Il noir è di questo mondo, un mondo globalizzato dove la caratterizzazione locale sfuma in un universo narrativo che è assolutamente neutro e dove le uniche indicazioni alle quali ci si può aggrappare per individuare una localizzazione sono i nomi dei protagonisti, nomi equamente divisi tra lo spagnoleggiante, il britannico/americano e l'asiatico. Dove si svolgano i fatti, dunque, non si sa. E' il nuovo romanzo latinoamericano che si allontana non solo dai propri stereotipi ma anche dalle proprie radici etniche. Il paesaggio, il linguaggio, la società non sono più utilizzati come espediente narrativo caratterizzante. E' pura e semplice narrazione. I fatti, immaginateli ambientati dove più vi aggrada. Ma c'è di più, la trama, dunque i fatti di cui sopra, non è poi così importante: è un tipico plot noir, tanto basta. Non serve altro. Neppure le atmosfere, al contrario che nei film di David Lynch, sono davvero essenziali (cito Lynch perché i richiami filmici in questo libro sono importanti, ed evidenti). Quello che davvero è il nucleo di questo libro è la struttura, e il pastiche che da essa ne deriva. La struttura é il pastiche, e viceversa. La narrazione si sviluppa su due piani differenti, apparentemente intangibili tra di loro, in un montaggio alternato anche questo molto cinematografico. Da un lato, la detection con l'ispettore Hermogenes Santos che, accompagnato dal suo improvvisato braccio destro Jim, indaga su una morte misteriosa, la morte di un bambino avvenuta nella sua stessa casa; dall'altro la storia di Max, scrittore maturo e non certo di successo, che si vede derubato di un suo romanzo portato poi al successo da un giovane scrittore privo di scrupoli, tale Wilmer (proprio come l'autore di questo Mondo noir). Alla morte del bambino si aggiunge quella del padre, e su questa linea narrativa è la violenza che diventa il vero marchio dell'indagine, la violenza che più che altro si manifesta tra i due investigatori e Chico, il mastodontico guardaspalle della famiglia del bambino morto. Di indagine vera e propria c'è poco, pochi snodi, pochi personaggi che entrano ed escono dalla scena (più che altro, chi ci entra, pochi, poi tendono a rimanerci, in scena). Scazzottate, sparatorie, botte, tutte narrate senza uno slancio particolare: è la piatta brutalità che vige in un mondo noir, nessuno se ne lamenta, perché è la regola. Non c'è nulla di strano in questo. E l'acume investigativo non sonda nessun mondo (città, provincia, famiglia) fino a svelarne i più torbidi segreti, non c'è accenno di critica sociale nel testo. Qualcuno ha ucciso il bambino, poi il padre, bisogna capire chi è stato e poi sbatterlo in prigione, e per capire chi è stato, vanno presi i personaggi che in qualche modo aleggiano attorno ai fatti e torchiati a suon di botte, fino a farsi dire la verità, o una verità, o almeno un pezzo di essa: qualcosa che possa portare i due poliziotti alla pagina successiva. Per quanto riguarda Max, è lo sconcerto a stravolgergli il grigiore dell'esistenza. Non riesce a credere che Wilmer, quel giovane scrittore che si era affidato a lui per avere un giudizio sui suoi scritti, lo abbia truffato in quella maniera. Senza pudore. Ed effettivamente è la mancanza di remora alcuna e di qualsiasi pudore che caratterizza Wilmer; il suo ruolo narrativo è quello di essere un figlio di puttana senza scrupoli, e questo - narrativamente -fa. A questo punto, preso atto della freddezza del giovane scrittore, Max si rivolge al suo editore, lo stesso che ha pubblicato il libro a lui rubato, e gli denuncia il furto, gli chiede di fare qualcosa, di restituirgli il suo romanzo. Ed è qui che compare un altro personaggio classico del noir (del mondo del noir), Linda, la cosa più simile ad una dark lady che si possa trovare nel libro. Ma è una dark lady molto sui generis: è la moglie