"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 4 gennaio 2014

Il dio di Gotham, di Lindsay Faye, Einaudi Stile Libero

  Non ho mai letto Michael Connelly e non ho alcuna intenzione di farlo,e pertanto non posso esprimermi sulla sua opera, ma quando scrive di essere entrato nel mondo creato dalla Faye fin dalle prime pagine e di non essere più stato in grado di allontanarsene fino all'ultimo capitolo, non posso che essere d'accordo con lui. Il Dio di Gotham è un vortice perfettamente creato nel quale il lettore viene risucchiato e centrifugato a dovere, per poi esserne sputato fuori solo all'ultima riga dell'ultima pagina (vale a dire a romanzo ormai concluso, quindi dopo l'ultima riga della postfazione storica). In un certo senso, non siete voi che comprate il libro e lo leggete, e ne godete, e certo non siete voi a decidere liberamente quando aprirlo e soprattutto quando chiuderlo. Al contrario, il lettore è un giocattolo (un pupattolo, per restare al mondo de Il dio di Gotham) nelle mani del libro (forse ancor più del libro che dell'autrice), che ne fa quello che vuole, lo strattona, lo porta indietro nel tempo alla metà del 1800 in quella New York filmata da Scorsese in Gangs of New York, dove la povertà più estrema e la conseguente violenza (unico mezzo per aggrapparsi ad una sopravvivenza diaria) erano pressochè l'unica realtà possibile, con una città che cresceva a ritmi insostenibili e un mare di immigrati che, per sfuggire alla carestia di patate in Irlanda, si riversava oltreoceano sulle sponde della terra promessa in cerca di una speranza di vita, o di una morte più dignitosa. Nel 1845 viene creato il corpo delle "stelle di rame", vale a dire il primo corpo di polizia della città di New York, in discreto ritardo sulle altre città di pari grandezza ed importanza, e Timothy Wilde ne entra, suo malgrado, a far parte. T.W. e suo fratello Valentine sono rimasti orfani da piccoli, a causa di un incendio (estremamente frequenti all'epoca) che ha portato via i loro genitori in un'oscena e colpevole vampa: da allora i due sono cresciuti agli antipodi: V.W. è divenuto un forte sostenitore del partito democratico, del quale rappresenta già una sorta di autorità locale - giovane virgulto dalla sicura e billante carriera futura -, lavora per il corpo dei vigili del fuoco, nel quale si distingue per spavalderia e sprezzo del pericolo, e si dedica pervicacemente ed in pari misura all'alcol, alle bravate, alle cattive compagnie, alle droghe ed ai piaceri carnali, mentre Timothy, il fratello minore, è un ragazzo intelligente e oculato, che disprezza il fratello (nella stessa misura in cui lo ama) e che lavora come oste al Nick's Oyster Cellar dove ha imparato ad ascoltare la gente, a capirla e a classificarla con pochi sguardi. Mette da parte giorno dopo giorno i risparmi che, nei suoi sogni, serviranno a porre le basi per la sua futura vita insieme a Mrs Mercy Underhill, la figlia del pastore protestante, giovane, carina, intellettuale e benefattrice di chiunque si trovi in stato di necessità (quindi verso buona parte della città e la quasi totalità della zona dei Five Points) a prescindere dal credo religioso, verso la quale nutre un'adorazione tale da non essere mai stato in grado di confessarle il proprio amore (amore che, ad essere sinceri, sfocia nella devozione vera e propria). Ogni giorno T.W. ascolta i clienti berciare contro i ratti papisti irlandesi che infestano la città, mangiapatate che in quel momento vengono considerati un gradino sotto i cittadini di colore, adepti del retrogrado e demoniaco culto papista, sbarcati a New York per violentare, uccidere, rubare, prostituirsi e, in buona sostanza, corrompere sotto ogni punto di vista la cosidetta buona società protestante nella quale si riconoscono i nativi. Bene. Essendo frequenti gli incendi, come poco fa accennato in parentesi, uno di questi, enorme e dai tratti infernali, rade al suolo un intero quartiere, lasciando in cenere la taverna Nick's, il lavoro di oste, l'alloggio e tutti i soldi pazientemente messi da parte da Timothy in vista del futuro idilliaco che gli vorticava per la corteccia cerebrale. In più, gli cancella una parte della faccia, riducendogliela come carne cotta al barbecue. Poco dopo nasce il corpo delle "stelle di latta", il primo embrionale e abborracciato corpo di polizia della città di New York, e i fratelli Wilde ne entrano a far parte da subito, grazie agli agganci politici di Valentine. La nuova vita, il nuovo lavoro, la nuova miseria nella quale Timothy precipita vengono presto scossi da una bambina coperta da una camicia da notte inzuppata di sangue che, sul finire del turno, gli va a sbattere contro. A questo punto siamo già immersi nel bel mezzo di un puro romanzo d'appendice di fine ottocento - inizio novecento: potrebbe uscire a puntate su qualche giornale e ci scopriremmo stupiti di come sia