Per dirottare un aereo, pare sostenesse nientemeno che Gramsci, bisogna - ovviamente - salirci a bordo. Questo libro, edito per la prima volta in Francia nel 2000 da Editions Grasset & Fasquelle (quindi si colloca prima di quella linea spartiacque che è stato l'11 Settembre 2001), è la storia di un copy (abbreviazione di copywriter, vale a dire un creativo che lavora in ambito pubblicitario) che sogna di dirottare un aereo, e di dirottarlo scrivendo un libro, il libro che in effetti poi ha scritto e che qui sto recensendo. Mentre appunta gli avvenimenti che follemente si susseguono nell'agenzia pubblicitaria per cui lavora e le riflessioni dettate dallo sdegno che lo anima e che formeranno parte del libro finale, i fili e gli inneschi della bomba che sta mettendo insieme per far saltare un mondo che non riconosce se non come ingiusto e demente oltre che patologico e demenziale, il protagonista, Octave, si domanda se il suo persistere all'interno della cabina di comando sia davvero un "salire a bordo", per dirla con Gramsci, o se piuttosto non sia un atto di vigliaccheria ipocrita puro e semplice. Fa parte del sistema perchè è l'unico modo per sovvertirlo, o si illude di voler sovvertire un sistema nel quale nonostante tutto sguazza e oscenamente ci si arrichisce? Le riunioni che si susseguono nevroticamente per decidere il claim (leggi slogan) e il packaging, il video, il payoff e non so quant'altro per una campagna pubblicitaria il cui cliente è un'importante produttore di formaggio magro, le idee che vengono partorite e poi bruciate in un nanosecondo, le frasi fatte, i tic e le nevrosi del mondo della comunicazione ci vengono mostrate dall'interno, in soggettiva, in una situazione in cui autore e protagonista si confondono (e piacevolmente ci confondono). Gli esempi che Octave adduce (seducendoci) per far capire la mostruosità di quel mondo in cui vive sono la parte migliore del libro: i fondi pensione dei ricconi di Miami pagati dai lavoratori dell'Europa intera, l'uso delle tecniche pubblicitarie a fini propagandistici fatto da Goebbels, la registrazione di marchi assurdi come la felicità o il colore blu da parte di grandi multinazionali, e via discorrendo (non vado oltre perchè, essendo l'aspetto più interessante del libro, non ha senso spiattellarli qui in bella mostra, rovinando così il piacere della lettura). I fatti, i dati ed i meccanismi che sottendono la realtà della pubblicità sono snocciolati come meglio non si potrebbe e bastano poche pagine per far comprendere al lettore di come la pubblicità sia una macchina da guerra che si muove in un territorio di guerra durante tempi di guerra, per vincere le nostre resistenze e convincerci di come quell'arma così seducente abbia modificato le vite di ognuno di noi e ne abbia distorto la percezione che ne abbiamo (sia della vita che della realtà). Riassunto: non siamo più schiavi costretti con la forza dal sistema a rimanere tali, siamo schiavi inconsapevoli di esserlo che chiedono al sistema di tenerli soggiogati. Amiamo le nostre catene, perchè le nostre catene sono lucide, brillano, paiono d'oro, sono trendy e siamo noi a spaccarci la schiena ogni giorno per potercele permettere, per esibirle al mondo o anche solo ad uno specchio o in un supermercato: questo è l'insegnamento che il sistema ha tratto dal fallimento della grandi ideologie e conseguenti dittature del novecento. Uno schiavo che sa di esserlo e patisce la propria condizione, prima o poi troverà il modo di liberarsi, l'ideale è uno schiavo inconsapevole, apparentemente beato della propria condizione, ebete. E questo risultato il sistema ha capito come ottenerlo: con la pubblicità, quella cosa che studia l'uomo per fotterlo, per vendergli "tutta quella merda", per citare l'incipit del romanzo. Fin qui, dicevo, tutto bene. Cioè tutto male, ma il romanzo si rivela notevole e di piacevole lettura, la realtà scende a patti con la finzione e vi si adatta alla perfezione. Poi però cambia qualcosa. E' come se ad un certo punto l'autore avesse sentito la necessità di tornare coi piedi per terra lasciando che la struttura narrativa prendesse il sopravvento su quanto di reale era stato fino a quel momento ben amalgamato alla fantasia, e qui cominciano i problemi. Perchè il libro scade nel banale, nelle frasi ad effetto usate da Beigbeder con sapienza, ma anche con la furbizia tipica del copy, come se la seconda parte del libro mettesse in pratica quanto esposto nella prima al solo scopo di rendere più appetibile il libro indirizzandolo verso un target ben preciso (uso certi temini non a caso).
Octave, che già è stato lasciato (si è "lasciato lasciare") dalla findanzata incinta, Octave che prima abusa e poi si disintossica dalla cocaina, Octave che frequenta, pagandola cifre astronomiche, una prostituta per poi ammirarle gomiti e palpebre, viene coinvolto in vortice abilmente costruito (ma neppure poi tanto abilmente) in cui sesso, dandismo di maniera, amoralità e immoralità si susseguono fino a giungere alle estreme conseguenze che si concretizzeranno in un suicidio ed in un omicidio. Maledettismo di facciata, cinismo trendy e colpi di scena improbabili e stridenti, niente più. Poi, da un certo punto in avanti, la storia si fa confusa e sfuma nell'onirico (con un tentativo poco riuscito di sfociare nel poetico) e non si capisce più se il dirottatore alla fine lo ha dirottato, l'aereo, o se al contrario c'ha preso gusto ed ora lo sta pilotando.
Poco importa, perchè non è quella la questione, nè il punto di forza del libro. La storia in questo caso va considerata, come e più che in altri libri, come un semplice pretesto per descrivere e criticare (condannare) un certo mondo, per metterci in allarme e lanciare un razzo di segnalazione nel bel cielo blu: per urlarci: scendete fin che siete in tempo! Tutto il resto, la storia diciamo, il plot o come diavolo vogliamo chiamarlo, è un insieme di controluoghi comuni utili semplicemente ad arrivare alla fine del libro.
Frederic Beigbeder nasce da una famiglia piuttosto agiata: sua madre Christine
de Chasteigner è traduttrice di romanzi rosa, mentre suo padre
Jean-Michel Beigbeder è reclutatore di talenti. Diventato redattore in una grande agenzia pubblicitaria, Beigbeder
collabora anche come critico letterario in alcune riviste come Elle e Paris Match.
Nel 2000, conscio che la pubblicazione gli avrebbe causato il licenziamento, dà alle stampe il romanzo che gli è valsa la celebrità, Lire 26.900 (titolo originale francese: 99 francs), impietosa denuncia del mondo della pubblicità divenuta un caso editoriale con 380.000 esemplari venduti.
Nel gennaio 2003,
la casa editrice Flammarion propone allo scrittore di cambiare fronte e
di diventare editore. Da quel momento ha pubblicato circa 25 libri.
Il suo romanzo Windows on the world, che si ambienta nelle Torri Gemelle di New York durante gli attentati dell'11 settembre, gli è valso il premio Interallié 2003. Il romanzo stesso è in corso di adattamento cinematografico da parte del regista anglo-francese Max Pugh.
Beigbeder è divorziato ed ha una figlia, Chloë. Dal 2004 al 2007 è stato unito sentimentalmente all'attrice francese Laura Smet.
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
martedì 29 gennaio 2013
Lire 26.900, di Frederic Beigbeder, Feltrinelli editore
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