dell'editore (ma era stata la fiamma di Max, e questo è uno dei pochissimi, veloci, accenni alla biografia di qualcuno dei personaggi, assieme all'episodio del passato di Hermogenes Santos in apertura del libro e a qualche vago ricordo di Jim), ma non è una bellona da film, la sua connotazione sessuale è abbastanza spenta. E' femmina, lo sa, ne approfitta quel poco che la scarsa sete sessuale dei maschi che la circondano glielo permette, stop. Non è indimenticabile, e la dimenticherete presto. E' messa lì per ingannare, e Linda inganna, in maniera piuttosto anonima, senza sforzarsi più di tanto e apparentemente senza trarre un particolare piacere dalla sua capacità di ingannare. Come dicevamo, non c'è nulla che caratterizzi questo noir quanto avere in sé il minimo comun denominatore dell'essere noir, e null'altro. E' la struttura - lo scheletro di una struttura - che importa, le introduzioni ai brevi capitoli che si susseguono con una certa fretta, un certo gusto per la metanarrazione, le figure bidimensionali che si muovono su un palcoscenico vuoto e replicano all'infinito gli stilemi di un genere che in sé racchiude, appunto, un mondo. E Zarate pare aver creato un requiem per il genere noir, sembra volerci dire, dalla dimensione provinciale della sua Bolivia: ok, sappiamo anche noi che cos'è il noir, lo sappiamo bene ormai, abbiamo capito come funziona, quali sono gli ingredienti per metterne in piedi uno di successo, perfetto, ora basta però (e a questo proposito vale l'indicazione nel testo dell'importanza data alla nuova narrativa dal carattere internazionale, priva di connotazioni regionalistiche).
C'è un forte desiderio di cambiamento. Cioè, si abbordano temi nuovi e, curiosamente, non da un punto di vista strettamente nazionale o localista come si era soliti fare solo una decina di anni fa. A cosa mi riferisco? Se vai a riguardarti gli ultimi romanzi pubblicati, scopri che quasi nessuno menziona località tipiche o cose del genere. C'è, in questa nuova generazione, la volontà di assumere movenze narrative straniere. E attenzione: a me questo non sembra affatto negativo "
(parole di Francis Golden, l'editore di Max e di Wilmer)
E' lo scheletro di una qualsiasi narrazione noir, la decolorazione del "nero" se così si vuol dire, è un cadavere letterario portato a galleggiare da un certo gusto narrativo postmoderno che mescola metanarrazione a pastiche con la leggerezza di chi vuole mettere una pietra tombale su tutto un immaginario, e poi voltare pagina, ma con una certa leggerezza, con l'ironia di fondo di chi sta scimmiottando un amico, ma lo fa senza scordarsi di mettersi in gioco e farsi beffe anche della propria immagine riflessa nello specchio. Infatti Wilmer muore.
Uno squarcio, questo Mondo noir, in una letteratura, quella boliviana, da noi ancora poco frequentata, un libro ricco di seduzioni cinematografiche, che mi ha ricordato per la forza post moderna certi passaggi di Hawtorn&Child, anche se il libro di Keith Ridgway, per atmosfere, freddezza narrativa e azzardo ai limiti della follia, rimane inarrivabile. Ma, se questo libro voglia essere una pietra tombale posta su un genere o una rivendicazione della capacità narrativa della terra dell'autore o, all'opposto, una critica verso una nuova ola letteraria che rivendica il diritto a globalizzare la propria arte (fondendola nel mcmondo letterario), questa, forse, è la reale detection di Mondo noir.
Wilmer Urrelo Zarate (La Paz, 1975) ha vinto, a soli 25 anni e proprio con Mundo negro, il Premio Nazionale per il romanzo d'esordio. La creatività del giovane boliviano e la forza della sua scrittura, immediata, ironica, seduttrice, lo hanno portato al successo anche col suo secondo lavoro. Fantasmas asesinos. vincitore del 2006 del Premio Nazionale per il romanzo.
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