Non avevo idea di chi fosse Alma Guillermoprieto, forse anche per questo si è rivelata una sorpresa piacevolissima, perchè non mi aspettavo nulla da questo suo libro di reportage, ma, anche se avessi avuto delle aspettative al riguardo, posso affermare che non sarebbero comunque state tradite.
Desde el paìs de nunca jamàs. E' il titolo originale di questa raccolta di
cronicas, tradotto dall'inglese e pubblicato in Italia da LaNuovaFrontiera editore. In effetti c'è qualcosa che non torna. Tradotto dall'inglese. Alma Guillermoprieto è nata a Città del Messico (la data non è importante per una signora, è sufficiente il luogo di nascita), ma in giovane età emigra negli Stati Uniti per studiare danza, diventa ballerina professionista poi, forse avendo l'intuizione di trovarsi nella posizione ideale per spiegare agli americani il sud e centro america, comincia a collaborare con The Guardian, The Washington Post, Newsweek, The New Yorker e The New York Review of Book e come per incanto si trasforma da ballerina professionista a giornalista di razza. Nel 1982 si reca in Salvador a documentare i massacri della guerra civile, rischia la vita e denuncia al mondo le barbarie che venivano celate all'interno del paese centramericano. Le prime tre
cronicas presenti in questa raccolta, più la quinta,
Commento, trattano di questa guerra, aprendo le danze con un vero e proprio pugno allo stomaco: l'immagine degli avvoltoi che s'ingrassano coi cadaveri gettati a mucchi, come cataste di stracci, su un'ampia spianata di roccia vulcanica di El Playòn. Leggendo questi articoli non si può fare a meno di notare lo sforzo dell'autrice di farsi
mezzo di comunicazione vero e proprio tra il contenuto dei reoprtage e il pubblico americano, il tentativo di riportare una brutalità talmente incomprensibile da poterla (volerla) facilmente scambiare per fantasia o, come minimo, come un'esagerazione forzata della realtà. E' nelle righe più esplicitamente rivolte al suo pubblico di lettori che la Guillermoprieto lascia cadere quelle che, ad un prima lettura, possono non apparire neppure delle accuse, ma che in realtà lo sono eccome, verso gli Usa ed il loro irresponsabile coinvolgimento nella guerra civile salvadorena. Lo stile limpido e la grazia che formano parte della caratteristica prosa della Guillermoprieto le permettono di dire qualsiasi cosa, a chiunque, senza mai scivolare nella retorica o nell'urlo disperato (magari giustificato) e sguaiato. Poi nel racconto
Menudo prendiamo fiato e scopriamo le origine da boy band di Ricky Martin e la follia delle giovani fans latinoamericane. C'immergiamo poi nella demenziale e sanguinaria rivoluzione del movimento comunista peruviano Sendero Luminoso e del suo indiscusso lìder, Abimael Guzmàn, colui che pensava a sè stesso come la quarta spada del comunismo mondiale e che, partendo da una giusta lotta contro la discriminazione dei campesinos andini, finì per mettere a ferro e fuoco un intero paese e per compiere vere e proprie carneficine sugli stessi campesinos che avrebbe dovuto difendere. Rimaniamo come intontiti a scoprire tutti i retroscena legati all'impeachment del presidente brasiliano Collor de Mello e delle implicazioni sociali e culturali delle telenovelas brasiliane. Seguiamo il premio nobel Vargas Llosa (quello che sarebbe poi diventato premio nobel per la letteratura nel 2010) nella sua campagna elettorale per la presidenza del Perù conclusasi con la sconfitta ad opera dell'allora semisconosciuto Alberto Fujimori. Altre tre
cronicas indagano la nuova realtà di Cuba, dalla visita papale di Giovanni Paolo II in avanti: Fidel, la caduta del regime sovietico e le sue ripercussioni sull'isola, le contraddizioni tra il credo ormai solo di facciata del regime e la realtà attuale fatta di turismo, povertà e prostituzione. Poi, un'analisi approfondita e sottilmente acuta del mito di Eva Peròn. I cadaveri di ragazze abbandonati ai lmiti del deserto che circonda Ciudad Juarez, al confine con gli Stati Uniti, l'ombra del narcotraffico, della polizia corrotta e del narcosatanismo. L'emancipazione delle
cholas boliviane sul ring della lotta libera -
la lucha libre - di derivazione messicana. E infine il culto demenziale eppure incredibilmente sentito della
Santa muerte, in Messico, nel suo Messico, nel quartiere di Tepito, a Ciudad de Mexico, la città di nascita della Guillermoprieto. Questo libro è un viaggio per molti versi tragico e per altri un po' assurdo, si ha l'impressione di viaggiare in un mondo inventato da un cantastorie ubriaco e con tendenze sadiche, eppure il viaggio, per quanto strano e angosciante ha in sè la magia dell'affabulazione. La caratteristica straordinaria di questa "giornalista ballerina" è che riesce ad unire la rigorosa professionalità della
reportera di razza, certe intuizioni e spunti (caratteristici di una sensibilità fuori dal comune) che le permettono di entrare a fondo nell'analisi delle realtà che descrive, un pizzico di ironia che la circonfonde di un minimo di distacco di stampo anglosassone e che rende la narrazione appetibile anche (se non soprattutto) ad un pubblico occidentale, e uno stile che unisce l'essenzialità nordamericana con l'affabulazione tipica dei grandi narratori latini. Ne nasce una serie di immagini forti e ben delineate che si condensano in una fotogafia in movimento del "continente che non c'è", di quel latinoamerica che è molto di più dell'immagine esotica e stereotipata che se ne ha in occidente. Una fotografia a tratti terribile e, in certi casi, anche divertente, comunque sempre folle, talmente folle da far pensare che si stia parlando di un posto che non c'è.
Alma Guillermoprieto, messicana di
nascita, si trasferisce giovanissima a New York per diventare una
ballerina. Fino al 1973, la sua vita è completamente assorbita dallo studio
della danza: una vita isolata, dice Alma, chiusa in un mondo
soffocante. Dal 1973 in poi, decisa
a uscire dal suo guscio, scopre la passione giornalistica e comincia a
collaborare con il Guardian, spostandosi più tardi al Washington post e infine al New Yorker: da quel momento, la sua vita sarà dedicata a raccontare il mondo latinoamericano ai nordamericani. I
suoi articoli sono “cronicas”, resoconti dei fatti che si ispirano
direttamente ai dispacci dei conquistadores spagnoli: immediatezza
cronachistica e immedesimazione dei fatti, è questa la cifra stilistica
della scuola sudamericana.
L’America latina è sempre stata vista come un paese “de nunca jamas”, un
paese “lontano lontano”, un luogo da favola, tanto affascinante quanto
sconosciuto.“El
pais del nunca jamas” è il libro che raccoglie i reportage sudamericani
di Alma Guillermoprieto dagli anni ’80 agli anni 2000.
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