"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 31 luglio 2014

Mezzanotte a Pechino, di Paul French, Einaudi editore

Immagino che non molti siano a conoscenza di quanto avvenne nella notte tra il 7 e l'8 di Gennaio del 1937 a Pechino. E quindi molto probabilmente non avete idea di chi fosse Pamela Werner, nè suo padre E.T.C. Werner, nè di come sia morta la madre di lei, Gladys Nina, e neppure di chi fosse il dentista Prentice, il detective Dennis e il colonnello Han (tralascio da questa breve lista molti altri personaggi non di secondo piano con cui avrete modo di far conoscenza leggendo il libro). Paul French, giornalista e storico inglese residente a Shangai, ce lo racconta, per filo e per segno. Pamela Werner è la vittima - è l'unica cosa che vi posso dire - assieme alla giustizia, che non arriverà mai, e all'umanità, che pare sprofondata in abissi di perversione paradossalmente senza fondo. La mattina dell'8 Gennaio il cadavere di Pamela Werner, dissanguato e sventrato secondo una tecnica che si verificerà essere utilizzata dai cacciatori, viene ritrovato ai piedi della Torre delle volpi, una spettrale torre di guardia che si diceva essere infestata dagli spettri degli spiriti volpe, appunto, spiriti maligni della tradizione cinese che la notte rovistano nei cimiteri e per il resto del tempo seminano male e sventura e, all'occasione, non disdegnano di procacciarsi morti freschi per rifornirsi di energia. O qualcosa del genere. Esseri comunque assai poco raccomandabili. Ma sempre meno inquietanti degli esseri umani e delle istituzioni che li legano e che dovrebbero presiedere alla giustizia, quantomeno a quella terrena. La ragazza, Pamela, figlia adottiva di un famoso sinologo inglese ed ex ambasciatore, misantropo e burbero, si trovava a Pechino per le vacanze di Natale, in visita dalla città di Tianjin, dove studiava, e in procinto di traferirsi definitivamente in Iinghilterra per sfuggire alle attenzioni malsane di un preside dalla libido un filo troppo attiva. Ecco, la mano invisibile del destino: stava per partire. Mancava poco. Pochi giorni e si sarebbe allontanata per sempre da quella che stava per divenire la sua tomba. Pamela era una brava ragazza, almeno all'apparenza, ma forse neppure poi troppo. Comunque non cattiva: difficile, nel pieno degli anni, desiderosa di sbocciare come donna e di frequentare in un sol balzo quel mondo degli adulti che l'aveva sempre lasciata sola. Il padre era stato estremamente assente, spesso impegnato in viaggi di studio o, quando a casa, immerso in qualche tomo a studiare astrusi dialetti cinesi. La madre, morta presto (di morte naturale o per mano di qualcuno, e di chi, del marito?). Pamela, lo diceva spesso, si sentiva sola. Era sempre stata sola. Era figlia adottiva e lo sapeva. Sola. Quando viveva col padre era come se vivesse sola, poi era stata mandata a studiare in una città lontana e lì sola lo era stata veramente, e in quel Gennaio maledetto e gelido, con i Giapponesi alle porte pronti a mettere a ferro e fuoco la città e i suoi abitanti, era di nuovo in procinto di partire, per l'Inghilterra stavolta, di nuovo da sola. I detective Dennis e Han si buttano a capofitto (o forse no?) nell'indagine, devono risolvere il caso entro 20 giorni, prima cioè che la legge cinese del tempo prevedesse l'abbandono del caso, ma soprattutto devono fare i conti con i politici ed i loro superiori che si fanno portavoce di cause, diciamo così, "di stato", vale a dire la difesa del buon nome della comunità cinese, o di quella inglese di stanza in Cina, delle istituzioni dell'uno o dell'altro paese, dei rappresentanti delle due diplomazie e dei personaggi di spicco delle due società. Avendo le mani legate, le indagini giocoforza non portano a niente. Si scoprirà in seguito, grazie agli sforzi indomiti del padre, che l'attività dei due detective arrivò a lambire i colpevoli ed il loro sinistro e malsano habitat, ma nulla più. Non si giungerà mai più in là di una certa invisibile linea tracciata da altri, più in alto. Le indagini vengono chiuse e l'assisinio rubricato come delitto per mano di ignoti. Sarà il taciturno ed ombroso E.T.C. Werner a dissanguare le proprie finanze ed a spendere i suoi ultimi - lunghi - anni di vita, a ricostruire l'accaduto, e ci riuscirà, anche se sapere la verità non porterà a nulla. La verità non serve conoscerla se non interessa a nessuno, e non interessa nessuno quando mette in gioco interessi e reputazioni di troppe persone troppo importanti. Spetterà a Paul French riscattare questa storia tanto lugubre quanto sinistramente (banalmente) umana dagli archivi dei giornali e delle ambasciate per ricostruirla, tasselo dopo tasselo, e portarla alla luce. A farci conoscere Pamela, prima bambina sola, e poi adolescente sola, ed infine cadavere straziato, e il sottobosco malavitoso che conviveva a poche strade di distanza dal ricco quartiere delle Legazioni, "riserva e prigione" degli stranieri influenti della città. A metterci in contatto con l'aspetto più torbido e meschino dell'animo umano. Una Pechino circondata dai Giapponesi, pronti a calarle addosso per divorarla in una delle maniere più brutali che la storia ricordi, una città come sospesa in una sinistra attesa che pare senza fine. L'immobilità della preda che fiuta l'immobilità del predatore. Due comunità, quella elitaria degli stranieri importanti che risiedono in Pechino e quella della malavita - autoctona o importata fa lo stesso, in certi ambienti il razzismo non è un problema particolarmente sentito - che fingono di ignorarsi a vicenda ma che spesso intrecciano i loro interessi più inconfessabili in trame di sesso, perversione e potere.
Sesso, omicidio, mistero, detection, la faccia oscura del misterioso oriente, e in sottofondo la grande storia che si muove, come la coda di un drago di cui non si indovina la testa ma che, lentamente, si sveglia, e modella destini di singoli e nazioni a proprio capriccio. L'ombra di Mao in lontananza, la rivoluzione che non è ancora alle porte ma appena più indietro, alle spalle di qualche anno, pochi, pronta a cambiare il mondo, ed al contempo il ricordo vivido dell'ultima dinanstia di un impero millenario. Un giallo perfetto, se non fosse che l'abilità dell'autore non ci permette di dimenticarci che, per quanto lontana nel tempo, si tratta di una storia vera, non verosimile, e che nulla di quanto successo e raccontanto è meno che dolente, e che i protagonisti sono state persone in carne ed ossa, e soprattutto che Pamela è morta, in trappola, da innocente (vedi la dedica).

