<< Lei cosa vuole da me? Vuole presentare una denuncia? Una querela? Un esposto? >>
<< E come potrei? >>, rispose la vecchia signora. << I fatti sono troppo numerosi: piraterie, sequestri di persona, rapine, grassazioni, plagi, oscenità, stupri, eresie, sacrilegi, corruzioni... Ma questi sono i sintomi del male. Il vero male è più profondo. Io temo si voglia provocare una mutazione del genere umano. >>
Poco dopo la vecchia signora viene trovata morta. E così anche il figlio della donna, un rinomato medico. Ma poco alla volta che i morti si affastellano, che gli scenari cambiano, sempre la stessa parola compare, spesso come lapsus, come illusione/allusione: la troga. Pantieri indaga, ma, come aveva avuto a predirgli la vecchina:
<< Commissario, lei sarà distrutto dalla troga. >>
E l'intrigo che si andrà componendo da questo meraviglioso incipit in avanti sarà un budello maleolente avvinghiato su sè stesso, a tratti talmente inverosimile da ricalcare una somiglianza inquietante con la storia recente d'Italia: la Dc, il rapimento Moro, la P2, il ruolo obliquo della Chiesa, le BR, delitti insoluti, violenza insensata, massoneria, sette oscure, terrorismo, servizi segreti perennemente deviati, morti ammazzati, banche, giudici, processi senza fine (in quanto non finiti, non terminati, senza colpevoli a scriverne una conclusione), ministri con segreti inconfessabili. Praticamente ogni aspetto romanzato potrebbe trovare un suo omologo punto di riferimento nella storia reale, tanto da far sospettare il lettore che Rugarli, nel 1988, anno di pubblicazione del libro, avesse svelato in forma narrativa verità che si sarebbero fatte più esplicite solo in seguito e che, all'epoca, potevano essere sospetti sussurrati nelle segrete stanze. Ma la grandezza del romanzo non sta nell'essere una copia più o meno fedele della Storia, bensì nel divenirne un ritratto a tal punto grottesco da ricalcarne i caratteri più veri, utilizzando una lingua tanto ricca e strabordante da piegare la realtà a suo piacimento, trasformandola, frastornandola, modificandone i connotati per poterne reperire la natura più intima e vera. La Roma capitale di Rugarli, microcosmo dantesco entro i confini del quale si svolge in sostanza tutta la vicenda, è inquietantemente simile a quella odierna, pur calata nei colori, nei caffè, nelle cravatte, nei completi, nei riti di quella anni 70/80: in questo senso, una Roma eterna, sempre uguale a sé stessa, portatrice di una mostruosità onnivora e autocannibalica, una Roma che più se magna da sé, più rinasce uguale a sé stessa.
la Roma dei cesari e dei papi era più che un'astrazione, una favola ad uso dei turisti ignari; una grigia macchia di case spariva nel cielo che si velava di turchino in lontananza, foglie gialle turbinavano giù dai rari alberi e, in margine alla via, si ammucchiavano le consuete immondizie. Più lontano, nei prati già pronti per nuove lottizzazioni, brucavano le pecore; era tutto ciò che sopravviveva dell'epoca in cui la campagna non conosceva le ruspe.
Una Roma malarica, zozza, malata di ratti, di febbri misteriose, una capitale sempre in procinto di partorire qualche nuova mostruosità con la leggerezza di chi ha visto e provato tutto, di chi sa che un omicidio è solo un omicidio, un'ammazzattina, e in fondo abbastanza saggia da sapere che tutto serve, l'ammazzattina, l'orgietta, il colpevole da trovare, ma quello giusto però, quello che faccia tornare tutti i pezzi al loro posto, perché anche trovare i colpevoli è un'arte, anche sistemare la giustizia è un'arte, e sopraffina per giunta, non la puoi lasciare al caso. Non basta essere colpevoli per essere colpevoli, ci sono tutta una serie infinita di conseguenze da tenere in considerazione per far si che l'ingranaggio non s'inceppi, tanto che, alla fine della fiera, il colpevole è meglio fabbricarselo su misura, alla bisogna. In casa. Anche l'ansia di rivoluzione nel romanzo di Rugarli è sottratta al fanatismo ideologico per divenire una posa, una ricerca di novità artefatta che, almeno, riesca a vincere la noia, giusto per qualche tempo.
Non si può vivere in un mondo senza idee, ma tutte le idee sono sbagliate. Dobbiamo accontentarci di idee sbagliate?
Questa è la Roma di Rugarli. E la lingua che la descrive è l'altro vero miracolo narrativo che compone un libro sopraffino e popolare al contempo: la sua è una lingua manganelliana, duttile, colta e popolana, ricca di diallettismi, di dialetti, scavata in maniera ossessiva e sovrabbondante, una lingua scavata che a sua volta scava la realtà in cerca di quelle zone d'ombra che non possono essere descritte ma solo accennate.
Leggetelo, sarete distrutti dalla troga.
... Non capirono. se ne andarono placati, mangiando pane e salame, sognando boschi faide e coltellate.
Rientrato a Milano (dopo un breve periodo a Brescia e uno più lungo a Londra), viene messo a capo della Esattoria Civica. L'esperienza si conclude quando ravvisa gravi irregolarità che segnala alla Autorità competente. Dopo un periodo di punizione in una specie di reclusorio della banca (queste vicende sono state raccontate da R. nella Introduzione del libro Diario di un Uomo a Disagio), viene nominato capo dell'Ufficio Studi. In questa veste fonda con l'Editore Laterza, e dirige, la Rivista Milanese di Economia, che accoglie contributi di Claudio Magris, Pietro Citati, Claudio Cesa, Mario Monti e altri importanti intellettuali ed economisti.
Alla fine del 1985, raggiunti 31 anni di servizio, e anche "perché si moltiplicano episodi di censura e di intolleranza da parte dell'amministrazione" lascia la banca. Da quell'anno si dedica unicamente alla attività di scrittore (che aveva condotto privatamente nei lustri precedenti), pubblicando oltre 20 opere, tradotte in più lingue.
Racconti e interventi di Rugarli sono stati letti alla radio. Ha scritto
i versi di un'opera lirica, musicata da Riccardo Malipiero: alcuni
brani, con i versi di Rugarli, sono stati cantati in concerto alla Scala
e al Conservatorio G. Verdi di Milano.
Nessun commento:
Posta un commento