"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 7 febbraio 2015

Alla conquista di Lhasa, di Peter Hopkirk, Adelphi editore

Quando l'India era una colonia britannica gli Inglesi si presero un bello spavento. Causa di questo spavento era la Russia zarista (prima, e sovietica poi) che avanzava in Asia al ritmo di conquista di 150 chilometri al giorno. La paura (comprensibile) degli inglesi era che una volta occupata buona parte dell'Asia, o tutta, l'orso russo, si sarebbe avventato sul Tibet (formalmente sotto il controllo cinese) e da lì non avrebbe avuto nulla di meglio da fare, a quel punto, che gettarsi alla conquista dell'India. Detto in soldoni, questo è il Grande Gioco, lo sfondo storico del Kim di Ruyard Kipling e l'argomento dell'omonimo libro di Hopkirk, Il grande gioco appunto, in Italia edito da Adelphi, così come questo Alla conquista di Lhasa. Il Tibet è un'altipiano quasi irraggiungibile e incredibilmente inospitale che, dal settecento, aveva deciso di dare le spalle al mondo e di chiudersi in sè stesso. Questa chiusura, in buon parte subìta anche dai cinesi che, all'epoca, erano solo formalmente a comando del Tibet ma che in realtà se ne disinteressavano quanto più possibile, fu causa di un delizioso fraintendimento: ognuna delle potenze che considerava il Tibet come strategico riteneva che il Tibet stesso avesse stretto alleanze con una delle altre potenze concorrenti: Inghilterra, Russia e Cina. Da qui la necessità inderogabile di giungere nella capitale, Lhasa, la Città proibita, e farsi un'idea di come stavano realmente le cose. Il problema era che il Tibet era impermeabile al resto del mondo. Non accettava stranieri, in special modo occidentali. In primo luogo il territorio era la prima e principale barriera che respingeva chiunque volesse penetrare in Tibet senza essere preparato ad affrontare una sorta di inferno naturale, e in seguito, chi, armato di coraggio e fibra fuori del comune, riusciva a superare gli ostacoli del territorio e del clima, si trovava al cospetto dei rappresentanti del governo tibetano che - terrorizzati dall'idea che una potenza straniera potesse non solo invaderli, ma anche sostituire il loro credo religioso (che era anche credo politico: i lama avevano autorità spirituale e temporale, ed erano loro, con a capo il Dalai Lama, a governare politicamente il Tibet) con una religione aliena alla loro realtà - gli si paravano di fronte lasciando loro la scelta se tornare da dove erano venuti o venire arrestati e sottoposti all'implacabile giudizio che attendeva gli stranieri illegalmente intrufolatisi nel paese. Le pene, a detta del vero, erano piuttosto pesanti e rispecchiavano più il medioevo nel quale il Tibet si ostinava a vivere che non l'immagine spirituale e pacifista che ne abbiamo oggi (bruciare gli occhi, spezzare le ossa, venire gettati in celle malsane a vita, venir chiusi, legati mani e piedi in sacchi e gettati vivi nei fiumi, erano tutte applicazioni pratiche della legge che il Dalai Lama, il Dio-Re amatissimo in Tibet, rappresentava e gestiva). Detto questo, Alla conquista di Lhasa è il resoconto storicamente accurato e narrativamente appassionante dei ripetuti tentativi da parte degli occidentali (non solo inglesi per la verità) di raggiungere in segreto la Città proibita del Tibet, la mitica Lhasa. Scopriremo, leggendolo, un paese che pare essere un universo a parte, sporco, violento e inspiegabilmente allegro, per molti versi assurdo, dove i Dalai Lama che morivano avvelenati prima di raggiungere la maggiore età (per poter così governare) erano la maggioranza, dove i Lama, come rappresentanti di ogni classe di governo al mondo erano anche (non solo ovviamente) dei donnaioli privilegiati e spesso governanti intransigenti e bellicosi; un paese in cima al mondo che al mondo chiedeva semplicemente di essere lasciato in pace a vivere il medioevo che si era scelto e che, per cause geopolitiche che per molto tempo neppure riuscì a comprendere, al contrario si trovò a difendere con le unghie e con i denti il proprio assurdo isolamento, fino all'inevitabile capitolazione. Conosceremo personaggi tanto eroici quanto assurdi, indiani al soldo del governo inglese e avventurieri di ogni parte del globo, uomini e donne, bambini addirittura, folli e sognatori, cattolici ferventi in cerca di una terra da evangelizzare, medici, militari, aviatori e chi più ne ha più ne metta. Da un certo momento in poi il semplice dato geopolitico (capire cosa diavolo stava succedendo a Lhasa, e con chi si fosse schierato il Tibet: per la cronaca, con nessuno) passò in secondo piano e, semplicemente nacque "la febbre della conquista di Lhasa". Dal momento che nessun occidentale poteva metterci piede, e nessuno ve lo aveva mai messo fino ad allora, buona parte delle teste calde dell'occidente disposte a rischiare la vita o peggio, decisero che l'obiettivo stesso della loro vita era esattamente quello: essere ricordati come i primi ad entrare a Lhasa. Ecco, questo è un libro folle. E magnifico. Pur essendo un saggio storico, si legge come il più intrigante dei libri d'avventura, non si lascia mollare. Vorrei star qui a discettare di questioni politiche, storiche, strategiche e magari pure religiose e antropologiche (tutti aspetti che il libro tocca) e spiegarvi perchè questo libro sia una lettura imprescindibile per ogni intellettuale che si rispetti (e sarebbe anche un'osservazione giusta da parte mia), ma la verità è che è un libro bellissimo, interessante e, a tratti, divertente (lo stile ironico e distaccato dell'inglese Hopkirk in certi casi è impagabile), come un'istantanea della follia umana. E la follia è tragica e spassosa al contempo.

Peter Hopkirk: (15 Dicembre 1930 - 22 Agosto 2014) è stato un giornalista e saggista inglese.
Ha viaggiato per molti anni in molti posti, tra cui Russia, Asia Centrale, il Caucaso, India e Pakistan, Iran e Turchia orientale. Questi paesi sono il panorama dei suoi 6 libri pubblicati.
Prima di diventare autore a tempo pieno è stato reporter per la Independent Television News, corrispondente da New York per il Daily Express ed in seguito ha lavorato per quasi vent'anni a The Times, cinque come capo reporter e poi come specialista del Medio ed Estremo Oriente.

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