Riporto, dalla prima pagina del libro:

 Non è necessario credere in una fonte sovrannaturale del male: gli uomini da soli sono perfettamente capaci di qualsiasi malvagità.

                                                                Joseph Conrad,  
Con gli occhi dell'Occidente (1911)




  Paul French (1966) è un giornalista e storico inglese. Vive a Shangai. Nel 2009 ha pubblicato Carl Crow: A Tough Old China Hand e Through the Looking Glass e nel 2013, per Einaudi, Mezzanotte a Pechino ovvero Il torbido omicidio della Torre delle Volpi.

martedì 8 luglio 2014

L'avversario, di Emmanuel Carrère, Adelphi editore

Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera. Si conclude così questo libro, strano e terribile, di Carrère, pubblicato in Francia nel 2000, in Italia nel 2000, da Einaudi, e ora riproposto nella medesima traduzione di Eliana Vicari Fabris per Adelphi.
  Mai come in questo caso si può parlare di immersione in quella zona oscura che ospita (ed è, a sua volta, ospitata da) ogni essere umano. Il 9 Gennaio 1993 Jean Claude Romand veniva estratto dalle fiamme che avevano avvolto la sua casa e ucciso sua moglie ed i suoi due figli. Solo che non era così. Il fatto ha avuto un'amplissima eco in Francia, nella pubblica opinione, per cui giocoforza l'autore non ha avuto altra scelta che cominciare a narrare dalla fine: dal fuoco, dai corpi carbonizzati, da Jean-Claude estratto ancora vivo, dai segni inequivocabili sui corpi dei figli e della moglie e dal castello di carte che in un attimo - in un soffio verrebbe da dire - crolla miseramente a terra, scuotendola fin nei suoi più oscuri recessi. Da quel momento tutto è cambiato, nulla è stato più uguale a sè stesso. Non è stata una tragedia, non sono state delle morti nè un incendio, fortuito o doloso, è stato lo sbriciolarsi di un mondo pazientemente creato in diciotto anni di finzione, un mondo (o un universo o, meglio, un'esistenza e le esistenze che da quella interdipendevano) che ad un tratto implode e ingoia tutto ciò che vi si trova attorno. Toglie certezze, instilla dubbi, fa nascere colpe. Le torri gemelle che cadono e il mondo che cambia, un fatto del genere. Basta un'analisi superficiale per rendersi conto che le tre vittime non sono morte nell'incendio ma per cause differenti (una per colpo contundente e due per spari). Si scopre che anche i genitori di Romand sono stati uccisi in quei giorni. Da quel momento, è un attimo, e tutto l'equilibrio, precario, si spezza e da lì in avanti si viaggia oltre una linea che ormai è stata tracciata nel corpo stesso (corpo dolente) del reale. Un prima ed un dopo. Carrère analizza entrambi, sia il prima che il dopo, va e viene oltre il confine tracciato da quella linea scioccante intrisa nel sangue e nella follia. Bastano un paio di telefonate e gli inquirenti capiscono che il dottor Romand (esimio professore-ricercatore all'OMS di Ginevra) non è chi dice di essere. Ma chi è? Una spia? Un trafficante d'armi? Un uomo dei servizi segreti? Mister x, l'uomo del mistero? Jean Claude Romand, in realtà, non è nessuno. Il buco nero del libro sta proprio qui, il mostro da guardare dritto negli occhi, come usava dire Bolano della letteratura, è lo stesso Romand. Ma il mostro è