Chi non ha mai letto Indridason, ha perso qualcosa. Che cosa, esattamente, non lo so, comunque qualcosa di importante. Chiunque ami la letteratura si può rendere conto che questo autore islandese non è il solito fenomeno (più o meno tale, in realtà in giro non ce ne sono molti) del cosiddetto giallo del nord. E' stata un'ondata, forse lo è ancora: i giallisti del nord europa hanno travalicato il filtro della buona qualità (e - avolte - del buon gusto) imposto da Iperborea o dalle scelte editoriali oculate delle grandi case editrici e hanno invaso quel piccolo mondo provinciale che è l'editoria italiana. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Di Stieg Larsson ce n'è uno solo (c'era, purtoppo, ora non più) e la maggior parte dei suoi emuli sono, per così dire, legione, una schiera di demoni più o meno agguerritti che puntano alla fama facile seguendo il maestro e cercando di tanto in tanto qualche strada alternativa che si va presto esaurendo. Sono tanti, troppi, e la maggior parte di loro non vale nè la spesa nè il tempo utilizzato a leggere le loro storie. Le uniche cose che li uniscono sono le ambientazioni, i paesaggi, i sapori e gli odori che fanno da sfondo (e spesso non solo, spesso rivestono la parte di coprotagonisti) dei loro gialli. Città e cittadine avvolte dalla nebbia, centri isolati dal resto del mondo, personaggi cupi e taciturni, neve pressochè perenne, tempeste solari, mugnai impazziti, violenze famigliari, alcolismo, droga e via discorrendo. Se questa è la media, Indridason è molto di più. I suoi libri sono un bisturi che entra poco alla volta nella carne viva della società e della storia islandese, nelle sue genti, e seziona freddamente l'animo oscuro di una terra fredda e, per molti mesi l'anno, coperta da un fitto strato di buio. L'equazione è semplice, quasi banale, buio sulla terra, buio nell'anima. Il suo protagonista è Erlendur Sveinsson, per tutti Erlendur, diciamo, quasi senza ironia, l'uomo più triste d'Islanda. I suoi collaboratori, tanto fidati quanto diversi da lui, sono Sigurdur Oli, una specie di fighetto perfezionista con poco tatto e meno pazienza, ed Elìnborg, una mamma in carriera, più sottile e comprensiva. In questo "La signora in verde", la storia rimbalza tra il presente, in cui viene ritrovato uno scheletro su una collina, e il passato, durante la guerra, dove seguiamo le vicende di una famiglia in balìa di un padre e marito violento e sadico oltre ogni misura. Di chi è lo scheletro sulla collina? E' morto di morte naturale o violenta? E, in questo secondo caso, chi l'ha ucciso? Tutto parte da questa che è una situazione piuttosto banale e già vista nell'ambito del giallo, qualsiasi giallo, nordico o mediterraneo che sia, ma il modo in cui l'autore sviluppa ed approfondisce la storia la fa diventare, come sempre capita nei libri di Indridason, un trattato sociologico (e storico in questo caso) che ci è dato seguire in presa diretta. Cos'era la società svedese durante la guerra, il ruolo della donna, l'accettazione della violenza domestica come un fatto, se non proprio naturale, comunque ineluttabile, la presenza degli inglesi prima e degli americani poi, gli echi di una guerra spaventosa ma nonostante tutto sempre percepita come lontana, la povertà, la fame, le dicerie popolari, i furti presso gli insediamenti militari degli americani, i figli della guerra, vale a dire i figli dei soldati che sono rimasti di stanza in loco qualche mese e poi sono stati spediti sui fronti caldi del Grande Conflitto, spesso a morire. Quasi sempre a morire. Le vedove non riconosciute, perchè ragazze madri, quindi svergognate, impudiche agli occhi della gente, puttane. E poi una signora "storta" e vestita di verde che si aggira per la collina attorno ad un cespuglio di ribes, che qualcuno ha visto, diversi ricordano, ma che sembra essere come l'ombra di un fanstama. Non vado oltre. E' un libro tanto terribile quanto magnifico. La scrittura di Indridason è piatta, calma, ha un suo ritmo ben preciso, scandito dagli avvenimenti e dai dialoghi, e affonda la sua capacità di analisi poco alla volta nella storia, non scade mai nel compiacimento quando descrive fatti violenti o perversi, è come un'occhio che rimane esterno senza però negarsi la possibilità della pietà umana. Erlendur, tra l'altro è un personaggio indimenticabile, complesso, che si sviluppa ed arricchisce un libro dopo l'altro. Ossessionato dalla morte del fratello avvenuta quando entrambi erano piccoli durante una tempesta di neve, morte di cui si sente responsabile e che non è mai riuscito a superare, si è separato dalla moglie dopo aver avuto due figli che, se è ingiusto affermare che abbandona in tenera età, comunque non tenta neppure di essere loro vicino, questo per molti anni, fino a quando non saranno i figli stessi ad andarlo a cercare, ormai adulti: Eva Lind, tossicodipendente che lo accusa di essere la causa primigenia di tutte le sue sventure e Sindri, ragazzo solitario e distante. Questo è il mondo di Arnaldur Indridason, Reykjavìk e dintorni, brughiere, fiordi, pianure infinite ricoperte di lava e ghiaccio, strade di periferia e storie di disgrazie che giungono dal lontano nord della regione. Ogni storia è una scusa per approfondire un tema, ma sia l'intreccio giallo che l'approfondimento - storico o psicologico o antropologico che sia - sono di qualità assolutamente superiore alla norma, e se la scrittura può ad una prima impressione apparire banale o magari un po' sciatta, la realtà è che è un piccolo miracolo di equilibrio tra il ritmo lento che caratterizza la vita dei protagonisti, lo svolgersi della vicenda e un'attenzione particolare a non andare mai sopra le righe, non marcare mai troppo i contorni di una scena, di un fatto o di un personaggio, lasciando che sia la storia a imprimere le impressioni dovute nei lettori.
N.B: Subito dopo ho letto Un grande Gelo, e prima Un caso archiviato, La voce, Sotto la città e Un corpo nel lago. Li consiglio tutti. Sono inoltre usciti Un doppio sospetto e Cielo nero (tutti e due per Guanda; tutti gli altri sono ora disponibili in edizione economica per Tea)
Arnaldur Indriðason (Reykjavìk 28 Gennaio 1961)è uno scrittore islandese, noto particolarmente per i suoi romanzi polizieschi che hanno come protagonista il personaggio di Erlendur Sveinsson.
La traduttrice delle sue opere in italiano è Silvia Cosimini. Tutti i romanzi tradotti in italiano sono stati pubblicati dalla casa editrice Guanda.
Vive a Reykjavík, è sposato e ha tre figli. Dal 1981 al 1982 ha lavorato come giornalista al Morgunbladid. In seguito ha lavorato come giornalista indipendente e come critico cinematografico. Si è laureato in storia nel 1996 all'università islandese.
Ha iniziato la sua carriera di scrittore nel 1997 pubblicando il primo romanzo della serie dedicata al commissario Sveinsson. Ha vinto numerosi premi, fra i quali Glasnyckeln e Gold Dagger.
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
sabato 8 settembre 2012
La signora in verde, di Arnaldur Indridason, Tea editore
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