"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 8 luglio 2014

L'avversario, di Emmanuel Carrère, Adelphi editore

Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera. Si conclude così questo libro, strano e terribile, di Carrère, pubblicato in Francia nel 2000, in Italia nel 2000, da Einaudi, e ora riproposto nella medesima traduzione di Eliana Vicari Fabris per Adelphi.
  Mai come in questo caso si può parlare di immersione in quella zona oscura che ospita (ed è, a sua volta, ospitata da) ogni essere umano. Il 9 Gennaio 1993 Jean Claude Romand veniva estratto dalle fiamme che avevano avvolto la sua casa e ucciso sua moglie ed i suoi due figli. Solo che non era così. Il fatto ha avuto un'amplissima eco in Francia, nella pubblica opinione, per cui giocoforza l'autore non ha avuto altra scelta che cominciare a narrare dalla fine: dal fuoco, dai corpi carbonizzati, da Jean-Claude estratto ancora vivo, dai segni inequivocabili sui corpi dei figli e della moglie e dal castello di carte che in un attimo - in un soffio verrebbe da dire - crolla miseramente a terra, scuotendola fin nei suoi più oscuri recessi. Da quel momento tutto è cambiato, nulla è stato più uguale a sè stesso. Non è stata una tragedia, non sono state delle morti nè un incendio, fortuito o doloso, è stato lo sbriciolarsi di un mondo pazientemente creato in diciotto anni di finzione, un mondo (o un universo o, meglio, un'esistenza e le esistenze che da quella interdipendevano) che ad un tratto implode e ingoia tutto ciò che vi si trova attorno. Toglie certezze, instilla dubbi, fa nascere colpe. Le torri gemelle che cadono e il mondo che cambia, un fatto del genere. Basta un'analisi superficiale per rendersi conto che le tre vittime non sono morte nell'incendio ma per cause differenti (una per colpo contundente e due per spari). Si scopre che anche i genitori di Romand sono stati uccisi in quei giorni. Da quel momento, è un attimo, e tutto l'equilibrio, precario, si spezza e da lì in avanti si viaggia oltre una linea che ormai è stata tracciata nel corpo stesso (corpo dolente) del reale. Un prima ed un dopo. Carrère analizza entrambi, sia il prima che il dopo, va e viene oltre il confine tracciato da quella linea scioccante intrisa nel sangue e nella follia. Bastano un paio di telefonate e gli inquirenti capiscono che il dottor Romand (esimio professore-ricercatore all'OMS di Ginevra) non è chi dice di essere. Ma chi è? Una spia? Un trafficante d'armi? Un uomo dei servizi segreti? Mister x, l'uomo del mistero? Jean Claude Romand, in realtà, non è nessuno. Il buco nero del libro sta proprio qui, il mostro da guardare dritto negli occhi, come usava dire Bolano della letteratura, è lo stesso Romand. Ma il mostro è vuoto, una maschera su una maschera, probabilmente indossate a loro volta sopra altre maschere, innumerevoli, sotto le quali non c'è nulla. Non un dottore, non un ricercatore, forse nemmeno un padre nè un marito, certamente non un uomo. Non un uomo come lo possiamo intendere comunemente. Carrère si appassiona al caso, decide di scriverci sopra un libro, si interrompe. Ne scrive uno che però è un romanzo, La settimana bianca. Passa il tempo, alla fine affronta l'impresa, il suo avversario. Scrivere di un personaggio del genere, cercando di capirlo, che cos'è? Una preghiera o un crimine? O entrambe le cose insieme? Chi è Romand? Un ragazzo che, saltato un esame all'università (senza mai essere in grado di spiegare, nè forse spiegarsi, il perchè) non ha il coraggio di ammetterlo con chi gli sta vicino e da quel momento in poi mente a tutti, forse anche a sè stesso, finge di sostenere gli altri esami, finge di laurearsi, si sposa, mette al mondo due figli, finge di lavorare, finge di esistere, passa le giornate nei boschi o nei parcheggi, in giro, a guardar il tempo passargi davanti, e tra le dita, lentamente. Finge viaggi di lavoro, finge di investire i soldi di parenti ed amici in favolosi conti svizzeri dai rendimenti principeschi, e con quelli vive. S'innamora, e truffa anche l'amata. Sperpera i soldi che lei gli affida ed infine, quando capisce di non poter evitare di essere scoperto, uccide tutti i possibili testimoni (tutti coloro che, mettendo assieme i pezzi, avrebbero potuto ricostruire il nulla che Romand in realtà era), finge (o no?) di volersi suicidare e poi in carcere, una volta uscito dal coma, mente ancora, prova altre maschere, diventa l'assassino pentito che scopre Dio e la fede, non scende mai negli abissi da lui stesso creati, li sfiora soltanto, dribblandoli, li sbircia da lontano, risulta sempre fuori luogo, interpreta personaggi che parlano fuori sincro, a sproposito, sembra aver disimparato come si fa a fingere. Ma chi è alla fine Jean-Claude Romand? Quando e dove si è perso, sempre che ci sia mai stato? E, scrivere la sua storia, è un crimine o una preghiera? E noi che lo leggiamo come ci poniamo di fronte a quest'abisso che, nonostante tutto, è un uomo, nato da ventre di donna, come tutti noi?
  Carrère è un maestro che ha scelto una strada parallela alla letteratura, scrivendo non-fiction letteraria, che poi è comunque sempre una forma di letteratura: la sua scrittura è sempre cristallina, a tratti chirurgica (o comunque prova intensamente ad esserlo). Non ha il gusto del macabro, nè quell'attenzione patologica di taglio criminologico che oggi ammorba non solo la letteratura e la televisione ma pure la vita quotidiana e il nostro stesso ragionare. Non si immerge solo in questo storia (vera, verissima) nera, nerissima, non solo vi cerca un senso e rifugge qualsiasi morale, ma si domanda qual'è il suo ruolo, si mette in gioco e, così facendo, obbliga anche il lettore a farlo. Per quanto tremendo, è un libro magnifico, che ho letto nel 2000, quando uscì per Einaudi, e che in qualche maniera non mi è mai uscito del tutto da qualche angolo misterioso del cervello in cui è rimasto a lottare con sè stesso. Se non l'avete mai letto, leggetelo. Altrimenti rileggetelo.

Emmanue Carrère è laureato presso l'istituto di studi politici di Parigi.
La maggior parte delle sue opere sono incentrate sulla riflessione su se stesso e sul nesso fra illusioni e realtà. Molti suoi libri sono poi stati trasposti in sceneggiature cinematografiche. È autore anche di numerose sceneggiature per telefilm, basate su testi di Georges Simenon e altri.
Nel 2011 la sua opera biografica Limonov ha ottenuto il Prix Renaudot. Il libro descrive la vita controcorrente del poeta ed attivista politico ucraino Eduard Limonov.
Nel 2006 ha vinto l'Efebo d'oro per il film L'amore sospetto, tratto dal suo stesso romanzo.

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