vuoto, una maschera su una maschera, probabilmente indossate a loro volta sopra altre maschere, innumerevoli, sotto le quali non c'è nulla. Non un dottore, non un ricercatore, forse nemmeno un padre nè un marito, certamente non un uomo. Non un uomo come lo possiamo intendere comunemente. Carrère si appassiona al caso, decide di scriverci sopra un libro, si interrompe. Ne scrive uno che però è un romanzo, La settimana bianca. Passa il tempo, alla fine affronta l'impresa, il suo avversario. Scrivere di un personaggio del genere, cercando di capirlo, che cos'è? Una preghiera o un crimine? O entrambe le cose insieme? Chi è Romand? Un ragazzo che, saltato un esame all'università (senza mai essere in grado di spiegare, nè forse spiegarsi, il perchè) non ha il coraggio di ammetterlo con chi gli sta vicino e da quel momento in poi mente a tutti, forse anche a sè stesso, finge di sostenere gli altri esami, finge di laurearsi, si sposa, mette al mondo due figli, finge di lavorare, finge di esistere, passa le giornate nei boschi o nei parcheggi, in giro, a guardar il tempo passargi davanti, e tra le dita, lentamente. Finge viaggi di lavoro, finge di investire i soldi di parenti ed amici in favolosi conti svizzeri dai rendimenti principeschi, e con quelli vive. S'innamora, e truffa anche l'amata. Sperpera i soldi che lei gli affida ed infine, quando capisce di non poter evitare di essere scoperto, uccide tutti i possibili testimoni (tutti coloro che, mettendo assieme i pezzi, avrebbero potuto ricostruire il nulla che Romand in realtà era), finge (o no?) di volersi suicidare e poi in carcere, una volta uscito dal coma, mente ancora, prova altre maschere, diventa l'assassino pentito che scopre Dio e la fede, non scende mai negli abissi da lui stesso creati, li sfiora soltanto, dribblandoli, li sbircia da lontano, risulta sempre fuori luogo, interpreta personaggi che parlano fuori sincro, a sproposito, sembra aver disimparato come si fa a fingere. Ma chi è alla fine Jean-Claude Romand? Quando e dove si è perso, sempre che ci sia mai stato? E, scrivere la sua storia, è un crimine o una preghiera? E noi che lo leggiamo come ci poniamo di fronte a quest'abisso che, nonostante tutto, è un uomo, nato da ventre di donna, come tutti noi?
  Carrère è un maestro che ha scelto una strada parallela alla letteratura, scrivendo non-fiction letteraria, che poi è comunque sempre una forma di letteratura: la sua scrittura è sempre cristallina, a tratti chirurgica (o comunque prova intensamente ad esserlo). Non ha il gusto del macabro, nè quell'attenzione patologica di taglio criminologico che oggi ammorba non solo la letteratura e la televisione ma pure la vita quotidiana e il nostro stesso ragionare. Non si immerge solo in questo storia (vera, verissima) nera, nerissima, non solo vi cerca un senso e rifugge qualsiasi morale, ma si domanda qual'è il suo ruolo, si mette in gioco e, così facendo, obbliga anche il lettore a farlo. Per quanto tremendo, è un libro magnifico, che ho letto nel 2000, quando uscì per Einaudi, e che in qualche maniera non mi è mai uscito del tutto da qualche angolo misterioso del cervello in cui è rimasto a lottare con sè stesso. Se non l'avete mai letto, leggetelo. Altrimenti rileggetelo.

