Non devi fare così, lo sai che ti vogliamo bene, non devi
cercare di salvarti (pag.156): è il padre del protagonista che parla così
al figlio che ha appena tentato la sua prima maldestra fuga da casa o, per
meglio dire, ha appena finto di tentare la sua prima, maldestra, fuga da casa,
facendo sì che il padre potesse seguirlo e ritrovarlo in tutta fretta, prima
che la fuga vera e propria potesse concretizzarsi. Il protagonista è Eddy
Belleguele (trad: bell'imbusto, spaccone, faccia tosta), che viene
rigettato dal microcosmo in cui nasce in quanto effeminato, frocio, femminuccia
ed omosessuale e che rigetta il mondo che avrebbe dovuto accoglierlo perchè
rozzo, sessista, razzista, ignorante. Ma non solo. Eddy viene rifiutato dalla
società del suo paese (dalla cultura del paese che parla attraverso i suoi
abitanti) perchè i suoi modi di fare, la sua finezza d'animo, non solo la
sua sessualità, ma il suo talento artistico fungono da specchio per la sua
famiglia e per le altre persone del paese. Lui non è dei loro, non è come loro,
lui è altro da loro se non in tutto e per tutto il loro opposto. Lui è ciò che
loro non vogliono essere, in quanto non possono esserlo. Eddy, e questo è il
punto, è meglio di loro. Appartiene ad un altro mondo, come nei film di
fantascienza dove un virus alieno contamina gli abitanti del villaggio e dei
bambini in tutto e per tutto uguali agli altri in realtà si rivelano essere
delle entità extraterrestri installatesi all'interno di corpi di esseri umani.
In tal senso, questo libro, può essere letto come un libro di fantascienza. Ma
non solo, è anche un libro di zombie (o di vampiri, capiamoci, comunque di
mostri epidemici). Mi spiego. Tutti i personaggi che compaiono nel libro,
tranne Eddy, sono posseduti da qualcosa di più grande di loro che si esprime
attraverso i loro corpi, che parla con le loro voci, un'entità senza volto,
terribile, un moloch oscuro che tanto più pervade ogni cosa tanto meno è
possibile individuarla: la (sub)cultura del posto, una cultura sottoproletaria
brutale e primitiva: gli uomini bevono, ruttano, si ammazzano dal lavoro in
fabbrica (letteralmente, si ammalano a furia di lavorare e talvolta ne muoiono)
, si picchiano, scopano le loro donne e si interessano al calcio ed al catch, e
se rimane loro tempo si inebetiscono davanti a programmi spazzatura in tv, sono
razzisti ed omofobi. Ignoranti non solo perchè ignorano ma perchè si
incaponiscono nell'ignorare, ne vanno fieri, facendone un punto di vanto. Le
donne sono pragmatiche, razziste, dolenti, vittime di uomini brutali, hanno
sogni che si spezzano verso i quindici anni quando rimangono incinta e
cominciano a riempirsi di figli, in un ciclo vitale di stampo animale che si
ripete uguale di generazione in generazione, da tempo immemore. Tutto ciò che
non rientra in questi canoni è escluso a forza dall'entità che tutti possiede.
In questo senso Eddy è come il protagonista del racconto di Matheson
Io sono
leggenda: è l'unico diverso in un mondo di mostri, ma in quel mondo è lui
il mostro e l'unico modo che ha per salvarsi è la fuga. Poi, questo libro, è
anche altro: è una sorta di diario, è uno scontro sociale tra un
sottoproletariato brutale e brutalizzato dalla società e una borghesia lontana,
estetizzata al punto da apparire quasi effemminata o, per meglio dire, efebica.
Atene e Sparta, ma che non si combattono neppure più, che si sbirciano a
distanza, disprezzandosi, quando non ignorandosi, fingendo l'una l'inesistenza
dell'altra. Poi è il romanzo di una famiglia che non ha i mezzi per comprendere
il proprio figlio e la sua diversità e che l'unico modo che trova in sè per
salvarlo è torturarlo, standardizzarlo alla realtà circostante. E in nuce, a
sprazzi, quasi di sfuggita: la fierezza di avere un figlio intelligente che
farà strada e, al contempo, il terrore di non poterlo capire, di percepirlo
sempre come qualcosa di incomprensibile quando non addirittura illogico:
lontano, troppo lontano dai propri (dis)valori. Infine, il libro è anche un
racconto biografico. Ma chissenefrega, non è importante. Quello che colpisce in
un giovane autore al suo primo romanzo è la padronanza dello stile e del
materiale narrativo e, soprattutto, del taglio personalissimo che riesce a dare
alla storia: un taglio antropologico. Nessuno viene giudicato. Neppure
quell'entità maligna che tutto pervade e tutti possiede. E proprio quella
sensazione di una (sub)cultura che parla attraverso gli abitanti (tutti tranne
Eddy, che pare sordo alla voce dell'entità) è il fattore più sconvolgente del
romanzo, più delle violenze e delle umiliazioni subite dal protagonista, più
dell'identità sessuale vissuta come marchio d'infamia, più della consapevolezza
che ci viene sbattuta in faccia come uno schiaffo, che quei mondi, che quelle
realtà esistono, che piaccia o meno, e non sono per nulla dissimili da realtà
identiche di fine ottocento, e che, forse, sono le stesse realtà che esistono
dall'inizio del mondo e che quell'entità che parla e possiede gli abitanti della
cittadina, forse altro non è che la natura umana.
Édouard Louis, nato Eddy Bellegueule, è cresciuto nella Francia del Nord, regione descritta nel suo primo romanzo, Il caso Eddy Bellegueule.
Proviene da una famiglia della classe operaia: suo padre è disoccupato e la madre non ha mai lavorato. La povertà, il razzismo, l’alcolismo con cui si è confrontato nella sua infanzia e la sua classe sociale sono il punto di partenza della sua opera letteraria.
È il primo della famiglia a concludere gli studi e viene ammesso all’Ens, la Scuola Normale Superiore di Parigi, nel 2011. Nel 2013 ottiene di poter cambiare nome e diventa Édouard Louis.
Nello stesso anno cura l’opera Pierre Bourdieu. L'insoumission en héritage, pubblicata da Presses universitaires de France (PUF), in cui viene analizzata l’influenza di Bourdieu sul pensiero filosofico e sulle politiche dell’emancipazione. Presso lo stesso editore Louis crea, nel marzo 2014, la collana di scienze umane “Des mots”, dove comincia a pubblicare testi di George Didi Hiberman e Didier Eribon.
Nel gennaio 2014, all’età di 21 anni, pubblica Il caso Eddy Bellegueule, un romanzo di forte matrice autobiografica. A lungo recensito dai giornali, che ne hanno sottolineato le qualità, il libro ha anche alimentato molte polemiche, in particolare per il ritratto che l’autore fa della sua famiglia e del contesto sociale in cui è cresciuto. Il libro ha venduto oltre 200.000 copie in pochi mesi ed è in corso di traduzione in una ventina di lingue. Didier Eribon parla di un “exploit” a proposito del libro, “Le Monde” lo celebra come “la storia di un fallimento salutare”, Xavier Dolan evoca “l’autenticità inimitabile dei dialoghi”, “come se Édouard Louis scrivesse da sempre”, aggiunge.
mi incuriosisce abbastanza da aggiungerlo nella lista dei prossimi da acquistare. grazie per l'ottima recensione.
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