"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 27 maggio 2011

Morte di Ulises, di Roberto Bolano (da El secreto del mal)

  Belano, il nostro caro Arturo Belano, torna a Città del Messico. Sono passati più di venti anni dall'ultima volta in cui è stato là. L'aereo sorvola il DF (Distretto Federale) e Belano si sveglia di colpo. La sensazione di malessere che lo ha accompagnato durante tutto il viaggio si fa più acuta. Nell'aeroporto del DF deve prendere una coincidenza per Guadalajara, per la Fiera del Libro, alla quale è stato invitato. Belano ora è un autore di un certo prestigio e normalmente lo invitano in diversi posti, anche se lui non viaggia molto. Questo è il primo viaggio in Messico in più di vent'anni. L'anno passato lo invitarono due volte e all'ultimo momento decise di non presenziare. L'anno ancora prima lo invitarono quattro volte e all'ultimo momento decise di non presenziare. Tre anni fa lo invitarono non ricordo più quante volte e all'ultimo momento decise di non presenziare. Ora, tuttavia, si trova in Messico, nell'aeroporto del DF, e cammina tra la gente, perfetti sconosciuti, che si dirigono alla zona di transito per prendere l'aereo che lo porterà a Guadalajara. Il corridoio è un labirinto cristalizzato. Belano è l'ultimo della fila. I suoi passi si fanno via via più lenti, più dubbiosi. In una sala d'aspetto scorge un giovane scrittore argentino che va anche lui a Guadalajara. Immediatamente Belano si rifugia dietro una colonna. L'argentino sta leggendo un periodico, probabilmente le pagine culturali, nelle quali si parla solo della Fiera del Libro, e dopo qualche istante, come se si sapesse osservato, solleva gli occhi e guarda in tutte le direzioni, ma non vede Belano e torna alle pagine del giornale. Un attimo dopo un donna molto bella si avvicina all'argentino e lo bacia da dietro. Belano la conosce. E' la moglie dell'argentino, una messicana nata a Guadalajara. Entrambi, l'argentino e la messicana, vivono insieme a Barcellona e Belano è loro amico. La messicana e l'argentino si scambiano qualche parola. In un certo qual modo tutti e due si sentono osservati. Belano cerca di leggergli le labbra, ma non gli risulta possibile intendere niente. Nascosto dietro la colonna, aspetta fino a che non gli danno le spalle per uscire dal suo nascondiglio. Quando alla fine può tornare al corridoio la coda che si dirigeva a prendere la coincidenza per Guadalajara è scomparsa e Belano scopre, con una crescente sensazione di sollievo, che non gli interessa viaggiare fino a Guadalajara nè partecipare alla Fiera del Libro, quanto piuttosto fermarsi nel DF. E così fa. Si dirige all'uscita. Gli controllano il passaporto e poco dopo è fuori, cercando un taxi.
  Un'altra volta in Messico, pensa.
  Il taxista lo guarda come se lo conoscesse da sempre. Belano ha sentito storie sui i tassisti del DF e sulle rapine nei dintorni dell'aeroporto. Ma tutte queste storie ora svaniscono. Dove vogliamo andare, giovane? dice il taxista, che è più giovane di lui. Belano gli dà l'ultimo indirizzo conosciuto di Ulises Lima. Partiamo, dice il taxista, e accelera e l'auto si addentra nella città. Belano chiude gli occhi, come quando viveva lì e chiudeva gli occhi, ma adesso è talmente stanco che li riapre quasi subito e la città, la sua vecchia città dell'adolescenza, si mostra gratuitamente per lui. Non è cambiato niente, pensa, anche se sa che tutto è cambiato.