stato idiota abbandonare questa forma di narrazione in favore di qualche stereotipato serial televisivo (non tutti lo ammetto, ma molti si). Trascorsa qualche decina di pagine dedicate all'introduzione dei personaggi, delle loro vicende essenziali e, soprattutto, a dipingere il quadro storico e sociale della New York del 1845, la macchina infernale che è Il dio di Gotham prende il via e non vi lascia più. Letteralmente vi maciulla. La bambina, Bird Daly, è una pupattola irlandese - per pupattola s'intende una minorenne che si prostituisce in una casa d'appuntamenti - e il sangue sulla vestaglia non è suo, è un'abile bugiarda e sostiene di essere scappata dal lupanare (leggi: bordello) in cui lavorava quando un uomo col cappuccio è entrato per fare a pezzi un suo amico, pupattolo a sua volta. Si dice certa che l'uomo col cappuccio, che si sposta su una carrozza nera, abbia fatto a pezzi molti altri bambini come lei (pupattoli, irlandesi), e dice anche di sapere dove li ha seppelliti. Bird è un'adorabile bugiarda, ma le sue parole vengono corroborate da una fossa scavata su sua indicazione ai margini estremi della città in espansione e nella quale vengono rinvenuti resti umani. Resti umani di bambini, in numero di diciannove corpi. Da qui, l'ottovolante (o il tagadà, o il tunnel degli orrori, o qualche altra diavoleria da Luna Park) parte e non vi resta che aggrapparvi forte, perchè scendere a metà della corsa non è un'opzione prevista. Sullo sfondo di una società ai suoi primordi, ancora per buona parte incapace di darsi un'organizzazione civile (al di là di forme semistrutturate e discretamente corrotte di partitismo che sono ancora molto vicine al banditismo) e quindi basata sulla legge del più forte e in balìa degli istirismi e delle paure di una popolazione ignorante e affamata, divisa da xenofobia e da odi religiosi (da notare: qui la minaccia non è l'islamismo odierno ma il cattolicesimo, visto e descritto con gli stessi toni scientifico-antropologico-demenziali con cui ora viene dipinto l'islam), la trama si muove con l'elegante agilità di una ragazzina sveglia e spigliata, sfrontata e allegramente cupa, a metà tra il feuilleton e il blokbuster hollywoddiano. Preti, pastori, puttane, tenutarie di bordelli, lampioni a gas, politicanti, corruzione, infanzia negata, miseria, deliri religiosi, prostituzione minorile, resti umani, corpi sventrati, best seller anonimi scollacciati ma realisti (Luce e ombra nelle strade di New York), odi e riconciliazioni famigliari, papisti e protestanti, donne angelicate e donne in carne ed ossa (spesso più in ossa che in carne), Londra come punto di fuga agognato e tranci di volti arrostiti dalle fiamme, madri assassine (Eliza Rafferty è una figura storica) e panettiere teutoniche dal cuore grande e caldo come un'enorme pagnotta, morti di fame e, infine, la nascita leggendaria di quello che sarebbe divenuto l'altrettanto leggendario NYPD (cioè il soggetto di tanti di quei serial televisivi poco sopra vituperati, e non tutti - ammetto - a ragione).
  La scrittura è rotonda e compiaciuta, forse un filo troppo leziosa, e i personaggi sembrano appena usciti da (o in procinto di entrare in) un filmone hollywoddiano e i loro lineamenti, mentre leggiamo il libro, cominciano già ad assumere le sembianze di qualche star del firmamento cinematografico e poi, volendo, ci saranno indubbiamente una montagna di altri appunti che si possono fare al libro, primo fra tutti che non è un capolavoro, macchissenefrega, non è che sia poi molto importante dal momento che, quando finalmente il dio di Gotham avrà mollato la sua presa su di voi, risputandovi attoniti e storditi su questa terra, vi ritroverete a sentire la mancanza di tutta quella sporcizia, quella violenza e quell'immondizia, e non vedrete l'ora di rituffarvi nel secondo libro della seri di Timothy Wilde (sempre sperando che in Italia venga tradotto).

N.B.: una curiosità: per quel che sono riuscito a capire, Gotham è un nome che viene affibbiato alle zone malfamate di NewYork a partire da Batman (a parte un villaggio del Notthinghamshire, in Inghilterra), quindi non ha nulla di storico e nel 1845, casomai qualcuno l'avesse pronuciato, sarebbe stato preso per tocco o, come minimo, come persona che si esprimeva con parole di oscuro significato, con ogni probabilità uno straniero. Questo particolare dà l'idea di cosa sia Il dio di Gotham, un romanzo feuilleton ottocentesco-postmoderno, un po' sullo stampo dell'ultimo Sherlock Holmes cinematografico.


Lyndsay Faye ha esordito nella narrativa con Dust and Shadow, un romanzo che vede Sherlock Holmes indagare sui delitti di Jack lo Squartatore. Il dio di Gotham è il suo secondo libro e il primo titolo di una nuova serie che ha per protagonista il detective Timothy Wilde. Ha alle spalle una carriera di attrice teatrale.

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