"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

venerdì 21 settembre 2012

Segnali che precederanno la fine del mondo, di Yuri Herrera, La Nuova Frontiera editore

Gli Aztechi pensavano che l'aldilà fosse situato in un mondo che essi stessi chiamavano Mictlàn, il livello inferiore del mondo sotterraneo, sarebbe come dire gli inferi, il nostro inferno. Lo immaginavano a Nord, anche se all'epoca gli Stati Uniti non esistevano, ma forse nella loro immaginazione quella doveva essere una terra tanto maledetta quanto agognata già allora, o qualcosa di molto simile. Per raggiungerlo era necessario superare nove tappe, ovviamente costellate di pericoli e prove iniziatiche. In realtà, volendo trasporre la storia alle nostre latitudini, tutto ciò ricorda molto da vicino una certa Divina Commedia di un certo Dante, solo che qui non è lo stesso Dante che compie il viaggio, ma una ragazza, Makina, sveglia, seria e figlia dei suoi tempi e dei ricettacoli delle tradizioni passate, buone o cattive che siano, e non si smarrisce nel mezzo del cammino, ma sceglie deliberatamente, su richiesta di sua mamma Kora, di intraprendere la strada che la porterà a Nord, oltre i confini del suo mondo, si potrebbe dire "oltre le colonne d'Ercole", in realtà banalmente oltre la frontiera, in cerca non di una Beatrice qualsiasi, bensì di suo fratello che, come tanti, è partito anni prima tuffandosi nell'ignoto e non è più tornato. Makina non avrà con sè un Virgilio, bensì si farà aiutare dai potenti della Cittadina, gente poco raccomandabile, che potrebbero squartarla o violentarla con un solo sguardo di ghiaccio, ma che, o in cambio di favori (le fanno fare da corriere) o per vecchi debiti di riconoscenza con la madre, decidono di accordarle il proprio appoggio. Gente che parla poco, che vive nell'ombra e che non a tutti è dato vedere, persone, sempre che siano persone e non demoni, che mettono i brividi addosso al solo sentirne pronunciare i nomi. Makina si mette in cammino, attraversa tutti i nove capitoli che rappresentano le nove tappe per giungere all'estremo Nord. Ora, però, dirvi qui se troverà o meno il fratello e se, nel caso in cui lo trovasse, riuscirà a portarlo indietro, sarebbe come minimo crudele, perchè la storia è tutta qui. No, anzi, la storia è un'altra, altrimenti sarebbe come dire che l'essenza della Divina Commedia consiste nel sapere se Dante riesce o non riesce a riveder le stelle; la storia dovrebbe essere il viaggio, un viaggio iniziatico e di formazione: la faccenda del fratello però è l'unico snodo narrativo vero e proprio, per il resto non rimane nulla. Questo libro, che riesce nell'impressionante sconcerto di ridurre le 128 pagine de "La ballata del re di denari" (primo libro di Herrera e caso letterario internazionale) a 105 pagine, dovrebbe essere il secondo di un trilogia sul Messico, sulla frontiera, sul mondo dei narcotrafficanti o su tutti e tre assieme, e il filo rosso che li dovrebbe unire, oltre all'ambientazione "narcolatina" è lo stile minimista, a tratti poetico (un poesia naif), e la struttura tipica della fiaba. Se il connubio tra le argomentazioni terribili del mondo iperviolento dei narcotrafficanti e la struttura essenziale e facilmente comprensibile della favola è indubbiamente stata il primo motivo del successo di Herrera, tale connubio è in maniera altrettanto incontrovertibile il suo limite più grande. Se, come abbiamo detto, il centro del libro dovrebbe essere il viaggio (iniziatico, di formazione e via discorrendo), di questo viaggio rimane ben poco, quasi niente, non un cambiamento psicologico nella protagonista e non un arricchimento della storia. Resta la sensazione di aver sbirciato in sequenza una serie di immaginette bidimensionali che dovrebbero richiamare il lettore a realtà terribili ed angoscianti, ma che alla fine restano poco più che immaginette ben scritte che, tra l'altro, si reggono sulla presunta conoscenza del lettore della realtà che vogliono rappresentare, o attraverso altri libri (di altra caratura, Il potere del cane, Delirio, Ossa nel deserto, 2666, eccetera) e film, o attraverso le cronache dei giornali e della televisione, ma che da sole, se per assurdo il lettore ingnorasse l'esistenza di un mondo fatto di violenza e droga al confine tra Messico e Stati Uniti, non riescono a rappresentare nulla, se non la storia sconclusionata ed appena abbozzata di una ragazzina che si muove da un posto ad un altro in cerca di qualcuno.
 E' come trovarsi di fronte ad uno scheletro (o ad una lisca, volendo essere meno macabri), perfetto, bianchissimo, lucido, che però rimane ciò che è, uno scheletro (o una lisca). Possiamo stare lì fermi ad ammirarlo, ma se vogliamo sapere e capire chi è stato quello scheletro, il suo nome in vita, il sesso, la sua storia, dobbiamo distogliere lo sguardo ed andare a cercarci tutto questo da un'altra parte. Inquietante è come la critica internazionale riesca a creare dei fenomeni editoriali con in mano un pugno di sabbia: sembra che Herrera, con all'attivo 233 pagine pubblicate per un totale di due fiabe, sia diventato l'astro nascente della letteratura sudamericana nel mondo, letteratura sudamericana che per fortuna non ha bisogno di capicordata per farsi conoscere, dal momento che è in ottima salute e ben rappresentata da un numero impressionante di scrittori giovani e meno giovani che, di solito, hanno anche il coraggio di rischiare temi, strutture e linguaggi che nel resto del mondo è raro vedere ancora (quantomeno vederli pubblicati). Come ha fatto Yuri Herrera tra l'altro, che a mio avviso non è un narcoscrittore - sempre che ce ne siano e che questo termine significhi qualcosa - e non è neppure un grande scrittore, quanto piuttosto un buon artigiano che ha intrapreso una sua strada di sperimentazione, con i suoi limiti ed i suoi punti di forza, e come tale va letto.
  Non è un libro da scansare a tutti i costi, è un libro da prendere con le pinze, per evitare di ridurre Herrera ad una sorta di santino da baraccone tipo Coelho. Non credo che potrà scrivere tutta la vita utilizzando questo stilema delle narcofiabe, ma credo che dovrà giocoforza continuare sulla stessa rotta per il terzo libro della trilogia. Per questo aspetto il suo quarto libro. Magari si dimostrerà uno scrittore all'altezza e magari si potrà apprezzare qualcosa di più di quello scheletro (o lisca) così bianco (o bianca).



Yuri Herrera è nato ad Actopan, in Messico, nel 1970. Ha studiato Scienze Politiche in Messico e Letteratura negli Stati Uniti. Con il suo primo romanzo La ballata del re di denari ha vinto, nel 2003, il Premio Binacional de Novela "Border of words", e nel 2009 in Spagna il premio "Otras voces, otros ambitos", confermandosi come uno degli scrittori messicani più promettenti.

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