte da Arduino dal momento in cui riceve l'incarico di scrivere un libro sulla vicenda de Le venti giornate di Torino, la sua ricerca di testimonianze di amici e parenti di De Maria e, soprattutto, la fitta rete di coincidenze (conoscenze, frequentazioni di posti e persone e via discorrendo) all'interno della quale si rende conto di essersi trovato fin dall'inizio, da quei lontani anni settanta nei quali l'idea del romanzo prende vita nella mente del suo autore, quasi come un monumento al centro della sua piazza.

<<Mio padre è morto mezzo barbone, tutto matto,
 alcolizzato, e distrutto dall'Halciòn >>, 
mi spiazza Corallina con un'espressione serena.

  Il libro, ben accolto negli Stati Uniti, elogiato da Jeff Vandermeer (l'autore della trilogia dell'Area X), è una scoperta tout court anche da noi, e non delude il lettore; attraversato da un'inquietudine sottile e vibratile, riesce in poche pagine a scivolare velocemente e con passo cadenzato ma mai lento in uno stato paranoide nel quale ogni avvenimento diviene credibile proprio in quanto non lo è. La parentesi delle lettere che giungono al protagonista è addirittura delirante. La storia, che s'inscrive in quel filone del racconto del terrore che percepisce la minaccia in una dimensione (parallela, sovrapposta, tangenziale) altra rispetto a quella della realtà, ha il merito di far sì che il lettore percepisca quasi fisicamente la presenza impalpabile di tale dimensione. Nel suo genere, si tratta indubbiamente di una gemma, un piccolo capolavoro che, alla luce anche del maledettismo nel quale ha vissuto il suo autore, si fatica a comprendere come sia stato possibile che abbia dovuto attendere quarant'anni per essere riconosciuto come tale. Questo, forse, è il mistero reale de Le venti giornate di Torino.

Giorgio De Maria è nato nel 1924 a Torino. È stato critico teatrale per “L’Unità” torinese dal 1958 al 1965. Nel 1958 ha fatto parte con Liberovici, Straniero, Calvino, Fortini e Amodei del gruppo “Cantacronache” per il rinnovamento della canzone italiana. Ha pubblicato, tra l’altro, Le canzoni della cattiva coscienza (1964, in collaborazione con Eco, Straniero, Liberovici e Jona); i romanzi I trasgressionisti (1968), I dorsi dei bufali (1973), La morte segreta di Josif Giugasvili (1976). Le venti giornate di Torino fu pubblicato nel 1977. Dopo una vita di genio e sregolatezza, di anni di concerti per piano interrotti da una bizzarra malattia alle mani, di impieghi dirigenziali prima alla FIAT e poi alla RAI, di amicizie importanti (Umberto Eco, Italo Calvino, Elémire Zolla), di critica teatrale, di scrittura a ritmi serrati, d’insegnamento in istituti di periferia, di anticlericalismo spinto all’eccesso e poi rimpiazzato dal fanatismo religioso, di stati psicotici alimentati dall’alcol e dal ricorso smodato all’Halcion, Giorgio De Maria ed è morto nel 2009 (*)
La foto di Giorgio De Maria qui sopra è tratta dalla pagina facebook della figlia Corallina.

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