Emmanue Carrère è laureato presso l'istituto di studi politici di Parigi.
La maggior parte delle sue opere sono incentrate sulla riflessione su se stesso e sul nesso fra illusioni e realtà. Molti suoi libri sono poi stati trasposti in sceneggiature cinematografiche. È autore anche di numerose sceneggiature per telefilm, basate su testi di Georges Simenon e altri.
Nel 2011 la sua opera biografica Limonov ha ottenuto il Prix Renaudot. Il libro descrive la vita controcorrente del poeta ed attivista politico ucraino Eduard Limonov.
Nel 2006 ha vinto l'Efebo d'oro per il film L'amore sospetto, tratto dal suo stesso romanzo.

martedì 1 luglio 2014

Il caso Eddy Belleguele, di Edouard Louis, Bompiani editore



Non devi fare così, lo sai che ti vogliamo bene, non devi cercare di salvarti (pag.156): è il padre del protagonista che parla così al figlio che ha appena tentato la sua prima maldestra fuga da casa o, per meglio dire, ha appena finto di tentare la sua prima, maldestra, fuga da casa, facendo sì che il padre potesse seguirlo e ritrovarlo in tutta fretta, prima che la fuga vera e propria potesse concretizzarsi. Il protagonista è Eddy Belleguele (trad: bell'imbusto, spaccone, faccia tosta), che viene rigettato dal microcosmo in cui nasce in quanto effeminato, frocio, femminuccia ed omosessuale e che rigetta il mondo che avrebbe dovuto accoglierlo perchè rozzo, sessista, razzista, ignorante. Ma non solo. Eddy viene rifiutato dalla società del suo paese (dalla cultura del paese che parla attraverso i suoi abitanti) perchè i suoi modi di fare, la sua finezza d'animo, non solo la sua sessualità, ma il suo talento artistico fungono da specchio per la sua famiglia e per le altre persone del paese. Lui non è dei loro, non è come loro, lui è altro da loro se non in tutto e per tutto il loro opposto. Lui è ciò che loro non vogliono essere, in quanto non possono esserlo. Eddy, e questo è il punto, è meglio di loro. Appartiene ad un altro mondo, come nei film di fantascienza dove un virus alieno contamina gli abitanti del villaggio e dei bambini in tutto e per tutto uguali agli altri in realtà si rivelano essere delle entità extraterrestri installatesi all'interno di corpi di esseri umani. In tal senso, questo libro, può essere letto come un libro di fantascienza. Ma non solo, è anche un libro di zombie (o di vampiri, capiamoci, comunque di mostri epidemici). Mi spiego. Tutti i personaggi che compaiono nel libro, tranne Eddy, sono posseduti da qualcosa di più grande di loro che si esprime attraverso i loro corpi, che parla con le loro voci, un'entità senza volto, terribile, un moloch oscuro che tanto più pervade ogni cosa tanto meno è possibile individuarla: la (sub)cultura del posto, una cultura sottoproletaria brutale e primitiva: gli uomini bevono, ruttano, si ammazzano dal lavoro in fabbrica (letteralmente, si ammalano a furia di lavorare e talvolta ne muoiono) , si picchiano, scopano le loro donne e si interessano al calcio ed al catch, e se rimane loro tempo si inebetiscono davanti a programmi spazzatura in tv, sono razzisti ed omofobi. Ignoranti non solo perchè ignorano ma perchè si incaponiscono nell'ignorare, ne vanno fieri, facendone un punto di vanto. Le donne sono pragmatiche, razziste, dolenti, vittime di uomini brutali, hanno sogni che si spezzano verso i quindici anni quando rimangono incinta e cominciano a riempirsi di figli, in un ciclo vitale di stampo animale che si ripete uguale di generazione in generazione, da tempo immemore. Tutto ciò che non rientra in questi canoni è escluso a forza dall'entità che tutti possiede. In questo senso Eddy è come il protagonista del racconto di Matheson Io sono leggenda: è l'unico diverso in un mondo di mostri, ma in quel mondo è lui il mostro e l'unico modo che ha per salvarsi è la fuga. Poi, questo libro, è anche altro: è una sorta di diario, è uno scontro sociale tra un sottoproletariato brutale e brutalizzato dalla società e una borghesia lontana, estetizzata al punto da apparire quasi effemminata o, per meglio dire, efebica. Atene e Sparta, ma che non si combattono neppure più, che si sbirciano a distanza, disprezzandosi, quando non ignorandosi, fingendo l'una l'inesistenza dell'altra. Poi è il romanzo di una famiglia che non ha i mezzi per comprendere il proprio figlio e la sua diversità e che l'unico modo che trova in sè per salvarlo è torturarlo, standardizzarlo alla realtà circostante. E in nuce, a sprazzi, quasi di sfuggita: la fierezza di avere un figlio intelligente che farà strada e, al contempo, il terrore di non poterlo capire, di percepirlo sempre come qualcosa di incomprensibile quando non addirittura illogico: lontano, troppo lontano dai propri (dis)valori. Infine, il libro è anche un racconto biografico. Ma chissenefrega, non è importante. Quello che colpisce in un giovane autore al suo primo romanzo è la padronanza dello stile e del materiale narrativo e, soprattutto, del taglio personalissimo che riesce a dare alla storia: un taglio antropologico. Nessuno viene giudicato. Neppure quell'entità maligna che tutto pervade e tutti possiede. E proprio quella sensazione di una (sub)cultura che parla attraverso gli abitanti (tutti tranne Eddy, che pare sordo alla voce dell'entità) è il fattore più sconvolgente del romanzo, più delle violenze e delle umiliazioni subite dal protagonista, più dell'identità sessuale vissuta come marchio d'infamia, più della consapevolezza che ci viene sbattuta in faccia come uno schiaffo, che quei mondi, che quelle realtà esistono, che piaccia o meno, e non sono per nulla dissimili da realtà identiche di fine ottocento, e che, forse, sono le stesse realtà che esistono dall'inizio del mondo e che quell'entità che parla e possiede gli abitanti della cittadina, forse altro non è che la natura umana.


