Il libro si apre a Freetown, in Sierra Leone, dove Roland Nair e Michael Adriko si ritrovano, su invito, peraltro piuttosto misterioso, di quest'ultimo. Da questo momento in poi comincia una corsa folle, selvaggia e un tantino demente nel cuore nero dell'Africa e dell'uomo. Il narratore è Roland Nair, capitano di un'agenzia d'intelligence della Nato, danese ma di passaporto statunitense, bianco. Con l'avanzare delle pagine capiamo che ha una missione, probabilmente legata a Michael Adriko, soldato, avventuriero, nero, suo amico e compagno di ventura in Afghanistan e in altre guerre sparse per il globo. Trama qualcosa Nair, incontra personaggi sinistri, si guarda le spalle da personaggi altrettanto sinistri, beve, paga prostitute e lascia che la follia africana torni a fluirgli nelle vene, come ai vecchi tempi: un afflusso di follia che gli mancava, che gli dona ossigeno. Vecchie conoscenze lo mettono in guardia e in diversi gli sussurrano che Michael è tornato, e che Michael ha disertato. Si muove in hotel "di guerra", sgangherati, portatori di una presunta opulenza forse mai appartenuta nemmeno ad un passato lontano, privi per gran parte del tempo non solo del wifi ma anche della corrente elettrica, abitati da personaggi obliqui, figure bidimensionali che, anche qualora non lo fossero, appaiono essere pedine di un gioco più grande di loro, spie, giornalisti, affaristi, avventurieri, truffatori, tutti vaganti tra le hall, le piscine e le stanze di alberghi che ricordano cattedrali nel deserto perennemente a rischio di crollare su sé stesse. Ogni personaggio, che è impossibile sapere se sia un'agente al soldo di qualche potenza straniera o un semplice fallito in cerca di una fine misericordiosa e in fuga da sé stesso, e che probabilmente è entrambe le cose al contempo, è un'ombra ritagliata dalla realtà che lo circonda; sono esseri slegati, slogati dalla società - da qualsiasi società - lontani da qualsiasi legame famigliare o amicale, sono anime in preda ad una costante rotazione che li costringe all'immobilità, nella perenne attesa dell'attimo in cui scatenare l'inferno, nel quale cambiare direzione alla propria vita e fottere il destino, un istante che pare rimanere un punto lontano sull'orizzonte ottico impossibile da raggiungere. Nair, dicevamo, ha una missione, e sta tramando qualcosa. Si muove circospetto, come una spia, entra in negozi/bazar da quattro soldi e attraversa porte che non dovrebbero esserci per trovarsi in piccoli centri informatici dove poter inviare e ricevere messaggi non intercettabili. Scrive ad una donna, Tina, che si trova da qualche parte nel mondo civilizzato, che in qualche maniera gli sostiene il gioco, ancora non sappiamo quale. Nella narrazione si avanza per allusioni, le carte si scoprono poco alla volta, l'andamento è circospetto, la realtà una costante minaccia che, però, non si manifesta mai. Poi, sulla scena irrompe Michael Adriko, e d'un tratto il ritmo cambia (si innalzano ritmi ossessivi, tamburi tribali, la realtà diviene presto allucinata ed allucinante), e così anche il narratore, in prospettiva, si svela, almeno in parte. La missione, innanzitutto, di Nair: deve recuperare notizie su Adriko, su dove si trovi e su cosa abbia in testa, perché in effetti è come gli era stato suggerito da quando è giunto a Freetown: Adriko ha disertato. Ma se Nair è ancora per molti versi indecifrabile, ma guardingo, Adriko è l'incarnazione stessa della disperata follia africana, un turbine perenne, instabile, veloce, spavaldo, incapace di intercettare in sé stesso e nel mondo un qualche centro di gravità (fosse anche temporaneo e approssimato). Michael non è solo. Lo accompagna una donna bellissima, quantomeno agli occhi di Nair: Davidia, la fidanzata numero 5, la sua futura sposa. E' per questo che Michael ha chiamato a sé l'amico, perché vuole tornare al suo villaggio natale, dalla sua gente, a presentare la sua sposa, avere la loro benedizione e sposarla. Vuole fermarsi a cinque, dopo Davidia stop, nessun altra donna. Ma c'è dell'altro. Cosa sia questo "altro" Adriko non è però disposto a rivelarlo, non subito ("seguiranno altre rivleazioni"). Da qui comincia un altro viaggio, verso il villaggio della famiglia di Michael Adriko, verso il centro della sua pazzia (apparente o reale che sia, fa poca differenza), verso lo svelamento del suo piano demenziale e pericoloso, verso il centro nevralgico della loro amicizia (ma è realmente amicizia? o è altro? o, semplicemente, non è?), verso il cuore nero del Continente Nero, un cuore cieco e violento per il quale la vita conta come uno sbuffo di sabbia sollevato dal vento secco e feroce. Mostri che ridono, è un libro oscuro e disperato che però, a tratti, come le lame di luce della jeep impazzita nella notte guidata da Adriko, è illuminata da un'ironia che pare arrivare direttamente dalla fine del mondo, o dalla fine dei tempi o, per essere più precisi, da quell'attimo prima che la fine si manifesti, quell'attimo che ha già perso ogni speranza di salvezza e vanta come unica risorsa quella di dilatarsi, a ritardare la fine. La violenza, l'infanzia tragica di Adriko, la sete di denaro, l'uranio, il Mossad, la mancanza di scrupoli, le truffe, i commerci illegali, la morte, la natura cangiante, vivace e oscura, la fame e la ricchezza divise a