  La mattina è una mattina da camposanto. Il cielo è di coloro giallo terroso. Le nuvole, che si muovono lentamente da sud a nord, sembrano cimiteri persi che a tratti si separano, permettendogli di vedere frammenti di cielo grigio, e a tratti si fondono con uno stridìo di terra secca che nessuno, neppure lui, sente, e che fa sì che gli faccia male la testa, come quando era adolescente e viveva nella colonia Lindavista o nella colonia Guadalupe-Tepeyac.
  La gente che cammina per le vie, tuttavia, è la stessa, magari più giovane, probabilmente non erano ancora nati quando lui se ne andò per l'ultima volta da lì, ma in fondo sono le stesse facce che vide nel 1968, nel 1974, nel 1976. Il tassista cerca di intavolare una conversazione, ma Belano non ha voglia di parlare. Quando alla fine può chiudere gli occhi vede solo il suo taxi che si muove per una strada piena di macchine, a tutta velocità, mentre gli altri taxi vengono assaliti e gli occupanti muoiono con espressioni di orrore. Gesti e parole che gli sono vagamente famigliari. La paura. Dopo non vede più niente e cade nel sonno come una pietra nel fondo di un pozzo.
  Siamo arrivati, dice il taxista.
  Belano guarda dalla finestra. Si trovano nella strada dove viveva Ulises Lima. Paga e scende. E' la sua prima visita in Messico?, gli chiede il taxista. No, dice, tempo fa ho vissuto qui. E' messicano?, dice il taxista mentre gli porge il resto. Più o meno, dice Belano.
  Poi rimane solo nella via a contemplare la facciata dell'edificio.
  Belano porta i capelli corti. Una calvizie rotonda che gli disegna una coroncina. Non è più il giovane dai capelli lunghi che un tempo percorse queste strade. Ora si veste con una giacca sportiva nera e pantaloni grigi e camicia bianca e usa scarpe Martinelli. E' venuto in Messico invitato ad un congresso di scrittori ispanoamericani. Al congresso partecipano, come minimo, due suoi amici. I suoi libri si leggono (anche se non molto) in Spagna e in Latinoamerica e sono tradotti in varie lingue. Che faccio qui?, pensa.
  Cammina fino al portone dell'edificio. Estrae la sua agenda con gli indirizzi. Chiama al piano dove visse Ulises Lima. Tre scampanellate lunghe. Non gli risponde nessuno. Chiama ad un altro campanello. Una voce di uomo grida Chi è? Un amico di Ulises Lima, dice Belano sentendosi ogni momento più ridicolo. Con uno scricchiolio elettrico la porta si apre e Belano comincia a salire le scale fino al terzo piano. Quando raggiunge il pianerottolo sta sudando per lo sforzo. Ci sono tre porte e un corridoio lungo e mal illuminato. Qui visse Ulises i suoi ultimi giorni, pensa, ma quando suona il campanello ha l'assurda speranza di sentire dall'altra parte i passi del suo amico che si avvicina e poi vedere il suo volto sorridente affacciarsi alla porta semiaperta.
  Nessuno risponde alla sua chiamata.
  Belano torna a scendere le scale. Vicino, nella stessa colonia Cuauhtèmoc, si imbatte in un hotel. Per molto tempo rimane seduto sul letto, guardando la televisione messicana e senza pensare a niente. Ormai non riconosce più nessun programma, ma in qualche modo i vecchi programmi filtrano in quelli nuovi e così Belano vede sullo schermo la faccia del Loco Valdes o crede di sentire la sua voce. Più tardi, mentre cambia canale, s'imbatte nel film Tin-Tan e lo lascia fino alla fine. Tin Tan era il fratello maggiore del Loco Valdes. Tin Tan era già morto quando lui era andato a vivere in Messico. Probabilmente anche il Loco Valdes era ormai morto.
  Quando il film termina Belano si mette sotto la doccia e poi, senza neppure asciugarsi, telefona ad un amico. In casa non c'è nessuno. Solo la segreteria telefonica, ma Belano preferisce non lasciar alcun messaggio.