Édouard Louis, nato Eddy Bellegueule, è cresciuto nella Francia del Nord, regione descritta nel suo primo romanzo, Il caso Eddy Bellegueule.
Proviene da una famiglia della classe operaia: suo padre è disoccupato e la madre non ha mai lavorato. La povertà, il razzismo, l’alcolismo con cui si è confrontato nella sua infanzia e la sua classe sociale sono il punto di partenza della sua opera letteraria.
È il primo della famiglia a concludere gli studi e viene ammesso all’Ens, la Scuola Normale Superiore di Parigi, nel 2011. Nel 2013 ottiene di poter cambiare nome e diventa Édouard Louis.
Nello stesso anno cura l’opera Pierre Bourdieu. L'insoumission en héritage, pubblicata da Presses universitaires de France (PUF), in cui viene analizzata l’influenza di Bourdieu sul pensiero filosofico e sulle politiche dell’emancipazione. Presso lo stesso editore Louis crea, nel marzo 2014, la collana di scienze umane “Des mots”, dove comincia a pubblicare testi di George Didi Hiberman e Didier Eribon.
Nel gennaio 2014, all’età di 21 anni, pubblica Il caso Eddy Bellegueule, un romanzo di forte matrice autobiografica. A lungo recensito dai giornali, che ne hanno sottolineato le qualità, il libro ha anche alimentato molte polemiche, in particolare per il ritratto che l’autore fa della sua famiglia e del contesto sociale in cui è cresciuto. Il libro ha venduto oltre 200.000 copie in pochi mesi ed è in corso di traduzione in una ventina di lingue. Didier Eribon parla di un “exploit” a proposito del libro, “Le Monde” lo celebra come “la storia di un fallimento salutare”, Xavier Dolan evoca “l’autenticità inimitabile dei dialoghi”, “come se Édouard Louis scrivesse da sempre”, aggiunge.