"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 21 agosto 2014

Americani, di John Jeremiah Sullivan, Sellerio editore

  Premesso che il titolo "Americani" (titolo originale "Pulphead") e l'immagine di copertina che riporta la faccia di Michael Jackson non invogliano un granchè all'acquisto del libro, in realtà, se doveste decidervi a superare lo scoglio di cui sopra e puntare i vostri sudati risparmi su questa raccolta di articoli di John Jeremiah Sullivan, l'avreste indovinata. Cominciamo: quattro pezzi e mezzo sono di taglio musicale, più un tot (sette) di altri che svariano dalla fine del mondo per mano di una sinistra quanto comprensibile alleanza tra diverse specie animali, ad una terrificante gita famigliare a Disneyworld (comprensiva di excursus su certi aspetti poco edificanti della sua nascita e della mentalità del vecchio zio Walt), al vivere in una casa che è al contempo il set cinematografico di una famosissima una serie tv per adolescenti. E poi: una passeggiata nei luoghi devastati dalla precedente passeggiata di Katrina (l'uragano), una ricognizione nel mondo dei real tv americani (e nelle menti di coloro che li vivono - non che vi partecipano, ma che proprio li vivono, e che di real vivono), gli ultimi mesi di vita di un vecchio scrittore del sud un po' rimbambito, un po' sporcaccione e un po' lucidissimo intellettuale e, infine, la carriera e la vita di un naturalista talmente geniale da azzeccare solo le note ai suoi lunghissimi e sballatissimi trattati (e non per questo, agli occhi di Sullivan, meno geniale). I quattro pezzi sul mondo musicale riguardano: il primo, la partecipazione dello scrittore (come spettatore, ovviamente) ad un festival di rock cristiano, una sorta di woodstock dei fondamentalisti cattolici americani, una di quelle manifestazioni che sono parte integrante del brodo "culturale" dei tea parties e della destra ultraconservatrice americana. Il secondo pezzo, che sfarfalla sulla vita di Michael Jackson, sulle sue indubbie doti e, pur valutando gli aspetti poco chiari e/o edificanti della sua carriera (dalla famiglia ossessionata dalla musica e, soprattutto, dai soldi che speravano di farne conseguire, alle accuse di violenza su minori), svolta verso un'interpretazione sostanzialmente positiva della persona, del personaggio e del musicista. Il terzo saggio, forse il più interessante tra i quattro e mezzo che vagolano in un modo o nell'altro nel mondo della musica, si immerge nella realtà che ha cullato l'infanzia e l'adolescenza maledetta di una rockstar come Axl Roses che, come sostiene Sullivan in apertura di articolo, "viene dal niente", ossia dall'Indiana. Poi ci spostiamo in Giamaica ad intervistare Bunny Wailer, l'ultimo dei Wailers, la prima band di Bob Mailer, trovandoci invischiati in una caccia all'uomo (un altro uomo, che coinvolge tutta l'isola e non solo, un delinquente, anche se con la propensione alla sindrome da Robin Hood). Infine, il pezzo intitolato "piedi in fumo", che è il "mezzo" dei quattro articoli e mezzo di ambito musicale, che racconta quando, il 21 Aprile del 1995, il fratello di Sullivan avvicina la bocca ad un microfono (cantava in una band) e muore. In realtà non muore, ma la scarica elettrica lo spedisce in coma e quello che segue è il racconto dei mesi in cui il fratello deve riprendere le misure al concetto stesso di esistenza e a tutti quegli aspetti (infiniti) che ne fanno parte tra cui, non ultimo, la logica causa effetto. Quest'ultimo articolo, pur se venato da una notevole ironia che solo si può permettere qualcuno coinvolto nei fatti e, immagino, col beneplacito del diretto interessato che pare aver preso bene la disavventura, riporta per certi versi, in alcune considerazioni evidenziate sul funzionamento del cervello e su come noi siamo quel cervello o, per meglio dire, siamo, nella normalità delle cose, quel funzionamento del cervello, riporta dicevo ai libri di Oliver Sacks. I libri di Sacks, a mio avviso, pur nella loro dolcezza (non saprei come definirla altrimenti) sono terrificanti incubi da svegli: le paure di Poe traslate nella realtà clinica: essere sepolti vivi in una tomba non è meglio, a mio avviso, dell'essere sepolti dentro i propri corpi privi di comando o, se volete, nelle proprie menti sbrindellate. Il racconto di Sullivan invece non arriva ad inabissare il lettore a tal punto nell'angoscia, forse semplicemente perchè la storia si conclude per il meglio e il lieto fine, come sempre, riverbera la sua luce ottimista su tutta l'oscurità che l'ha preceduto. Un po' tutta la raccolta ha questa caratteristica: racconta certi aspetti poco compatibili con l'idea che è stata venduta al mondo di american dream, ma lo fa con una (apparentemente) naturale leggerezza e un taglio ironico non sprovvisto di una certa acuta intelligenza dello sguardo (e alla diretta partecipazione dell'autore agli eventi narrati). Non ultimo, Sullivan, e con esso il suo stile, sa essere efficacemente paraculo, che è una dote che non guasta quando bisogna intrattenere degli sconosciuti su argomenti che con tutta probabilità non li interessano neanche un poco. Non so se sia la raccolta di saggi più importante dall'epoca dell'uscita di Una cosa divertente che non farò mai più, di Foster Wallace, e non credo che sia il nuovo Hunter Thompson, ma è sicuramente un ottimo esempio di New Journalism. E un bel libro da leggere. Anche divertente. Sul lato oscuro dell'America e via discorrendo.




John Jeremiah Sullivan è nato a Louisville, Kentucky, nel 1974. Collabora con il New York Times Magazine ed è editor della Paris Review. Ha esordito con Blood Horses, un resoconto storico e culturale dell’industria delle corse dei cavalli.

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