"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

lunedì 9 luglio 2018

Lascia fare a me, di Mario Levrero, La Nuova Frontiera, trad. di Elisa Tramontin

  Ci sono autori che vorresti immortali, e sempre al lavoro: Mario Levrero, uruguayano, eccentrico, classe 1940, per quel che mi riguarda, è uno di questi. Il perché non è ben chiaro neppure a me. Perché, con gli scrittori come Levrero non sai che pesci pigliare o, per meglio dire, rischi di rimanere a mani vuote perché ci sono troppi pesci che ti saltano attorno scivolando fuori dall'acqua, ma sono entità scivolose, veloci, guizzanti, a volte hai il dubbio che siano invisibili: vorresti agguantarli tutti ma rischi di non acciuffarne nemmeno uno. Perché Levrero è semplice ed evidente e al contempo complesso e sfaccettato; perché riesce a catturarti l'anima ma non capisci come diavolo abbia fatto, perché racconta storie minimali, quando non minime, eppure ti rendi conto che lo fa descrivendo un mondo che, diamine, sembra davvero il tuo. Quando parlo di "mondo descritto" intendo "mondo interiore". Eppure non ha l'aria di voler essere introspettivo, non è pesante, al contrario, sa essere parecchio divertente ma, questa sua apparente svagatezza, nasconde dei contrappesi nascosti che è complesso identificare: la sua scrittura va a toccare certe corde che pochi riescono anche solo a sfiorare e a costo di mettere in piedi complicate strutture narrative, miriadi di personaggi, psicologismi cadenzati ed eventi tragici. Levrero no, Levrero passeggia. Passeggia e descrive, passeggia e descrive senza porre distinzione tra il paesaggio esterno e quello interiore. Non ha pudore a mettere in piazza paure, debolezze e villanie.
  Provo a citarlo. Qui parla un vecchio incontrato per strada dal protagonista, herr Jrrsch, un tipo strampalato che fotografa le ragnatele e parla più o meno come Vujadin Boskov:

Vede? Gente dice: ragno tesse tela. Io dico: tela tesse ragno. Gente crede tessere vita, ma vita tesse gente. Tutto collegato. Lei scrive racconto, ma racconto scrive lei; cerchiamo causa in tempo passato, ma molte volte causa in tempo futuro. Confondono causa effetto.

