I libri cambiano il destino delle persone. Ci fu chi lesse "I pirati della Malesia" e divenne professore di letteratura in remote università. "Demian" condusse all'induismo decine di migliaia di giovani, Hemingway ne fece degli sportivi, Dumas mandò all'aria la vita di migliaia di donne, e non poche scamparono al suicidio grazie ai manuali di cucina. Bluma ne fu vittima. Ma non fu l'unica. Il vecchio professore di lingue classiche Leonard Wood rimase emiplegico ricevendo sulla testa cinque volumi dell'Enciclopedia Britannica crollati insieme ad un ripiano della libreria; il mio amico Richard si ruppe una gamba nel tentativo di Raggiungere "Assalonne, Assalonne!" di William Faulkner che, mal collocato su uno scaffale, causò la sua caduta dalla scala. Un altro mio amico di Buenos Aires si ammalò di tubercolosi nei sotterrnei di un archivio pubblico e conobbi un cane cileno che morì di indigestione dopo aver divorato "I fratelli Karamazov" in un pomeriggio di furia.
La casa di carta è un romanzo (breve, 85 pagine appena) che parla di libri, dell'amore per i
libri, dell'ossessione per i libri, e di come i libri interferiscano con
la vita delle persone fino a modificarne i percorsi ed i destini. Ma non solo, ovviamente. In un gioco di rimandi e citazioni Dominguez intesse una riflessione su cosa sia la conradiana "linea d'ombra" e su cosa voglia dire stare al di qua o al di là di essa. Cosa succede quando Brauer perde il controllo della propria ossessione e si lascia fagocitare da essa, e dove lo condurrà la follia che lo abiterà, oltre la spiaggia di Rocha? Dove si perdono le tracce del suo destino? E in quale modo si sono intrecciate con quelle della professoressa Bluma?
E poi, come riferito da Delgado, come poteva Bruaer conoscere in anticipo la fine di Bluma.
Quando Brauer perde la chiave ( o il codice, o la mappa) per orientarsi nella propria sterminata biblioteca, smarrisce il proprio orizzonte, e la sua vita va in frantumi. Ma il problema era nato prima, dalla sua improvvisa mania di catalogare i libri secondo una logica di affinità tra gli stessi.
Voglio dire che Pedro Paramo e "Il gioco del mondo" sono due opere di autori latinoamericani, ma se si vuole seguire il cammino dell'una è necessario risalire a William Faulkner, mentre l'altra ci porta a Moebius. O per dirla in altro modo: Dostoevskij finisce per essere più affine a Roberto Arlt che a Tolstoj. E, volendo essere più chiari, Hegel, Victor Hugo e Sarmiento meritano certamente di stare più vicini di Paco Espìnola, Benedetti e Felisberto Hernàndez.
O forse la crepa che aveva dato il via alla catastrofe s'era presentata prima ancora, forse in un punto della storia che nè noi nè l'io narrante abbiamo modo di conoscere, forse in quella citata notte di passione vissuta anni prima da Brauer e Bluma. Perchè (e, in ogni caso:come?), altrimenti, Brauer, descrivendo la sua amante di una notte all'amico Delgado, era stato in grado di predire con precisione lancinante la morte?
... ho conosciuto un'ispanista inglese, molto carina,... una di quelle accademiche focose e petulanti, abituate a rivestire ogni cosa di citazioni letterarie, che se potessero scegliere il modo di morire vorrebbero finire sotto un'automobile mentre leggono Emily Dickinson.
Dominguez intreccia un affascinante gioco di rimandi nel quale la bibliofilia è una malattia che rende più sopportabile l'esistenza, pur rovinandola, e dove, forse, l'unico colpevole della morte della professoressa Bluma, è un libro. O forse no. Dominguez, affabula, costruisce un meccanismo elegante che non si spinge alle estreme conseguenze della propia trama, ma che affabula il lettore e lo lascia a riflettere, in una casa di carta, sulla spiaggia di Rocha.
Carlos Maria Dominguez (Buenos Aires, 1955), è anche giornalista e critico letterario. I suoi
romanzi e racconti, che sembrano colloquiare con i temi e le ispirazioni
intellettuali provenienti dalle parti di Borges, Buzzati o Calvino,
sono stati pubblicati in diversi paesi. La casa di carta è del 2001.
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