  Stacca. Si veste. Si avvicina alla finestra e contempla la via Rìo Pànuco. Non vede gente nè auto nè alberi, solo la pavimentazione grigia e una calma che ha qualcosa di atavico. Poi appaiono un bambino e una ragazza, probabilmente la sua sorella maggiore o sua madre, che camminano sulla via di fronte. Belano chiude gli occhi. Non ha fame, non ha sonno, non ha voglia di uscire. Così che torna a sedersi sul letto e continua a vedere la televisione mentre fuma una sigaretta dietro l'altra, fino a che non gli finisce il pacchetto. Allora s'infila la sua giacca nera ed esce per la strada.
  In maniera inevitabile, come si canta una canzone di moda, torna alla casa di Ulises Lima.
  Comincia ad imporsi il sole nel Df quando Belano ottiene, dopo vari tentativi infruttuosi, che un vicino gli apra il portone. Sto diventrando matto, pensa mentre sale le scale di due in due. L'altitutdine non mi impressiona. Non mangiare non mi impressiona. Trovarmi solo nel DF non mi impressiona. Durante alcuni secondi interminabili e, a sua modo, felici, rimane accanto alla porta di Ulises senza chiamare. Suona il campanello tre volte. Quando è sul punto di girare i tacchi, rassegnato a lasciare l'edificio (anche se non per sempre, lo sa), la porta di lato si apre e una testa senza capelli, enorme, di color ramato ma sulla quale si possono anche indovinare alcuni fulmini rossi, come se fosse stato fino a quel momento a dipingere una parete o un cielo liscio, si fa avanti e gli chiede chi cerca.
  Belano, al principio, non sa che rispondere. Non serve a nulla dire che cerca Ulises Lima. Sul momento non gli viene voglia di mentire. Così che se ne resta calmo e osserva il suo interlocutore: la testa appartiene a un giovane, non deve avere più di venticinque anni e dal modo in cui lo guarda deduce che è accecato o che vive in un perenne stato di accecamento. Quest'appartamento è vuoto, dice il giovane. Si, lo so, dice Belano. Allora perchè suoni, bue? dice il giovane. Belano lo guarda negli occhi e non gli risponde. La porta si apre del tutto e il giovane senza capelli esce nel corridoio. E' grasso ed è vestito solo con dei blujeans molto larghi, tenuti su da una vecchia cintura. La fibia è grande, metallica, anche se la pancia del giovane in parte la nasconde. Vuole picchiarmi?, pensa Belano. In un istante i due si studiano. Il nostro Arturo Belano, cari lettori, ha quarantasei anni e sta male, come tutti sapete o dovreste sapere, al fegato, al pacreas e anche al colon, ma sa ancora boxare e soppesa con lo sguardo la figura voluminosa che ha di fronte. Quando visse in Messico si picchiò diverse volte e non perse mai, cosa che ora sembra incredibile. Scazzottate alla scuola superiore e risse da taverna. Così che ora guarda il giovane grasso e calcola in che momento caricherà e in che momento colpirlo e dove. Però il grassone rimane a fissarlo e poi guarda all'interno del suo appartamento e allora appare un altro giovane, questo vestito con una felpa marron con una foto stampata di tre tipi in atteggiamento di sfida, in piedi nel mezzo di una strada piena d'immondizia, con una legenda in lettere rosse nella parte superiore: Los Amos del Barrio (I padroni del quartiere).
  Il disegno, per un attimo, suscita tutta l'attenzione di Belano. Quei tre tipi ben più che patetici sulla maglia gli risultano famigliari. O forse no. Forse è la strada che gli risulta famigliare. Molti anni fa sono stato lì, pensa, molti anni fa sono passato da lì, senza fretta, guardando tutto, inutilmente.
  Quello con la maglia, che è grasso quasi come il primo, gli fa una domanda che gli suona come acqua in ebolizione e che non capisce. Non è, tuttavia, di questo ne è sicuro, una domanda agressiva. Cosa? dice Belano. Sei un fan dei Los Amos del Barrio, bue?, ripete il grassone con la maglia.