volte solo da un fendente tra le costole o da una bugia ben riuscita, ogni aspetto di questo libro si contorce nella parte oscura dell'essere umano. Nulla è sacro, non esistono valori, e quelli che vengono intesi come tali sono solamente brandelli di follia gettati in pasto all'ignoranza della gente. L'Africa narrata da Johnson (da leggere anche La guerra civile all'inferno, in Cronanche anarchiche, sempre di Johnson, per Alet ed.) è una terra dove l'illuminismo non è mai arrivato, dove il pensiero razionale occidentale non solo non ha alcun valore ma rappresenta oltretutto un impaccio di cui è bene liberarsi in tutta fretta. Nemmeno i valori cristiani vi hanno attecchito e, apparentemente, almeno agli occhi di un occidentale, non esiste alcun sistema di valori decifrabile: è il caos, l'anarchia primordiale, terra devastata da guerre senza senso e senza quartiere, corpo da depredare prima che si secchi definitivamente, e Adriko è esattamente la raffigurazione sotto sembianze umane della sua terra. E' una figura difficile da inquadrare e altrettanto impossibile da dimenticare: anche fisicamente, una forza della natura, una macchina per uccidere, un corpo enorme e muscolato che ciondola da un posto all'altro, che scatta all'improvviso, che uccide e viene ucciso (simbolicamente più volte, anzi, continuamente: forse viene ucciso ogni giorno fin dall'infanzia), è così eccessivo da rasentare il divino, ma un divino folle, capriccioso, infantile, coraggioso e stupido, capace di credere all'oscuro mondo spiritico africano e ingenuo al punto da mettere in piedi un piano al limite del demenziale, impossibilitato dalla sua stessa natura ad immaginare (e tantomeno a pianificare) un futuro (infatti quando ci prova scatena una sorta di apocalisse). Johnson, scrittore morto nel 2017, di talento cristallino, riesce con uno stile essenziale e diretto (il suo maestro è Raymond Carver) a mettere in mostra un continente (e quindi un mondo e quindi un universo narrativo) in preda ad un'anarchia primordiale, allucinata, nel quale l'unica legge possibile è la pura e semplice forza vitale, amorale, immorale, dannata, quella spinta che porta comunque a rialzarsi, a correre, ad uccidere, a soffrire per poter immagazzinare un ultimo respiro, a tradire e a sopportare il tradimento, ad amare, o ad illudersi di farlo, solo per assaporarne l'impossibilità, a scopare chiunque, a viaggiare, a scappare, a bere, a fottere e, soprattutto, a fottersi. Il resto, la realtà, quella che conosciamo, il mondo civilizzato, almeno all'apparenza, qui, in questo libro, non esiste, è chiuso fuori, è un'eco lontana che racconta di qualcosa di luminoso e pulito e sferico, qualcosa che, per gli abitanti di questa narrazione, non può che apparire come una fantasia. Johnson, che attualizza Cuore di tenebra, di Conrad, con questo libro punta al centro dell'anima malata del mondo e, ancora più a fondo, all'assurdità del reale, alla mancanza dimensionale dell'esistenza, è una cavalcata violenta, di due antireoi che si scagliano attraverso la notte più scura senza nemmeno avere la speranza di uscirne a vedere l'alba, tra la paura e l'arroganza, il ghigno di fronte all'abisso, l'unico desiderio che si possono permettere è quello di continuare a correre nella notte. Cadere, rialzarsi e ricominciare a correre. Perché fuori da lì, da quella bolla di buio, in realtà non c'è niente. O rischia di non esserci nulla, come Tina, che rimane un nome scritto sulle intestazioni delle mail e delle lettere. Il buio, poche lame di luce, lame assassine di morti senza colpe, e la corsa, i muscoli che servono per la corsa, i polmoni che si chiudono a libro in cerca di ossigeno per correre, fino alla fine, fino all'ultimo. Seguiranno altre rivelazioni.
Denis Johnson è nato nel 1949 a Monaco di Baviera e cresciuto tra le Filippine, il Giappone e Washington, al seguito del padre, un impiegato del Dipartimento di Stato che teneva i rapporti tra la diplomazia e la Cia. Ha studiato scrittura all'Università dell'Iowa, seguendo le lezioni di Raymond Carver. Molti anni dopo anche Johnson vi insegnerà. Pubblica il suo primo libro di poesie a diciannove anni, ma Angels, il suo primo romanzo, uscirà solo quattordici anni più tardi: la sua giovinezza è segnata dall'abuso di di droghe e alcol. Solo dopo essere tornato a casa dai suoi e essersi disintossicato riprende il suo percorso di scrittura che raggiunge la sua piena maturazione con la raccolta Jesus' sondel 1992 (nel 2006 la New York Times Book Review la indica tra le opere più importanti degli ultimi 25 anni). Con Albero di fumo (2007) vince il National Book Award ed è finalista al Pulitzer, così come con la novella Train Dreams. E' unanimemente considerato uno dei grandi della letteratura americana.
In italiano sono tradotti:
Angeli (Feltrinelli, 1987), Fiskadoro, (Feltrinelli, 1988), Albero di fumo (Mondadori, 2009), Nessuno si muova (Mondadori, 2010), Train dreams (Mondadori, 2013), Mostri che ridono (Einaudi 2016), Jesus' son (Einaudi, 2000 e 2018), e la raccolta di reportage Cronache anarchiche: dall'America e dal mondo (Alet, 2004)
"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)
venerdì 30 novembre 2018
Mostri che ridono, di Denis Johnson, Einaudi editore, trad. Silvia Pareschi
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