"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 4 aprile 2011

Pedro Paramo, di Juan Rulfo, Einaudi

  Il Pedro Paramo di Juan Rulfo è un testo fondamentale della letteratura latinoamericana del 900, pubblicato nel 1955 in Messico, ed è un libro straordinario. Il perchè è presto detto. E' un libro che parla della morte, forse è addirittura un libro sulla morte, un racconto che la descrive, che ascolta la sua voce (le sue voci), che dialoga con essa, ma nonostante tutto finisce con l'essere una storia viva, che si trasforma, che pur essendo ridotta all'osso, tocca diversi generi, senza peraltro sovrapporsi a nessuno. Li sfiora, e quando si pensa di aver capito dove incasellarlo, scivola via e diventa qualcosa di differente. E' un libro del mistero, soprattutto all'inizio, dove ci rendiamo conto che è la suspence a farla da padrona e la scarnezza della lingua funziona come mezzo per rendere al meglio l'atmosfera di sospensione. Nel giro di poco pare trasformarsi in una storia di fantasmi. Poi in una sorta di Spoon River messicana. Poi in un racconto dal taglio quasi western, con la rivoluzione messicana sullo sfondo (e Pancho Villa a far da comparsa, pur se sempre e solo citato). Eppure non è nulla di tutto questo, ma non è neppure altro. Direi, se mi si passa l'immagine, un materiale (o un paesaggio, o una bestia) in continua evoluzione. Juan Preciado si mette in viaggio verso Comala, il villaggio natale della madre recentemente morta (ma è davvero morta? o non lo è forse lui?), in cerca del padre, Pedro Paramo. Risuonano le parole della madre, << Non chiedergli nulla. Pretendi solo ciò che è nostro. Ciò che era obbligato a darmi e che non mi diede mai... Figlio mio, fagli pagare caro l'oblio in cui ci ha lasciati. >>, che più che una supplica sono un testamento. E' lei che gli chiede, come ultima volontà, di anadare in cerca del padre. Juan Preciado giunge a Comala, e scopre che Pedro Paramo, suo padre, è morto. Non pare essere molto toccato dalla notizia, e subito viene deglutito dalla cittadina e dai suoi strambi abitanti. Comala è un paese fantasma, pare disabitata, ma in realtà gli abitanti ci sono, interagiscono con lui, anche se lo percepiscono in maniera singolare, come se a volte non riuscissero a metterlo bene a fuoco, e soprattutto hanno un rapporto bislacco col flusso temporale. Passato, presente, futuro. Da qui in poi i piani temporali cominciano a confondersi, sovrapponendosi e, spesso, giustapponendosi. Gli abitanti parlano di altri abitanti come se fossero vivi, poi credono di ricordare che non lo sono più, ma non si scompongono più di tanto, come se fosse normale non possedere la facoltà di distinguere gli uni dagli altri. Raccontano del passato remoto come se fosse presente, poi sono colti dal dubbio, e non sanno più in che punto del tempo si trovino, ma continuano a raccontare. Scuotono le spalle, e vanno avanti a raccontare. Juan Preciado, come logico, è frastornato da quanto gli capita attorno e dalle storie che gli vengono somministrate dagli abitanti. Storie come farmaci, per farlo tornare in sè, per spegnergli la febbre. Non capisce, prova a mettere insieme un racconto con l'altro, ma quello che ne viene fuori è un quadro d'insieme di un'epoca, ma sfilacciato, un quadro polifonico e sfocato. Ricorda le parole della madre, riporta a galla i suoi ricordi di Comala e degli anni da lei vissuti in quel villaggio, anni trasfigurati dal ricordo. Poi, poco alla volta, la voce della madre si fa più rada, e la storia sfugge a Juan Preciado che, da narratore esterno, diventa una delle tante voci che compongono il rumore di fondo. E' a questo punto che ci rendiamo conto che anche lui è morto. Non sappiamo dove, nè quando, nè come, ma in qualche maniera Juan è morto. Forse allora sua madre è viva e le parole che lei gli ha lasciato come testamento non le ha sussurrate una madre morente al figlio, bensì una madre al figlio morente. I morti, le molte voci che si susseguono, rincorrendosi, narrano brani delle loro vite e il momento del trapasso, che è un momento della vita come un altro. Spesso non ci si rende conto di morire. Lo si scopre, o magari lo si sospetta, solo in seguito, quando ormai ci si ritrova sotto terra, a rigirarsi in bare terrose corrose dall'umidità. E poi c'è Pedro Paramo, il centro oscuro di tutta la storia più o meno recente di Comala, che è la rappresentazione stessa del potere assoluto detenuto dai proprietari terrieri messicani prima della rivoluzione. Semina il paese (e villaggi circonvicini) di figli illegittimi, di offese, di morti, di soprusi, si appropria delle terre con l'inganno, mette a tacere gli ingannati con l'omocidio. Se non lui, suo padre, o suo figlio. Tre generazioni che sono tutta la storia del Messico. E all'orizzonte, ancora una volta voci indistinte, confuse, spesso riportate da gente di passagio, e che quando parlano sono caotiche, ancora incapaci di comprendere dove le porterà il corso della storia, inconsapevoli di essere esse stesse a fare la storia nel momento stesso in cui parlano. Finirà tutto, perchè in fondo è già finito, e il tempo non è altro che un serpente avvoltolato su sè stesso in spire ipnotiche, e del futuro non sapremo nulla. Sappiamo che c'è Pancho Villa in giro per il Messico, sappiamo che ha intenzioni più o meno rivoluzionarie, come altri gruppi e gruppuscoli pseudo o para rivoluzionari, ma non conosceremo le sue gesta, perchè siamo rimasti intrappolati in una bolla di tempo che le anime di Comala si sono create per costringerci ad ascoltare le loro storie, ora tristi, ora assurde, ora passionali, ora banali, così come banale è, in fondo, l'amore di Pedro Paramo per Susana San Juan, l'unico essere umano che sia mai stato capace di amare veramente e che, invece, rimane intrappolata nel suo guscio di ricordi (o di follia) fino alla fine, insensibile anche solo alla sua prensenza.

  Un capolavoro, macchiato da certe sviste di traduzione poco comprensibili, e dalla mancanza assoluta di una nota introduttiva, di un una postfazione, di un inquadramento del romanzo nella storia della letteratura sud americana, o almeno di una nota biografica dell'autore.


  << Ed è questo il motivo per cui questo luogo è pieno di anime; un puro vagabondare di gente che è morta senza perdono e che non l'otterrà in nessun modo, e ancor meno avvalendosi del nostro aiuto. Sta arrivando. Lo sente? >>
                           pg.59

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