  Belano sorride. No, io non sono di qui, dice.
  Allora qualcuno spinge il secondo grassone e appare un terzo grassone, questo molto scuro, una specie di grassone azteco coi baffetti, e domanda ai suoi coinquilini cosa succede. Tre contro uno, pensa Belano, è ora di andarsene. Il grassone coi baffetti lo guarda e gli chiede cosa vuole. Questo stupido sta suonando il campanello dell'appartamento di Ulises Lima, dice il primo grassone. Hai conosciuto Ulises Lima?, dice il grassone coi baffetti. Si, dice Belano, sono stato suo amico. E come ti chiami, bastardo? dice il grassone con la maglia. Allora Arturo Belano dice il suo nome e poi aggiunge che se ne va, che gli dispiace aver dato loro fastidio, ma questa volta i tre grassoni lo guardano con vero interesse, come se lo vedessero sotto un'altra luce, e il grassone con la maglia sorride e dice non prendermi in giro, tu non ti puoi chiamare Arturo Belano, anche se nel modo in cui lo dice Belano si rende conto che l'altro, anche se non lo crede, vuole crederlo.
  Poi vede sè stesso, come se stesse contemplando un film molto triste che lui non guarderebbe mai, all'interno dell'appartamento dei grassoni, al centro delle attenzioni di questi, che gli offrono birra, no grazie, non bevo più, dice Belano, seduto su una poltrona sgangherata con un motivo di fiori marci, e un bicchiere di acqua nella mano che non si decide ad assaggiare, poichè l'acqua del DF, lo avevano messo in guardia e tra l'altro lo sapeva da sempre, provoca gastroenteriti, mentre i grassoni prendono posizione nelle sedie  che ci sono attorno e uno di loro, quello che è a petto nudo, si siede in terra, come se temesse di rompere col suo peso un'altra sedia o come se temesse la reazione dei suoi compagni davanti a quella possibilità.
  Il grassone a petto nudo si comporta in qualche maniera come uno schiavo, pensa Belano.
  Quello che segue è caotico e sentimentale: i grassoni lo informano che loro sono stati gli ultimi discepoli di Ulises Lima (si definiscono così: discepoli). Gli parlano della sua morte, investito da un'auto misteriosa, un Impala nera, e gli parlano della sua vita, un susseguirsi di sbornie senza senso nelle quali andò lasciando la sua impronta, come se i bar e le camere in cui Ulises Lima si sentì male e vomitò fossero i diversi volumi della sua opera completa. Anche, soprattutto, parlano di sè stessi: hanno un gruppo rock chiamato El Ojete de Morelos e suonano in discoteche delle perferie del DF. Hanno inciso un disco che le emittenti radio ufficiali non accettano a causa del contenuto dei loro testi. Le piccole emittenti, al contrario, stanno tutto il giorno a trasmettere le loro canzoni. Siamo ogni giorno più famosi, dicono, però continuiamo ad essere ribelli. Il sentiero di Ulises Lima, dicono, i proiettili traccianti di Ulises Lima, la poesia del più grande poeta messicano.
  Poi passano dal dire al fare e mettono su un compact disc con pezzi degli El Ojete de Morelos che Belano ascolta immobile, con la mano stretta a reggere il bicchiere d'acqua non ancora bevuto e guardando il pavimento, sporco, e le pareti, piene di poster dei Los Amos del Barrio e degli El Ojete de Morelos e di altri gruppi che lui non conosce o che forse sono formazioni musicali dove avevano suonato prima i Los Amos del Barrio o gli El Ojete de Morelos, ragazzi messicani che lo guardano dalle foto o dall'inferno maneggiando le loro chitarre elettriche come se fossero armi o come se stessero morendo di freddo.


I detective selvaggi





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