  C'è una produzione di Levrero che è strettamente legata alla fantasia, al debordare da qualsiasi forma di cliché, e che in Italia, per ora, ha visto come unica traduzione quella del volume Nick Carter si diverte mentre il lettore viene assassinato e io agonizzo (per Calabuig), mentre Il romanzo luminoso (sempre per Calabuig) e questo Lascia fare a me (titolo originale: Dejen todo en mis manos) si possono iscrivere in un filone più personale e, se mi è concesso, ombelicale. 
  Quello che racconta questo libro è presto detto: uno scrittore (l'autore o un suo alter ego) viene incaricato, dalla casa editrice che gli ha appena rifiutato la pubblicazione del suo ultimo romanzo, di scoprire l'identità di uno scrittore sconosciuto che deve essere pubblicato ma che, ammantato dal mistero, non si riesce a trovare. Si chiama Juan Pérez, o dice di chiamarsi Juan Perez, e si sa che il suo manoscritto è stato spedito da un paesino della provincia, l'immaginario Penuria, ma manca l'indirizzo ed eventualmente, se Juan Perez fosse un nome de plume, il nome reale. L'alter ego dell'autore, considerate le ristrettezze economiche nelle quali si trova, accetta il lavoro, sale sul primo autobus per Penuria e comincia la sua indagine. Immagina si tratterà di un lavoro facile. Penuria è un piccolo centro abitato, basterà chiedere in giro, fare qualche domanda nei bar, affacciarsi nella redazione del giornale locale, girare un po' qui un po' là; i soldi promessi per la missione, considera, sono soldi facili. Ma il protagonista si lascia presto distrarre da un mondo che non conosce, piccolo, sconclusionato, marginale, a volte sinistro, provinciale, dove pare essere l'unico ospite dell'unico hotel del paese. La scuola, la posta, i bar, il giornale, il protagonista si muove, si perde (ama perdersi), perde tempo (ama perdere tempo) e, in men che non si dica, finisce tra le braccia della prostituta locale, Juana, le cui arti amatorie nascondono misteriosi poteri taumaturgici. Si sente meglio, si sente rinascere, scopre la pochezza della psicoanalisi di fronte alla potenza consolatoria e salvifica del sesso (quantomeno del sesso con Juana). Rilegge il manoscritto di Juan Perez, si addormenta, si sveglia in ritardo, corre per vie che non conosce per rimediare ai ritardi accumulati col sonno, parla con persone che potrebbero essere il misterioso Perez, ma che non lo sono e, puntualmente, torna da Juana (fino a che non è Juana ad andare da lui). Nel breve volgere di pochi giorni (se non addirittura di un pugno di ore) l'indagine passa in secondo piano, svapora, perde consistenza in favore delle carni lubriche della bella Juana. Si troverà, il protagonista, ad innamorarsi, o a crederlo, a volersene andare il prima possibile da Penuria e a voler restare, a tornare ad impegnarsi nella ricerca dello scrittore misterioso e a dimenticarlo quasi completamente, ed è questo ondeggiare continuo tra stati d'animo opposti (ma mai descritti come estremi) che poco alla volta diviene il ritmo stesso della narrazione, ed è un ritmo che riconosciamo incredibilmente vicino al ritmo stesso dell'esistenza (in questo senso, magistrale e misterioso è Il romanzo luminoso, che consiglio vivamente), quel ritmo che ci carezza quando ancora siamo nelle viscere di nostra madre e che invariabilmente cercheremo per il resto della vita come un anfratto consolatorio nel quale rifugiarci. Levrero è tutto questo (ma è anche cultura pop, ironia sorniona, cartoni animati, gusto per il paradosso, gialli da edicola) ed è anche, in fondo, la malinconia del tempo che passa, delle pagine che scorrono e si avvicinano pericolosamente alla fine. La magia della scrittura del grande uruguayano è nascosta da qualche parte, invisibile ai più, ma si fa sentire, ipnotica, gentile, morbida, eppure sfrontata e priva di infingimenti. E', la scrittura di Levrero, quel pulsare cardiaco che inquieta e rassicura, che calma ma che già porta in sé l'angoscia della sua fine, quell'attimo in cui smette d'un tratto di battere il suo percorso, quell'ultima pagina oltre la quale il suo vagabondare finisce, termina il suo ozioso ragionare ragionamenti oziosi, e d'un tratto ti senti solo. Senza più Mario Levrero accanto.

<< Che orrore! >>, urlò quando mi vide, e schizzò  dentro casa, mentre io aspettavo, sgocciolando sulle piastrelle di un minuscolo ingresso. Ho avuto accoglienze peggiori, ma non me le ricordo.

  Non mi vergogno a dirlo: ho pregato che questo libro, peraltro piuttosto breve, non terminasse mai, ho prolungato il piacere della lettura centellinandolo e intervallandolo con innumerevoli e dolorose interruzioni. Mi capita di rado ormai. L'ultima volta mi successe con Il romanzo luminoso, sempre di Levrero, che ho recensito Qui.

  Segnalo, in chiusura, l'interessante introduzione di Luciano Funetta, uno che di eccentrici latinamoericani se ne intende.


 Mario Levrero (Montevideo 1940 – 2004) ha pubblicato una decina di romanzi che lo hanno reso uno scrittore di culto, un punto di riferimento per molti autori latinoamericani. Appassionato di ipnosi, fenomeni telepatici, computer e libri gialli, ha esercitato molti mestieri, tra i quali il fotografo, il libraio, il direttore di riviste di enigmistica e l’autore di videogiochi. La rivista “Granta” lo ha recentemente proposto all’attenzione dei lettori europei nella rubrica Best Untranslated Writers. Il romanzo luminoso è il suo primo libro tradotto in italiano.

  QUI potete trovare un articolo dal blog di EdizioniSur di Raul Schenardi e una traduzione di Loris Tassi per farvi un'idea di chi sia stato Mario Levrero.